Il testo "Intorno alla metafisica" deriva da un gruppo di lezioni svolte all’interno di un corso tenuto nell’inverno 1983-84 all’Università degli Studi di Milano dedicato ad una "Introduzione alla filosofia". Esso consta di due parti: I. Metafisica e Grandi Eventi - II. Due esempi per illustrare l'idea di metafisica. Quest'ultima parte è articolata in due sezioni, una dedicata a Leibniz, l'altra a Heidegger. Il file pdf con questo titolo raccoglie il testo unitariamente.

1984


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Intorno alla metafisica


I. Metafisica e Grandi Eventi



1. In un’introduzione alla filosofia, e soprattutto là dove si parla delle questioni ultime di cui essa si occupa, puoi forse passare sotto silenzio l’idea di metafisica? Certamente no! Si avvertirebbe in tal caso un’enorme lacuna. Solo che non sono certo di essere adatto ad assolvere questo compito in modo adeguato. Non vi sono portato. Inclino infatti ad occuparmi delle oscurità che si può sperare possano essere chiarite, piuttosto che di quelle che si presentano sin dall’inizio come insolubili enigmi.

2. Tuttavia potrei tentare, correndo molti rischi, di abbozzare una traccia che mostri in che modo si pervenga alla posizione del problema, cercando così di delinearlo secondo uno stile semplice e piano, come si richiede ad un discorso destinato ai principianti nella filosofia. Tuttavia per comprendere l’idea di metafisica, o meglio, le possibili idee che si possono riunire sotto questo nome, occorre soprattutto andare ai grandi testi: cosicché la mia esposizione si completerà con due esempi importanti, con riferimento a due scritti molto brevi di cui cercheremo di illustrare sommariamente il contenuto.

3. A me sembra che se ci poniamo il problema dell’emergere degli interrogativi che portano ad un pensiero metafisicamente orientato, si possano individuare due percorsi, due strade apparentemente diverse, che hanno tuttavia un significativo punto di congiunzione.

4. Il primo percorso prende le mosse dalla nozione di interesse conoscitivo. Non è affatto necessario, in rapporto ad essa, che si pensi subito a quell’organizzazione complessa di interessi conoscitivi e di metodi per la loro realizzazione che è la scienza stessa. È sufficiente rilevare le peculiarità dell’interesse conoscitivo rispetto agli interesssi nei quali siamo assorbiti nella vita di ogni giorno. Se consideriamo le cose che ci stanno intorno o gli accadimenti tra i quali si muovono le nostre azioni, dobbiamo anzitutto mettere in rilievo che non si tratta soltanto di cose, e nemmeno gli accadimenti sono accadimenti puri e semplici. Essi sono invece intessuti in una complicata rete di intenzioni dirette e indirette, di interessi espliciti o impliciti, che provengono dal nostro essere coinvolti nella situazione.

5. Le cose che ci stanno intorno. Gli eventi che accadono intorno a noi. Forse dovremmo dare a questa espressione «intorno» un senso molto ricco: non un senso soltanto locale o temporale, ma come un’espressione nella quale si addensa una vera folla di rimandi soggettivi. Noi siamo il centro di questo «intorno» - da esso si irraggiano tensioni che a questo centro poi fanno ritorno come riflessi da una superficie lucida, anzi: come se emanassero da essa. Vi è invece un interesse conoscitivo quando, nella misura del possibile, tutte queste tensioni passano in secondo piano, e nessun altro interesse è realmente attivo. Un «intorno» non esiste più: non c’è più nemmeno un centro soggettivo. C’è soltanto qualcosa che accade ed anche il soggetto che si interroga su ciò che accade è - deve essere - dimentico di sé.

6. Quando l’interesse conoscitivo non è dominante, l’accadere è sempre un accadere per me. Non certo nel senso che accade a mio favore o per mia colpa: per me nel senso per cui io posso dire che in quell’accadere io sono coimplicato. Quando invece l’interesse conoscitivo diventa dominante, l’accadere tende a diventare un puro e semplice accadere.

7. Il puro e semplice accadere inteso come correlato di un interesse conoscitivo vogliamo chiamarlo evento.

8. Nel senso di queste considerazioni vi è l’idea che un interesse conoscitivo non solo si pone di fronte ad un evento e lo interroga, ma costituisce l’evento in quanto evento. L’interrogazione assume poi la forma di una ricerca di connessioni. L’evento sarà anzitutto considerato nella sua singolarità, nei momenti di cui esso è composto. Possiamo descrivere ciò che accade così come descriviamo una cosa e le sue parti; in rapporto ad essa facciamo delle constatazioni. Ma poi l’interesse conoscitivo procede oltre: non si accontenta della constatazione. E comincia a chiedere: perché questo? Comincia a chiedere spiegazioni intorno all’accadere dell’evento.

9. Un evento è tanto più inesplicabile quanto più rimane privo di relazioni con altri eventi. Vi è una connessione tra lo spiegare e il porre in relazione. Spiegare lo possiamo intendere in senso più o meno forte. In senso particolarmente forte, il «perché» che chiede una spiegazione esige che si indichi una causa. Ma si può anche intenderlo in un senso più debole come richiesta di situare l’evento all’interno di una rete di relazioni, in un’accezione lata del termine. «Non trovo la spiegazione di questo fatto» significa allora: non so stabilire alcuna relazione tra questo fatto ed altri, non so stabilire un contesto che riporti il fatto accaduto dentro la comprensibilità di una relazione. Un interesse conoscitivo comincia con constatazioni ed accertamenti per spingersi poi verso le spiegazioni. Si tratta allora di connettere, collegare, concatenare. Alla lontana si intravvede il grande obbiettivo di fare del caso singolo l’esempio di una legge.

10. Ora, su questo terreno di astratta generalità, dobbiamo essere disposti a fare un passo che ci porta al nostro obbiettivo. Nulla, beninteso, ci obbliga a questo passo. Si tratta di accettare che abbia senso la finzione di un interesse conoscitivo interamente soddisfatto, quindi di una conoscenza totalmente compiuta - una sorta di punto terminale dello sviluppo degli interessi conoscitivi. Il mondo stesso è ora una totalità interamente dispiegata delle connessioni degli eventi che lo costituiscono. A questo punto si pone con tutta la sua forza, con tutta la sua paradossalità, ciò che vogliamo chiamare «problema metafisico».

11. Abbiamo raggiunto la situazione nella quale tutte le domande hanno ricevuto una risposta. Il senso di questa finzione sta nel mostrare che dopo di ciò è forse possibile, o addirittura necessaria, una domanda ulteriore. Forse è possibile ancora riproporre, proprio nel momento in cui l’interesse conoscitivo sembra aver raggiunto la propria mèta, l’interrogativo: «Perché questo?» - Questo, che cosa? Ma il mondo: naturalmente. La totalità stessa.

12. In realtà ci troviamo di fronte ad un sorta di ingorgo intellettuale da cui potremmo probabilmente sottrarci in un colpo solo. Ma ci diamo tempo, non abbiamo fretta, indugiamo un poco nel luogo della confusione, perché proprio nei luoghi della confusione ama indugiare la filosofia. L’ingorgo sta in questo: non sembra che vi siano difficoltà al pensare astrattamente ad un inizio assoluto del processo conoscitivo. Questo inizio consiste in quella prima volta in cui di fronte ad un fatto qualunque avviene quell’obbiettivazione che fa di esso un evento e che conduce alla domanda «Perché questo?». Quando tuttavia il pensiero relazionante si è messo in moto, esso non incontra alcun punto in cui è costretto ad arrestarsi. Una risposta propone nuove domande, ed ogni domanda sorge da risposte anteriori. L’ingorgo sorge dal postulare da un lato la possibilità di una conclusione assoluta del processo, dall’altro la possibilità di una domanda in più. Abbiamo la sensazione che vi sia qui qualcosa di simile ad un paradosso - e che comunque questo passo comporti una rottura piuttosto che una continuità. In realtà dovremmo richiamare l’attenzione su questo punto: la domanda ulteriore, la domanda in più non avviene dentro il processo delle domande, non appartiene alla loro concatenazione. Questa domanda che vogliamo chiamare «metafisica» viene dopo l’ultima domanda. Per il filosofo orientato in senso metafisico non vi è alcun dubbio che vi sia, dopo l’ultima domanda, una domanda ulteriore. Questa è in certo senso la sua presa di posizione fondamentale. Il fatto poi che la domanda ulteriore rappresenti una rottura piuttosto che una continuità rispetto alla catena delle domande, consente al filosofo metafisicamente orientato di far notare che la finzione di un interesse conoscitivo interamente soddisfatto è appunto solo una finzione, al più utile a scopi illustrativi e introduttivi. Il punto essenziale non sta infatti nel negare che nella scienza si dia un progresso infinito, ma piuttosto nell’asserzione che qualunque siano i progressi compiuti in esso, non vi sia una risposta a quella domanda per il semplice fatto che, lungo questo percorso, la domanda stessa non può affatto essere incontrata.

13. Perché questo? Ma questo, ora, non è affatto un evento. Tutti gli eventi avvengono nel tempo e nello spazio del mondo. E che cosa è allora? Io vorrei darvi una risposta, vorrei dire: ciò su cui si interroga la domanda metafisica è l’evento in grande: io lo chiamerei il Grande Evento - il Grande Evento del Mondo.

14. Non voglio dire che esistano dei piccoli eventi e dei grandi, come se «grande» significasse qualcosa di simile a «molto importante». Intendo invece alludere ad un radicale mutamento di piani. Esso avviene con una continuità apparente, quasi si proseguisse con naturalezza un filo conduttore che ci dovrebbe necessariamente portare a questo punto. Cominciamo con il porre le nostre domande conoscitive sugli eventi e le portiamo idealmente al loro completo sviluppo. Sembra poi che ci si debba coerentemente proporre il problema del «perché» della totalità. Seguendo questa via, il problema metafisico verrebbe proposto come un’integrazione necessaria del processo del conoscere, sembra cioè che esso tragga la sua legittimità dalle stesse istanze conoscitive. Nella tradizione filosofica talvolta questa relazione è assunta come ovvia: si tratta di procedere oltre la scienza, ma nello stesso tempo non in una sorta di gratuito distacco da essa, ma in una coerente prosecuzione degli interessi conoscitivi che stanno alla sua base.

15. Ma accade anche che venga accentuata la rottura. La parola «metafisica» che si è caricata di sensi tanto profondi, a quanto sembra, ha una origine piuttosto banale. Essa è dovuta all’ordinamento materiale delle opere aristoteliche, nel quale si chiama in questo modo l’opera che segue (meta/ = dopo) quella intitolata «fisica». Tuttavia questo «dopo» ha finito con l’assumere un senso concettuale, indicando un trovarsi «oltre» per quanto riguarda la scala dei problemi. Dunque - metafisica: ciò che sta al di là della fisica, assumendo quest’ultimo termine come rappresentativo della scienza del mondo. Oltre la scienza del mondo - e quindi oltre la scienza tout court. Per accedere ad essa occorrono altri mezzi. Ed anche questi mezzi debbono comunque configurare un sapere, qualunque sia il modo di caratterizzarlo.

16. Vi è in ogni caso un tema che permane lungo tutto questo percorso. Si tratta del tema del distacco della soggettività che deve liberarsi dalla propria coimplicazione con gli oggetti che debbono essere conosciuti - come ci siamo precedentemente espressi, la soggettività deve in qualche modo diventare dimentica di sé come soggettività particolare e determinata. Tanto più questo tema si ripresenta, ed anzi si appesantisce in rapporto al Grande Evento del Mondo. La soggettività viene schiacciata dal Grande Evento proprio perché essa è costretta, per coglierlo, ad uscire dal proprio centro e diventare un’astrazione evanescente. Il modo in cui prende forma il problema metafisico, secondo questa prima via, è coerente con il venire meno dell’«intorno» dell’io e dell’io stesso a partire dal quale si costituisce la nozione di evento.

17. Ma proprio a questo punto possiamo accennare ad una possibile seconda via, ad un diverso modo di approccio al problema metafisico. Ora dobbiamo infatti riconsiderare più da vicino proprio la centralità dell’io, il fatto che gli eventi del mondo si dànno anzitutto come eventi per me, con connotazioni soggettive particolarmente intense. In realtà, l’io non può uscire dal proprio centro, per il fatto che la centralità non è un attributo che gli si aggiunge: l’essere-io coincide con il suo essere-centro del proprio intorno. Certo io potrei immaginare di guardare alla totalità del mondo dislocandomi fuori di esso, come se fossi salito molto in alto, al di là del mondo e sopra di esso... la mia vita mi apparirebbe allora, con tutte le mie personali vicende, un frammento trascurabile di cui è ben difficile trovare la minima traccia nell’insieme degli eventi del mondo. Ma è certo che questo modo di concepire la mia vita, che esige dislocazione e decentramento, non appartiene certo all’esperienza vissuta che noi abbiamo di noi stessi. La seconda via di accesso al problema metafisico chiama in causa proprio la dimensione del vissuto: io stesso, non il mondo come totalità visto dall’alto e dal di fuori, ma il mondo visto dal di dentro, come orizzonte delle mie azioni, come circonferenza di un cerchio di cui occupo il centro.

18. Questa esperienza della centralità tuttavia non è sempre in primo piano. Quando esco all’aperto a passeggiare so benissimo che sono io che passeggio nel mondo, e non il mondo che mi passeggia intorno. Eppure mentre sono per istrada potrei dire a me stesso: ora il mondo mi ruota intorno. Potrebbe trattarsi di una sorta di esercizio filosofico per fare emergere quell’esperienza della centralità, per sperimentare l’idea che il mondo è sempre una «prospettiva di mondo» di cui io sono «punto di vista». Potremmo allora forse avere la sensazione che quella frase, nonostante la sua stravaganza, in qualche modo abbia una sua tenuta.

19. La tematica della centralità dell’io potrebbe essere sviluppata in direzioni diverse. Essa non conduce affatto, obbligatoriamente, alla posizione del problema metafisico. Affinché ciò avvenga occorre esasperare questa centralità, mettendola a confronto proprio con l’idea di una vita annegata nella totalità del mondo. Questo confronto è un urto: che relazione può esservi tra la mia vita, vista dal di dentro, in cui ogni momento minimo è parte integrante e significativa della mia storia, e l’idea di una vita come segmento infinitamente piccolo di una retta infinita?

20. Gli estremi di questo segmento rappresentano la mia nascita e la mia morte. Da un punto di vista decentrato che guarda alla totalità degli eventi, questi estremi sono naturalmente dei punti di congiunzione. Essi congiungono gli eventi della mia vita con gli eventi del mondo. Per me sono invece disgiunzioni assolute. Una volta sono sbucato al di dentro, e prima o poi sbucherò al di fuori. Fra gli estremi intesi così, la mia esistenza è una totalità compiuta e chiusa in un senso non troppo diverso da quello per il quale potevamo dire in precedenza che era una totalità chiusa e compiuta il mondo stesso. La visione della congiunzione riporta e dimensiona gli eventi della mia vita agli eventi del mondo, mentre la visione della disgiunzione può generare un completo ribaltamento e ripresentare l’evento infimo che io stesso sono nella totalità compiuta della storia del mondo, e fare apparire questo evento esso stesso come un Grande Evento.

21. La soggettività di cui si parla non è più la soggettività rarefatta che contempla un mondo compiuto, ma è la soggettività di ciascuno, con le sue particolari determinazioni, che vive entro una spazio-temporalità definita, la soggettività che nasce e che muore. In questo modo si chiarisce anche la connessione tra la metafisica e la morte. Essa è mediata dal tema del Grande Evento. Infatti non si tratta soltanto dell’inquietudine della scomparsa, dell’angoscia della morte come ciò che ci separa dalla luminosità della vita; ma ancora prima, del fatto che la disgiunzione proietta sulla vita stessa lo scioglimento da ogni legame e dell’accentuazione che deriva di qui dell’unicità e dell’irripetibilità di ogni suo istante. Questa irripetibilità e l’unicità assoluta che vi è connessa fanno parte della grandezza dell’evento.

22. Questo pensiero dell’irripetibilità, dell’assolutezza, dell’io stesso come Grande Evento non è certo un pensiero da cui siamo assillati ogni giorno. Non appartiene ai pensieri delle quotidianità. Esso sorge quando viene messo sotto il fuoco dell’attenzione filosofica. Questo fuoco spesso surriscalda i problemi. Come in precedenza, anche questo percorso verso la metafisica richiede esasperazione ed enfatizzazione. Io so benissimo, sono assolutamente certo che, a parte il mio nome che mi sta addosso per puro caso e che potrebbe stare addosso a qualcun altro a mia insaputa, non c’è in nessuna altra parte dell’intero universo un altro come me, un altro me. E di questo non mi dò affatto pensiero. Anche tu sai questo, e non te ne dài affatto pensiero. Se mai può diventare inquietante e conturbante proprio la circostanza che vi sia da qualche parte qualcosa di simile ad un mio doppio. Già l’idea di un altro che porti il mio stesso nome mi dà un leggero senso di fastidio e ancor più quella di incontrare per strada un tale che ha esattamente il mio aspetto: l’idea infine che questo sosia possa essermi tanto vicino da fare all’incirca le cose che faccio o che vorrei fare - l’idea dunque che un altro non sia veramente un altro, ma un altro me, è sconvolgente (ed avverto anche che si tratta di un’idea assurda). L’unicità ci rasserena, la doppiezza ci sconvolge - mentre dovrebbe forse essere rasserenante proprio l’esistenza di un doppio, di un triplo, di un quadruplo, anzi di una molteplicità infinita di me stessi, in modo da sentirsi affidati ad una molteplicità nella quale avremmo il vantaggio di non sentirci troppo peculiari. A sua volta il solo pensiero che non esista nemmeno un altro me nell’immensità dell’universo, può diventare motivo di massima inquietudine filosofica. Quando siamo entrati in dilemmi come questi siamo ormai già immersi in una riflessione metafisica ai suoi inizi.