Giovanni Piana

La fenomenologia e l'idea di "filosofia prima"


Questo saggio è stato pubblicato come presentazione del testo di Edmund Husserl Storia critica delle idee (Erste Philosophie, I parte), Guerini e Associati 1989.

La fenomenologia e l'idea di filosofia prima

 

 

 

Nell'anno 1956 veniva pubblicata come volume VII della Husserliana la prima parte di Erste Philosophie (Filosofia prima) a cui faceva seguito, nel 1959, la seconda parte, entrambe a cura di Rudolf Boehm[1]. Si trattava, per l'essenziale, di un corso di lezioni tenuto da Husserl presso l'Università di Freiburg nel semestre invernale 1923-24, nettamente suddiviso in due parti. In esso Husserl si proponeva di fornire un'introduzione e un'illustrazione del concetto di fenomenologia seguendo dapprima la via di una riflessione critica di carattere storico-filosofico e quindi quella di una discussione approfondita del tema della riduzione fenomenologica, riunendo l'intera trattazione sotto il titolo originariamente aristotelico di Filosofia prima, titolo assunto per indicare una prospettiva dalla quale avrebbe dovuto essere riconsiderata la fenomenologia stessa.

Il testo che viene ora pubblicato in traduzione italiana rappresenta l'intera parte prima di Erste Philosophie, e precisamente le ventisette lezioni di cui essa consta[2], ad esclusione delle dissertazioni e delle appendici che sono testi elaborati indipendentemente e normalmente non destinati alla stampa, associati dal curatore al testo principale sulla base di motivi tematici e cronologici. Il titolo Storia critica delle idee è di Husserl stesso e il testo, dattiloscritto dall'originale stenografato ad opera di Landgrebe e variamente elaborato da Husserl in vista di una pubblicazione, può certamente, sia per la sua relativa completezza stilistica, sia soprattutto per la sua compattezza tematica, essere considerato come un lavoro autonomo, indipendentemente dalla Teoria della riduzione fenomenologica a cui, come abbiamo rammentato or ora, è dedicata la seconda parte.

 

L'idea della fenomenologia come filosofia prima determina naturalmente l'orizzonte in cui si sviluppa la riflessione. Essa si annuncia fin dalle prime battute quando la terminologia aristotelica viene ripresa con esplicito richiamo all'apertura di senso di quell'espressione: «filosofia prima», e non «metafisica», non solo perché quest'ultimo termine appare troppo compromesso da impieghi che ne hanno in qualche modo irrigidito il senso, ma soprattutto perché in questo senso irrigidito vi sono implicazioni che contrastano con le stesse radici del modo di pensare fenomenologico.

 

Altrimenti stanno le cose con la priorità della filosofia prima. In essa sono presenti direzioni che sembrano corrispondere al tema fenomenologico a partire dal momento in cui Husserl si accinge ad approfondire ed a radicalizzare la portata filosofica del metodo, sempre più separandolo dal terreno della riflessione psicologica da cui esso era originariamente sorto. Giustamente, quindi, per la genesi del problema ci si può ricollegare molto indietro alle lezioni del 1907 su L'idea della fenomenologia che presentano la prima formulazione della teoria dell'epoché e, in tempi più vicini, alle Idee per una fenomenologia pura del 1913, un'opera nella quale il problema di un'analitica fenomenologica del campo della coscienza viene dispiegata in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua portata nel quadro di una dottrina filosofica di ampio respiro.

 

Infatti, se la soggettività è stata riconosciuta - e questo riconoscimento comincia certo con la reinterpretazione dell'argomentazione dubitativa di Descartes nella teoria della riduzione fenomenologica - come sede di ogni formazione di senso, come luogo di origine di ogni obiettività, si tratti di quelle che delineano i campi di indagine delle scienze positive o delle obiettività di cui è costituito lo stesso mondo di esperienza che ci è dato nell'atteggiamento naturale, allora una ricerca volta alla chiarificazione della soggettività stessa, del suo modo di operare, delle sue funzioni e delle sue strutture, finirà prima o poi con il rivendicare un carattere preliminare non solo rispetto al patrimonio scientifico già dato, ma anche rispetto all'intero arco delle questioni che possano a vario titolo essere attribuite all'ambito della filosofia.

 

Certo, l'idea che la descrizione fenomenologica abbia un carattere in qualche modo preliminare e dunque debba precedere e nello stesso tempo preparare il terreno a ulteriori livelli di indagine, è un'idea variamente ricorrente in rapporto a una nozione lata di fenomenologia, non specificamente legata all'elaborazione husserliana, e tuttavia senza la pregnanza filosofica che essa ora tende a ricevere: la fenomenologia come filosofia prima deve assolvere il compito che spetta anzitutto alla filosofia secondo l'impronta che essa ricevette alle sue origini greche e naturalmente, in un'inscìndibile unità, alla scienza stessa, di vincolare ogni acquisizione conoscitiva ad un terreno di evidenze primarie, in modo che la razionalità che si pretende viva nella stessa produzione conoscitiva possa ricevere una conferma radicale, capace di sottrarla ad ogni dubbio possibile.

 

La preliminarità della fenomenologia va dunque intesa come già orientata verso quella problematica fondazionale che riceverà la sua formulazione più compiuta e significativa nella Crisi delle scienze europee. Certamente manca qui ancora il tema del «mondo della vita», e talvolta può sembrare, stando alla lettera di certe enunciazioni, che si proponga, sotto il titolo di «filosofia prima», qualcosa di simile a una disciplina completamente realizzata e attraversata da parte a parte dall'evidenza, capace di garantire per sé e per ogni conoscenza in generale. E invece anche quelle enunciazioni potranno essere meglio comprese pensando all'evoluzione che questa tematica è destinata a subire quando il richiamo alle giustificazioni soggettive riceverà il carattere di una rivendicazione della fondamentalità della filosofia rispetto alle scienze stesse, in quanto la filosofia si assume il compito di rammentare ad esse la loro origine e il loro scopo nella vita concreta degli uomini. Stando a questo orientamento del problema vi è spazio per accentuazioni che mostrano con chiarezza il prevalere sulla questione epistemologica di una presa di posizione etico-storica di fronte a un'epoca che sembrava essere la dimostrazione drammaticamente concreta dell'impotenza di una forma di razionalismo tutto giocato sull'«obiettività». Nelle lezioni di Filosofia prima questi temi si avvertono nella richiesta di una scienza che sappia trovare la vocazione intransigente della verità, e dunque nell'esasperazione dell'istanza fondazionale a cui è del resto dovuto l'inarcarsi dello stile laddove questi temi vengono richiamati, il suo tendersi senza il pudore dell'enfasi, l'iterazione spesso apertamente fastidiosa di parole chiave in certo modo inaudite e di cui occorre apprezzare anzitutto l'interna animazione polemica.

 

Ma vi è anche un altro aspetto del problema, certo strettamente intrecciato con questo, e che tuttavia è in grado di accennare ad una sua diversa inclinazione.

Parlare di filosofia prima non significa forse, richiamandosi ad una considerazione che sta all'inizio, rivolgersi ai principianti della filosofia per indicare loro la strada che conduce alle sue soglie? Dunque non si tratta dell'aspirazione ad una disciplina che faccia da coronamento ad un patrimonio di conoscenze e che contenga le conoscenze più alte, ma al contrario di un richiamo all'elementare, a ciò che ha certo carattere fondamentale, ma nel senso dell'abc - di un'acquisizione, a un tempo, semplice e necessaria per accedere ai campi della riflessione filosofica. Il tema di una introduzione alla filosofia fa del resto parte integrante dell'origine e dello sviluppo di Filosofia prima[3]. In questa direzione possono essere considerate persino le Meditationes de prima philosophia di Descartes - dal momento che ciò che conta in esse, secondo Husserl, non sono tanto le pretese prime pietre di un sapere assoluto, quanto piuttosto l'individuazione dello «stile necessario» di una riflessione filosofica ai suoi inizi[4]. In tutto ciò è ancora ben presente la tematica fondazionale, ma sarebbe un errore non cogliere qui un'ambivalenza che riporta l'attenzione sui momenti concreti del metodo e quindi, nello stesso tempo, sulla necessità di dotarsi di strumenti teorici per lo sviluppo di ricerche particolari all'interno di un campo di indagine in linea di principio aperto. L'istanza fondazionale dapprima tanto enfatizzata da apparire smisurata e inarrivabile si stempera in un compito finalmente alla nostra portata.

 

Ci imbattiamo così in quella che è forse la questione interpretativa fondamentale intorno alla fenomenologia nella forma elaborata da Husserl. In essa, l'analitica fenomenologica - e ciò significa: la descrizione minuta, attenta al dettaglio, rivolta a problematiche di volta in volta particolari, certo, dentro un quadro unitario delineato in grande - corre il rischio di essere in qualche modo oscurata da un discorso d'insieme che esaspera la teoria del metodo secondo direzioni di senso che certamente le pure motivazioni teoretiche non sono in grado di giustificare.

 

Proprio su questo problema, proiettato in una dimensione storico-filosofica, questa Storia critica delle idee è in grado di apportare un contributo decisivo. I1 suo contenuto effettivo è rappresentato da un ripensamento delle principali problematiche fenomenologiche che vengono riconsiderate alla luce dello sviluppo storico della filosofia europea, dagli inizi platonici sino a Kant, nei suoi momenti che possono essere ritenuti, da questo punto di vista, esemplari. È appena il caso di dire quanto sia erroneo commisurare una simile esposizione ad un'effettiva trattazione storica. Al suo centro sta sempre, infatti, la fenomenologia stessa. Si può dire che non vi sia tema fenomenologico importante che non venga qui richiamato in modo più o meno ampio, dalle iniziali considerazioni sulla logica sino al tema «monadologico», e quindi alla problematica dell'intersoggettività e della costituzione intersoggettiva che solo più tardi, nelle Meditazioni cartesiane, arriverà a una teorizzazione approfondita. Per questo lato, la Storia critica delle idee è una sintesi magistrale che si presta, molto più di altri lavori husserliani, a illustrare le tematiche fenomenologiche principali e a renderne chiare le implicazioni.

 

Ma ciò che ne accresce la portata e ne arricchisce il senso è certamente il fatto che queste tematiche sono colte nella vicenda di uno sviluppo - quindi nel modo del loro primo sorgere e poi nelle varie forme del loro presentarsi e ripresentarsi, nelle posizioni e nelle opposizioni che esse generano. Già per questo si può parlare di una storia delle idee, una storia che è critica proprio perché essa non è semplicemente lasciata a se stessa, ma è sempre filtrata attraverso un problema teoretico dominante. Il modo in cui questa vicenda è narrata, le insistenze e le accentuazioni, le critiche e le valutazioni che vengono via via effettuate gettano una luce viva sull'impianto di principio della problematica fenomenologica nel suo insieme.

 

In rapporto a questo impianto è decisivo il nodo storico-teoretico che sta al centro di questa Storia - e precisamente l'interpretazione dell'opposizione tra le tendenze del razionalismo e gli orientamenti empiristici più o meno venati di scetticismo e del modo in cui la fenomenologia si riferisce a essa. Si può forse pensare che su ciò vi sia ben poco spazio per controversie: le ascendenze razionalistiche della fenomenologia sono anche troppo evidenti e vi sono certamente buone ragioni per affermare che l'intera prospettiva fenomenologica sorga dalla critica radicale delle posizioni empiristiche e si mantenga viva nel quadro di questa polemica.

Una simile osservazione può certo pretendere di dimostrare in modo ovvio la propria validità. È appena il caso di rammentare che l'evoluzione della nozione di fenomenologia è profondamente segnata dal distacco dall'orizzonte psicologico nel quale essa era stata originariamente formulata, e quindi anche da una polemica che già nelle Ricerche logiche è particolarmente pronunciata in direzione dell'atteggiamento intellettuale e delle impostazioni problematiche dell'empirismo, che del resto Husserl considera ancora attuali e dominanti nelle tendenze positivistiche. Si impone così, sempre nelle Ricerche logiche, una serrata ripresa del motivo platonistico dell'afferramento diretto delle generalità mentre, poco più tardi, Descartes verrà chiamato in causa per conferire al metodo la sua definitiva impronta filosofica. I richiami kantiani che vanno sempre più accentuandosi fino al martellante ribadimento della fenomenologia come unica e autentica filosofia trascendentale, l'idea di una scienza della soggettività che assume talora toni idealistici e che anzi spesso rivendica l'idealismo come propria interna vocazione - tutto ciò sembra rappresentare una coerente linea di sviluppo che approfondisce a tal punto la distanza con le posizioni empiristiche da fare apparire improponibile qualunque riconoscimento di una funzione motivante in rapporto alla formazione della problematica fenomenologica o quanto meno da limitare questo riconoscimento a una sua irrilevante preistoria.

 

Ora, proprio questa Storia critica delle idee, che ripercorre a modo suo questo sviluppo, mostra quanto una simile prospettiva interpretativa sia troppo semplice e unilaterale, fornendo al tempo stesso chiarimenti essenziali per penetrare nel problema preservandone la necessaria complessità. Si deve così prestare particolare attenzione al modo in cui già nelle lezioni sulla filosofia greca viene considerata la scepsi sofistica: la necessità di una critica radicale dello scetticismo in genere e di un suo definitivo superamento è certamente fuori questione; e tuttavia nelle argomentazioni scettiche non debbono essere colte soltanto stimolanti negazioni, ma soprattutto la presenza «in una forma ancora vaga e primitiva», di «un motivo completamente nuovo, di fondamentale rilevanza per la coscienza filosofica dell'umanità»[5]. Questo motivo sta racchiuso proprio nel soggettivismo che si trova alla base della costruzione degli «ingegnosi paradossi» scettici, dal momento che in esso «per la prima volta, l'intero mondo reale - e di conseguenza la totalità dell'oggettività possibile in generale - viene considerato 'trascendentalmente', come oggetto di una conoscenza possibile, di una coscienza possibile in generale», cosicché «la soggettività viene considerata puramente in quanto esercita queste funzioni trascendentali, e la sua coscienza, la funzione trascendentale stessa, come ciò in cui o attraverso cui tutti gli oggetti pensabili ricevono per un soggetto di coscienza quel contenuto e quel senso che debbono poter avere per esso»[6].

 

Queste considerazioni preparano certamente il balzo a Descartes, ma sarebbe erroneo, dal punto di vista di Husserl, ritenere che in Descartes questi motivi implicitamente sollevati dallo scetticismo giungano, se non a una realizzazione, almeno ad un'esplicitazione. Al contrario, in Descartes, «mancò l'approfondimento del senso effettivo del compito che il relativismo scettico poneva in modo inevitabile alla filosofia» [7]Questo approfondimento deve essere invece ricercato nella direzione dell'empirismo moderno - in quella tendenza avviata da Locke e portata a pieno sviluppo da Berkeley e da Hume. La riflessione che si sviluppa intorno ad esso lungo l'intera seconda e terza sezione della Storia critica, rappresenta indubbiamente il suo punto culminante, e ciò proprio per la rilevanza che la tematica empiristica riveste ai fini della formazione del concetto di fenomenologia, e persino, vorremmo esplicitamente sottolineare, per quel concetto di fenomenologia a cui è possibile e necessario dare la forma di sviluppo di una filosofia prima. In questa riflessione, il fatto che già in Locke i bagliori del problema della verità si attenuino nei barlumi del lume di candela, oppure che in Berkeley siano in ultima analisi predominanti interessi teologici e preoccupazioni apologetiche, e infine che il tema dello scetticismo riesploda nuovamente in Hume in una forma tale da giustificare il giudizio secondo il quale la filosofia di Hume rappresenta «l'aperta bancarotta di ogni filosofia che intenda dare chiarimenti scientifici sul mondo mediante la scienza della natura o la metafisica»[8], tutto ciò non può fare perdere di vista il fatto che qualcosa di simile a un progetto di filosofia fenomenologica delineata in concreto può prendere forma soltanto a partire dal programma lockiano nel quale la coscienza diventa un titolo per problemi descrittivi determinatamente posti e per un'indagine onnilaterale orientata dal principio del «ritorno alle fonti originarie dell'intuizione a partire dalle quali ogni conoscenza deve essere sistematicamente chiarita»[9]. Ciò che deve essere anzitutto sottolineato in rapporto all'empirismo in genere è il passaggio alla realizzazione effettiva di un compito nel quale si ritrova già la concretezza del lavoro fenomenologíco, per quanto oscurato da fraintendimenti psicologistici e da latenti controsensi scettici: «Non sitratta di una costruzione semplicemente vuota, di una scolastica dei concetti. L'empirista è indubbiamente rivolto a problemi concretamente afferrabili e alla loro soluzione effettiva mediante un lavoro che deve essere effettivamente intrapreso. Egli ha inoltre realmente a che fare con qualcosa; il suo lavoro non è privo di frutti, qualcosa prende forma tra le sue mani; ed è per questo che si può imparare qualcosa da Locke e dai suoi seguaci; si vede sempre ciò che essi vedono e che essi vedono qualcosa, che qualcosa si va delineando nello svolgimento del lavoro»[10].

 

Tutta la trattazione, così ricca di interesse, che Husserl dedica all'empirismo inglese mostra quanto poco si tratti di riconoscimenti estrinseci. Al contrario: emerge con estrema chiarezza da questa esposizione che le sole istanze del razionalismo non potrebbero ricevere alcuno sviluppo e tanto meno potrebbero far sospettare la possibilità di una metodologia fenomenologica senza che esse siano ripensate e nuovamente riproiettate sulle tematiche di quel positivismo immanente [11] che caratterizza l'orientamento empiristico. Né dall'ego di Descartes né dall'io penso di Kant può derivare qualcosa di simile ad un'«egologia» effettivamente sviluppata, proprio perché né nell'uno né nell'altro è presente il problema fondamentale: quello di una filosofia che sia giunta a proporre la «coscienza» come titolo per un effettivo campo di indagine e che abbia individuato nella descrizione delle correlazioni intenzionali il mezzo principale per assolvere la propria funzione chiarificatrice. Si tratta invece del problema che sta al centro dell'orientamento empiristico e che trova la sua elaborazione più compiuta nell'«opera mirabile» [12]di Hume nella quale è possibile vedere, mettendo da parte la componente scettica, «il primo tentativo sistematico di una scienza delle pure datità di coscienza», così come il primo progetto sistematico della «problematica costitutiva concreta», la «prima concreta teoria puramente immanente della conoscenza», e dunque, sia pure in forme empiristico-sensistiche, «il primo abbozzo di una fenomenologia pura»[13]. Si comprende allora come la stessa critica serrata che viene condotta in uno stretto intreccio con queste valutazioni - e che conduce a nozioni destinate a ricevere una portata particolarmente ampia negli sviluppi successivi, come quella della «naturalizzazione della coscienza» - assumano su questo sfondo la loro massima pregnanza. Quanto più si è giunti a sfiorare il nucleo del problema, tanto più vistosa appare la distorsione che in rapporto a esso viene operata, tanto più questa distorsione deve essere aggredita e nettamente superata.

 

Non può sfuggire infine come l'attirare l'attenzione su questi aspetti non sia affatto senza conseguenze sulle questioni che abbiamo inizialmente sollevato intorno alla priorità della filosofia fenomenologica. Detto in breve: se è vero che nell'istanza fondazionale verso cui è già puntata questa priorità è latente il rischio che motivazioni di ordine ideologico, per quanto importanti e ricche di significato per altri versi, tendano a prevalere sull'impianto teoretico ed a fare apparire lo stesso problema fondazionale più un luogo per esercitazioni esortative che un titolo per compiti di ricerca, occorre allora riconoscere che questo rischio si manifesta anzitutto in inerenza alla ripresa di motivi razionalistici. Uno dei vantaggi non secondari di questa Storia critica delle idee, oltre a quello di proporci un'inusuale via d'accesso alla fenomenologia attraverso il ripensamento critico di alcuni dei nodi cruciali della storia della filosofia europea, è certamente quello di rammentarci di continuo il complesso legame con la tradizione empiristica che ci riporta alla determinatezza dei compiti analitici e alla ricchezza intrinseca di una prospettiva filosofica che non ha ancora cessato di dare i suoi frutti.

 

Note

 

[1] Erste Philosophie (1923-24), I: Kritische Ideengeschichte; II: Theorie der Phanomenologischen Reduktion, Husserliana VII e VIII. Martinus Nijhoff , Den Haag 1956 e 1959. (I titoli delle sezioni, dei capitoli e delle lezioni sono di Rudolf Boehm)

[2] Husserliana, VII, pp. 3-199. Questo primo ciclo di lezioni venne tenuto dal 2 novembre 1923 al 18 dicembre 1923. Il secondo ciclo di lezioni venne tenuto dopo le festività natalizie, a partire dall'8 gennaio 1924.

[3] Rammenta Rudolf Boehm (Husserliana, VII, p. XXII) che le lezioni di Filosofia prima derivano, insieme al seminario tenuto nel semestre invernale del 1922-23 intitolato Introduzione alla filosofia, da quattro conferenze tenute da Husserl a Londra nel 1922 intitolate Il metodo fenomenologico e la filosofia fenomenologica.

[4] Infra, Lez. IX.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Infra, Lez. X.

[8] Questo giudizio verrà ribadito nel par. 23 della Crisi delle scienze europee nel corso di uno sviluppo che riprende ín larga parte, ma in forma assai più povera, lo schema della Storia critica (par. 10-27).

[9] Infra, Lez. XX.

[10] Ibid.

[11] Ibid.

[12] Infra, Lez. XXII.

[13] Ibid.