Questo saggio riprende l'argomento trattato ne La notte dei lampi. Quattro saggi sulla filosofia dell'immaginazione (1988), III, Colori e suoni, §§ 9-12 . Data di immissione in questo archivio: dicembre  2000.

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L'esperienza della transizione e il sistema dei colori

 

1. Premessa

2. La transizione chiaroscurale

3. La transizione cromatica

4. Lo spaxzio cromatico e il suo ritmo

5. L'opposizione cromatica diametrale

6. La sfera del colore di Runge

1. Premessa

L’antica discussione sui colori semplici (fondamentali) e composti (derivati) e la sua connessione con il sistema dei colori sembra ormai aver da tempo trovato la via per la propria soluzione attraverso la teoria dei fondamentali additivi e sottrattivi [1] . In primo luogo essa si distacca nettamente dalle pratiche pittoriche, a cui quella discussione è stata per lungo tempo vincolata, per associarsi invece alle spiegazioni intorno alle cause fisiche e fisiologiche delle sensazioni cromatiche. Alla base vi è l’idea della luce "bianca" come comprendente tutte le lunghezze d’onda che interessano i fenomeni cromatici; dall’altro l’idea che le cose, nella loro materialità specifica, facciano in certo senso da filtro della luce, in parte assorbendo in parte riflettendo determinate lunghezze d’onda. La spiegazione fisiologica riguarda le lunghezze d’onda riflesse. Queste vengono ricevute dai recettori della retina che a loro volta sono sensibili soprattutto a quelle lunghezze d’onda che vengono usualmente caratterizzate, dal punto di vista cromatico, come rosso, verde e blu (spesso si usa la sigla RGB - dai termini inglesi Red, Green, Blue). Il bianco è una risultante della sovrapposizione della totalità delle lunghezze d’onda appartenenti al campo cromatico, mentre il nero può essere interpretato come assenza di stimolazione luminosa. I vari modi in cui le lunghezze d’onda corrispondenti ai colori RGB si sommano insieme generano le altre sfumature cromatiche, ed in particolare i colori che vengono chiamati ciano, magenta, giallo (ovvero CMY - Cyan, Magenta, Yellow). A RGB spetta una priorità di principio fondata nell’ambito delle spiegazioni fisico-fisiologiche, e sono dunque essi che vengono preferibilmente chiamati colori primari. Un riscontro fenomenologico diretto della sintesi per addizione deve essere ricercato in situazioni peculiari: stando ad essa, infatti, l’addizione di rosso e verde deve produrre il giallo, dal verde e il blu deve risultare il ciano, dal rosso e il blu il magenta, come è mostrato dalla seguente figura.

Tutto ciò sembra alquanto "controintuitivo". Vi sono però situazioni in cui una simile circostanza si manifesta con evidenza diventando una circostanza osservabile. Ad esempio, la derivazione dei colori ciano, magenta e giallo da RGB può essere in certo senso "toccata con mano" usando tre fonti luminose distinte (ad esempio, tre proiettori) filtrate con i colori corrispondenti e proiettate in sovrapposizione parziale su uno schermo. Ciò non basta tuttavia a stabilire un raccordo con la teoria tradizionale che si appoggiava piuttosto, spesso con qualche confusione, all’esperienza visiva del colore così come alle pratiche pittoriche fondate sulle mescolanze dei colori. Questo raccordo è semmai costituito dal fatto che sovrapponendo dei filtri corrispondenti le coppie magenta-giallo, ciano-giallo, magenta-ciano, dànno luogo ai precedenti colori primari, rosso, verde, blu - mentre il nero risulterà dalla sovrapposizione di tutti e tre i colori.

Questa circostanza, che invece corrisponde alle nostre attese, può essere spiegata ancora facendo riferimento alla teoria precedente. In effetti, occorre tener conto anzitutto che l’azione di un filtro deve essere interpretata come un corpo che in parte lascia passare delle radiazioni in parte le impedisce. Cosicchè un filtro ciano (C=B+G) filtrerà la luce "bianca" lasciando passare solo le lunghezze d’onda relative al blu ed al verde, cosicché dalla luce "bianca" sarà stato sottratta la lunghezza d’onda relativa al rosso. Il giallo invece, essendo Y= R + G, impedirà il passaggio della lunghezza d’onda relativa al blu. Sovrapponendo i due filtri, le lunghezze d’onda "sottratte" sono dunque R e B. Cosicché il colore filtrato deve essere necessariamente il verde (G). I tre colori della sintesi additiva mantengono in ogni caso una priorità esplicativa, ma il fatto che essi possano essere ottenuti "sottrattivamente" dai colori CMY fa sì che anche a questi possa essere riconosciuta una sorta di primarietà [2]. La terminologia peraltro può variare. H. Küppers parla, ad esempio, di Urfarben per RGB e di Grundfarben per tutti i sei colori oltre il bianco e il nero [3] . Una possibilità è in effetti quella di caratterizzare come fondamentali i Grundfarben e primari gli Urfarben. Le idee della semplicità e della composizione potranno essere riproposte nella misura in cui si riesca a dare di esse una interpretazione strettamente coerente con la teoria fisica.

Questa sistemazione teorica consente poi di intervenire anche sull’idea, altrettanto antica, di un diagramma dei colori, ovvero di una rappresentazione grafica dell’intero spazio cromatico che sia in grado di identificare ogni tonalità cromatica come un punto all’interno di esso. Naturalmente oltre la tonalità cromatica, andrà presa in considerazione, nella costruzione del diagramma, il grado di chiarezza e il grado di saturazione. Tenendo conto di ciò sono possibili diversi tipi di rappresentazione dello spazio cromatico, che possono tuttavia essere considerati concettualmente equivalenti. Sulla base di questa concezione è possibile una designazione numerica di ogni colore fondata su unità di conto rispetto ad un totale convenzionalmente assunto - cosicché ad esempio, posto questo totale eguale a cento - il magenta sarà eguale, nel sistema fondato su MCY, a "100 0 0" ed una sfumatura di verde a "0 50 30", essendo naturalmente l’ordine dei colori quello fissato nella sigla.

Una osservazione conclusiva, ma di particolare importanza, riguarda la terminologia. Sino a questo punto per i Grundfarben ci siamo limitati a riprendere i nomi diventati correnti. Ma attenendoci strettamente ad una simile terminologia ci troveremmo ben presto in una situazione imbarazzante soprattutto per quanto riguarda i nomi di magenta e rosso, ciano e blu. In particolare perderemmo contatto anche con la discussione tradizionale di teoria del colore, e nello stesso tempo ci rimetteremmo alcuni richiami relazionali di particolare importanza.

Consideriamo anzitutto la coppia magenta (M) e rosso (R).

M

R

Anche la teoria esposta ci informa che il colore R può essere ottenuto per "composizione" da giallo e magenta. Inoltre il magenta - nome assai raro nella discussione storica sul colore - viene talvolta descritto come un rosso porpora [4] ; ed era indubbiamente questo "rosso", che Goethe poteva vedere guardando attraverso il prisma e considerare come il rosso per eccellenza. E vi è anche concordanza sul fatto che il colore R debba essere inteso come un rosso-arancio, in breve come un arancione [5] .

Un problema simile si presenta per la coppia di colori ciano (C) e blu (B).

C

B

Il termine cromatico ciano è altrettanto insolito nella tradizione storica della teoria del colore quanto lo è il termine magenta. In italiano abbiamo il termine "azzurro", ed il ciano può essere considerato un azzurro sia pure un po’ particolare. Per quanto riguarda il colore qui detto blu, esso può essere prodotto da magenta e ciano per sintesi sottrattiva - cosicché come in precedenza avevamo deciso per arancione in luogo di Red, è coerente decidere di considerare questo blu come blu-viola inserendolo senz’altro nella scala dei viola [6] .

Le convenzioni terminologiche sono convenzioni, e su di esse non ci si deve troppo attardare, ma non tutte le convenzioni sono altrettanto buone e sono indifferenti agli scopi. Per i nostri scopi è una convenzione migliore quella di parlare di rosso, arancione, azzurro e viola rispettivamente per Magenta, Red, Cyan e Blue. A queste sostituzioni ci atterremo coerentemente di qui in avanti.

2. La transizione chiaroscurale

Di fronte a tutto ciò noi troviamo interessante interrogarci intorno a che cosa si possa mantenere, quanto a organizzazione sistematica dello spazio cromatico, contando unicamente sugli aspetti fenomenologici e quindi prescindendo dall’impianto esplicativo che ha, nell’impostazione precedente, un peso così rilevante. Ci si chiede in altri termini se abbia senso, stando al colore come dato percettivo, ritrovare una qualche nozione di "primarietà", di "fondamentalità" o di "semplicità" - comunque la si voglia chiamare - e quindi se si possa giustificare l’idea di colori di base da cui tutti gli altri sono derivati, connettendo a questa idea il problema di uno "spazio cromatico" (sistema dei colori), oppure se, orientando l’attenzione esclusivamente in questa direzione e mettendo da parte ogni riferimento esplicativo, si ottenga piuttosto una riconfigurazione complessiva dell’intera questione.

Parlare di ordinamento sistematico, di sistema dei colori presuppone un’immagine fortemente unitaria dell’universo cromatico. Questa a sua volta può esistere solo in forza di una riduzione estrema del numero dei colori. E non dovremmo invece, inizialmente, mettere in risalto l’enorme varietà, l’infinita molteplicità dei colori?

Ogni volta che vorremmo nominare un colore con qualche precisione non sappiamo esattamente a quale parola affidarci. Ci aiutiamo con qualche giro di frase, nel quale facciamo per lo più riferimento ad una cosa che abbia quel colore, o un colore simile a quello che intendiamo. Cerchiamo un modello da esibire senza troppe spiegazioni verbali. Nello stesso tempo, tutti sappiamo quanto sia ricca e varia la nomenclatura dei colori, e come questa nomenclatura sia diversa da una lingua all’altra, e quanto differenti siano i rimandi analogici implicati. All’interno di una stessa lingua i nomi dei colori possono differire di epoca in epoca - un commento filologico accurato è spesso necessario per capire l’esatto significato dei nomi dei colori di cui si parla, e del resto un significato "esatto" richiederebbe in ogni caso la ripresentazione del modello. In taluni casi si può arrivare a pensare che il significato del nome sia definitivamente perduto.

Queste difficoltà sono determinate dalla molteplicità e dalla varietà, dalla enorme ricchezza dei cromatismi, e naturalmente al tempo stesso dalla difficoltà di fissare verbalmente una qualità che ha sempre bisogno di essere concretamente esemplificata. Così, arriviamo a chiederci se in una considerazione che bada soprattutto al colore così come lo vediamo, all’aspetto del colore, non sia il caso di mettere in risalto anzitutto il momento della differenza piuttosto che quello dell’affinità e della relazione. Mettiamo sotto i nostri occhi un azzurro e un rosso:

 

Che cos’altro dire se non che l’aspetto dei due colori è interamente diverso, che l’uno ha poco o nulla a che vedere con l’altro se eccettuiamo appunto il fatto che essi sono entrambi colori? Ciò toglierebbe di mezzo ogni problema di ordinamento sistematico. Ma le cose cambiano se, in luogo dell’esempio precedente, scegliamo piuttosto un caso di differenza di chiarezza che rende immediatamente evidente l’esistenza di una relazione:

 

Questi due colori si presentano alla vista come colori affini. La situazione esemplificativa di base, che ci offre una via di accesso ad una corretta impostazione del problema, è appunto quello della gradazione chiaroscurale. In essa non si mostra soltanto l’esistenza di una relazione di maggiore o minore chiarezza, ma anche il fatto che è in generale pensabileun quadrato più scuro sulla sinistra della figura e un quadrato più chiaro sulla destra; oppure che è pensabile che tra l’uno e l’altro si possa situare un quadrato con una gradazione chiaroscurale intermedia. Parlando di "pensabilità" si vuole mettere l’accento sul fatto che il grado di chiarezza non è una proprietà accidentale del colore - una proprietà empiricamente rilevata che si può trovare in certi colori, ma che altri potrebbero non possedere. Data una tonalità cromatica, essa avrà sempre un certo grado di chiarezza e dunque si situerà in una posizione determinata all’interno di una scala chiaroscurale. La parola "grado" deve essere peraltro intesa con un rimando implicito ad una condizione di continuità intuitiva: tra l’uno e l’altro azzurro è possibile che si dia un azzurro intermedio in quanto essi possono essere considerati come estremi di un intervallo che può essere riempito da gradazioni di colore che conducono senza salti dall’uno all’altro.

Sfumatura e transizione sono i due termini che potremmo applicare in questo caso. Dal primo colore si passa al secondo attraverso sfumature che sono da considerare appunto come momenti di passaggio (fasi) all’interno di un percorso privo di lacune. La relazione tra i due colori tende così ad assumere un carattere dinamico: tra essi si svolge un processo, un movimento che procede dall’uno all’altro, ed anche i due estremi ricevono questo carattere sia per il fatto di essere punto di partenza e punto di arrivo, sia per il fatto di poter a loro volta entrare come momenti di passaggio all’interno di un processo più ampio, che sarà la sequenza chiaroscurale completa e chiusa dal bianco e dal nero.

Del nero e del bianco, e quindi anche del grigio, si è dibattuto a lungo se fossero da considerare colori autentici oppure no. Ed anche in rapporto a questo problema, apparentemente peregrino, si fanno sentire equivoci ed errori derivanti dall’intreccio tra i piani di discorso. Il bianco e il nero se ne stanno nel tubetto del pittore esattamente come il rosso o il giallo. Dice Leonardo: benché alcuni filosofi "non accettino né il bianco né il nero nel numero de’ colori, perché l’uno è causa de’ colori, l’altro ne è privazione", tuttavia "perché il pittore non può fare senza questi, noi li metteremo nel numero degli altri" [7] . Peraltro, l’indispensabilità del bianco e del nero per il pittore è dovuta al fatto che attraverso di essi si possono ottenere i valori chiaroscurali: "Nero, bianco, benché questi non sono messi fra’ colori, perché l’uno è tenebre, l’altro è luce, cioè l’uno è privazione e l’altro è generativo, io non li voglio per questo lasciare indietro, perché in pittura sono i principali, conciossiaché la pittura sia composta d’ombre e di lumi, cioè di chiaro e oscuro" [8] . E d’altro lato, passando dal colore come materia cromatica (pigmento) al colore come proprietà delle cose, una rosa bianca, non è forse bianca così come è rossa una rosa rossa? Come può nascere un simile dubbio sul nero e sul bianco? Considerando l’universo cromatico nelle molteplicità delle sue sfaccettature, bianco, nero e grigio sono certamente colori come tutti gli altri. Dispersi tra i colori essi sono colori. Se invece la domanda sul bianco e sul nero viene posta avendo di mira la sfumatura chiaroscurale, e quindi nella prospettiva di un punto di vista sistematico, il suo senso muta. Interviene infatti una modificazione che dipende dalla loro localizzazione necessaria ai bordi della sequenza. Bianco e nero sono le condizioni in cui il colore si perde. L’uno vale dunque come puro valore di chiarezza (luce), l’altro come puro valore di oscurità (buio). In quanto appartengono alle sequenze cromatico-chiaroscurali essi sono colori, in quanto appartengono a tutte le sequenze cromatico-chiaroscurali sono ciò in cui si estingue la differenza cromatica ed quindi il colore stesso. In ogni caso essi appartengono allo spazio cromatico di cui occupano posizioni limite.

3. La transizione cromatica

Il passo decisivo verso un punto di vista sistematico è dato dalla possibilità di generalizzare l’idea della sfumatura chiaroscurale che interessa la singola tonalità cromatica all’idea di una transizione da una tonalità cromatica all’altra - cosicché le differenze tra colore e colore si presentano come distanze tra fasi di un unico percorso cromatico.

Così i colori azzurro e rosso che abbiamo in precedenza citato come un esempio di colori di aspetto tanto differente da non lasciar intravvedere alcuna relazione possibile

 

 

si mostrano invece come estremi possibili di una transizione continua di sfumature cromatiche che conducono dall’uno all’altro.

 

Ed essi stessi possono essere concepiti come fasi di un percorso completo che è chiuso in un senso differente dalla chiusura effettuata dal bianco e dal nero nel caso delle sfumature chiaroscurali: si tratta infatti di un percorso circolare che termina nella sfumatura cromatica da cui ha avuto inizio.

Il sistema dei colori, nel dibattito storico, è stato tuttavia costituito per lo più da considerazioni riguardanti i colori singoli e i modi della loro composizione piuttosto che sulla transizione. E quindi sul problema della identificazione dei colori che potevano essere considerati semplici da cui tutti gli altri debbono poter derivare per composizione. La varietà delle proposte e le discussioni che risalgono all’antichità ed attraversano il medioevo mostrano le difficoltà di un’impostazione corretta del problema. L’oscillazione sta soprattutto tra il colore considerato come materia cromatica (pigmento) e il colore come datità visiva. L’idea di una riduzione del mondo cromatico a pochi cromatismi fondamentali fu certamente suggerita dalle mescolanze concrete fra i pigmenti che mostravano la possibilità di ottenere determinati colori per composizione di altri. Ma mantenendo questo riferimento la questione della semplicità e della composizione si ridurrebbe ad una questione strettamente empirica. Parlare della semplicità del giallo, rosso e azzurro in questo contesto significherebbe postulare che non vi siano materie cromatiche dalle quali questi colori si possano ottenere per composizione. Questa è palesemente una questione empirico-fattuale che riguarda il modo di produrre il colore come pigmento. Che non vi siano pigmenti di diverso colore da cui possa essere prodotto il giallo, non significa ancora che non possano esservi. Potrebbero non essere stati ancora trovati. Inoltre, anche ammesso che si possa decidere qualcosa in proposito, indicando alcuni pigmenti come "semplici" in questa accezione, non si vede come si possa garantire la loro "sufficienza", ovvero che attraverso di essi possa essere ottenuta qualunque sfumatura di colore per mescolanza concreta. Un punto di vista sistematico non può essere certo tratto di qui. Ed in fin dei conti, posta in questi termini, la questione rischia di essere totalmente priva di interesse. Al massimo è pensabile una semplicità ed una composizione puramente relativa - cosicché il pittore potrebbe ritenere giustamente che per colori semplici e fondamentali si debbano intendere tutti i colori contenuti nei tubetti della sua cassetta. Se il problema è rimasto vivo, pur mantenendo spesso un riferimento importante ai pigmenti, ciò è dovuto soprattutto al fatto che a questo riferimento si è sempre guardato anche avendo di mira il colore in se stesso - alla pura astrazione del colore che peraltro si materializza nel colore in quanto semplicemente appare al nostro sguardo - nel colore come fenomeno.

Si giunge così in età moderna a formulare l’idea di un sistema dei colori che presenta i colori azzurro, rosso e giallo come colori "semplici", mentre come colori derivati dai precedenti per composizione i colori arancione, verde e viola. Nulla ci impedisce naturalmente di considerare i primi come il ciano magenta e giallo della sintesi sottrattiva e i secondi come il rosso verde e blu della sintesi additiva, anche se è ovviamente escluso in questa classificazione un qualche sostegno di tipo esplicativo in una teoria della luce e delle cause delle sensazioni cromatiche. Resta in ogni caso difficile stabilire in che senso si parla propriamente di semplicità e di composizione.

Anche l’approccio al problema dal lato del fenomeno e delle idealizzazioni che possono essere compiute sulla sua base, lascia un margine molto ampio all’equivoco. Sembrerebbe infatti che chiamando in causa le datità visive e nello stesso tempo invocando la distinzione tra semplicità e composizione, la decisione se un colore sia semplice o composto debba essere senz’altro affidata all’impressione visiva di quel colore singolarmente preso. In tal caso non solo potremmo essere in balia della soggettività e della particolarità delle impressioni - a taluni un certo verde potrà sembrare composto, ad altri semplice - ma soprattutto non vi è necessariamente un passaggio tra la consapevolezza eventualmente acquisita osservativamente del fatto che un colore sorge per composizione ed il fatto che sia visto come colore composto. Ad esempio, se io sovrappongo un vetro giallo ad un vetro azzurro, non avrò difficoltà ad ammettere di vedere formarsi un verde, e così anche riconoscere che il colore verde può sorgere dalla "sovrapposizione" dell’azzurro al giallo. Ma non vi sarebbe nessuna incoerenza nel sostenere che, per quanto riguarda il verde come dato visivo, esso non si mostra come un colore "composto". Non vi è nessun contrassegno che segnali questa "natura composta". Ed a dire il vero gli stessi termini di "semplice" e "composto" hanno in questo contesto una grammatica malsicura. Forse potremmo arrivare a sostenere che nemmeno il riconoscimento di una tendenza, ad esempio, di un verde giallastro o azzurrino, è sufficiente ad effettuare il passaggio all’idea della composizione.

Ma fin qui abbiamo parlato di un’impressione psicologica relativamente ad una tonalità cromatica presa nella sua singolarità. Secondo lo spirito dell’impostazione precedente ogni tonalità cromatica deve invece essere integrata in una sequenza cromatica continua e ciò determina una reinterpretazione del sistema dei colori che non solo deve mettere da parte qualunque riferimento giustificativo all’impressione psicologica, ma deve anche arrivare a mettere in discussione il tema della composizione in genere, riproponendo la distinzione tra colori fondamentali e derivati in tutt’altra chiave e in tutt’altro senso.

4. Lo spazio cromatico e il suo ritmo

La base fenomenologica del sistema non è un preteso aspetto di semplicità o di composizione del fenomeno cromatico rilevabile alla vista, sul colore singolo, staticamente inteso, ma l’esperienza della transizione. In base ad essa i colori esistono sempre anzitutto come "sfumature" appartenenti ad un unico percorso cromatico, come momenti o fasi dello spazio cromatico. Questo spazio è il colore stesso come unità cangiante. I colori, al plurale, sono le fasi del cangiamento. Essi sono, nella loro molteplicità, mutazioni del Colore.

Il percorso cromatico ha peraltro un ritmo interno, ed è questo il punto che va attentamente spiegato e che ha un’importanza cruciale per l’impostazione che stiamo discutendo.

Ritorniamo al nostro esempio molto semplice della sequenza cromatica chiaroscurale. Abbiamo già osservato che il bianco e il nero sono gli estremi della sequenza chiaroscurale e ciò fa parte della "logica" stessa della sequenza. Cosicché potremmo dire che la seguente sequenza:

 

presenta di fatto il luogo che spetta a priori al bianco ed al nero all’interno del sistema cromatico (in luogo dell’azzurro possiamo sostituire un altro colore qualunque).

Tuttavia è appena ovvio che possa darsi anche una sequenza che ha il nero tra due colori qualunque. Ad esempio:

Ma il dato di fatto che qui il nero si trovi tra azzurro e giallo non significa affatto che venga modificato il suo luogo ideale - ovvero la sua posizione sistematica. Il nero nel sistema non si trova tra un colore ed un altro, ma si trova ad uno degli estremi di una sequenza chiaroscurale (e come limite chiaroscurale dello spazio cromatico nel suo complesso). Questo luogo ideale determina anche il senso della sequenza in cui il nero si trova tra due colori. In essa - potremmo dire - l’azzurro affonda nell’oscurità, dalla quale sorge un colore interamente differente. Questo potrebbe essere uno dei possibili modi di "intendere" la figura e di rendere conto di un andamento che dipende essenzialmente dalla posizione attuale del nero interpretata attraverso il suo luogo ideale. Il nero è in ogni caso, anche qui, ciò in cui un colore termina oppure ha inizio. Inoltre va notato che, per quanto tutto avvenga per gradi se consideriamo il nero un colore come tutti gli altri, tuttavia se lo si intende come oscurità in cui il colore si annienta, esso rappresenta invece un momento peculiare di rottura della sequenza cromatica, un vero e proprio buco nello sviluppo del cromatismo.

Prendiamo ora in esame le sequenze cromatiche vere e proprie, e la posizione corrispondente dei colori in essi. Il rosso si trova tra il viola e l’arancione e l’arancione si trova tra il rosso e il giallo. In entrambi i casi si tratta di posizioni ideali che possono essere esemplificate fattualmente. Ed a queste esemplificazioni possiamo riccorere per comprendere che cosa significhi questo essere tra. Ci rendiamo allora conto che il suo senso non è univoco. Nel primo caso:

1.

"si passa" dal viola all’arancione o inversamente, ma oltre questo passaggio potremmo vedere un doppio movimento - l’arancione e il viola che "salgono" al rosso (o in qualunque altro modo ci si voglia esprimere), cosicché il rosso si presenta come una sorta di punto di volta della sequenza, come un punto verso cui essi convergono. Si tratta di qualcosa di diverso dalla situazione della sequenza precedente con il nero centrale, per il fatto che in questo caso non potremmo parlare certo di una rottura della sequenza.

Nel secondo caso invece:

2.

l’arancione resta sempre una fase di passaggio tra il polo giallo e il polo rosso. Si passa dal rosso al giallo e dal giallo al rosso, attraverso l’arancione, ma questo non ha il carattere di punto di volta.

Così nella sequenza verde - giallo - arancione, il giallo ha lo stesso carattere del rosso nel l’es. 1, rappresenta punto di transizione ma anche punto culminante, ovvero punto iniziale e terminale di un processo:

3.

Mentre nel caso della sequenza azzurro-verde-giallo:

4.

il verde appare come colore transitorio come l’arancione nell’es. 2.

Infine: nella sequenza viola-azzurro-verde, l’azzurro ha carattere di colore terminale nel senso or ora definito:

5.

mentre il viola tra il rosso e l’azzurro ha carattere di colore di transizione:

6.

Possiamo dunque parlare di colori terminali per i colori che hanno carattere di punti di volta e colori intermedi o transitori per gli altri. Questa distinzione ricopre quella dei colori fondamentali e derivati oppure dei colori semplici e composti - ma è del tutto priva dei significati che gravano su queste ultime espressioni e delle equivocità latenti in esse, traendo il suo senso unicamente dal fenomeno della transizione e dall’esperienza di esso. Come corollario non marginale di tutto ciò diventa privo di senso il distinguere, come spesso si è è fatto, tra colori "primari" per il fisico (i colori RGB) e colori "primari" per il pittore (i colori CMY). Si tratta in effetti di una distinzione che tenta solo di mascherare un problema irrisolto oltrepassandolo alla buona: in luogo di chiarire le cose, le rende ancora più confuse. Quando la questione venga delimitata all'ambito percettivo, i colori terminali o intermedi restano tali sia che li consideri un fisico o un pittore.

5. L’opposizione cromatica diametrale

Il problema della transizione può essere richiamato anche in rapporto alla tematica dei colori complementari. È noto il fatto che se, dopo aver fissato abbastanza a lungo un foglio di carta rosso intensamente illuminato, volgiamo lo sguardo in una zona scura, nel nostro campo visivo compare una misteriosa macchia verdastra, piuttosto netta anche se instabile. La stessa situazione si ripete rispettivamente per le coppie azzurro-arancione e giallo-viola. Si tratta di una circostanza di grande importanza per una teoria del colore così come del resto per le pratiche del colore nel senso ampio del termine. Tuttavia questa relazione non può essere rilevata come tale all’interno di una tematica che deve attenersi strettamente ad un terreno di pure considerazioni fenomenologico-strutturali.Essa infatti, introdotta attraverso l’osservazione, sembra avere il carattere di un dato di fatto ed essere di pertinenza di una considerazione empirico-psicologica, e dunque di una fenomenologia empirica piuttosto che di una fenomenologia pura.

Cionondimeno è possibile interrogarsi se non vi siano aspetti di questa relazione che possano essere mostrati seguendo lo stesso metodo messo in atto in precedenza e precisamente facendo riferimento alle sequenza cromatiche ed all’esperienza della transizione.

Già una semplice rappresentazione grafica può suggerire qualcosa. Se distribuiamo i cromatismi intesi come "punti cromatici" sulla circonferenza di un cerchio equidistanti l’uno dall’altro, e se congiungiamo ad esempio il rosso con tutti gli altri, vi sarà un solo punto connesso attraverso il diametro del cerchio, e questo sarà il verde.

E così nel caso di ogni altro punto, potranno risultare connessi attraverso il diametro solo coppie di colori "complementari". Potremmo allora parlare di queste coppie come coppie di colori diametralmente opposti e della opposizione in questione come di opposizione diametrale. Questo tipo di relazione non dipende evidentemente da alcuna osservazione empirica o sperimentazione di qualche sorta. Si tratta invece di una connessione dipendente dall’ordinamento dello stesso sistema dei colori. Se ci limitiamo a questo tuttavia non andiamo certo molto lontano, e si può sospettare che questa nozione di opposizione diametrale riguardi più le convenzioni operate nella rappresentazione grafica che la cosa stessa. Per dare ad essa un significato, dobbiamo in effetti ritornare alla sequenze cromatiche.

Notiamo allora che non può esservi transizione dal rosso al verde. Ciò significa che non può esservi sfumatura graduale dall’uno all’altro colore, che l’uno non può trapassare nell’altro. La manifestazione positiva corrispondente è il passaggio necessario attraverso il grigio.

Come nel caso del nero posto tra due colori, il grigio può essere interpretato, in un senso particolare, come un elemento che "interrompe" il percorso cromatico. Forse si potrebbe parlare, in modo più aderente alla situazione che comunque presenta una gradualità, di una graduale perdita del cromatismo. Nel grigio i colori si dissolvono come nel bianco e nel nero.

Ciò vale naturalmente per tutti i colori diametralmente opposti.

 

 

Quello che era in precedenza un puro rilievo tratto dalla rappresentazione grafica riceve in questo modo non soltanto un significato cromatico ma anche un’integrazione all’interno delle considerazioni sistematiche. Ciò significa, in particolare, che questa relazione riceve un carattere di necessità che una giustificazione psicologica non è in grado di conferire ad essa.

6. La sfera del colore di Runge

Runge ha espresso benissimo il senso della relazione di complementarità come relazione sistematica, appartenente ad una "logica" del colore piuttosto che alla sua "psicologia" quando dice che "non possiamo rappresentarci un verde che tende al rosso, un arancio che tende all’azzurro, un violetto che tende al giallo proprio come non possiamo rappresentarci un occidente orientale o un nord meridionale" [9] . Del resto, nella costruzione della sua sfera del colore si delinea un percorso che sembra rimandare proprio all’esperienza della transizione, benché egli parli ancora di "mescolanze" (Mischung). Egli individua così il rosso, giallo ed azzurro (Blau) come colori "puri", ovvero privi di mescolanze - una nozione che peraltro lo spinge verso la sottolineatura dell’elemento ideale. Si riconosce infatti che il materiale cromatico non è mai tale da poter sostenere questa idea di purezza. Cosicché questi tre colori vengono assimilati a punti, concepiti come unità "assolute" in analogia ai punti matematici, e posti come vertici di un triangolo equilatero.

 

La molteplicità si trova invece dalla parte del verde, arancione e violetto, ed essa viene illustrata con il fatto che "se nel verde l’azione dell’azzurro prevale su quella del giallo, il verde sfuma (abstufen) o tende all’azzurro, oppure, nel caso inverso, sfuma o tende al giallo, laddove è infine anche possibile che il verde si perda completamente in uno di essi. Lo stesso si può dire dell’arancio che tende al rosso e al giallo e in questi si perde, e del violetto rispetto al rosso e all’azzurro" [10] . Di conseguenza questi colori occupano ciascuno dei lati del triangolo equilatero.

 

Particolare importanza assume poi la considerazione del bianco e nero: "Noi separiamo tuttavia il nero e il bianco dagli altri tre colori (ai quali soltanto diamo in generale il nome di "colori") e li disponiamo in una classe diversa, in certo senso opposta a quella dei colori, e questo perché il bianco e il nero non solo designano nella nostra rappresentazione, presi di per sé, l’opposizione tra chiaro e scuro, tra luce e tenebra, ma anche perché nella loro maggiore o minore mescolanza sia con i colori che con tutte le mescolanze cromatiche rappresentano in generale le differenze del più chiaro e del più scuro, con una maggiore o minore tendenza verso il bianco o verso il nero: di conseguenza il bianco e il nero in quanto chiaro e scuro stanno in un rapporto con i colori in linea di principio differente da quello che i colori intrattengono tra loro. E quanto al grigio, i colori diametralmente opposti si distruggono in esso [11] .

Su queste basi Runge propone la propria rappresentazione dello spazio cromatico nella forma di una sfera:

 

Ad essa si perviene prima realizzando un triangolo in corrispondenza ai punti medi dei lati e rappresentativo dei colori di transizione e poi estendendo le dimensioni di questo stesso triangolo per eguagliarlo al triangolo dei colori "puri", potendo così congiungere i vertici dei triangoli così ottenuti realizzando un esagono iscritto in un cerchio.

 

La considerazione delle differenze chiaroscurali richiede poi il passaggio alla terza dimensione ponendo la linea del bianco del nero come verticale che attraversa il centro del cerchio. Ed a questo punto la sfera si è ormai profilata.

 

Si deve infine notare che, trattandosi in ogni caso di transizioni cromatiche - Runge stesso richiama l’attenzione su questo punto - la divisione in dodici parti della superficie della sfera va considerata come arbitraria [12].

 


[1] Sull’argomento come su altri numerosi aspetti relativi alla teoria del colore si può vedere L. De Grandis, Teoria e uso del colore, Milano, Mondadori, 1984.

[2] "La definizione di colore primario dovrebbe attribuirsi solo alle luci fondamentali di sintesi additiva. È però invalso l’uso di riferirla anche ai tre pigmenti fondamentali di miscela sottrattiva, che più propriamente si dovrebbero chiamare colori di base" - L. De Grandis, op. cit., p. 17, n. 1.

[3] H. Küppers, Das Grundgesetz der Farbenlehre, Dumont, Köln, 1978, p. 32.

[4] "un rosso tendente al purpureo" - L. De Grandis, op. cit., p. 18.

[5] Orangerot lo chiama H. Küppers, op. cit., p. 32.

[6] Violettblau in Küppers, op. cit., p. 32.

[7] Leonardo, Trattato sulla pittura, oss. 250, Le Bibliophile, Neuchâtel, s.d.

[8] ivi, oss. 209.

[9] Ph. O. Runge, Farbenkugel, Tropen Verlag, Stuttgart 1999, p. 18. Trad. it. La sfera del colore e altri scritti sull’"arte nuova", a cura di R. Troncon, Il Saggiatore, Milano 1985, p. 154.

[10] trad. it. cit. p. 151.

[11] "in Grau zerstören", ed. ted. cit., p. 23.

[12] trad. it. cit., p. 136.

 


 

 


 

 



















1. Premessa

L’antica discussione sui colori semplici (fondamentali) e composti (derivati) e la sua connessione con il sistema dei colori sembra ormai aver da tempo trovato la via per la propria soluzione attraverso la teoria dei fondamentali additivi e sottrattivi [1] . In primo luogo essa si distacca nettamente dalle pratiche pittoriche, a cui quella discussione è stata per lungo tempo vincolata, per associarsi invece alle spiegazioni intorno alle cause fisiche e fisiologiche delle sensazioni cromatiche. Alla base vi è l’idea della luce "bianca" come comprendente tutte le lunghezze d’onda che interessano i fenomeni cromatici; dall’altro l’idea che le cose, nella loro materialità specifica, facciano in certo senso da filtro della luce, in parte assorbendo in parte riflettendo determinate lunghezze d’onda. La spiegazione fisiologica riguarda le lunghezze d’onda riflesse. Queste vengono ricevute dai recettori della retina che a loro volta sono sensibili soprattutto a quelle lunghezze d’onda che vengono usualmente caratterizzate, dal punto di vista cromatico, come rosso, verde e blu (spesso si usa la sigla RGB - dai termini inglesi Red, Green, Blue). Il bianco è una risultante della sovrapposizione della totalità delle lunghezze d’onda appartenenti al campo cromatico, mentre il nero può essere interpretato come assenza di stimolazione luminosa. I vari modi in cui le lunghezze d’onda corrispondenti ai colori RGB si sommano insieme generano le altre sfumature cromatiche, ed in particolare i colori che vengono chiamati ciano, magenta, giallo (ovvero CMY - Cyan, Magenta, Yellow). A RGB spetta una priorità di principio fondata nell’ambito delle spiegazioni fisico-fisiologiche, e sono dunque essi che vengono preferibilmente chiamati colori primari. Un riscontro fenomenologico diretto della sintesi per addizione deve essere ricercato in situazioni peculiari: stando ad essa, infatti, l’addizione di rosso e verde deve produrre il giallo, dal verde e il blu deve risultare il ciano, dal rosso e il blu il magenta, come è mostrato dalla seguente figura.

Tutto ciò sembra alquanto "controintuitivo". Vi sono però situazioni in cui una simile circostanza si manifesta con evidenza diventando una circostanza osservabile. Ad esempio, la derivazione dei colori ciano, magenta e giallo da RGB può essere in certo senso "toccata con mano" usando tre fonti luminose distinte (ad esempio, tre proiettori) filtrate con i colori corrispondenti e proiettate in sovrapposizione parziale su uno schermo. Ciò non basta tuttavia a stabilire un raccordo con la teoria tradizionale che si appoggiava piuttosto, spesso con qualche confusione, all’esperienza visiva del colore così come alle pratiche pittoriche fondate sulle mescolanze dei colori. Questo raccordo è semmai costituito dal fatto che sovrapponendo dei filtri corrispondenti le coppie magenta-giallo, ciano-giallo, magenta-ciano, dànno luogo ai precedenti colori primari, rosso, verde, blu - mentre il nero risulterà dalla sovrapposizione di tutti e tre i colori.



Questa circostanza, che invece corrisponde alle nostre attese, può essere spiegata ancora facendo riferimento alla teoria precedente. In effetti, occorre tener conto anzitutto che l’azione di un filtro deve essere interpretata come un corpo che in parte lascia passare delle radiazioni in parte le impedisce. Cosicchè un filtro ciano (C=B+G) filtrerà la luce "bianca" lasciando passare solo le lunghezze d’onda relative al blu ed al verde, cosicché dalla luce "bianca" sarà stato sottratta la lunghezza d’onda relativa al rosso. Il giallo invece, essendo Y= R + G, impedirà il passaggio della lunghezza d’onda relativa al blu. Sovrapponendo i due filtri, le lunghezze d’onda "sottratte" sono dunque R e B. Cosicché il colore filtrato deve essere necessariamente il verde (G). I tre colori della sintesi additiva mantengono in ogni caso una priorità esplicativa, ma il fatto che essi possano essere ottenuti "sottrattivamente" dai colori CMY fa sì che anche a questi possa essere riconosciuta una sorta di primarietà [2]. La terminologia peraltro può variare. H. Küppers parla, ad esempio, di Urfarben per RGB e di Grundfarben per tutti i sei colori oltre il bianco e il nero [3] . Una possibilità è in effetti quella di caratterizzare come fondamentali i Grundfarben e primari gli Urfarben. Le idee della semplicità e della composizione potranno essere riproposte nella misura in cui si riesca a dare di esse una interpretazione strettamente coerente con la teoria fisica.

Questa sistemazione teorica consente poi di intervenire anche sull’idea, altrettanto antica, di un diagramma dei colori, ovvero di una rappresentazione grafica dell’intero spazio cromatico che sia in grado di identificare ogni tonalità cromatica come un punto all’interno di esso. Naturalmente oltre la tonalità cromatica, andrà presa in considerazione, nella costruzione del diagramma, il grado di chiarezza e il grado di saturazione. Tenendo conto di ciò sono possibili diversi tipi di rappresentazione dello spazio cromatico, che possono tuttavia essere considerati concettualmente equivalenti. Sulla base di questa concezione è possibile una designazione numerica di ogni colore fondata su unità di conto rispetto ad un totale convenzionalmente assunto - cosicché ad esempio, posto questo totale eguale a cento - il magenta sarà eguale, nel sistema fondato su MCY, a "100 0 0" ed una sfumatura di verde a "0 50 30", essendo naturalmente l’ordine dei colori quello fissato nella sigla.

Una osservazione conclusiva, ma di particolare importanza, riguarda la terminologia. Sino a questo punto per i Grundfarben ci siamo limitati a riprendere i nomi diventati correnti. Ma attenendoci strettamente ad una simile terminologia ci troveremmo ben presto in una situazione imbarazzante soprattutto per quanto riguarda i nomi di magenta e rosso, ciano e blu. In particolare perderemmo contatto anche con la discussione tradizionale di teoria del colore, e nello stesso tempo ci rimetteremmo alcuni richiami relazionali di particolare importanza.

Consideriamo anzitutto la coppia magenta (M) e rosso (R).


M

R

Anche la teoria esposta ci informa che il colore R può essere ottenuto per "composizione" da giallo e magenta. Inoltre il magenta - nome assai raro nella discussione storica sul colore - viene talvolta descritto come un rosso porpora [4] ; ed era indubbiamente questo "rosso", che Goethe poteva vedere guardando attraverso il prisma e considerare come il rosso per eccellenza. E vi è anche concordanza sul fatto che il colore R debba essere inteso come un rosso-arancio, in breve come un arancione [5] .

Un problema simile si presenta per la coppia di colori ciano (C) e blu (B).


C

B

Il termine cromatico ciano è altrettanto insolito nella tradizione storica della teoria del colore quanto lo è il termine magenta. In italiano abbiamo il termine "azzurro", ed il ciano può essere considerato un azzurro sia pure un po’ particolare. Per quanto riguarda il colore qui detto blu, esso può essere prodotto da magenta e ciano per sintesi sottrattiva - cosicché come in precedenza avevamo deciso per arancione in luogo di Red, è coerente decidere di considerare questo blu come blu-viola inserendolo senz’altro nella scala dei viola [6] .

Le convenzioni terminologiche sono convenzioni, e su di esse non ci si deve troppo attardare, ma non tutte le convenzioni sono altrettanto buone e sono indifferenti agli scopi. Per i nostri scopi è una convenzione migliore quella di parlare di rosso, arancione, azzurro e viola rispettivamente per Magenta, Red, Cyan e Blue. A queste sostituzioni ci atterremo coerentemente di qui in avanti.


2. La transizione chiaroscurale

Di fronte a tutto ciò noi troviamo interessante interrogarci intorno a che cosa si possa mantenere, quanto a organizzazione sistematica dello spazio cromatico, contando unicamente sugli aspetti fenomenologici e quindi prescindendo dall’impianto esplicativo che ha, nell’impostazione precedente, un peso così rilevante. Ci si chiede in altri termini se abbia senso, stando al colore come dato percettivo, ritrovare una qualche nozione di "primarietà", di "fondamentalità" o di "semplicità" - comunque la si voglia chiamare - e quindi se si possa giustificare l’idea di colori di base da cui tutti gli altri sono derivati, connettendo a questa idea il problema di uno "spazio cromatico" (sistema dei colori), oppure se, orientando l’attenzione esclusivamente in questa direzione e mettendo da parte ogni riferimento esplicativo, si ottenga piuttosto una riconfigurazione complessiva dell’intera questione.

Parlare di ordinamento sistematico, di sistema dei colori presuppone un’immagine fortemente unitaria dell’universo cromatico. Questa a sua volta può esistere solo in forza di una riduzione estrema del numero dei colori. E non dovremmo invece, inizialmente, mettere in risalto l’enorme varietà, l’infinita molteplicità dei colori?

Ogni volta che vorremmo nominare un colore con qualche precisione non sappiamo esattamente a quale parola affidarci. Ci aiutiamo con qualche giro di frase, nel quale facciamo per lo più riferimento ad una cosa che abbia quel colore, o un colore simile a quello che intendiamo. Cerchiamo un modello da esibire senza troppe spiegazioni verbali. Nello stesso tempo, tutti sappiamo quanto sia ricca e varia la nomenclatura dei colori, e come questa nomenclatura sia diversa da una lingua all’altra, e quanto differenti siano i rimandi analogici implicati. All’interno di una stessa lingua i nomi dei colori possono differire di epoca in epoca - un commento filologico accurato è spesso necessario per capire l’esatto significato dei nomi dei colori di cui si parla, e del resto un significato "esatto" richiederebbe in ogni caso la ripresentazione del modello. In taluni casi si può arrivare a pensare che il significato del nome sia definitivamente perduto.

Queste difficoltà sono determinate dalla molteplicità e dalla varietà, dalla enorme ricchezza dei cromatismi, e naturalmente al tempo stesso dalla difficoltà di fissare verbalmente una qualità che ha sempre bisogno di essere concretamente esemplificata. Così, arriviamo a chiederci se in una considerazione che bada soprattutto al colore così come lo vediamo, all’aspetto del colore, non sia il caso di mettere in risalto anzitutto il momento della differenza piuttosto che quello dell’affinità e della relazione. Mettiamo sotto i nostri occhi un azzurro e un rosso:














Che cos’altro dire se non che l’aspetto dei due colori è interamente diverso, che l’uno ha poco o nulla a che vedere con l’altro se eccettuiamo appunto il fatto che essi sono entrambi colori? Ciò toglierebbe di mezzo ogni problema di ordinamento sistematico. Ma le cose cambiano se, in luogo dell’esempio precedente, scegliamo piuttosto un caso di differenza di chiarezza che rende immediatamente evidente l’esistenza di una relazione:














Questi due colori si presentano alla vista come colori affini. La situazione esemplificativa di base, che ci offre una via di accesso ad una corretta impostazione del problema, è appunto quello della gradazione chiaroscurale. In essa non si mostra soltanto l’esistenza di una relazione di maggiore o minore chiarezza, ma anche il fatto che è in generale pensabileun quadrato più scuro sulla sinistra della figura e un quadrato più chiaro sulla destra; oppure che è pensabile che tra l’uno e l’altro si possa situare un quadrato con una gradazione chiaroscurale intermedia. Parlando di "pensabilità" si vuole mettere l’accento sul fatto che il grado di chiarezza non è una proprietà accidentale del colore - una proprietà empiricamente rilevata che si può trovare in certi colori, ma che altri potrebbero non possedere. Data una tonalità cromatica, essa avrà sempre un certo grado di chiarezza e dunque si situerà in una posizione determinata all’interno di una scala chiaroscurale. La parola "grado" deve essere peraltro intesa con un rimando implicito ad una condizione di continuità intuitiva: tra l’uno e l’altro azzurro è possibile che si dia un azzurro intermedio in quanto essi possono essere considerati come estremi di un intervallo che può essere riempito da gradazioni di colore che conducono senza salti dall’uno all’altro.



Sfumatura e transizione sono i due termini che potremmo applicare in questo caso. Dal primo colore si passa al secondo attraverso sfumature che sono da considerare appunto come momenti di passaggio (fasi) all’interno di un percorso privo di lacune. La relazione tra i due colori tende così ad assumere un carattere dinamico: tra essi si svolge un processo, un movimento che procede dall’uno all’altro, ed anche i due estremi ricevono questo carattere sia per il fatto di essere punto di partenza e punto di arrivo, sia per il fatto di poter a loro volta entrare come momenti di passaggio all’interno di un processo più ampio, che sarà la sequenza chiaroscurale completa e chiusa dal bianco e dal nero.



Del nero e del bianco, e quindi anche del grigio, si è dibattuto a lungo se fossero da considerare colori autentici oppure no. Ed anche in rapporto a questo problema, apparentemente peregrino, si fanno sentire equivoci ed errori derivanti dall’intreccio tra i piani di discorso. Il bianco e il nero se ne stanno nel tubetto del pittore esattamente come il rosso o il giallo. Dice Leonardo: benché alcuni filosofi "non accettino né il bianco né il nero nel numero de’ colori, perché l’uno è causa de’ colori, l’altro ne è privazione", tuttavia "perché il pittore non può fare senza questi, noi li metteremo nel numero degli altri" [7] . Peraltro, l’indispensabilità del bianco e del nero per il pittore è dovuta al fatto che attraverso di essi si possono ottenere i valori chiaroscurali: "Nero, bianco, benché questi non sono messi fra’ colori, perché l’uno è tenebre, l’altro è luce, cioè l’uno è privazione e l’altro è generativo, io non li voglio per questo lasciare indietro, perché in pittura sono i principali, conciossiaché la pittura sia composta d’ombre e di lumi, cioè di chiaro e oscuro" [8] . E d’altro lato, passando dal colore come materia cromatica (pigmento) al colore come proprietà delle cose, una rosa bianca, non è forse bianca così come è rossa una rosa rossa? Come può nascere un simile dubbio sul nero e sul bianco? Considerando l’universo cromatico nelle molteplicità delle sue sfaccettature, bianco, nero e grigio sono certamente colori come tutti gli altri. Dispersi tra i colori essi sono colori. Se invece la domanda sul bianco e sul nero viene posta avendo di mira la sfumatura chiaroscurale, e quindi nella prospettiva di un punto di vista sistematico, il suo senso muta. Interviene infatti una modificazione che dipende dalla loro localizzazione necessaria ai bordi della sequenza. Bianco e nero sono le condizioni in cui il colore si perde. L’uno vale dunque come puro valore di chiarezza (luce), l’altro come puro valore di oscurità (buio). In quanto appartengono alle sequenze cromatico-chiaroscurali essi sono colori, in quanto appartengono a tutte le sequenze cromatico-chiaroscurali sono ciò in cui si estingue la differenza cromatica ed quindi il colore stesso. In ogni caso essi appartengono allo spazio cromatico di cui occupano posizioni limite.

3. La transizione cromatica

Il passo decisivo verso un punto di vista sistematico è dato dalla possibilità di generalizzare l’idea della sfumatura chiaroscurale che interessa la singola tonalità cromatica all’idea di una transizione da una tonalità cromatica all’altra - cosicché le differenze tra colore e colore si presentano come distanze tra fasi di un unico percorso cromatico.

Così i colori azzurro e rosso che abbiamo in precedenza citato come un esempio di colori di aspetto tanto differente da non lasciar intravvedere alcuna relazione possibile















si mostrano invece come estremi possibili di una transizione continua di sfumature cromatiche che conducono dall’uno all’altro.



Ed essi stessi possono essere concepiti come fasi di un percorso completo che è chiuso in un senso differente dalla chiusura effettuata dal bianco e dal nero nel caso delle sfumature chiaroscurali: si tratta infatti di un percorso circolare che termina nella sfumatura cromatica da cui ha avuto inizio.



Il sistema dei colori, nel dibattito storico, è stato tuttavia costituito per lo più da considerazioni riguardanti i colori singoli e i modi della loro composizione piuttosto che sulla transizione. E quindi sul problema della identificazione dei colori che potevano essere considerati semplici da cui tutti gli altri debbono poter derivare per composizione. La varietà delle proposte e le discussioni che risalgono all’antichità ed attraversano il medioevo mostrano le difficoltà di un’impostazione corretta del problema. L’oscillazione sta soprattutto tra il colore considerato come materia cromatica (pigmento) e il colore come datità visiva. L’idea di una riduzione del mondo cromatico a pochi cromatismi fondamentali fu certamente suggerita dalle mescolanze concrete fra i pigmenti che mostravano la possibilità di ottenere determinati colori per composizione di altri. Ma mantenendo questo riferimento la questione della semplicità e della composizione si ridurrebbe ad una questione strettamente empirica. Parlare della semplicità del giallo, rosso e azzurro in questo contesto significherebbe postulare che non vi siano materie cromatiche dalle quali questi colori si possano ottenere per composizione. Questa è palesemente una questione empirico-fattuale che riguarda il modo di produrre il colore come pigmento. Che non vi siano pigmenti di diverso colore da cui possa essere prodotto il giallo, non significa ancora che non possano esservi. Potrebbero non essere stati ancora trovati. Inoltre, anche ammesso che si possa decidere qualcosa in proposito, indicando alcuni pigmenti come "semplici" in questa accezione, non si vede come si possa garantire la loro "sufficienza", ovvero che attraverso di essi possa essere ottenuta qualunque sfumatura di colore per mescolanza concreta. Un punto di vista sistematico non può essere certo tratto di qui. Ed in fin dei conti, posta in questi termini, la questione rischia di essere totalmente priva di interesse. Al massimo è pensabile una semplicità ed una composizione puramente relativa - cosicché il pittore potrebbe ritenere giustamente che per colori semplici e fondamentali si debbano intendere tutti i colori contenuti nei tubetti della sua cassetta. Se il problema è rimasto vivo, pur mantenendo spesso un riferimento importante ai pigmenti, ciò è dovuto soprattutto al fatto che a questo riferimento si è sempre guardato anche avendo di mira il colore in se stesso - alla pura astrazione del colore che peraltro si materializza nel colore in quanto semplicemente appare al nostro sguardo - nel colore come fenomeno.

Si giunge così in età moderna a formulare l’idea di un sistema dei colori che presenta i colori azzurro, rosso e giallo come colori "semplici", mentre come colori derivati dai precedenti per composizione i colori arancione, verde e viola. Nulla ci impedisce naturalmente di considerare i primi come il ciano magenta e giallo della sintesi sottrattiva e i secondi come il rosso verde e blu della sintesi additiva, anche se è ovviamente escluso in questa classificazione un qualche sostegno di tipo esplicativo in una teoria della luce e delle cause delle sensazioni cromatiche. Resta in ogni caso difficile stabilire in che senso si parla propriamente di semplicità e di composizione.

Anche l’approccio al problema dal lato del fenomeno e delle idealizzazioni che possono essere compiute sulla sua base, lascia un margine molto ampio all’equivoco. Sembrerebbe infatti che chiamando in causa le datità visive e nello stesso tempo invocando la distinzione tra semplicità e composizione, la decisione se un colore sia semplice o composto debba essere senz’altro affidata all’impressione visiva di quel colore singolarmente preso. In tal caso non solo potremmo essere in balia della soggettività e della particolarità delle impressioni - a taluni un certo verde potrà sembrare composto, ad altri semplice - ma soprattutto non vi è necessariamente un passaggio tra la consapevolezza eventualmente acquisita osservativamente del fatto che un colore sorge per composizione ed il fatto che sia visto come colore composto. Ad esempio, se io sovrappongo un vetro giallo ad un vetro azzurro, non avrò difficoltà ad ammettere di vedere formarsi un verde, e così anche riconoscere che il colore verde può sorgere dalla "sovrapposizione" dell’azzurro al giallo. Ma non vi sarebbe nessuna incoerenza nel sostenere che, per quanto riguarda il verde come dato visivo, esso non si mostra come un colore "composto". Non vi è nessun contrassegno che segnali questa "natura composta". Ed a dire il vero gli stessi termini di "semplice" e "composto" hanno in questo contesto una grammatica malsicura. Forse potremmo arrivare a sostenere che nemmeno il riconoscimento di una tendenza, ad esempio, di un verde giallastro o azzurrino, è sufficiente ad effettuare il passaggio all’idea della composizione.

Ma fin qui abbiamo parlato di un’impressione psicologica relativamente ad una tonalità cromatica presa nella sua singolarità. Secondo lo spirito dell’impostazione precedente ogni tonalità cromatica deve invece essere integrata in una sequenza cromatica continua e ciò determina una reinterpretazione del sistema dei colori che non solo deve mettere da parte qualunque riferimento giustificativo all’impressione psicologica, ma deve anche arrivare a mettere in discussione il tema della composizione in genere, riproponendo la distinzione tra colori fondamentali e derivati in tutt’altra chiave e in tutt’altro senso.


4. Lo spazio cromatico e il suo ritmo

La base fenomenologica del sistema non è un preteso aspetto di semplicità o di composizione del fenomeno cromatico rilevabile alla vista, sul colore singolo, staticamente inteso, ma l’esperienza della transizione. In base ad essa i colori esistono sempre anzitutto come "sfumature" appartenenti ad un unico percorso cromatico, come momenti o fasi dello spazio cromatico. Questo spazio è il colore stesso come unità cangiante. I colori, al plurale, sono le fasi del cangiamento. Essi sono, nella loro molteplicità, mutazioni del Colore.

Il percorso cromatico ha peraltro un ritmo interno, ed è questo il punto che va attentamente spiegato e che ha un’importanza cruciale per l’impostazione che stiamo discutendo.

Ritorniamo al nostro esempio molto semplice della sequenza cromatica chiaroscurale. Abbiamo già osservato che il bianco e il nero sono gli estremi della sequenza chiaroscurale e ciò fa parte della "logica" stessa della sequenza. Cosicché potremmo dire che la seguente sequenza:



presenta di fatto il luogo che spetta a priori al bianco ed al nero all’interno del sistema cromatico (in luogo dell’azzurro possiamo sostituire un altro colore qualunque).

Tuttavia è appena ovvio che possa darsi anche una sequenza che ha il nero tra due colori qualunque. Ad esempio:



Ma il dato di fatto che qui il nero si trovi tra azzurro e giallo non significa affatto che venga modificato il suo luogo ideale - ovvero la sua posizione sistematica. Il nero nel sistema non si trova tra un colore ed un altro, ma si trova ad uno degli estremi di una sequenza chiaroscurale (e come limite chiaroscurale dello spazio cromatico nel suo complesso). Questo luogo ideale determina anche il senso della sequenza in cui il nero si trova tra due colori. In essa - potremmo dire - l’azzurro affonda nell’oscurità, dalla quale sorge un colore interamente differente. Questo potrebbe essere uno dei possibili modi di "intendere" la figura e di rendere conto di un andamento che dipende essenzialmente dalla posizione attuale del nero interpretata attraverso il suo luogo ideale. Il nero è in ogni caso, anche qui, ciò in cui un colore termina oppure ha inizio. Inoltre va notato che, per quanto tutto avvenga per gradi se consideriamo il nero un colore come tutti gli altri, tuttavia se lo si intende come oscurità in cui il colore si annienta, esso rappresenta invece un momento peculiare di rottura della sequenza cromatica, un vero e proprio buco nello sviluppo del cromatismo.

Prendiamo ora in esame le sequenze cromatiche vere e proprie, e la posizione corrispondente dei colori in essi. Il rosso si trova tra il viola e l’arancione e l’arancione si trova tra il rosso e il giallo. In entrambi i casi si tratta di posizioni ideali che possono essere esemplificate fattualmente. Ed a queste esemplificazioni possiamo riccorere per comprendere che cosa significhi questo essere tra. Ci rendiamo allora conto che il suo senso non è univoco. Nel primo caso:

1.









"si passa" dal viola all’arancione o inversamente, ma oltre questo passaggio potremmo vedere un doppio movimento - l’arancione e il viola che "salgono" al rosso (o in qualunque altro modo ci si voglia esprimere), cosicché il rosso si presenta come una sorta di punto di volta della sequenza, come un punto verso cui essi convergono. Si tratta di qualcosa di diverso dalla situazione della sequenza precedente con il nero centrale, per il fatto che in questo caso non potremmo parlare certo di una rottura della sequenza.

Nel secondo caso invece:

2.







l’arancione resta sempre una fase di passaggio tra il polo giallo e il polo rosso. Si passa dal rosso al giallo e dal giallo al rosso, attraverso l’arancione, ma questo non ha il carattere di punto di volta.

Così nella sequenza verde - giallo - arancione, il giallo ha lo stesso carattere del rosso nel l’es. 1, rappresenta punto di transizione ma anche punto culminante, ovvero punto iniziale e terminale di un processo:

3.







Mentre nel caso della sequenza azzurro-verde-giallo:

4.







il verde appare come colore transitorio come l’arancione nell’es. 2.

Infine: nella sequenza viola-azzurro-verde, l’azzurro ha carattere di colore terminale nel senso or ora definito:

5.









mentre il viola tra il rosso e l’azzurro ha carattere di colore di transizione:

6.







Possiamo dunque parlare di colori terminali per i colori che hanno carattere di punti di volta e colori intermedi o transitori per gli altri. Questa distinzione ricopre quella dei colori fondamentali e derivati oppure dei colori semplici e composti - ma è del tutto priva dei significati che gravano su queste ultime espressioni e delle equivocità latenti in esse, traendo il suo senso unicamente dal fenomeno della transizione e dall’esperienza di esso. Come corollario non marginale di tutto ciò diventa privo di senso il distinguere, come spesso si è è fatto, tra colori "primari" per il fisico (i colori RGB) e colori "primari" per il pittore (i colori CMY). Si tratta in effetti di una distinzione che tenta solo di mascherare un problema irrisolto oltrepassandolo alla buona: in luogo di chiarire le cose, le rende ancora più confuse. Quando la questione venga delimitata all'ambito percettivo, i colori terminali o intermedi restano tali sia che li consideri un fisico o un pittore.


5. L’opposizione cromatica diametrale

Il problema della transizione può essere richiamato anche in rapporto alla tematica dei colori complementari. È noto il fatto che se, dopo aver fissato abbastanza a lungo un foglio di carta rosso intensamente illuminato, volgiamo lo sguardo in una zona scura, nel nostro campo visivo compare una misteriosa macchia verdastra, piuttosto netta anche se instabile. La stessa situazione si ripete rispettivamente per le coppie azzurro-arancione e giallo-viola. Si tratta di una circostanza di grande importanza per una teoria del colore così come del resto per le pratiche del colore nel senso ampio del termine. Tuttavia questa relazione non può essere rilevata come tale all’interno di una tematica che deve attenersi strettamente ad un terreno di pure considerazioni fenomenologico-strutturali.Essa infatti, introdotta attraverso l’osservazione, sembra avere il carattere di un dato di fatto ed essere di pertinenza di una considerazione empirico-psicologica, e dunque di una fenomenologia empirica piuttosto che di una fenomenologia pura.

Cionondimeno è possibile interrogarsi se non vi siano aspetti di questa relazione che possano essere mostrati seguendo lo stesso metodo messo in atto in precedenza e precisamente facendo riferimento alle sequenza cromatiche ed all’esperienza della transizione.

Già una semplice rappresentazione grafica può suggerire qualcosa. Se distribuiamo i cromatismi intesi come "punti cromatici" sulla circonferenza di un cerchio equidistanti l’uno dall’altro, e se congiungiamo ad esempio il rosso con tutti gli altri, vi sarà un solo punto connesso attraverso il diametro del cerchio, e questo sarà il verde.



E così nel caso di ogni altro punto, potranno risultare connessi attraverso il diametro solo coppie di colori "complementari". Potremmo allora parlare di queste coppie come coppie di colori diametralmente opposti e della opposizione in questione come di opposizione diametrale. Questo tipo di relazione non dipende evidentemente da alcuna osservazione empirica o sperimentazione di qualche sorta. Si tratta invece di una connessione dipendente dall’ordinamento dello stesso sistema dei colori. Se ci limitiamo a questo tuttavia non andiamo certo molto lontano, e si può sospettare che questa nozione di opposizione diametrale riguardi più le convenzioni operate nella rappresentazione grafica che la cosa stessa. Per dare ad essa un significato, dobbiamo in effetti ritornare alla sequenze cromatiche.

Notiamo allora che non può esservi transizione dal rosso al verde. Ciò significa che non può esservi sfumatura graduale dall’uno all’altro colore, che l’uno non può trapassare nell’altro. La manifestazione positiva corrispondente è il passaggio necessario attraverso il grigio.



Come nel caso del nero posto tra due colori, il grigio può essere interpretato, in un senso particolare, come un elemento che "interrompe" il percorso cromatico. Forse si potrebbe parlare, in modo più aderente alla situazione che comunque presenta una gradualità, di una graduale perdita del cromatismo. Nel grigio i colori si dissolvono come nel bianco e nel nero.

Ciò vale naturalmente per tutti i colori diametralmente opposti.














Quello che era in precedenza un puro rilievo tratto dalla rappresentazione grafica riceve in questo modo non soltanto un significato cromatico ma anche un’integrazione all’interno delle considerazioni sistematiche. Ciò significa, in particolare, che questa relazione riceve un carattere di necessità che una giustificazione psicologica non è in grado di conferire ad essa.


6. La sfera del colore di Runge

Runge ha espresso benissimo il senso della relazione di complementarità come relazione sistematica, appartenente ad una "logica" del colore piuttosto che alla sua "psicologia" quando dice che "non possiamo rappresentarci un verde che tende al rosso, un arancio che tende all’azzurro, un violetto che tende al giallo proprio come non possiamo rappresentarci un occidente orientale o un nord meridionale" [9] . Del resto, nella costruzione della sua sfera del colore si delinea un percorso che sembra rimandare proprio all’esperienza della transizione, benché egli parli ancora di "mescolanze" (Mischung). Egli individua così il rosso, giallo ed azzurro (Blau) come colori "puri", ovvero privi di mescolanze - una nozione che peraltro lo spinge verso la sottolineatura dell’elemento ideale. Si riconosce infatti che il materiale cromatico non è mai tale da poter sostenere questa idea di purezza. Cosicché questi tre colori vengono assimilati a punti, concepiti come unità "assolute" in analogia ai punti matematici, e posti come vertici di un triangolo equilatero.



La molteplicità si trova invece dalla parte del verde, arancione e violetto, ed essa viene illustrata con il fatto che "se nel verde l’azione dell’azzurro prevale su quella del giallo, il verde sfuma (abstufen) o tende all’azzurro, oppure, nel caso inverso, sfuma o tende al giallo, laddove è infine anche possibile che il verde si perda completamente in uno di essi. Lo stesso si può dire dell’arancio che tende al rosso e al giallo e in questi si perde, e del violetto rispetto al rosso e all’azzurro" [10] . Di conseguenza questi colori occupano ciascuno dei lati del triangolo equilatero.



Particolare importanza assume poi la considerazione del bianco e nero: "Noi separiamo tuttavia il nero e il bianco dagli altri tre colori (ai quali soltanto diamo in generale il nome di "colori") e li disponiamo in una classe diversa, in certo senso opposta a quella dei colori, e questo perché il bianco e il nero non solo designano nella nostra rappresentazione, presi di per sé, l’opposizione tra chiaro e scuro, tra luce e tenebra, ma anche perché nella loro maggiore o minore mescolanza sia con i colori che con tutte le mescolanze cromatiche rappresentano in generale le differenze del più chiaro e del più scuro, con una maggiore o minore tendenza verso il bianco o verso il nero: di conseguenza il bianco e il nero in quanto chiaro e scuro stanno in un rapporto con i colori in linea di principio differente da quello che i colori intrattengono tra loro. E quanto al grigio, i colori diametralmente opposti si distruggono in esso [11] .

Su queste basi Runge propone la propria rappresentazione dello spazio cromatico nella forma di una sfera:












Ad essa si perviene prima realizzando un triangolo in corrispondenza ai punti medi dei lati e rappresentativo dei colori di transizione e poi estendendo le dimensioni di questo stesso triangolo per eguagliarlo al triangolo dei colori "puri", potendo così congiungere i vertici dei triangoli così ottenuti realizzando un esagono iscritto in un cerchio.



La considerazione delle differenze chiaroscurali richiede poi il passaggio alla terza dimensione ponendo la linea del bianco del nero come verticale che attraversa il centro del cerchio. Ed a questo punto la sfera si è ormai profilata.



Si deve infine notare che, trattandosi in ogni caso di transizioni cromatiche - Runge stesso richiama l’attenzione su questo punto - la divisione in dodici parti della superficie della sfera va considerata come arbitraria [12].

[1] Sull’argomento come su altri numerosi aspetti relativi alla teoria del colore si può vedere L. De Grandis, Teoria e uso del colore, Milano, Mondadori, 1984.

[2] "La definizione di colore primario dovrebbe attribuirsi solo alle luci fondamentali di sintesi additiva. È però invalso l’uso di riferirla anche ai tre pigmenti fondamentali di miscela sottrattiva, che più propriamente si dovrebbero chiamare colori di base" - L. De Grandis, op. cit., p. 17, n. 1.

[3] H. Küppers, Das Grundgesetz der Farbenlehre, Dumont, Köln, 1978, p. 32.

[4] "un rosso tendente al purpureo" - L. De Grandis, op. cit., p. 18.

[5] Orangerot lo chiama H. Küppers, op. cit., p. 32.

[6] Violettblau in Küppers, op. cit., p. 32.

[7] Leonardo, Trattato sulla pittura, oss. 250, Le Bibliophile, Neuchâtel, s.d.

[8] ivi, oss. 209.

[9] Ph. O. Runge, Farbenkugel, Tropen Verlag, Stuttgart 1999, p. 18. Trad. it. La sfera del colore e altri scritti sull’"arte nuova", a cura di R. Troncon, Il Saggiatore, Milano 1985, p. 154.

[10] trad. it. cit. p. 151.

[11] "in Grau zerstören", ed. ted. cit., p. 23.

[12] trad. it. cit., p. 136.