Nicola Pedone

 

Nicola Pedone (Milano 1958) si è diplomato in corno e laureato in filosofia presso l’Università degli Studi di Milano con Giovanni Piana, discutendo una tesi di filosofia della musica. E’ stato insegnante di educazione musicale ed ha svolto attività di strumentista. Dal 1986 lavora presso la sede Rai di Milano, dapprima come consulente musicale, poi come programmista e conduttore per Radio3. E' stato coordinatore del Seminario di Filosofia della musica attivo presso il dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano.

Ha curato l’edizione italiana degli scritti di filosofia della musica di Alfred Schutz (A. Schutz, Frammenti di fenomenologia della musica, Milano, Guerini e Associati 1996). Tra le pubblicazioni più recenti: A viva voce gennaio-giugno 2010, Adda Editore, Bari; Pontiggia alla radio in Le vie dorate. Con Giuseppe Pontiggia, a cura di D. Marcheschi, MUP, Parma 2009. “Ah, bevessero del tossico”, Mozart e i filosofi, in Quaderni dell’Associazione Mozart Italia Brescia 2003. Collabora con riviste musicali, tra cui Sistema Musica di Torino.

 


 

Quintetto per pianoforte, due violini e due violoncelli

28 settembre 2012
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il Quintetto mi è piaciuto, lo trovo interessante  sia per le invenzioni che contiene, sia per questa distribuzione inusuale delle voci, che fa pensare a una sorta di dilatazione del classico trio violino - violoncello - pianoforte, dove ognuno degli archi ha il suo doppio.
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N.P.

 


 

 

Il fiore che restando passa

14 marzo 2013

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E' una pagina che cattura, e anche senza le "note dell'autore", contiene qualcosa che trattiene l'ascoltatore nei suoi pressi, per così dire. Le voci del coro ottenute per sintesi se da un lato rivelano (ancora) certi limiti diciamo tecnologici, dall'altro sono però spettacolari e aggiungono qualcosa di spettrale, nel loro timbro al confine dell'umano. Certo, le tue note servono: la lettura del testo originale di Goethe, la tua successiva manipolazione, la conoscenza, poi, della vicenda biografica dell'autore, le congetture che si possono fare sul "messaggio".

Come vedi, hai sollecitato in me tante domande, che hanno a che fare in un modo piuttosto diretto col mio lavoro: che cosa è 'davvero' necessario sapere di un brano quando ci si appresta a presentarlo e ad ascoltarlo, alla radio quanto in una sala da concerto? E il discorso vale tanto per il repertorio più consolidato e noto, quanto per i brani meno conosciuti o sconosciuti del tutto, come le opere prime dei contemporanei. Qui ci sono tante posizioni, ovviamente, e la discussione sarebbe infinita (sull'argomento sto peraltro leggendo un libro interessante, una raccolta di saggi di un convegno "Parlare di musica", a cura di S. Pasticci, Meltemi editore).
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N.P.

 


 

Serenata alla fanciulla dai capelli di lino

11 Febbraio 2015
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Devo confessarti che a un certo punto mi perdo: all'incirca quando entra il pianoforte, sui due minuti, non riesco più a seguire il filo. Ho come l'impressione che il discorso si sfilacci o che si smarrisca (per quello che possono rendere queste metafore, anche se Paolo Bozzi diceva che il linguaggio comune è la prima e più preziosa formalizzazione dell'esperienza). O forse è proprio ciò che l'autore voleva? Ecco un bel quesito ("radiofonico").
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Migranti


22 dicembre 2015
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Nel tuo pezzo si respira, mi pare, un'atmosfera seriamente e drammaticamente espressionista post-tonale, del tutto adeguata alla gravità del motivo ispiratore. La scrittura, per quello che posso capire mi sembra coerente e dotata di stile, anche per ciò che riguarda l'integrazione della tromba nell'orchestra d'archi (fatta la tara, ovviamente, sul timbro degli strumenti campionati).
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N.P.

22 dicembre 2015
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Mi permetto di osservare che se si fa la tara sul timbro degli strumenti campionati, allora la tara va fatta per qualunque tipo di ascolto, perché vi è sempre un buon motivo per farla. Pensa alla Nona Sinfonia di Beethoven, ascoltata da una radiolina da quattro soldi o da un MP3; ma ciò vale anche per l'ascolto dal vivo. Dal vivo io ho ascoltato in piedi tutte le sonate di Beethoven, eseguite da Gulda, con il cappotto addosso, morendo per il  caldo - a Milano, al Teatro Nuovo di piazza San Babila perché coloro che pagavano solo l'entrata non avevano diritto al guardaroba... Molti anni fa. Non so se si usi ancora...
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G.P.

 


 

Sonatina per pianoforte in tre tempi

 

20 giugno 2016
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Ho trovata la Sonatina concentrata nelle dimensioni ma con un deciso senso della forma, con tre movimenti (o momenti) ben delineati, ciascuno dotato di un proprio carattere. Nel complesso, e continuando a usare parole del linguaggio comune, la trovo interessante nella sua "spigolosità", ma anche sapida e - per quanto io non sia un pianista - con una bella idea di dialogo tra le due mani. Però mi dicevi in una precedente mail che trovi difficile comporre efficacemente per pianoforte. Perchè? Qui non sembri affatto a disagio...
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N.P.

 


 

 

Dilla, Dilla la nota d'oro

 

15 Feb 2017
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Ho riascoltato la tintinnabulante "Dilla. Dilla, la nota d'oro" tenendo sotto gli occhi il testo di Alba festiva. La tua musica sa farsi guidare dalla magia di Pascoli, dal suo saper arrivare con tocco leggero al tragico della vita. E poi l'onda, solitamente associata all'acqua e al mare, che qui invece "pende dal ciel, tranquilla", certo, è un onda sonora...
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N.P.

 


 

 

Chiù


22 Febbbraio 2017
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Ho ascoltato, riascoltato e gustato "Chiù", che mi è piaciuto proprio. Ovviamente le tue spiegazioni (o riflessioni a margine) sul tuo comporre, come sempre accade quando le parole sono ricche di contenuto e non chiacchiere, orientano la comprensione, la arricchiscono e la guidano aiutando a fissare l'attenzione su certe cose. Ma poi, e questo è misterioso quanto affascinante, la musica entra in chi ascolta e si mette in risonanza con un telaio di esperienze che è proprio dell'ascoltatore – e che necessariamente non coincide in tutto con quello del compositore. Per esempio, il verso del chiù, che tu presenti come suono naturale o suono concreto alla Schaeffer (ho letto anche le belle osservazioni di Lanza) a me ha richiamato subito (prima ancora di leggere le tue note) quello che gli informatici chiamano "glitch", che significa più o meno rumore o disturbo; insomma un errore generato dal sistema, come quando il raggio laser non riesce a leggere correttamente la superficie del compact disc e la musica "alta" viene interrotta da un… chiù. Ecco, il "tuo" chiù, sullo sfondo di quei glissati avvolgenti degli archi, sembra davvero un'interferenza, un suono misterioso che arriva dallo spazio interstellare. Questa non era probabilmente la tua intenzione nè Pascoli poteva immaginare i rumori dell'informatica. Ma assiolo o glitch che sia, è comunque un suono diverso, che si staglia sugli altri carico di mistero. Mi pare che ci stia, nel contesto della musica e della poesia. Che cosa ne pensi?
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N.P.

14 marzo 2017
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Concordo pienamente su queste tue osservazioni che riguardano, in fin dei conti, la creatività dell'ascolto. Io credo che questa creatività esista nella ricezione dell'arte in genere, ma nella musica essa si presenti in modo più accentuato proprio per il fatto che in essa si dice molto e si dice nulla. A sua volta ciò che viene detto su un brano musicale - tu lo sai meglio di me - anche una semplice informazione, può cambiare l'angolatura dell'ascolto. In quanto mi scrivi, è interessante il fatto che tu ritieni che attraverso la "fantasia musicale" che io propongo la voce dell'assiuolo risulti "carica di mistero". Questo mi colpisce: questa parola "mistero" è una delle chiavi (non la sola!) che guidano la fantasia poetica di Pascoli.
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G.P.