Cattedra di Filosofia Teoretica I

Anno accademico 2000-2001

Traccia delle lezioni del Seminario (dott.ssa Laura Scarpat)

INTRODUZIONE

Le Lezioni sulle sintesi passive si aprono con una trattazione del problema della percezione e delle sue caratteristiche essenziali. Se seguiamo l'indice vediamo come dopo questa parte introduttiva, Husserl si muova in un'analisi dei modi della negazione, del dubbio e della possibilità aperta. Questo accostamento non deve stupire: secondo Husserl, infatti, le operazioni logiche si radicano, ovvero traggono il loro senso, da operazioni prelogiche, che si realizzano nella dimensione percettiva. Chiarire quindi il senso e il modo del percepire, le sue caratteristiche essenziali, risulta quindi necessario, non solo in quanto la percezione è una struttura d'esperienza, ma in quanto fra le strutture d'esperienza essa risulta avere un ruolo particolare. Se gli atti logici rimandano per il loro senso alla dimensione percettiva, allora sarà necessario mostrare quelle forme e modalità percettive originarie grazie a cui essi si originano. E, infatti, in tutta la prima parte delle Lezioni sulle Sintesi Passive Husserl approfondisce l'analisi dei processi percettivi, indagando i casi in cui il decorso percettivo si "interrompe", indicando come in questi casi si fondi la possibilità di una constatazione attiva del soggetto, strato fondativo degli atti di tipo giudicativo.

Sfogliamo l'indice per avere un'idea generale dei temi di cui Husserl si occupa in questo testo.

Il concetto di modalizzazione: la prima sezione del testo ha questo titolo, esso rimanda alla nozione di credenza originaria, elemento strutturale del normale decorso percettivo. Le modalizzazioni, che sono tema di questa sezione, sono da intendersi come fenomeni interni all'ambito percettivo, come insieme di casi in cui il decorso percettivo si interrompe e la credenza originaria che ne caratterizza il fluire normale viene modalizzata ossia messa in dubbio, negata ed eventualmente riconfermata. Permettono di mettere in luce peculiarità ed aspetti caratteristici della percezione, e si mostrano d'altro lato come fondamento degli atti di giudizio: la prima parte delle Sintesi Passive risulta quindi essere in primo luogo (non solo metaforicamente) un'indagine sul decorso percettivo, un suo approfondimento, ed in secondo luogo, una chiarificazione dei giudizi su atti percettivi in cui si mostra come l'ambito logico si fondi in quello prelogico.

La seconda parte tratta di problemi connessi all'ambito della percezione, in particolare di alcuni temi centrali nella concezione husserliana dell'atto percettivo quali l'evidenza, il riempimento e il problema dell'intuizione. Questi temi risultano delineati nelle pagine introduttive sul tema della percezione in generale.

La terza parte si addentra all'interno di un'analisi fenomenologica dell'associazione, questo concetto si rivela uno degli elementi cardine della struttura degli atti percettivi. L'ultima parte della selezione di pagine riguarda in particolare questo problema, o perlomeno l'inizio dell'indagine su questo problema.

La quarta e ultima parte tratta in specifico del tema delle rimemorazioni, ricordi e di come la rimemeorazione sia la struttura fondante del costituirsi un flusso di coscienza unitario. Compare qui il tema del ricordo che si trova legato a doppio filo col tema della percezione. Si tratta, infatti, di una sua modificazione, ovvero non si può ricordare nulla che non sia stato percepito. D'altro lato l'associazione, che abbiamo preannunciato svolgerà un ruolo centrale nella percezione, allo stesso modo (non nel senso che operi allo stesso modo) si rivela centrale nel ricordo.

Si è visto già solo con una rapida riesposizione dell'indice delle Sintesi Passive con quanti problemi la tematica della percezione si venga intrecciando. Tracceremo quindi un'esposizione della percezione che oltre ad evidenziare le sue caratteristiche e ad analizzarne le strutture, sottolinei e esamini le sue relazioni con gli altri atti, ovvero le altre modalità esperienziali, quali immaginazione e ricordo, e gli atti di tipo giudicativo.

LA PERCEZIONE

La percezione di un qualsiasi oggetto, vi abbiamo in qualche modo già fatto riferimento ed accennato, si delinea come un decorso percettivo, come un processo. In che senso e perché Husserl sottolinea la centralità di questa peculiarità della percezione? Le Sintesi Passive si aprono con un'affermazione paradossale: alla percezione inerisce una contraddizione, ovvero essa non mantiene mai quello che promette (questa affermazione suona fortemente paradossale e pericolosa proprio perché come si è visto, già nell'impianto di questo stesso testo, la percezione ha un ruolo centrale nel sistema husserliano, se di sistema vogliamo parlare: è un atto peculiare cui gli altri modi esperienziali rimandano per il loro senso. Se si mina la percezione, si mina, di fatto, l'intero corpo husserliano).

Cosa sarebbe questa promessa non mantenuta? La percezione promette secondo Husserl stesso di mostrarci l'oggetto qual esso è, di manifestarlo in carne ed ossa (gli esempi qui sono facili e evidenti: quindi il tavolo, il cortile del chiostro, le persone, etc.). Se però osserviamo questi possibili atti possiamo davvero dire "ora io vedo il tavolo"? Lo vedo davvero tutto?

Husserl osserva come nell'atto percettivo io veda sola un lato del tavolo, che è dunque propriamente percepito, mentre tutti gli altri lati non lo sono.

Gli oggetti si mostrano dunque necessariamente in questo modo, ma allora perché Husserl sottolinea che la percezione ci pone di fronte all'oggetto? Affermare il necessario manifestarsi della cosa per lati (ma vale anche per le sue proprietà) non rischia di farci ricadere in un circolo in cui gli oggetti non sono mai presenti, in cui al soggetto si mostrano solo dei fenomeni parziali? In primo luogo parlare di fenomeni che sono manifestazioni di una cosa, significa presupporre anche questa cosa di cui i fenomeni sono manifestazioni. Ma l'impostazione di Husserl non vuole affatto condurre ad una cosa in sé, postulata ma non conoscibile, al contrario. La cosa, il tavolo nel nostro esempio, non è affatto assente dalla percezione. È vero che nella percezione vediamo un solo lato, ma gli altri lati tuttavia non sono totalmente assenti dalla percezione: altrimenti non direi "vedo il tavolo" ma "vedo una superficie legnosa".. Dunque essi partecipano in qualche modo alla costituzione del senso di quello che io propriamente percepisco, sono copercepiti, ovvero non sono presenti in carne ed ossa nel singolo atto, ma sono consaputi in esso, "presupposti" (non in senso logico deduttivo), per il senso stesso dell'oggetto che proprio in quell'atto vado percependo. Altra caratteristica degli elementi copercepiti è che possono sempre essere oggetto di una nuova percezione, ovvero il lato inferiore o posteriore del tavolo può diventare propriamente percepito in un nuovo atto percettivo: in quel momento il lato propriamente percepito del primo atto sarà allora copercepito; ma per essenze non tutti i lati possono essere contemporaneamente propriamente percepiti.

Il senso oggettuale appartiene ad ogni singola percezione, e ci permette di riconoscere quali lati e aspetti dell'oggetto siano propriamente presenti in ogni fase percettiva, e quali siano implicati per la costituzione di questo stesso senso.

In questa apparentemente semplice descrizione della nostra esperienza percettiva si mostrano alcune peculiarità:

- gli oggetti della nostra percezione non si danno in un colpo solo, ma in un decorso: questo per Husserl non costituisce un limite di tipo fisiopsicologico della percezione umana, ma una caratteristica degli stessi oggetti spaziali, che possono darsi solo in questo modo proprio per la loro tridimensionalità e materialità.

- questo implica che la percezione si delinei come un decorso (tesi cui accennavamo all'inizio), ovvero di un insieme di fasi percettive che non siano slegate l'una dall'altra.

Abbiamo, infatti, sottolineato come la copercezione rimandi da un lato ad un'assenza attuale dall'atto percettivo, ma un'assenza che può divenire presenza in carne ed ossa in un successivo atto percettivo; in questa impostazione si intrecciano tre diversi ordini di problemi:

1. il tempo; infatti, gli atti percettivi si susseguono l'uno all'altro come arricchimento progressivo e avvicinamento all'oggetto

2. il movimento; infatti, i nuovi atti sono resi sempre possibili dalla possibilità del soggetto di muoversi attorno all'oggetto percepito

3. l'associazione; infatti, la percezione è possibile come decorso se e solo se le varie fasi, i vari atti percettivi risultano appunto fasi o atti di un decorso, e non indipendenti e svincolati l'uno dall'altro (vedo una superficie larga, ne vedo una stretta, di nuovo una larga, un cilindro alto e stretto etc.).

Queste tre problematiche che abbiamo qui identificato e separato, si intrecciano all'interno delle indagini sulla percezione (io mi muovo ma questo presuppone il passare del tempo, io mi muovo ma i miei decorsi richiedono comunque un'associazione che li leghi, il tempo scorre ma unifica e in che modo allora distinguo fra le percezioni del tavolo e la successiva serie sedia o la contemporanea serie voce della dottoressa che spiega?)

Prima di addentrarci nell'esame di questo ordine di problemi, che, in particolare per il terzo punto, preferiremmo mostrare nella loro indagine e soluzione direttamente analizzando le pagine in cui Husserl se ne occupa, pare interessante seguire il percorso di Husserl. Infatti, dopo aver come noi sottolineato in fase introduttiva questa paradossale caratteristica della percezione prima di addentrarsi nello snodo di questi problemi che la nozione stessa di decorso percettivo pone (ovvero in quanto decorso il problema del tempo in cui decorre e dell'unificazione che di decorso fa parlare), Husserl apre la prima parte con un'indagine delle modalizzazioni della certezza. Abbiamo già accennato al ruolo in generale che il problema della modalizzazione svolge nell'impostazione fenomenologica. Qui pare utile ritornarvi sopra un poco: Husserl non cerca di evitare il problema, non cerca un percorso alternativo per la sua chiarificazione, né tantomeno lo ignora e crede di aver chiarito già la struttura della percezione e quindi può passare all'ambito categoriale ossia del giudizio.

Nel nostro sguardo introduttivo all'indice del volume abbiamo indicato come il riferimento alla modalizzazione della credenza abbia una doppia valenza, giochi un duplice ruolo: da un lato mostra nella percezione dove e come si radichino i giudizi categoriali, dall'altro indica nella loro particolarità aspetti presenti nel decorso "normale", ossia non modalizzato. Infatti, all'interno dello stesso decorso percettivo ci si trova di fronte ad una presa d'atto, che non conduce ancora sul piano del giudizio. Se nel decorso percettivo non modalizzato essa passa inosservata, nelle modalizzazioni, si tratti di dubbio, negazione o possibilità, il suo ruolo emerge con chiarezza. Abbiamo, infatti, visto come all'interno di una percezione vi siano elementi copercepiti percepibili propriamente in atti successivi, quindi ad una riempimento all'interno del decorso. Nei casi non modalizzati questo processo interno alla percezione fluisce e si delinea attraverso una piena concordanza, ovvero quello che io mi aspetto di vedere in base ad una fase percettiva viene a mostrarsi nella fase successiva, e passa quindi inosservato. Al contrario nei casi modalizzati vi è un'interruzione fra gli elementi copercepiti e quelli che giungono in piena datità nelle successive fasi di decorso.

Si realizza nei casi modalizzati una delusione delle aspettative che ci eravamo poste in base agli elementi propriamente percepiti.

In una prima fase vediamo ad esempio una casa, ovviamente solo il suo lato anteriore, girando attorno alla casa ci accorgiamo che il lato posteriore che immaginavamo di vedere, che era copercepito, non è presente ed entrando nel perimetro notiamo anche che manca la parte superiore, a questo punto subentra una ristrutturazione del nostro decorso percettivo e possiamo constatare che quella che credevamo essere una casa è in realtà un rudere. La natura processuale del decorso percettivo, il suo strutturarsi in attese (supposizioni) in base agli elementi presenti nella percezione, la possibilità di percepire (verificare) quegli elementi, si mostra con maggior chiarezza quando uno o più elementi vengono messi in discussione.

Si tratta qui di sottolineare un elemento importante della negazione, della delusione che ad essa conduce, ovvero che all'interno delle attese deve comunque mantenersi una continuità, un riempimento parziale: il vissuto dell'altrimenti sorge in un contesto in cui l'unità del vissuto e del decorso percettivo è mantenuta. Se questa si disgregasse completamente non potremmo parlare più di decorso, non vi sarebbe il modo di costituire delle sintesi. (si mantiene unità del decorso intenzionale e del senso oggetto).

Lo stesso vale nei casi del dubbio, ovvero in cui il nostro decorso percettivo non riesce a dare una risposta, a scegliere fra le due possibilità (se passiamo in auto davanti a quella stessa casa e non abbiamo modo di verificare con calma e dall'interno). Le modalizzazioni ineriscono quindi al campo d'analisi della percezione, non si tratta nemmeno di sue modificazioni, come vengono definite il ricordo e l'immaginazione, si tratta invece di modi di percezione in cui le fasi scorrono e defluiscono, in cui si realizza, o si cerca di realizzare un avvicinamento progressivo all'oggetto, in cui la sintesi fra le varie fasi percettive ha un andamento più articolato che nel decorso percettivo "normale".

Parallelamente alla presa d'atto che Husserl aveva già toccato nella parte introduttiva sulla percezione in generale, troviamo in questi casi una presa d'atto più articolata, come conseguenza del processo di sintesi fra le fasi che si è visto era più articolato: al "vedo una casa" corrisponde qui un "non è una casa ma un rudere" o "quello può essere sia una casa sia un rudere".

Il decorso modalizzato della possibilità aperta riveste un ruolo particolare, infatti, rispetto al dubbio in cui si può sempre decidere per una delle due possibilità (o più), in cui si tende per una delle posizioni, o in cui vi sono ragioni per ciascuna delle posizioni, nel caso della possibilità aperta, essa apre, a partire dagli elementi propriamente percepiti, un insieme di possibili riempimenti contenutistici di cui nessuno è sostenuto da motivazioni, quello che è sostenuto e motivato è il campo di variabilità. Non siamo incerti fra due o più colori sul muro retrostante (nozione di possibilità problematica che si fonda sul dubbio percettivo, ma, restando di fronte alla casa, ci "rappresentiamo" il muro posteriore, ce lo raffiguriamo con un colore, un colore qualsiasi, magari quello del muro frontale, ma certamente con un colore. Non si tratta qui di decidere dunque fra due possibilità, ma di ipotizzare un campo del possibile, senza necessariamente verificare nel decorso percettivo quale colore sia.

In questo modo il ruolo delle attese che conducono le varie fasi percettive, che indicano il loro scaturire l'una dall'altra emerge in tutta chiarezza: la possibilità aperta ci mostra secondo quali linee, secondo quali ventagli di possibilità la nostra percezione cerchi riempimenti percettivi, secondo quali direzioni le nostre percezioni siano orientate dalla fase attuale alla fase successiva.

IL TEMPO

Come si è visto la percezione poneva alcuni problemi fra loro strettamente legati. Il primo fra questi è il problema del tempo: se di decorso si può e si deve parlare questo implica necessariamente un rinvio ad una dimensione temporale, del fluire temporale e al problema di una sintesi fra le fasi che necessariamente sia una sintesi temporale. Già nel nostro descrivere i diversi modi percettivi (modalizzati e non) si è fatto riferimento a delle aspettative (il lato posteriore che è copercepito mi aspetto di vederlo): queste aspettative sono una struttura necessaria dell'andamento percettivo sono una struttura temporale. La percezione tende ad avvicinare l'oggetto, e da un lato verso il futuro è orientata a certi aspetti di esso, e dall'altro gli elementi percepiti non scompaiono col sopraggiungere di una nuova fase, ma vengono ritenuti, e solo in base a questi elementi le nuove fasi percettive possono essere orientate. Stiamo qui delineando una struttura fondamentalmente temporale: presenza effettiva, protenzione e ritenzione. Senza questi elementi la struttura percettiva non sarebbe possibile: la mia percezione, se decorso deve essere, presuppone che le fasi siano unificate che quindi alcuni elementi siano trattenuti, che le successive siano orientate e non a caso, e che i nuovi elementi vadano integrandosi con quelli già acquisiti. Non si vuole qui esaminare il problema del tempo, della coscienza del tempo, delle sue strutture e del costituirsi di un tempo oggettivo, perché si tratta di problemi estremamente complessi che costituiscono un campo di indagine decisamente ampio. Non si può però non sottolineare come Husserl accenni al problema del tempo, e questo non per caso o per amore di completezza e ricchezza espositiva, ma proprio perché la nozione stessa di decorso rimanda alla nozione di tempo.

Protenzione e ritenzione:

Con ritenzione si indica il fatto necessario che gli elementi non scompaiano improvvisamente, ma vengano trattenuti e consaputi nella nuova fase di decorso. Non si tratta né di ricordarli, infatti, non sono ancora stati dimenticati, né di osservarli mentre fluiscono, ma del fatto che al sopraggiungere di una nuova fase gli elementi della fase precedente non vengono cancellati, ma pur non essendo più presenti essi sono trattenuti.

Con protenzione si indica quell'insieme di attese che orientano la percezione, il tendere del decorso percettivo verso nuove fasi, che non sono casuali, ma che scaturiscono dai processi di ritenzione; attraverso gli elementi e gli aspetti dell'oggetto che si sono mostrati la percezione è orientata verso nuovi aspetti dell'oggetto "è propriamente rappresentato anche ciò che è quasi percepito", "il presente va verso il futuro a braccia aperte".

Ci pare opportuno sottolineare come le dinamiche sopra delineate di protenzione e ritenzione non siano affatto in corrispondenza di due diversi livelli temporali: passato e futuro, ma si collochino tutte quante all'interno del pres. In ogni singola fase del nostro decorso percettiva abbiamo degli elementi propriamente percepiti, presenti, degli elementi che riteniamo dalla fase precedente (presente ritenzionale) e degli elementi copercepiti, che ci aspettiamo di vedere e che possiamo portare a datità (presente protenzionale) (il lato posteriore può non esserci, subentra la modalizzazione, ma possiamo vedere se il lato c'è o no). Questa nozione di presente che Husserl adopera si chiama presente esteso, poiché rimanda già di per sé ad un fluire, ad una compresenza di elementi propriamente dati e di elementi già dati e da portare a datità. In altro modo, la ritenzione e la protezione tendono indubitabilmente rispettivamente a passato e futuro, ma appunto vi tendono soltanto e si collocano nel presente non nel passato e nel futuro. Non si rifiuta il fatto che il presente sia legato all'ora, anzi i momenti che abbiamo identificati strutturano proprio l'ora, che non è semplice istante slegato dal flusso che poi dovrebbe costituire.

Attraverso il delinearsi di questa struttura temporale possiamo già sottolineare alcuni aspetti utili alla nostra analisi del decorso percettivo: nel suo fluire lo stesso presente è frutto di una sintesi (passiva) degli aspetti appena citati. Ma le varie fasi che decorrono sono anch'esse organizzate in una sintesi di livello più elevato. Nel nostro ora viene costituita un'oggettualità temporale, col suo ora momentaneo, il suo orizzonte del passato ritenzionale e del dell'orizzonte protenzionale. Ma nel nostro ora non si costituisce una sola oggettualità (vedere il chiostro e sentire qualcuno): per queste due oggettualità non si costituiscono due temporalità separate e distinte, ma la contemporaneità dell'una e dell'altra. Ma la sintesi temporale opera appunto solo verso la formazione di una forma ora di coesistenza degli elementi che nell'ora si vanno costituendo e della successione delle varie fasi di decorso. Produce per così dire un ordinamento formale del decorso, "l'analisi temporale da sola non può dirci che cosa dia unità contenutistica ad ogni singolo oggetto", essa mostra solo che "se molteplici oggetti sono contenutisticamente distinti[...]allora sorgono per noi singoli oggetti che sono nella coesistenza e nella successione". Diviene quindi necessario chiarire in che senso le singole oggettualità vadano costituendosi.

IL MOVIMENTO

Il secondo aspetto problematico che avevamo sottolineato, è costituito dalla nozione di movimento. Se, infatti, la percezione si delinea come decorso, come un progressivo avvicinamento all'oggetto, questo implica che le fasi possano susseguire secondo un ordine non casuale. Se come abbiamo visto accennando alla sintesi temporale, la percezione è originariamente orientata, allora deve essere possibile per il soggetto realizzare le percezioni successive. Deve cioè trattarsi non di un soggetto fisso per cui le immagini delle fasi percettive scorrano come di fronte a uno schermo, ma al contrario di un soggetto libero, capace di muoversi nello spazio, attorno all'oggetto percepito.

Ma il problema del movimento ne nasconde in sé uno ben più ampio che ci preme qui osservare, in quanto la percezione è una modalità estetica, e in fenomenologia parlare di estetica, implica riferirsi alla nozione, articolata e complessa, di corpo proprio. Non ci addentreremo qui in un'analisi puntuale della costituzione del Leib, poiché Husserl in questo testo non se ne occupa, ma pare opportuno indicare come nel rapporto cinestetico con l'oggetto sia presente un rimando alla nozione di corpo proprio come luogo originario dell'orientamento spaziale per cui tutti gli oggetti sono localizzati in uno spazio che è sempre un Là, esteticamente diversificato rispetto al Qui del corpo del soggetto percipiente.

Il soggetto che quindi è al centro di questo testo husserliano è un soggetto incarnato, corporeo, spazialmente orientato e collocato in una dimensione spaziale, oltre che polo trascendentale di unità temporale degli atti di coscienza. L'"io posso" risulta quindi come libertà cinestetica di orientare le proprie percezioni attuali.

Bisogna anche tener presente che il riferimento ad un soggetto corporeo, capace di muoversi, implica il riferimento ad un soggetto i cui atti si articolano in tutta la sua corporeità, ovvero che non sia limitato non solo a pura attività "mentale" ma tanto meno ad uno solo dei suoi "sensi". Al contrario, a provare che il sottolineare la centralità della nozione di corpo proprio anche in questo testo in cui non viene esplicitamente tematizzata la sua costituzione, è il fatto che la distinzione dei campi sensibili, ovvero delle regioni sensoriali di articolazione originaria, costituisce uno degli ambiti di indagine riguardo alle Sintesi Passive.

L'ASSOCIAZIONE

Siamo già giunti col problema dell'articolazione dei campi sensibili al terzo ambito problematico che avevamo indicato all'inizio, ovvero al tema dell'associazione. Si è parlato più volte di decorso percettivo, di fasi che si succedono nel tempo, che non si susseguono a caso e non si smarriscono, ma sono appunto connesse fra loro. Come è possibile questa connessione?

Questi orizzonti di problemi ci conducono alla nozione di associazione, che per Husserl indica una legalità dell'esperienza in generale. Non si tratta come vedremo di un'associazione per cui il soggetto connette due diverse fasi del decorso percettivo, non è un'associazione psicofisica o di idee. Quello che Husserl sottolinea è come attorno ai temi tradizionalmente trattati dalla psicologia dell'associazione si strutturi tutt'un ambito di problemi che la fenomenologia può e deve spiegare, modificando la nozione stessa di associazione e conseguentemente di sintesi associativa.

Si è visto come una prima e fondamentale sintesi sia quella temporale, ma questa sottolinea Husserl è meramente formale, cioè non legata ai contenuti. Si è visto come questa costituisca una forma necessaria e a priori proprio in relazione alla nozione stessa di decorso. Ci pare opportuno sottolineare che altra condizione a priori che alla nozione di temporalità risulta legata è quella dell'identità del soggetto: perché vi sia un decorso percettivo le diverse fasi devono darsi allo stesso soggetto, che deve quindi delinearsi come polo identico di quei vissuti, e questo è reso possibile in primo luogo dalla sintesi temporale. Ma anche da questo punto di vista restiamo su un piano unicamente formale: infatti, non istituiamo alcun legame di tipo contenutistico fra le fasi che per il soggetto si susseguono, né determiniamo in qualche modo le caratteristiche di questa unità sogg.

Al contrario la sintesi associativa è contenutisticamente determinata. Husserl la definisce come una prosecuzione della sintesi temporale su tutti i livelli costitutivi. E questo pare rilevante, perché permette di mettere in luce fin da subito due questioni rilevanti: si tratta sempre di una modalità a priori, non di una sintesi di tipo empirico, proprio come la sintesi temporale costituiva una condizione a priori della nostra esperienza percettiva, e non solo. Non si tratta quindi di una legge fondata sulla natura umana o sul ripetersi empirico di certi fenomeni, ma proprio su una condizione di possibilità del realizzarsi degli stessi (che ovviamente nei casi empirici è poi rinvenibile, ma non è da questi derivata o dedotta). Essa opera però proprio sui contenuti percettivi: da un lato all'interno di ogni singola fase percettiva, sui modi in cui i dati percettivi si organizzano (somiglianza e contrasto; campi percettivi), dall'altro sui rimandi contenutistici da un elemento presente a uno passato, che motivano l'originarsi di attese anticipatrici. In questo senso prosegue ad ogni livello costitutivo l'operare della sintesi temporale.

Abbiamo sottolineato già più volte come la sintesi associativa di cui Husserl tratta non sia una sintesi di tipo empirico, pur cessando di essere una sintesi meramente formale. Le sintesi dell'associazione per Husserl non istituiscono dei nessi interni alle idee del soggetto ma si svolgono sul piano degli oggetti. Sarà utile chiarire che i "piani di azione" dell'associazione sono stratificati: l'associazione conduce da un oggetto percepito ad un altro precedentemente percepito (associazione riproduttiva), dall'altro costituisce il fondamento di quelle attese che avevamo visto essere una caratteristica dell'atto percettivo. Di queste due modalità associative la prima si mostra orientata al passato la seconda orientata al futuro e fondamento di una possibile verifica del e nel decorso percettivo.

Ma vi è un nuovo senso in cui Husserl si occupa dell'associazione, ovvero del suo ruolo nella costituzione stessa delle oggettualità all'interno della percezione stessa, sia in ogni sua fase sia come legame fra le varie fasi di un decorso percettivo. Se dunque l'associazione riproduttiva ha un valore fondamentale su cui Husserl pone l'accento fin dal primo paragrafo sull'associazione, in quanto essa mette in atto quell'unità dell'esperienza che la sintesi temporale rende possibile, e in quanto su di essa si fonda la possibilità del costituirsi di un flusso di coscienza unitario, che come abbiamo accennato occupa tutta l'ultima sezione del testo, non va dimenticata o sottovalutata la centralità dell'associazione nella costituzione delle oggettualità. Questo punto di vista permette infatti di chiarire riempiendo di contenuti quell'analisi del presente esteso cui abbiamo accennato nel nostro riferimento al problema temporale. Se la percezione opera nel presente, ma in un presente che deve essere inteso come esteso, in cui vi sono presenza effettiva, presenza ritenzionale e presenza protenzionale, è proprio in questo stesso presente che l'associazione opera in primo luogo, conducendo da protagonista alla costituzione di oggettualità (che quindi sono un prodotto di queste sintesi associativa).

Cominceremo col delineare le dinamiche e le leggi secondo cui quest'associazione opera, per rilevare in seguito quale sia il suo ruolo rispetto alle dinamiche associative sopra citate e alla soggettività.

Partiremo da un esempio dello stesso Husserl: se prendiamo delle macchie di colore rosso che si stagliano su sfondo bianco, noi le percepiamo come un gruppo che emerge da uno sfondo. Fra le varie macchie si è costituito un legame per associazione basato sulla somiglianza: grazie a questa somiglianza è possibile percepire quella pluralità come unità (ossia come gruppo o coppia). L'associazione opera quindi in primo luogo su nessi di somiglianza; ci pare opportuno sottolineare fin d'ora che non si tratta di un'effettiva comparazione, come se riconoscessimo per comparazione la somiglianza fra le macchie, passando da un momento all'altro della scena percettiva, ossia da una macchia all'altra la sintesi associativa fra le macchie sussiste prima di ogni effettiva comparazione, è anzi la sussistenza di questa stessa somiglianza, di questo nesso associativo che permette una comparazione fra le macchie, ma in primo luogo rende possibile l'emergere dell'oggetto.

Il collegamento associativo che sussiste permette dunque di confrontare le oggettualità, ma solo intendendo con questo un processo di disvelamento, di elementi già impliciti nell'esperienza

L'affinità delle macchie può avere una sua gradualità, e può quindi costituire dei nessi più o meno forti, di cui l'uguaglianza è la somiglianza perfetta e costituisce il nesso più forte. Possiamo vedere, confrontando i diversi elementi, come in corrispondenza dell'eguaglianza si abbia una congruenza, una coincidenza perfetta fra gli elementi associati, mentre nel caso della somiglianza vi sia una coincidenza che non conduce però ad una congruenza poiché vi sono degli elementi che contrastano questa tendenza: troviamo cioè una congruenza parziale solo di alcuni elementi, mentre gli elementi non congruenti si contrastano per emergere. Sarà quindi possibile una coincidenza in cui sono compresenti degli elementi di divergenza.

I legami dell'omogeneità possono quindi orientarsi in più direzioni: se ripensiamo alle nostre macchie rosse (sempre Husserl) che ora precisiamo le pensiamo triangolari e quadrate, e poniamo accanto ad esse dei triangoli di altro colore, i triangoli rossi sono legati per il colore ai quadrati rossi (come prima), ma sono legati anche (sempre per omogeneità) ai triangoli di altro colore. In questo modo vediamo già su un piano totalmente passivo come si delinei già la complessità di un oggetto possibile. Per i suoi diversi strati e caratteristiche (colore forma etc.) esso può instaurare nessi di somiglianza con altri oggetti.

Oltre a questo aspetto di continuità qualitativa che conduce ad un fenomeno di coincidenza, necessario per la costituzione di un oggetto quale unità, abbiamo un altro caso. Fra due diverse fasi percettive (spaziali o temporali) può non esserci affatto alcuna coincidenza, alcuna unità, al contrario un contrasto (non solo come divergenza parziale in un processo di coincidenza, ma come contrasto vero e proprio). Abbiamo già intravisto nella nostra descrizione dell'esempio da cui siamo partiti un possibile fenomeno di contrasto su cui non abbiamo posto l'accento: le macchie rosse, che abbiamo visto aver fra loro nessi di somiglianza, si stagliavano su uno sfondo bianco. Come fra le fasi di rosso abbiamo trovato sussistere una continuità qualitativa, così vediamo che rispetto alle fasi di bianco dello sfondo esse sono in contrasto. Non è un caso: come la continuità qualitativa, che dava luogo ad associazione per somiglianza e a coincidenza (o congruenza), così il contrasto costituisce una condizione di possibilità del costituirsi di un'unità percettiva: perché un'unità possa costituirsi essa deve risaltare sullo sfondo, differenziandosene. Il fenomeno della continuità qualitativa si interrompe bruscamente e questo anziché o impedire il formarsi di un'unità lo favorisce.

Pare opportuno sottolineare ora come col fenomeno del contrasto ci si sposti su un piano diverso: nel caso della continuità, dell'associazione per somiglianza, la soggettività restava al di fuori delle nostre indagini, anche nel caso della coincidenza si è da subito mostrato come fosse un modo di disvelamento di nessi associativi preesistenti (e in quanto tali disvelabili) e non istituiti dalla soggettività.. Il soggetto che finora era l'altro polo delle sintesi era un soggetto non certo assente (la percezione è sempre percezione di qualcosa, ma anche atto soggettivo), ma il cui ruolo non aveva alcun "peso" costitutivo. Per questo nelle nostre spiegazioni abbiamo deciso di non accennare al ruolo della soggettività, in primo luogo perché essendo queste sintesi passive la soggettività non vi ha alcun ruolo (se con questo termine facciamo riferimento ad un qualche tipo di attività anche solo partecipativa), in secondo luogo per lasciare che questo emergesse da sé, mostrando come le sintesi associative si giochino su un piano contenutistico a parte objecti (anche se di oggetto non possiamo ancora parlare a questo livello), insomma puntando il dito verso quello che c'è, più che elencando quello che potrebbe forse esserci, ma non c'è.

L'AFFEZIONE

Ma col tema del contrasto si conclude questa prima fase della passività e se ne apre una nuova. Infatti il contrasto e il realizzarsi attraverso di esso di emergenze percettive mette in gioco il tema dell'affezione. Questo costituisce un capitolo centrale nell'analisi delle sintesi passive e del decorso percettivo. Da qui la passività della soggettività cessa di essere mera inattività e inizia un suo coinvolgimento. Certo nel fenomeno dell'affezione, che ora analizzeremo nei suoi tratti fondamentali, il soggetto è coinvolto solo in quanto colpito affetto. L'oggetto che emerge per contrasto ci colpisce con una forza affettiva pari alla forza del contrasto (basti pensare alle nostre macchie su una superficie arancio o a un suono che non si staglia su sul silenzio ma su un contesto rumoroso: ad esempio un cellulare che suona in un bar). Certo a questo livello in cui il soggetto è colpito dall'oggetto non abbiamo ancora una vera e propria attività soggettiva: questa ha luogo solo quando il soggetto si volge attivamente verso l'oggetto, ponendo così un interesse per la cosa che l'ha colpito. Ma allora si vede come la nozione di affezione abbia un ruolo intermedio fra passività e attività e rimandi quindi ad una nozione di soggettività altrettanto intermedia, cioè di un soggetto che pur non essendo ancora attivamente agente nei processi che si costituiscono non sia più solo spettatore di processi che non lo toccano: i processi che si svolgono a livello dell'affezione lo toccano proprio, lo colpiscono, con tanta forza da condurlo a prendere posizione a volgersi all'oggetto, ribaltando la passività in attività.

Analizzeremo ora alcune caratteristiche dell'affezione:

- affezione come ridestamento: l'oggetto colpisce l'io, lo risveglia in modo proporzionale alla sua alla forza affettiva esso risulta vicino all'io. La soggettività desta e attiva è prima risvegliata dall'affezione

- affezione nella dimensione del presente, abbiamo visto come la ritenzione tende al passato, la protenzione conduce al futuro. La dimensione originaria del fenomeno dell'affezione è il presente, solo il punto ora ne è carico, solo dal presente ci si impone un contenuto. Certo l'oggetto che ci colpisce ora può anche trasmettere la sua forza verso contenuti ritenzionali che stavano sprofondando e vengono richiamati, riattivati proprio da una forza ridestante che anche in questo caso continua ad avere la sua origine nel pres. (esempio del cellulare: infatti riconosciamo la nostra suoneria non per una sintesi immaginativa a partire da una sola nota percepita, ma perché la forza affettiva di quest'ultima ha richiamato e illuminato le fasi precedenti che stavano scomparendo)

- affezione verso il futuro: come verso il passato l'affezione che ci risveglia ci rende desti, tesi verso l'oggetto e quindi carichi di attese protenzionali contenutisticamente determinate (la suoneria adesso la sentiamo chiaramente, anche se è debole almeno quanto prima e il rumore attorno non è affatto diminuito, sol che le note adesso le attendiamo).

Pare opportuno ricordare che le attese protenzionali traggono il loro contenuto grazie a sintesi associative. Ma non solo dal presente affettivo: da questo esse traggono la forze con cui si impongono all'attenzione della coscienza, ma il contenuto che ci attendiamo di percepire esse lo traggono in primo luogo dalle ritenzioni (esempio della suoneria di un cellulare). In secondo luogo non solo da quegli elementi che vanno sprofondando ma anche da quegli oggetti che sono già sprofondati, che non appartengono più in alcun modo all'orizzonte del presente, ma che sono passati (questo aspetto è sviluppato nella parte quarta che si occupa delle rimemorazioni).

Ci resta da sottolineare ancora che se questi sono gli aspetti dell'affezione, essi li ritroviamo nell'essere desti che segue come presa disposizione attiva dell'io: infatti all'esser destati come condizione di possibilità dell'attività dell'io corrisponde qui un esser desti come attualizzazione

Abbiamo anche visto come gli elementi percepiti venissero mantenuti nell'orizzonte ritenzionale proprio di ogni nuovo ora; proprio al riguardo Husserl notava che non si trattava di un'attività dell'io ma di una necessità interna al decorso percettivo e sottolineava come a livello di attività dell'io si trattasse di un vero e proprio tener tematicamente sotto presa le varie fasi: non si tratta di elementi consaputi all'interno della percezione che orientano quindi il decorso, ma di elementi che sono tema vero e proprio dell'attenzione della soggettività. Solo a questo punto si può iniziare a parlare propriamente di unità oggettuali costituite attivamente dall'io, solo quando le fasi di decorso passate non sono mero orizzonte orientante per le fasi presenti e future, ma sono attivamente al centro di una sintesi di identificazione oggettuale (che ricordiamo essere l'esplicizzazione attiva dei nessi che legavano quei rimandi all'interno della sfera della passività).

In ultimo pare utile ricordare come al tema delle tendenze e delle attese pre-affettive corrisponda ora su un livello di attività egologica un interesse, contenutisticamente motivato ed esplicitamente diretto da un fare dell'io verso l'oggetto. Le fasi percettive che ci si attende sono meta di un vero e proprio tendere attivo del soggetto, le attese chiedono un riempimento di queste stesse attese (il riempimento in senso proprio riguarda infatti i problemi della verificazione e della costituzione di un senso oggettuale, che pur rientrando nel fenomeno della percezione non ineriscono alla sua dimensione di pura passività)

Col tema del senso oggettuale ci troviamo infatti sicuramente al di qua della passività: in particolare sul problema del senso oggettuale pare utile sottolineare la sua connessione con l'ultimo aspetto cui abbiamo fatto riferimento nel trattare il problema dell'affezione, ovvero del ridestamento dei ricordi lontani. La percezione, o meglio la costituzione del senso oggettuale dell'oggetto percepito rimanda infatti ad una serie ben più complessa e stratificata di problemi, fra cui i ricordi delle percezioni precedenti di quello stesso oggetto, l'associazione che dal presente percettivo riconduce a percezioni ormai defluite (il problema dell'associazione nel caso delle rimemorazioni), il costituirsi di un flusso unitario di coscienza in cui i fenomeni percettivi siano sempre accessibili e ordinati secondo una linea sempre ripercorribile - ovviamente nel modo del ricordo -, la centralità di questi processi nel costituirsi di abitualità.

Ci pare utile prima di addentrarci oltre nell'illustrazione di testo di Husserl di fissare alcuni dei punti finora raggiunti, soprattutto perché piano piano ci si muove verso altre forme d'esperienza, connesse e spesso intrecciate con quella percettiva, ma che da essa si differenziano ed è utile e doveroso tener distinte.

Abbiamo visto che nella percezione era insita una contraddizione e ci siamo posti il problema di indagare la struttura dell'atto percettivo per vedere come in esso si possano manifestare le cose pur essendo la percezione un insieme di fasi che decorrono e inerendo ad essa un orizzonte sempre aperto di nuove possibili determinazioni da riempire.

Abbiamo visto come la nozione di decorso rimandasse a tre orizzonti problematici interni: il tempo, il movimento, e l'associazione. Ora ci pare necessario ricordare che se il primo di questi temi costituisce la sintesi formale, necessaria e a priori, e il terzo prosegue questo percorso in una sintesi, necessaria e a priori ma contenutisticamente determinata e determinante, il secondo non si rivela affatto come un semplice orizzonte problematico interno, come gli altri anch'esso lo ritroviamo qui con un ruolo centrale: nel decorso percettivo avevamo notato come fosse necessario e importante il libero movimento, la libera cinestesi del soggetto e del suo corpo proprio. Ovviamente prima di un'effettiva partecipazione dell'io il tema del movimento non poteva riaffiorare, ma a questo punto è necessario riprenderlo e sottolineare come alla libera attività dell'io sia necessariamente connessa la libera mobilità del corpo.

Dall'affezione in poi, da quando l'io è desto, l'importanza delle cinestesi, della possibilità di muoversi di avvicinarsi all'oggetto, di determinare il decorso percettivo con movimenti nello spazio, assume una rilevanza centrale che era giusto sottolineare, e che ne rivela il ruolo fondante anche per quella costituzione di un senso oggettuale, che abbiamo visto essere la caratteristica nuova, messa in gioco dall'entrata in scena di un io attivo e desto.

LA RIMEMORAZIONE

Non ci occuperemo nel dettaglio della quarta e ultima parte del testo che è esplicitamente dedicata al problema della rimemorazioni e del costituirsi attraverso di essa dell'in sé del flusso do coscienza. Ci preme solo sottolineare alcune della dinamiche dei processi rimemorativi che qui Husserl indaga, in particolare in relazione alle dinamiche percettive messe in luce.

Come si è visto la rimemorazione appare in primo luogo all'interno delle sintesi associative: nel paragrafo 26 che apre la trattazione dell'associazione, Husserl indica un primo campo di fenomeni associativi ovvero quelli che da un presente percettivo ci conducono ad un passato. Da subito si chiede in che modo e per quali vie un tale passato riemerga. Sappiamo che sicuramente la risposta sarà contenutisticamente orientata, e infatti Husserl sottolinea come dal presente percettivo si vada al passato in base a un nesso di somiglianza fra elementi percepiti ed elementi passati. Come nel caso delle sintesi associative interne alla dimensione del presente anche in questo caso troviamo una dinamica analoga: anziché collegare due elementi interni e contigui di uno stesso presente percettivo, l'associazione connette ad un elemento della fase presente un elemento ad esso simile, ma proprio di una fase già defluita.

Non si tratta di una semplice appendice del ruolo dell'associazione, di una sua azione secondaria. Anche in questo caso siamo di fronte ad un orizzonte centrale nelle dinamiche esperienziali. Se infatti non siamo più in un orizzonte di semplici percezioni, ciò non di meno la rimemorazione si ripercuote sullo stesso decorso percettivo da cui il nesso associativo parte. Lo abbiamo accennato: le protenzioni traggono il loro indirizzo sia dalle fasi ritenute sia da elementi propriamente passati. Ovviamente è necessario che delle unità siano già costituite ed emerse nel presente perché il soggetto sia condotto a rimemorare, ovvero ci si trova oltre il fenomeno del contrasto, in quel campo in cui l'io non è più meramente passivo, ma svolge un ruolo attivo. Abbiamo anche però indicato come la percezione non sia da declinarsi totalmente su un piano di pura passività: già nel caso dell'interesse protenzionali e delle cinestesi cui esso dà luogo, l'io svolge un ruolo centrale. E proprio nell'interesse che guida fasi protenzionali e cinestesi, le rimemorazioni svolgono un ruolo attivo e dinamico. Se per somiglianza un decorso percettivo passato viene rimemorato, allora il decorso che viene predelineato e atteso corrisponde al decorso passato che è stato presentificato (aà b; a'à b'): vediamo così come si vada costituendo all'interno della dinamica esperienziale un senso oggettuale, a partire dalla percezione, ma senza esaurirsi in essa.

Perché ciò sia possibile è necessario che le rimemorazioni siano accessibili, presentificabili a priori proprio come erano decorse nel loro essere presenti; in questo senso allora parlare di rimemorazione e di costituzione dell'in sé del flusso di coscienza significa indagare lo stesso fenomeno. Certo poi il fenomeno che abbiamo di fronte potrà non seguire le attese che ci eravamo formati, ma questo avviene anche nei casi in cui le attese traggano la loro origine da elementi presenti nella fase percettiva attuale.

CONCLUSIONI

Da ultimo vogliamo accennare alla centralità che queste dinamiche hanno nella costituzione di un senso oggettuale: un decorso percettivo ci "insegna" come è fatto un oggetto, come esso si comporta: se di fronte ad un oggetto che ci si presenta, noi riconosciamo una somiglianza con un decorso già avvenuto e lo rimemoriamo, oltre a formarci delle attese specifiche nuove abbiamo compiuto anche un'altra operazione. Abbiamo "classificato" il nuovo oggetto percepito sotto lo stesso tipo dell'oggetto rimemorato. La formazione dei tipi, così centrale in un'indagine di tipo fenomenologico che voglia mostrare le strutture d'esperienza, trova qui un imprescindibile punto di partenza. Husserl lo dice esplicitamente nelle Meditazioni Cartesiane "il fanciullo che intende quasi per la prima volta il senso strumentale delle forbici da ora in poi riconoscerà le forbici al primo sguardo" e poco prima sottolinei come "noi abbiamo già visto cose analoghe anche se non proprio queste".. In questi stessi passi Husserl sottolinea per evitare ogni possibile fraintendimento, che non opera qui alcun ragionamento: non deduciamo in base al passato un possibile senso dell'oggetto, noi vediamo proprio quell'oggetto.

Allora è utile sottolineare a questo riguardo alcune peculiarità dell'impostazione di Husserl: se le nostre percezioni si intrecciano con le rimemorazioni, cioè di percezioni passate, portando alla formazione dei tipi, verrebbe da chiedersi in che misura allora il nostro orizzonte storico-culturale condizioni la nostra percezione. Certo questa componente è sicuramente presente nelle nostre comuni percezioni ma non è la sola, né ci pare quella fondativa. Il fanciullo che vede le forbici e non ne conosce l'utilizzo, può comunque prenderle in mano, continuano ad essere infatti un oggetto materiale di una certa forma e dimensione, che anche se non ne conosciamo l'utilizzo continuiamo a veder e toccare; anzi proprio perché lo vediamo e lo tocchiamo possiamo impararne l'utilizzo. Indubbiamente agli oggetto di umana produzione ineriscono molti più strati di senso che la loro forma o il loro colore, ma appunto crediamo che sia possibile una stratificazione, che questa sia utile a far emergere importanti dipendenze e relazioni fra i diversi livelli che costituiscono l'oggetto e il suo senso.

Crediamo anche che si delinei così un'esperienza, una concezione dell'esperienza, che realmente lasci aperti gli orizzonti conoscitivi, la possibilità cioè di costituire nuovi sensi oggettuali, di relazionarsi a nuove oggettualità e nuove persone, di imparare come il fanciullo dell'esempio a intendere nuovi sensi oggettuali.

A questa concezione dell'esperienza, che ci sembra essere quella husserliana, è correlata una nozione di soggetto che risulta anch'esso aperto, anch'esso capace di apprendere, realmente legato al mondo che lo circonda. Alla formazione di un nuovo senso oggettuale corrisponde, infatti, a parte subjecti la formazione di abitualità. Se la possibilità di costituire il senso oggettuale è radicata nell'esperienza stessa, allora anche la nozione di soggetto che esperisce sarà in grado di riconoscere nel presente elementi del passato, di rimemorare, ma anche di vedere le divergenze (anche in questo caso come nella coincidenza parziale interna alla dimensione del presente è possibile una coincidenza solamente parziale), di apprendere quindi nuove oggettualità, nuovi tipi e di formarsi le correlative abitualità.

Certamente tutte queste nuove possibili acquisizioni hanno il loro terreno di conferma e di verifica nella dimensione percettiva, in particolare in una dimensione percettiva che non possa prescindere dagli altri soggetti. Ci si chiede allora perché Husserl non abbia mai fatto riferimento in questo testo ad una pluralità di soggetti. Non si tratta di giustificare un'assenza, ma di cercare in questa assenza un possibile indizio per meglio comprendere l'intento di questo testo. Vogliamo cioè sottolineare che, come nel caso dello strato passivo della percezione la soggettività non fosse chiamata in causa in quanto spettatore di sintesi che si realizzavano altrove, così nei fenomeni dell'affezione e della rimemorazione la dimensione intersoggettiva ha un ruolo analogo, di sfondo, ovvero non gioca alcun ruolo attivo nella costituzione. Solo con la dimensione di un senso oggettuale (accezione da intendersi qui in senso pieno e forte) ovvero non più a livello né di predatità né di oggettualità ma di cose essa svolge un ruolo dinamico e attivo.

Con questo non si vuole affatto sostenere un solipsismo, né realistico né metodologico, solo porre l'attenzione sul fatto che come nel caso delle sintesi passiva di associazione e contrasto, i giochi si svolgano su un piano diverso.

È evidente che se non vediamo il fogli dell'esempio, queste non potranno mai colpirci in virtù del contrasto, allo stesso modo crediamo che l'intersoggettività abbia in questi livelli della percezione un ruolo analogo: influenza davvero il decorso di sintesi contenutistiche che presiedono all'originarsi di predatità e oggettualità interne alla sfera percettiva, il problema e il ruolo di una comunità di soggetti? Crediamo solo nella misura in cui quella stessa comunità svolge un ruolo specificamente individuabile e attivo, che a nostro parere si trova solo a partire dalla dimensione della costituzione di un senso oggettuale

In questo caso ma solo a partire da qui, prescindere dalla dimensione intersoggettiva sarebbe una mancanza.

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