Emilio Renzi si è laureato in filosofia all’Università degli Studi di Milano nel 1961 con Enzo Paci, con una tesi sull’antropologia filosofica di Paul Ricoeur, di cui ha tradotto Della interpretazione. Saggio su Freud. Ha lavorato presso la Casa editrice Il Saggiatore di Alberto Mondadori e alla Direzione Relazioni culturali della Olivetti. Per dieci anni è stato docente di Semiotica alla Scuola del Design del Politecnico di Milano/polo Bovisa.
Ha pubblicato “Persona. Una antropologia filosofica nell’età della globalizzazione” (ATìeditore, Milano 2015) ed Enzo Paci e Paul Ricoeur. In un dialogo e dodici saggi (ATì, Milano 2010); Saggi di filosofia sulla “Scuola di Milano” (A. Banfi, E. Paci, G. D. Neri, E. Filippini) e su E. de Martino.
Recensione a "Esistenza e storia negli inediti di Husserl"
pubblicata in "Il pensiero", IX, 1965
Se ancora oggi talvolta ricorre, non ha sufficientemente resi sospetti della sua scarsa fondatezza la tesi storiografica dell'evasione della fenomenologia di Husserl dalla concretezza della storia, dai problemi dell'individuo che si trovi in quella «realtà effettuale» di condizionamenti e di lotte che, suppergiù, si suol riassumere come «storia concreta». A dir poco, ciò di cui questa tesi non tien conto è la doverosità della lettura dell'arco intero di Husserl vivente (oltre quarant'anni di produzione, dal 1891 al 1936 ), e la pubblicazione degli inediti, iniziata nel 1950 e che ha mutato, e ancor più muterà, molte interpretazioni. Husserl e la fenomenologia sono stati per troppo tempo la storia delle loro interpretazioni, se non delle loro tentate confutazioni.
Naturalmente siamo consapevoli che questo discorsino prefatorio è breve e sommario, e naturalmente se le cose si sono svolte così vi sono state delle motivazioni: di storia della cultura, di rifiuto di fronte al radicalismo fenomenologico, di dilagante fortuna dell' Essere e tempo heideggeriano, così a ridosso dell'opera di Husserl da sommergerla per certo tempo nel proprio cono d'ombra; e tante altre.
Va da sé che da qualche anno (in Italia) e non da ieri (in Francia) le cose possono essere viste in diversa e più corretta luce: la rinascita fenomenologica ha avuto luogo in modo vivificante (e quindi contrastato), ed è possibile rendersene conto andando a vedere i libri di Enzo Paci e la versione della Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty, soprattutto l'importante introduzione (1946). Pur breve, dunque, questo discorso ci aiuta però a stendere
alcune note su un recente libro di filosofia, che già nel titolo si situa con un suo modo nel dibattito filosofico cui accennavamo.
Esistenza e storia negli inediti di Husserl di Giovanni Piana (Lampugnani Nigri editore, Milano 1965) è un attento e acuto studio di inediti che vanno dal 1928 al '34 (in prevalenza, gruppi A e C); come vedremo, sulla ricognizione si innesta un discorso teoretico «attuale» che a noi sembra piuttosto importante. Per gli anni, dunque, gli inediti accompagnano e completano l'"ultimo" Husserl, cioè La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale; teniamo anche presente, appunto, che Essere e tempo è del 1927.
Un tema fondamentale percorre e unisce gli inediti presi in esame. E' il tema della «intersoggettività», ossia la «teoria husserliana dell'Einfuehlung, l'insieme delle analisi dirette a descrivere l'esperienza dell'alterità soggettiva» (p. 15), lo stesso tema cui concludono le Meditazioni cartesiane, cui guarderanno gli esistenzialisti (si pensi a Sartre). Che cosa possiamo ricavare dai manoscritti husserliani e dall'esposizione critica di Piana? Diremmo innanzitutto la conferma che le Meditazioni cartesiane sono la parte emersa di un vasto tessuto di ricerche tematiche, la parte organicamente svolta, certo, ma non comprensiva di tutti i possibili spunti che gli inediti esibiscono. Tra i quali va presa nota del vigoroso accento posto sul tempo; in base al fatto che «l'identità soggettiva va intesa come ripresa costante di una distanza che non viene risolta ma accomunata, quindi come processo temporale di identificazione» (p. 30); e che si accentui questo problema fa giustizia di molti equivoci «sostanzialistici» ed «ontologici», nello stesso tempo in cui ricollega questi anni di Husserl almeno al 1904 (inizio delle lezioni sulla «coscienza interna del tempo», pubblicate solo nel '28 da Heidegger).
Ma va anche presa nota di altre importanti direzioni: la chiarificazione del significato di «appresentazione» (che, contro Scheler, non è l'«analogia»), il tema dell'«interesse che guida la mia attenzione intenzionale», l'insistenza sulla «corporeità viva percipiente» come «originaria». E' il momento iniziale del solipsismo - ineschivabile passaggio dalla critica dell'atteggiamento» naturale, dell'«ovvietà» e del «fatto» attraverso lo scetticismo, fino alla indubitabilità della critica filosofica fenomenologica (e giustamente su questo nesso si sofferma l'Introduzione del libro).
Un passo ulteriore è compiuto quando, con astrazione descrittiva che, come è consueto per la fenomenologia, porgerà frutti nel proseguio, si riprende il tema della proprietà corporea, e se ne indaga la genesi storica. "Storica", inizialmente, è parola vuota, ma via via che si mette a fuoco la genesi del corpo (nella vita istintiva, nella generazione e nell'incontro sessuale), la sua «continuità» in una «tradizione», questa si svela come intersoggettiva, e cioè come pienamente storica. E' allora possibile, sul fondamento intersoggettivo, analizzare i temi della «cultura» e della «comunità». E alla fine Husserl pone in linea di conto il tema della praxis: «L'io tuttavia è per essenza attivo anche in un altro senso: a partire da sé attraverso la sua attività, l'io comunica un senso modificato a ciò che esperisce come essente "nel mondo"» (C 17 II; p. 72). Il mondo diviene «campo pratico di effettuazione» (ibid). E' allora leggiamo, riconoscendo alla fine che l'iniziale stupore non era giustificato, appunti proprio di Husserl sulla fondamentalità del bisogno, della cura per «l'appagamento della mia fame», quella fame «che rimane insaziata», dinanzi alla quale io vengo meno per cui la volontà dell'altro entra in conflitto con la mia, e io «mi dirigo contro di lui... con odio incondizionato, e l'altro è il mio nemico mortale» (p. 75).
A parte il peso che a ciò si deve dare nella revisione della consueta storiografia su Husserl - Heidegger, la potenza di questi inediti non termina qui: si parla poi di "umanizzazione del mondo", di "mezzi utili", di "beni", di "ricchezza come accumulazione", dell'"avere il singolo come schiavo". Si vede quanto un'immagine abituale e idealisticamente agghindata della fenomenologia sia erronea; si intravede la traccia per analisi nuove e attualissime.
Al termine dell'indagine Piana si interroga appunto sul senso che ha per noi, oggi, la fenomenologia. La risposta sta in un gruppetto di pagine finali, che non riassumeremo ma da cui porremo in luce alcuni punti salienti. Per intrinseca necessità la fenomenologia chiede che si distingua tra filosofia come scienza (l'obiettivo massimo cui mirare) e filosofia come ideologia. Assegnando fini e mezzi, introduciamo l'idea di esercizio filosofico: quindi di lavoro filosofico. In quanto tale, questo lavoro è necessariamente nel tempo. E' fondato in un passato, si pone come scelta e prassi nel presente.
Nella misura in cui il passato resta determinante, si hanno l'ortodossia e la repressione dell'eterodossia, la custodia del passato: l'ideologia è scelta del passato. Se il soggetto sceglie il presente, si ottiene l'idea della costituzione come idea del lavoro filosofico «con la sua intera portata ed intenzione verificante e demistificante» rispetto al passato e al presente: che è la ripresa del senso negativo che già Marx attribuiva all'ideologia.
Nella «scienza della società e della storia» trova quindi il suo senso ultimo la «scienza della soggettività» nata dalla riflessione sulla connessione corporea intersoggettiva. E qui non può non avvenire l'incontro con il marxismo. A questo tema tanto discusso Piana non apporta polemiche né petizioni; non pensa che lo si possa risolvere per addizione o per sottrazione di parti. Lo affronta come reciproco chiarimento di problemi, limiti e impostazioni che stanno sullo stesso terreno, come movimento necessario per un bilaterale diventar problema l'uno dell'altro del proprio specifico problema: «come filosofia del presente, cioè come ricerca costantemente aperta nel presente e sul presente che ricomprende e ricostituisce il passato nel suo senso riconfermandosi come filosofia-scienza in atto e non come ideologia "scientifica" già costituita» (p. 112). Gli sviluppi sono numerosi: accenniamo solo alla possibilità di fondare sulla filosofia-scienza, e non già, come purtroppo si è fatto, sulla ideologia, il "riconoscimento del carattere di classe delle filosofie" (p. 107).
Certo il problema è complesso, ma crediamo che appaia correttamente avviato. La sua posta, oggi, è eccezionalmente alta. Riconosciamo che l'analisi di Piana richiedeva un'esegesi più articolata, che soprattutto ne illustrasse meglio il rigore e la ricchezza, di cui vorremmo almeno aver fornito l'inventario.
Emilio Renzi