Pubblico qui, in versione resa leggibile, gli appunti redatti in preparazione ad un corso tenuto nell’inverno 1983-84 all’Università di Milano che si proponeva di realizzare una «introduzione alla filosofia». Si tratta degli appunti relativi alle prime lezioni del corso.

Edizione digitale: anno 2001

icon Appunti per una introduzione alla filosofia (80.71 kB) (pp. 22)

 



Giovanni Piana

 

Appunti per una introduzione alla filosofia


 

I. Gli edifici delle scienze e la filosofia

II. Generalità della filosofia

III. La filosofia e la confusione

IV. Filosofia e modo di pensare

V. Le ragioni della filosofia

VI. Che cosa è un problema filosofico

VI. Che cosa sono le questioni ultime

(1983)



 

I. Gli edifici delle scienze e la filosofia

1. Introdurre alla filosofia non dovrebbe essere molto diverso, né molto più facile né molto più difficile, che introdurre ad una disciplina scientifica qualsiasi - la matematica o la fisica, la psicologia o la sociologia. In ogni caso è questo il modello a cui subito si pensa. Una disciplina scientifica ci sta di fronte come un grande edificio che noi ora vediamo solo dall’esterno, dalla strada. Si tratta di un edificio - lo sospettiamo già dalla sua mole - che certamente deve avere un numero enorme di stanze e di stanzine, di corridoi, di scale e scalinate che portano in ogni dove; un numero enorme di soffitte e di cantine. Per qualche motivo in questo edificio desideriamo entrare. Anche soltanto per dare un occhiata al suo interno. Per avere un’immagine sommaria di esso.

2. Mediante un’introduzione ci attendiamo di essere condotti dentro il grande atrio; e che ci vengano mostrate almeno alcune scale con qualche indicazione approssimativa dei luoghi a cui conducono. Ci auguriamo anche che ci venga proposta una schematica piantina nella quale siano indicate le sale più notevoli e i modi di arrivarci. In ogni caso, la guida che ci accompagna farà bene, prima ancora di farci varcare l’uscio, ad invitarci a rimirare la facciata, che lascia intravvedere le suddivisioni interne; ed anche a condurci in giro intorno al grande edificio per mostrarci in che modo esso è delimitato e il luogo che occupa all’interno della città.

3. L’edificio e la città. Queste immagini potrebbero accompagnarci per un certo tratto ed aiutarci a proporre i nostri pensieri.

4. Un edificio è un’organizzazione ed un’articolazione dello spazio che viene più o meno ordinatamente suddiviso. Devi tuttavia pensare, in questo caso, ad un edificio la cui costruzione presumibilmente non avrà mai fine, ad un edificio in divenire, nel quale intervengono sempre nuovi progetti che lo ampliano abbattendo o modificando le parti più antiche. Così una disciplina scientifica presenta una articolazione e organizzazione interna delle conoscenze, che sono distribuite secondo connessioni di vario tipo ed il fatto che intervengano progetti teorici sempre nuovi ha come conseguenza una mobilità nella disposizione delle conoscenze e dei loro contesti, benché in questo sviluppo si mantenga pur sempre un ordine interno. Devi notare anche che in questa continua riedificazione, in questa progettazione che sempre si rinnova e che riprospetta il quadro delle conoscenze in un costante aggiornamento, le cianfrusaglie del passato vengono portate nelle soffitte e cantine dove potranno essere dimenticate - senza rimetterci troppo, forse. Il passato è consumato, portato via. Le conoscenze acquisite sono a disposizione finché non saranno modificate e corrette, e non importa nulla, o ben poco, quando siano state acquisite e quale sia la vicenda che ha portato alla loro acquisizione. La scienza è sempre scienza del giorno. Beninteso: le vicende narrate dalla storia della scienza non sono aneddoti: esse mostrano i difficili percorsi di una conoscenza in cammino. Solo che quando si manifesta un interesse per esse, possiamo sospettare la presenza di impulsi filosofici. In una prospettiva storica si infrange la rigidità dei concetti manualizzati ed è come se in essi si ricominciasse a pensare.

7. Il rapporto della filosofia con il tempo è molto più intricato. Essa è sempre invischiata con il presente e con il passato: traccia i propri cammini trascorrendo dall’uno all’altro, disordinatamente. E li percorre sognando il futuro. Talvolta sembra giocare con la dimensione temporale. La storia di un problema è per essa della massima importanza. E tuttavia può a buon diritto proporre un problema come se esso fosse senza storia. Accade anche che si faccia carico delle urgenze del presente, intervenendo in esso aggressivamente. Ma talora sembra di esse del tutta dimentica, come perduta in un dormiveglia senza tempo.

II. Generalità della filosofia

1. Un’introduzione alla filosofia dovrebbe cominciare con una definizione di essa? La definizione potrebbe essere più d’una. Anzi, si potrebbe andare a caccia delle definizioni che potremmo eventualmente trovare negli scritti dei filosofi. Ma è chiaro che, all’inizio, da principianti qual siamo, non potremmo comprenderle e valutarle nel loro senso effettivo, e d’altra parte esse traggono questo loro senso dall’integrazione in orientamenti di pensiero profondamente differenti. Forse sarebbe come andare in giro a chiedere alla gente l’indirizzo di un palazzo la cui esistenza è fin dall’inizio molto dubbia. Potremmo allora ricevere le risposte più varie. Qualcuno ci manderà dalla parte dei palazzi delle scienze. Altri invece suggeriranno di ricercare in prossimità della zona dei templi; altri ancora in prossimità dei giardini delle arti. Oppure verremo rinviati tra le rovine dimenticate della città antica. Può persino darsi che in questo girovagare ci imbattiamo in un edificio con una grande scritta sulla facciata - Filosofia - con stanze, scale e uffici, e tanto di funzionari affaccendati nel suo interno. In tal caso si suggerisce la massima prudenza. Potrebbe trattarsi di un grosso imbroglio. O quanto meno: non vi è nessuna garanzia di essere arrivati al posto giusto, tutto resta ancora sfuggente, la filosofia forse qui una volta c’era, forse c’è ancora, chissà - forse è presente di passaggio, qui e là, e bisogna essere molto lesti per coglierla al volo.

2. Una definizione della filosofia non deve essere nemmeno cercata. Dobbiamo invece prendere posizione. Le definizioni dei filosofi sulla filosofia sono anzitutto prese di posizione; ed anche chi ha la pretesa di introdurre alla filosofia deve fare altrettanto. Deve esporre la propria presa di posizione intorno a ciò che egli ritiene siano gli scopi e i limiti della riflessione filosofica. Quindi non vi è un’area tematica riconosciuta e chiaramente delimitata e circoscritta che potremmo indicare come area di competenza di questa «disciplina».

3. Tutta la tradizione del pensiero filosofico è permeata dall’idea della generalità della filosofia. Molti reagiscono con fastidio a questa vecchia idea, che è diventata per lo più un bersaglio polemico. Dunque al filosofo si può consentire di parlare di tutto? È forse un esperto in tuttologia? Oppure egli si trova così in alto da poter vedere - e giudicare - ogni cosa da un punto di vista superiore? Molti filosofi a loro volta ambirebbero passare per specialisti e farebbero l’impossibile per sembrare tali.

4. Io penso invece che questa idea della generalità della filosofia debba essere apertamente rivendicata. Per riprenderla sensatamente occorre tuttavia tagliare il nodo con la pretesa che attraverso la filosofia si possano ottenere conoscenze «vere e proprie», dello stesso tipo di ogni altra disciplina scientifica, e tanto meno conoscenze di ordine superiore. Il filosofo deve rivendicare la propria libertà di spaziare nella riflessione in lungo e in largo: la generalità della filosofia fa tutt’uno con questa libertà. Ma ciò non significa che ai suoi discorsi corrisponda un apporto conoscitivo effettivo. Essi potranno poi essere persino senza metodo oppure potranno forgiarsi un metodo proprio, del tutto particolare, o ancora avvalersi di una pluralità di metodi. Anche nella scienza si fa valere una pluralità di metodi, ma la questione del metodo si pone comunque in modo differente per il solo fatto che l’obbiettivo della ricerca scientifica è in ogni caso delimitato a sufficienza dal titolo «conoscenza».

5. Un problema filosofico ed un problema scientifico si possono certamente trovare l’uno nell’altro. Storia della scienza e storia della filosofia fanno parte di un’unica storia del pensiero. E tuttavia in una considerazione di principio occore mantenere una distinzione piuttosto netta. In ogni disciplina scientifica si tende ad uno scopo conoscitivo, e non in una vaga generalità, ma all’interno di un campo ben determinato e circoscritto. Questo campo non ha bisogno di essere concepito come un campo chiuso: può ben trattarsi di un campo che si estende sempre più, che entra in forme di relazioni particolarmente complesse con altri campi, in una continua mobilità dei confini. Si tratta tuttavia di una mobilità che può sempre essere fissata nella sua più recente configurazione. Detto in modo ancora più semplice: se ci accingiamo ad entrare nell’edificio di una scienza sappiamo già fin dall’inizio in che senso ci dobbiamo considerare principianti, sappiamo che dovremo apprendere l’impiego di svariate tecniche, acquisire cognizioni ed informazioni, imparare a conoscere le teorie più aggiornate che sono state proposte per fornire spiegazioni ed operare connessioni all’interno di quel campo. Tutto ci deve essere insegnato, e noi siamo lì per apprendere. Invece la filosofia non ha da insegnarci nulla.

III. La filosofia e la confusione

1. Qual è dunque la tua presa di posizione intorno alla filosofia? Con delimitazioni puramente negative si comincia certo a intravvedere qualcosa, ma in modo indeterminato e largamente equivoco. Il loro senso effettivo può essere frainteso. Cominciamo dunque ad abbozzare una risposta avviando una riflessione su una duplice opposizione molto elementare, che è tuttavia in grado di mostrarci una via.

2. Noto si oppone ad ignoto, chiaro si oppone a oscuro. Nell’uso comune di questi termini può accadere che i loro significati si sovrappongano. Tavolta si dice: «Io sono all’oscuro di questo», e ciò significa «la tal circostanza mi è ignota». Quando diciamo: «Questo mi è noto», «Questo lo so» può essere che vogliamo dire la stessa cosa che «Sono perfettamente in chiaro su questo punto». Ma vi sono anche contesti in cui queste coppie di termini stanno distintamente l’una di fronte all’altra. La soluzione di un problema o la procedura per risolverlo non mi è nota, ma i suoi termini potrebbero essere per me perfettamente chiari. Potrebbe tuttavia accadere che i termini del problema siano confusi e che si richieda una loro chiarificazione preliminare per la ricerca di un metodo per la sua soluzione.

3. Parlando di qualcosa di oscuro si intende un oggetto in penombra che si intravvede appena, i cui contorni appena afferrati subito si perdono. La possibilità di uno scambio tra oscuro e ignoto è data dalla possibilità di considerare l’oscuro come se fosse semplicemente il buio. Il buio è mancanza completa - e così «non so» indica la mancanza di una informazione. Per marcare la differenza potremmo pensare alla condizione del non sapere qualcosa ed a quella del confondersi intorno a qualcosa. Nel primo caso è come se andassimo alla ricerca di un oggetto in una stanza e non lo trovassimo affatto. Vi è una situazione più chiara e distinta di questa? La cosa ricercata non c’è. Nel secondo è come se, entrando in una stanza ricercando un oggetto, la trovassimo immersa nella penombra ed in un disordine tale da rendere difficile la sua identificazione. Noi lo cerchiamo con gli occhi, ma le cose che ci stanno di fronte ci appaiono sfuggenti, l’una rifluisce ambiguamente nell’altra ed in questa situazione ci sentiamo profondamente implicati. La confusione può cominciare dalle cose, ma poi ci investe, ci avvolge, ci trascina. Come quando, entrando in una stanza tutta sottosopra, ci sentiamo a disagio come se noi stessi fossimo sottosopra.

4. Io credo che la filosofia abbia a che fare anzitutto con la confusione. E mi approprierei, facendola tutta mia, di una frase di Wittgenstein che perentoriamente dice: «Un problema filosofico ha la forma: non mi ci raccapezzo». (Ein philosophisches Problem hat die Form: «Ich kenne mich nicht aus» - Ricerche Filosofiche, oss. 123).

5. In questa frase mi sembra di poter cogliere anche un versante che riguarda una profonda inquietudine soggettiva, come se essa descrivesse uno smarrimento che può investire la nostra stessa esistenza. All’improvviso ci troviamo per strada e ci rendiamo conto di non riuscire più a ritrovare la via di casa, di essere incerti sulla direzione verso cui proseguire il cammino - la città in cui abbiamo sempre abitato ci appare ora come una «selva oscura».

7. Supponiamo ora che ci si pari dinanzi il grande edificio della Filosofia. Di fronte alla porta, il Guardiano della Filosofia ci interroga e chiede:

- Perché mai desideri entrare qui?
- Il fatto è che, giunto a questo punto della mia esistenza, non riesco più a raccapezzarmi.
- Allora sta bene. Puoi entrare. Conclude il Guardiano.
(L’edificio subito scompare)

8. La scomparsa dell’edificio serve soprattutto da ammonimento. Non pensare che vi sia una dottrina che ti ammaestri intorno alla via, che la filosofia sia illuminante e che là dentro ci sia la luce. O che vi possa essere un segreto che ti verrà rivelato. Voglio solo sottolineare ciò che a me sembra giusto esigere dalla filosofia, e che nello stesso tempo corrisponde, io credo, alla sua vocazione più profonda.

IV. Filosofia e modo di pensare

1. Questa è intanto una nostra prima presa di posizione. Sullo sfondo di quell’inquietudine, di quella possibilità di perdita e di smarrimento di cui abbiamo parlato or ora, la filosofia vorrebbe mostrarti una strada.

2. Prima dello smarrimento c’era peraltro un solido «modo di pensare». Questa espressione ci può certamente interessare in queste considerazioni iniziali sulla filosofia. Ad essa vorremmo dare la massima pregnanza possibile.

3. La nostra esistenza è fatta di esperienze del genere più vario, di stili di comportamento, di azioni e di decisioni. E dietro ogni nostra mossa - di questa unica personale partita a scacchi di cui non possiamo per principio conoscere la tecnica - vi è un «modo di pensare». L’interesse di questa espressione sta nel fatto che quando la si impiega non si allude affatto a qualche pensiero determinato. Meno ancora ad un pensiero che si pensa sul momento, a qualcosa che sia il risultato di una riflessione.

4. «Io non la penso così!». Ciò può semplicemente significare: «Su questo punto non sono della tua opinione». Ma il senso potrebbe essere più ampio e fondamentalmente differente. Forse vogliamo dire: una simile opinione è esclusa dal mio modo di pensare.

5. È come se il mio cervello avesse una certa inclinazione, qui e là qualche avvallamento, piuttosto che una piccola gobba. Io sono fatto così. Il modo di pensare non è dunque un piccolo sistema di idee secondo il quale la mia testa è organizzata, un complesso di opinioni dal quale viene di volta in volta estratta una opportuna norma del giudizio. Il mio modo di pensare c’è, così come ci sono io stesso. Da dove venga non me lo sono mai chiesto, nè mi sono mai chiesto di quali pensieri esso consti.

6. Un modo di pensare lo possiamo cogliere non solo da un giudizio o da un’opinione esplicitamente formulata, ma anche da un modo di agire, da un modo di parlare, da un comportamento. Il modo di pensare trova mille strade per manifestarsi, ed un unico modo di pensare si può manifestare non solo in occasione delle grandi decisioni, ma in tutte le minuzie della vita corrente.

7. Ma donde viene il mio modo di pensare? Il modo di pensare viene inculcato. Devi sapere che, mentre credi sia esattamente il tuo, strettamente collegato con la tua personalità al punto da fare corpo con essa, esso proviene invece dall’esterno - e da dove altrimenti se non dal costume, dall’educazione ricevuta, dalla tradizione, dalla religione? Attraverso vari mezzi viene inculcato un orientamento. Le motivazioni, la precisione dei pensieri, la loro validità o non validità - tutto ciò ha ben poca importanza rispetto al fatto che, con le buone o con le cattive, ti verrà insegnato a camminare. Vi è una necessità in tutto questo. Si deve superare lo smarrimento originario del venire al mondo - devi imparare a reggerti sulle tue gambe, e poi nell’età adulta devi decidere dove andare. A questo ti aiuta per qualche tratto la cultura della tua gente. Un modo di pensare si ricollega ad una cultura, ed in questa c’è etica, morale, religione, storia, sapere, tradizione.

8. Come filosofi principianti abbiamo deciso di abbandonare la casa in cui siamo nati, ed anche il quartiere in cui essa si trova, con le sue vie, e le sue abitudini ben note; ed ora vaghiamo nella grande città, nella quale corriamo il rischio di smarrirci. Nessuno può diventare principiante della filosofia se non si allontana dalla sua gente, per intraprendere il cammino nel vasto mondo.

10. La filosofia ha a che fare con il modo di pensare. Nella crisi del modo di pensare, mostra delle possibili vie di uscita. Ma proprio per questo propone poi, a sua volta, dei modi di pensare. Si dice anche, talora, che la filosofia propone una «concezione del mondo» - la parola tedesca spesso utilizzata è Weltanschauung: letteralmente «visione del mondo». Forse anche si potrebbe tradurre meno letteralmente con «ideologia» - se questo termine non fosse fortemente reso equivoco dalla molteplicità dei suoi impieghi. In ogni caso, modo di pensare, modo di vedere, concezione o visione del mondo, ideologia sono termini che si richiamano l’un l’altro.

11. Filosofia è anzitutto critica delle ideologie inculcate. Nasce di qui. Dall’esigenza di un modo di pensare autonomo. Dalla critica del preconcetto - di ciò che è stato concepito prima di te e senza che fosse sentita la tua opinione. Ed alla fine ti proporrà un modo di pensare - una ideologia, se vuoi usare questa parola nel senso di un patrimonio di idee che è necessario per uno stare al mondo provvisto di senso.

12. Se con ideologia intendi una dottrina già fatta, da mandare a memoria, allora essa appartiene per principio al passato. In essa nulla può essere nuovamente ricreato o ripensato. Tutto è già stato pensato. Tutto è garantito dalle quattro parole della dottrina. Nulla può essere rimesso in questione. Filosofia e ideologia stanno qui l’una contro l’altra.

13. Ma come patrimonio e movimento di idee che risulta da un’attività filosofica in corso, la filosofia si pone in relazione - attraverso questo versante - con la vita stessa, con l’esistenza individuale e dunque, da subito, con l’esistenza sociale - e con la sua determinatezza che si esprime in precise coordinate storico-temporali. Considerare le filosofie del passato dal punto di vista «ideologico» significa aver di mira l’obbiettivo di una comprensione che sia anche in grado di cogliere, oltre il contenuto teoretico, anche quei punti che rivelano una curvatura ideologica. Attraverso di essi è il rapporto con l’epoca che viene in primo piano.

V Le ragioni della filosofia

1. La nostra discussione deve in ogni caso essere un poco più affinata. Sembra infatti che volendo difendere un aspetto dell’attività filosofica che è rivolto, in negativo ed in positivo, al modo di pensare, e negando ad essa una portata conoscitiva autentica, si finisca con il privare questa attività di qualunque dignità teoretica vera e propria. Si potrebbe pensare che la filosofia avrebbe come unico compito quello di costruire visioni del mondo, per il fatto che queste assumono una funzione indispensabile di orientamento degli uomini - e che l’attività filosofica nel suo insieme, anche laddove presenta elaborazioni di particolare complessità, si dissolverebbe nell’assolvimento di una simile funzione. Le elaborazioni filosofiche come «teorie» sarebbero pure apparenze mentre potrebbero valere al più come maschere di concrete istanze storiche. - Ma non è questo che intendo dire.

2. Spostiamo dunque leggermente l’angolatura da cui cogliere il nostro problema. Se, a partire dalle considerazioni precedenti, prendessimo in esame questo o quel progetto filosofico particolare, la nostra attenzione sarà attirata anzitutto dalla forma mentis che in esso si esprime. Forma mentis è un’altra bella espressione particolarmente adatta al nostro contesto. Ogni filosofo importante ha dato forma ad un modo di pensare. Se puntiamo l’attenzione in questa direzione allora non baderemo tanto agli ultimi dettagli, quanto piuttosto all’orientamento che risulta dall’insieme. Anzi, per raggiungere questo scopo, i dettagli potrebbero essere addirittura fuorvianti. In presenza di un’elaborazione particolarmente complessa, potrebbe essere necessario operare una semplificazione che sappia porci di fronte con nettezza le direzioni che essa indica. Queste direzioni non si annunciano dappertutto all’interno di un progetto filosofico, ma diventano evidenti in alcuni luoghi che assumono un carattere cruciale per la loro capacità di rivelarle. Sarà dunque necessario ricercare questi luoghi. Notiamo in margine che la stessa efficacia di una filosofia, cioè la sua capacità di esercitare la propria influenza in ambiti relativamente ampi, è legata alla forma mentis che risulta dall’insieme, piuttosto che derivare da una conoscenza di dettaglio dell’opera di un autore. Nel complesso disegno di un’elaborazione filosofica si coglie essenzialmente la sagoma, ed è a questa sagoma che dobbiamo prestare attenzione se vogliamo cogliere in che modo avvenga l’integrazione di un’elaborazione filosofica con la cultura e quindi con le forme di esistenza di un’epoca.

3. Che vi sia una complessità, una ricchezza di articolazione possibile è dunque sottinteso: un progetto filosofico non ha solo una sagoma. La silhouette esteriore è riempita da un disegno che può essere fatto da una fittissima trama di linee. In rapporto a ciò può trovare persino un buon utilizzo l’immagine dell’edificio che in precedenza ci sembrava ben poco applicabile in rapporto alla filosofia. La sagoma è ora la facciata, ciò che appare del suo contenuto dal di fuori. Ma se riducessimo l’intera elaborazione filosofica alla proposta di un modo di pensare, allora questo contenuto sarebbe relativamente poco importante - e se così fosse diventerebbe dubbia la stessa funzione orientativa della filosofia. Superare il disorientamento non significa semplicemente decidersi in un modo qualunque per una direzione qualunque.

4. Ora ci troviamo all’interno di un labirinto. Si svolta a destra oppure a sinistra. Per quale motivo? La domanda stessa non è lecita. Decido per questa strada, per non stare fermo nel punto in cui mi trovo. Tuttavia potrei tentare - girando di qui e di là - di farmi una idea della struttura del labirinto in modo poi da imboccare una strada, non certo sapendo che essa è quella giusta, ma almeno a ragion veduta.

5. Nella filosofia, la direzione intrapresa deve avere le sue ragioni. Intravvediamo la possibilità di un cammino come una possibilità che ha un buon fondamento.

6. Non appena si parla di validità, di fondamento o di ragioni si pensa subito all’opposizione tra vero e falso, o al più ad una nozione di probabilità che comunque può essere in via di principio esattamente soppesata. Si tratta di un modello che rimanda all’elementarità delle constatazioni: «Qui di fronte a me c’è un foglio bianco». Delle due l’una: o questo foglio c’è o non c’è. O è bianco o non è bianco. Ma questo modello non può valere per le «ragioni» della scienza e meno che mai per quelle della filosofia.

7. È importante che qui si parli di «ragioni». Se pensiamo anche soltanto ad un’espressione come «aver ragione» così come si usa correntemente, ci si rende conto subito di un divario rispetto all’opposizione vero/falso.

8. «Qui di fronte a me c’è un foglio bianco» - io dico. Ed un altro commenta: «Hai ragione!». Ciò suona strano. Avrebbe dovuto dire: «Questo è vero». Oppure, è falso. «Aver ragione» non significa dire una cosa vera. Non si tratta di determinare l’esistenza di un oggetto, ma piuttosto di esprimere opinioni che hanno un buon fondamento. La ragione è il buon fondamento di un’opinione.

9. Così correggiamo e perfezioniamo le nostre affermazioni iniziali. Un legame tra filosofia e le attività propriamente conoscitive vi è certamente. Quel che si negava allora era che la filosofia possa insegnare qualcosa che debba essere semplicemente appreso. Ma ciò non significa che ogni posizione si trovi sullo stesso piano di ogni altra. La filosofia aspira a fornire un orientamento ai nostri pensieri ed a dare ad esso un buon fondamento: perciò deve essere possibile esibire sostegni, mettere alla prova la loro fragilità o robustezza, si debbono poter effettuare confronti, mostrare un’intera costellazione di ragioni.

10. La filosofia non può affatto fare a meno della forza delle argomentazioni. Essa consta di argomentazioni: in un senso ampio che riporta all’addurre ragioni.

11. Il lavoro del filosofo sarebbe del tutto inutile se le ragioni non avessero differenze di peso, se non vi fosse un possibile progresso dei modi di pensare, se l’uno fosse equivalente all’altro. Perciò si dibatte e si discute. La contestazione scettica di queste differenze fa ancora parte del gioco - nella stessa misura in cui interviene nel dibattito e lo anima vivacemente. Chi invece pretendesse realmente di guardare le cose dall’alto vedendo sotto di sé solo un formicolare di ragioni indifferenti, tra le quali nessuna scelta è possibile, si eleva a tal punto al di sopra del dibattito da volar via. Esce definitivamente di scena e non è nemmeno il caso di tentare di richiamarlo al suo interno.

12. La convinzione della buona fondatezza delle proprie posizioni è cosa interamente diversa da un atteggiamento dogmatico. Il vero dogmatismo si manifesta infatti quando a questa convinzione si associa un elemento di potere. L’affermazione di una posizione si può così trasformare in una imposizione - ed allora la discussione non serve a nulla, ma occorre apprestare armi adeguate per una difesa.

VI. Che cosa è un problema filosofico

1. Che il filosofo argomenti è necessario ribadirlo, in particolare di fronte al nesso che abbiamo precedentemente stabilito tra filosofia e Weltanschauung. Si può infatti interpretare questo nesso in modo condurre ad una svalutazoine della portata teoretica della filosofia. A questo proposito è interessante far notare che tra le varie traduzioni possibili di quel termine vi è anche «intuizione del mondo» - questa è anzi la traduzione più letterale di tutte. Questa parola - intuizione - ha moltissime valenze di senso. In questo contesto tuttavia ci interessa vincolarla soprattutto ad espressioni come «intuito», «agire per intuito», «egli ebbe l’intuizione di...». Esse alludono ad un lampo improvviso, che giunge ad afferrare qualcosa che forse resterebbe inattingibile al ragionamento, o a cui il ragionamento riuscirebbe ad avvicinarsi a stento, in modo incomparabilmente più lento. L’intuizione, intesa in questo senso, è vicina al sentimento, e una concezione del mondo come intuizione potrebbe avere il senso di un modo di sentire il mondo, di un sentimento della vita. È stato così sostenuto che tutte le elaborazioni teoretiche e speculative sarebbero dei puri e semplici travestimenti rispetto a questo nucleo affettivo.

2. Nonostante tutte le differenze, un’analoga sottovalutazione delle componenti teoretiche della filosofia è implicata anche quando si sostiene che la concezione del mondo è strettamente determinata dagli interessi presenti nel conflitto storico. Il filosofo partecipa ad essi, nel senso che egli non può che prendere implicitamente o esplicitamente partito, cosicché la Weltanschauung che egli propone ad un tempo promuove e manifesta la propria parte. Ciò naturalmente può essere perfettamente giusto che accada. Non per questo l’interpretazione può ridursi a pura dietrologia, come se ogni idea espressa sia una maschera dietro la quale si debba cercare il vero volto.

3. L’uno e l’altro motivo - il sentimento della vita, la manifestazione celata di un conflitto o di una condizione storica - fanno parte del nostro problema. La filosofia è anche tutto questo. C’è filosofia dove c’è un sentimento della vita e le filosofie talvolta mascherano i conflitti, talvolta li manifestano.

4. Nel dare rilievo all’incidenza della filosofia sui modi di pensare, e dunque ad un campo di azione delineato dai grandi temi dell’esistenza e della cultura - ed all’interno di questa, certamente, della politica - abbiamo aperto la via ad un punto di vista storicizzante. Ma sottolineando che un orientamento cercato attraverso le vie della filosofia deve essere ben fondato, ci si dirige anche in altra direzione. La filosofia consta di argomentazioni. Ad una argomentazione se ne può contrapporre un’altra. Così sorge un dibattito vivente a cui anche tu sei invitato a partecipare. Finalmente ora non vi sono più maestri! Nessuno ha da insegnarci nulla! E sei proprio tu (e chi altri?) che alla fine devi decidere che cosa possa essere ritenuto valido e ben fondato, dopo aver considerato a fondo l’intero ventaglio di ragioni.

5. Ciò rappresenta tuttavia una difesa ancora troppo debole della portata teoretica della riflessione filosofica. Si potrebbe infatti pensare alla filosofia non come se essa fosse un edificio vero e proprio, ma solo come una facciata ben disegnata, ed ancor più: come un grande manifesto che ha dietro di sé una impalcatura che lo sostiene validamente: ma che è pur sempre solo una impalcatura. Tutto quello che c’era da dire è detto solo sul manifesto. Ogni elemento dell’impalcatura ha una sua precisa funzione di sostegno: se tolgo questo o quel pezzo, la facciata comincia a traballare. Ma ciò non basta ancora.

6. Nel considerare le grandi elaborazioni filosofiche del passato con le quali manteniamo un dialogo vivente non ci imbattiamo senz’altro e da subito nelle linee di una concezione del mondo. Quando ciò accade è possibile che si tratti di elaborazioni piuttosto povere. Potremmo dire: qui vi è, al massimo, una concezione del mondo. Può anche accadere, inversamente, che il momento ideologico sia molto debole o che condivida luoghi comuni - e ciononostante l’edificio filosofico ci sia, e sia piuttosto robusto. La facciata è priva di originalità e di caratteristiche eminenti - una facciata d’epoca - mentre l’interno presenta interessanti caratteristiche.

7. È tempo dunque di volgersi verso questo interno. Abbiamo detto in precedenza che è importante, per certi scopi, afferrare la sagoma di un pensiero complesso, e per questo dobbiamo operare una semplificazione. Ma che cosa viene semplificato? Si tratta degli intricati meandri di cui è fatta una filosofia - essi potrebbero avere interesse in se stessi, cioè indipendentemente da un profilo sommario ed esteriore.

8. Non vi è dubbio che se vogliamo veramente difendere la consistenza teoretica della filosofia dobbiamo spingerci sino al punto di riconoscere uno spazio per la riflessione filosofica che non è e non deve necessariamente essere connesso con il versante della filosofia intesa come concezione del mondo.

9. Sembra un insignificante truismo affermare che questo spazio è occupato dai problemi filosofici. Non saremmo tenuti allora a fornirne un elenco oppure a dire che cosa sia un problema filosofico? Questo compito ingrato ci è risparmiato da quella bella frase: Il problema filosofico ha la forma: «non mi ci raccapezzo». All’inizio la abbiamo interpretata in rapporto ad una condizione di smarrimento - nell’esistenza, nella cultura, nella politica. Ma essa può essere intesa anche come indicazione di un luogo particolare della confusione: qui, esattamente in questo luogo, vi è bisogno di un chiarimento. Tutto il resto viene posto da parte: le nostre personali inquietudini, il nostro rapporto con l’esistente, i nostri orientamenti e disorientamenti. In primo piano vi ora quel luogo, e l’istanza di sottrarlo alla confusa penombra. La filosofia si aggira nei luoghi della confusione e la chiarezza è il suo scopo.

10. Ancora una volta abbiamo a che fare con l’opposizione tra chiaro e oscuro. Dunque non è il contenuto che opera una delimitazione di campo - ne abbiamo parlato a proposito della generalità della filosofia, della difficoltà di configurare la filosofia come una disciplina. Un problema filosofico si chiama così in virtù della sua «forma». Perciò il campo resta indeterminato. Da questo punto di vista l’intersecarsi della via della filosofia con la via della scienza diventa ancora più profondo. Non vi è attività conoscitiva che non si imbatta di continuo in difficoltà che dipendono da confusioni di ordine concettuale il cui chiarimento è una condizione per il loro superamento. Filosofia e scienza possono così compiere ampi tratti dello stesso cammino.

12. Qualcuno ci potrebbe chiedere: in che modo ritieni che questo obbiettivo possa essere perseguito? Come farai ad apportare chiarezza e solidità? Ci pensi sopra? In effetti, in primo luogo ci penso sopra. Non si è parlato e non si parla della filosofia come esercizio della riflessione e di niente altro? Non si dice di un filosofo che è un pensatore? La filosofia è povera di mezzi. Non ha né microscopi né telescopi. D’altra parte non possiamo sperare di venire a capo di un problema filosofico con l’ausilio di qualche speciale apparato, di qualche speciale congegno. Dobbiamo certo andare alla ricerca di tutte le informazioni possibili, ma come materiali per approfondire la riflessione, non come mezzi per una soluzione.

13. Una volta sentii dire da un maestro (con enfasi e con una certa violenza): «Credete forse che il filosofare consista nell’intingersi la penna nel cervello?». Tacitamente risposi: si! - Prima di tutto devi fare questo. E poi saprai in quale direzione potrai cercare aiuto, e di quali congegni ed apparati potresti aver bisogno. Del resto è vero che i chiarimenti non possono proporsi nel vuoto. Anche il chiarire ha bisogno di un contesto da cui trae il suo senso. Il compito di chiarificazione non è un compito che si apre e si chiude da se se stesso e su se stesso, ma vi è bisogno di criteri, di strutture teoriche da cui trarre metodi e sostegni. Un chiarimento può venire solo dentro l’organicità di un pensiero. Il filosofo elabora teorie come impalcature della chiarificazione.

VII. Che cosa sono le questioni ultime

1. Nel considerare il versante propriamente teoretico della filosofia dobbiamo parlare non solo dei luoghi della confusione, ma anche della regione delle questioni fondamentali, delle questioni di principio. Potremmo parlare anche di questioni ultime. E in forma di enigma: di questioni che vengono per prime, e proprio per questo possono essere dette questioni ultime.

2. Ma che significato possono avere mai questi vecchi termini? A tutta prima essi ci appaiono soprattutto enfatici, e sembrano alludere ad aree avvolte da fitti misteri.

3. Ecco dunque il filosofo: egli si fa avanti nel proscenio additando gravemente e vagamente, con gesto sacerdotale, la regione dei fondamenti. La filosofia indaga sui fondamenti di tutte le cose. Ma sul fondo della scena vi è una sorta di controfigura - anch’essa rappresentativa di un possibile atteggiamento nei confronti della filosofia - che mimando comicamente la prima dissolve questa enfasi in un gesto di soppressione ironica.

4. Né l’uno né l’altro personaggio, preso da solo, merita di attirare la nostra attenzione, mentre l’uno e l’altro insieme - il fatto che sia possibile l’enfasi come l’ironia - questa circostanza può probabilmente insegnarci qualcosa intorno alla natura dei problemi della filosofia.

5. Io penso che sia del tutto giusto dire che il campo di azione della filosofia si attiva quanto più ci si avvicina alla regione dei fondamenti. Ma non appena entriamo in questa regione dobbiamo prendere atto del fatto che queste questioni fondamentali non sono affatto questioni che debbano essere urgentemente risolte. Non sono questioni che si trovano in un luogo obbligato di un cammino, un passaggio preciso in qualche suo punto, e nemmeno hanno il carattere di una mèta. Ciò che le caratterizza è il fatto che non hanno bisogno di essere decise affinché qualcosa abbia luogo. (Per questo all’enfasi può subentrare l’ironia).

6. Una diversa formulazione potrebbe essere: tali questioni non debbono essere necessariamente decise affinché qualcosa venga concretamente praticata.

7. Noi pratichiamo molte cose. Ad esempio, pratichiamo l’aritmetica. Essa ci è stata insegnata a scuola e ad essa ricorriamo quando ne abbiamo bisogno. Ma a scuola non ci siamo in realtà occupati delle questioni di principio che stanno al suo fondamento, non ci siamo interrogati sulla natura del numero, sulle forme di validità delle espressioni aritmetiche, sulla natura dell’aritmetica come disciplina scientifica. E non abbiamo nessuna urgenza di occuparci di questioni siffatte.

8. Noi pratichiamo la musica: come ascoltatori o come esecutori. Nell’uno e nell’altro caso abbiamo in questo le nostre soddisfazioni. Ma non abbiamo nessuna urgenza di applicarci in riflessioni sulla natura di quest’arte, sulle ragioni profonde dell’effetto che essa fa su di noi, sui concetti costitutivi della sua teoria, e di tutto ciò potremmo non sentire nemmeno il bisogno.

9. Noi pratichiamo il tempo. Ciò significa che abbiamo di continuo a che fare con esso, non solo consultiamo i nostri orologi, ma il tempo è presente ovunque all’interno della nostra esperienza, vi sono attese, ricordi, aspettazioni che mostrano fino a che punto le nostre pratiche comuni siano invischiate nella temporalità. E lo spazio lo percorriamo in lungo e in largo, lo modifichiamo secondo i nostri bisogni, lo sperimentiamo nei modi più vari.

10. Vi sono anche modi diversi di queste pratiche. Il matematico praticherà l’aritmetica in modo diverso dal non matematico, e non tanto per questioni di competenza e di abilità, ma soprattutto per il modo diverso di atteggiarsi verso di essa. Così l’architetto in rapporto allo spazio.

12. Ora, nel corso di queste pratiche, non deve necessariamente accadere che si pongano domande sulla natura del numero, del tempo, dello spazio, del colore.. - sui concetti dunque che stanno alla loro base. Può anche essere che questi concetti siano lasciati nella loro apparente chiarezza. Ad essa del resto può richiamarsi la dissoluzione ironica della fondamentalità delle questioni della filosofia: questa dissoluzione potrebbe sostenere che non ci sono affatto questioni fondamentali di cui la filosofia dovrebbe occuparsi. Nulla ha bisogno di essere discusso perché tutto è chiaro. L’intervento del filosofo è un’inutile intrusione nel disbrigo delle pratiche in corso.

13. Una delle circostanze singolari che si sperimentano introducendo ai problemi filosofici, è che spesso si deve cominciare proprio con un esercizio che mira a confondere l’argomento piuttosto che a chiarirlo, per il fatto che esso ha appunto l’apparenza della massima chiarezza. È come se la confusione dovesse essere creata ad arte, per poter poi intervenire su di essa.

14. Prima della frase socratica «So di non sapere», vi è la forma tipica del suo modo di interrogare. Socrate si aggira per le strade di Atene, come vagabondo e nullafacente, dove incontra praticanti di ogni genere di cose. Egli li interroga ostinatamente sulle questioni di principio che sono attinenti a ciò con cui essi hanno quotidianamente a che fare. A forza di argomenti e controargomenti li induce infine a dire: «Ora non riesco più a raccapezzarmi».

15. Così Socrate incontra Eutifrone, sacerdote e indovino, che si reca a denunciare per omicidio il proprio padre. Ed allora Socrate lo accerchia con le sue domande: tu certamente sai quale sia la distinzione tra azione empia ed azione santa. Certamente lo so - risponde Eutifrone, e come può non saperlo lui che è sacerdote e indovino? Ma nel giro delle domande e delle risposte, proprio alla fine del dialogo Socrate può riproporre immutata la propria domanda iniziale. Ed Eutifrone, anziché azzardare un’ennesima risposta ritorna alle sue pratiche: «Ora ho fretta di andare in un luogo, ed è ora che io vada» (15d). Vi prego di notare: egli ha fretta. Mentre il saluto dei filosofi è, come dice benissimo Wittgenstein, «Datti tempo!» (Pensieri diversi, 1949: «I filosofi dovrebbero salutarsi dicendo: datti tempo!»).

16. L’interrogazione socratica che sembra, scetticamente, mirare solo alla confusione, rappresenta invece un tentativo di mostrare il problema che passerebbe inavvertito, mirando alla fissazione dei suoi termini e, possibilmente, ad un approdo su un terreno stabile e sicuro.

17. Socrate, il padre dei filosofi, aveva un padre che faceva lo scultore. E gli scultori in Grecia avevano un padre mitico che si chiamava Dedalo. Di Dedalo si racconta che egli avesse infuso una tale vitalità alle sue statue di pietra che queste non se ne stavano mai ferme e si dovette legarle per evitare che fuggissero via. - E così - dice Socrate a Eutifrone - «le cose che tu dici assomigliano alle figure di quel mio antico progenitore che fu Dedalo; e se codeste definizioni le dicessi e ponessi io forse avresti ragione di burlarti di me...» (Eutifrone,11b). E così io faccio, replica Eutifrone: sei tu e non io ad assomigliare a Dedalo: non appena mi sembra di poter contare su una precisa definizione, tu fai in modo che essa ci sfugga nuovamente via. Risponde infine Socrate: «A patto che i miei ragionamenti rimanessero fermi e fossero ben piantati senza più muoversi, sarei disposto a rinunziare non solo alla bravura di Dedalo, ma anche alle ricchezze di Tantalo» (11d).

 

 


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