Questo testo è stato pubblicato come introduzione alla traduzione italiana di E. Husserl, Ricerche logiche, a cura di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968

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Giovanni Piana, Introduzione alle Ricerche Logiche di Husserl (pp. 44 - KB. 128)

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Introduzione alle "Ricerche logiche"

 

di Husserl

 

§ 1

 

Il lavoro di Husserl nel campo dei problemi della logica, che trova una prima e notevole espressione nelle sue Ricerche logiche, si rivela tuttora di difficile valutazione, soprattutto se si tenta di considerarlo alla luce della logica contemporanea nel suo complesso. Questa incertezza è visibile sia da parte degli interpreti husserliani, sia da parte del logico specialista. Nel primo caso ci si limita spesso ad un discorso illustrativo, che restando rigorosamente all'interno dei principi, dei metodi e infine anche della terminologia fenomenologica, evita di entrare in contatto con la problematica logica più recente, oppure si accenna alla discussione di alcuni momenti particolari di confronto dalla quale si avverte l'assenza di un'effettiva caratterizzazione della posizione che l'opera di Husserl occupa all'interno delle linee principali di sviluppo della logica moderna. Da parte del logico specialista si può notare invece, in linea generale, la tendenza a ritenere che - a parte il problema di una valutazione complessiva della filosofia di Husserl - il contributo husserliano verso la logica non rientri in quel solco che egli considera come determinante nella storia recente della propria disciplina. Che poi di fatto l'opera husserliana abbia potuto avere una certa influenza - il cui peso resta ancora, peraltro, tutto da valutare - o che alcuni spunti problematici di origine husserliana riemergano talora nella letteratura logica, può essere considerato come una circostanza interessante, ma che non consente ancora di modificare l'atteggiamento sul problema della valutazione del contributo di Husserl in questa direzione. Nella sua forma più estrema, questo atteggiamento può trasformarsi nell'interrogativo se il «logico» Husserl debba effettivamente entrare in una storia significativa della logica contemporanea[1]. Non ci sembra tuttavia né utile né necessario tentare in questa sede una risposta immediata a questo interrogativo, come se esso rappresentasse una condizione preliminare all'apertura del problema del senso del lavoro di Husserl nell'ambito della logica. La stessa posizione di questo interrogativo in una forma così recisa implica in realtà una certa presa di posizione di carattere molto generale nei confronti dell'idea della logica e della sua elaborazione moderna. Dal 1900-1901, l'anno di pubblicazione delle Ricerche logiche, gli studi logici hanno conosciuto uno sviluppo imponente, tanto da poter essere indicati come uno dei fatti più rilevanti, dal punto di vista teorico, del nostro secolo. Questo sviluppo è contraddistinto da una molteplicità di direzioni, da un'ampia serie di confluenze di impostazioni di diversa origine, oltre che da una comprensione e interpretazione dei risultati che varia spesso di autore in autore, di periodo in periodo. Ma questa complessità nella formazione e nell'elaborazione della logica moderna, non toglie il fatto che la logica formale appare oggi come una disciplina autonoma, come una disciplina scientifica che ha acquisito una posizione di fondamentale importanza all'interno delle discipline che lo sviluppo sociale chiede siano messe in gioco nella promozione delle nuove forme del processo produttivo. Questo riconoscimento non conduce soltanto all'individuazione di una nuova figura di lavoratore scientifico destinato ad occupare un proprio posto ed a svolgere una propria funzione in rapporto ad altri lavoratori scientifici: ciò comporta, in particolare, che il passato della logica venga considerato unicamente in rapporto alle acquisizioni effettivamente documentabili e registrabili, che istituiscono, al di sopra del contesto sempre apertamente problematico della discussione reale, le linee fondamentali rilevanti, le vie maestre dello sviluppo. Esse stesse saranno poi contrassegnate da fasi e da momenti essenziali di transizione - momenti intermedi di superamento interno che segnano il passaggio irreversibile ad un livello nuovo. Si forma così non soltanto un quadro intellettuale entro cui la tematica logica deve essere inscritta, ma anche uno schema dello sviluppo che da tale quadro è direttamente imposto. Una riformulazione teorica di principio è sempre indubbiamente possibile: ma già il perseguimento di un ritorno storico che riscopra i limiti e i termini del dibattito entro il quale prende forma l'idea moderna della logica ha il carattere di una messa in questione; e lo ha necessariamente perché in questo ritorno si arriva a cogliere una fase dello sviluppo che non ha ancora di fatto di fronte a sé punti di confluenza e di condensazione, luoghi di passaggio già visibili e identificati: l'orizzonte dello sviluppo non è ancora racchiuso nello schema. Nel caso delle Ricerche logiche, la loro lettura è particolarmente esemplificativa perché riconduce appunto ad uno stadio del problema in cui la certezza delle soluzioni e delle scelte, la determinazione dei concetti fondamentali che debbono costituire la nervatura di questa nuova disciplina - nuova nei suoi caratteri di autonomia - è oggetto di una ricerca che non può ancora realizzarsi nella forma di un'esposizione sistematica, di trattato o di manuale. Un primo modo di affrontare i temi che esse presentano è dunque quello di disporsi in questo atteggiamento, considerando le Ricerche logiche come una componente di un dibattito in corso, i cui confini si allargano almeno nella duplice direzione della psicologia e dell'economia - che si trovano entrambe ad un momento di svolta e di complessiva ristrutturazione e reinterpretazione - aprendosi problematicamente sul significato complessivo che la questione della natura della logica come scienza riceve all'interno della discussione scientifica che caratterizza l'ultimo scorcio del secolo XIX. Ciò appare già chiaro dal fatto che le Ricerche logiche si presentano anzitutto come un tentativo di superamento radicale della prospettiva di assorbimento della logica nella psicologia, che Husserl caratterizza globalmente come psicologismo. Questa tendenza va del resto considerata come momento di un orientamento più ampio che si sviluppa di pari passo con l'enorme sviluppo della psicologia sperimentale, con i suoi tentativi di elaborazione teorica e di giustificazione di principio, dopo il rifiuto comtiano della possibilità della psicologia come scienza. Questa atmosfera di auto-affermazione della psicologia è già direttamente avvertibile in quella sorta di elogio di questa nuova scienza che Franz Brentano premette alla sua Psicologia dal punto di vista empirico. Non soltanto si indica qui la psicologia come l'effettiva scienza del futuro, come la scienza a cui in un futuro non troppo lontano tutte le altre scienze dovranno essere subordinate nella loro applicazione pratica[2], ma si arriva a sottolineare come la conoscenza delle leggi che regolano la modificazione degli stati d'animo, nei singoli e nelle masse, dovrebbe alla fine contribuire in maniera decisiva ad orientare la prassi del «politico», liberandolo da quell'incertezza che «si rivela ogni volta che un avvenimento eccezionale modifica improvvisamente la situazione politica»[3]. Insieme con l'affermarsi della psicologia nel suo diritto ad esistere, si accresce anche - sino alle sue estreme sfrangiature utopistiche - l'estensione dei compiti che essa sarebbe destinata ad assolvere, i problemi che essa dovrebbe portare a definitiva soluzione. All'interno di questo orientamento di ordine generale, lo psicologismo logico nelle sue diverse varietà può essere considerato come l'indirizzo dominante all'interno degli studi logici nella seconda metà del secolo XIX. Nello stesso tempo si fa strada, attraverso gli studi di logici che hanno dietro le proprie spalle, come è del resto il caso di Husserl, gli studi aritmetici e geometrici, piuttosto che la filosofia romantica tedesca, l'idea della logica come disciplina matematica che, coltivata all'inizio in sfere relativamente ristrette, era destinata in seguito a rivelarsi come l'effettiva direzione progressiva nel campo degli studi logici. Che quest'idea della matematicità della logica dovesse essere connessa ad una critica della tendenza psicologistica non era una circostanza immediatamente ovvia. E dallo stesso Husserl nella sua prima opera, dove già si prospetta l'idea di una logica generale dei metodi simbolici o semeiotica[4], questa connessione tra il problema della matematicità della logica e la necessità di una concezione «non psicologistica» di questa disciplina non viene colta con chiarezza e in tutta la sua effettiva portata[5]. Sarà questo il motivo principale che indurrà Husserl a sospendere la pubblicazione del secondo volume della Filosofia dell'aritmetica, già annunciato nel 1891 come pronto in prima stesura, e a cui pensava ancora almeno fino al 1894[6]. Questa critica diventa invece il tema essenziale dei Prolegomeni a una logica pura, dove si mostra con una ricchezza di motivi che hanno conferito a questa discussione un carattere di decisività ampiamente riconosciuto, che la logica, proprio in quanto è una disciplina «matematica» nella sua essenza, non puo essere interpretata psicologisticamente e che ogni interpretazione di questo genere deve necessariamente condurre a conseguenze ed a implicazioni che la dimostrano oggettivamente autocontradditoria. Questa critica coinvolge non soltanto l'indirizzo psicologistico più esplicito - un indirizzo che nella tradizione tedesca può essere fatto risalire sino a Beneke per giungere sino ai logici contemporanei di Husserl che si trovano sotto l'influenza di Stuart Mill - ma anche quella difesa dell'autonomia della logica che trova appiglio nella distinzione kantiana tra logica pura e logica applicata [7] e che si sviluppa in Herbart e negli herbartiani. Coloro che hanno tentato di giustificare mediante il concetto della normatività la «purezza» della logica non sono riusciti ad acquisire motivatamente questo fondamentale punto di vista che considera l'omogeneità di principio della sfera matematica e di quella logica[8]. Proprio il fatto che questa parte introduttiva delle Ricerche logiche rappresentava un consistente momento di rottura con gli indirizzi dominanti nel campo degli studi logici nella seconda metà dell'Ottocento, mostrando come la direzione progressiva della logica fosse da ricercare in quell'indirizzo che Husserl definisce matematizzante, ha contribuito alla sua notorietà ed alla sua efficacia. La critica dello psicologismo si salda qui con l'affermazione decisa del fatto che, con la sua assunzione nell'ambito delle discipline matematiche, la logica ha ritrovato la localizzazione che le spettava fin dall'inizio per la sua stessa natura interna. L'opposizione da parte «filosofica» di fronte a questo sviluppo non può che essere considerata regressiva: Non il matematico, ma il filosofo oltrepassa la sua sfera naturale e legittima quando si oppone alle teorie "matematizzanti" della logica, e non vuole affidare i suoi temporanei figli adottivi ai loro genitori naturali. La degnazione con la quale i filosofi che si occupano di logica amano parlare delle teorie matematiche delle inferenze non muta il fatto che la forma matematica della trattazione, in queste come in tutte le teorie rigorosamente sviluppate (assumendo naturalmente il termine di teoria in senso autentico) è l'unica forma scientifica, l'unica che offra perfezione e completezza sistematica, che consenta di abbracciare tutte le questioni possibili e le forme possibili della loro soluzione»[9]. Da questo punto di vista, Husserl ha in comune con i logici matematici dell'epoca l'interesse caratteristico di quegli anni verso la logica leibniziana [10] ed orientato da questi intenti di fondo è indotto a sottolineare come precursore della moderna logica matematica il nome di Bernard Bolzano. Ricordato da Cantor a proposito del problema dell'infinito attuale, e segnalato all'attenzione dei matematici da Hankel e da Stolz[11], Bolzano come logico era in realtà sconosciuto[12]; tanto più sorprende il sicuro giudizio che Husserl pronuncia su di lui. Dopo aver dichiarato che con i primi due volumi della sua Wissenschaftslehre, Bolzano può essere indicato come «uno dei più grandi logici di tutti i tempi», Husserl ricorda l'ascendenza leibniziana di Bolzano. «Teoreticamente egli è da porre in rapporto abbastanza stretto con Leibniz con il quale condivide importanti idee e concezioni fondamentali ed al quale si trova molto vicino anche dal punto di vista filosofico. Certo, anche Bolzano non ha interamente esaurito la ricchezza delle intuizioni logiche di Leibniz, soprattutto per ciò che concerne la sillogistica matematica e la mathesis universalis. Ma bisogna notare che allora gli scritti inediti di Leibniz erano troppo poco conosciuti, e come chiave per una comprensione mancavano la matematica " formale " e la teoria delle varietà»[13]. Inoltre Husserl osserva che in realtà le moderne teorie matematizzanti della logica che «i matematici costruiscono con tanto successo senza preoccuparsi del disprezzo dei filosofi» sono «assolutamente conformi allo spirito della logica di Bolzano»[14].

 

§ 2

Ci si potrebbe attendere da queste così decise prese di posizione nei confronti della nuova logica, che i Prolegomeni non facciano altro che togliere di mezzo la posizione psicologistica, istituendo su solide basi il concetto di logica pura, per poi passare direttamente al sistema. Ma nulla di simile è rilevabile nelle sei ricerche successive. Già nell'introduzione al secondo volume si afferma che non ci si deve «accontentare di elaborare la logica pura nello stesso modo delle nostre discipline matematiche, come un sistema di proposizioni che si sviluppa nella sua validità ingenuamente positiva»[15]. E l'indagine che di qui ha inizio, pur nella costante presenza di una trattazione sistematica come obiettivo terminale, non appare già direttamente orientata in questo senso, ed anche là dove si accenna ai momenti del sistema, questo carattere preparatorio viene esplicitamente denunciato[16]. Da questo punto di vista è particolarmente caratteristica la Terza ricerca: ciò che essa propone è in realtà una teoria pienamente dispiegata e puramente formale dell'intero e della parte, una teoria nella quale tutti i concetti dovrebbero essere definiti con «esattezza matematica» e i teoremi dedotti «mediante argumenta in forma, cioè matematicamente», in modo da ottenere una completa «sinossi, secondo leggi, delle complicazioni possibili a priori delle forme degli interi e delle parti, ed una conoscenza esatta dei rapporti possibili in questa sfera». Ma di fronte a questa proposta, i «brevi spunti» contenuti nel secondo capitolo di questa ricerca hanno uno scopo ancora essenzialmente esemplificativo, per mostrare l'accessibilità di questo scopo, che va poi effettivamente ed integralmente perseguito, dal momento che «il progresso che conduce dalle teorie e dalle costruzioni concettuali vaghe alle teorie ed alle costruzioni concettuali matematicamente esatte è qui, come ovunque, la condizione preliminare di una piena comprensione dei nessi a priori ed un'istanza irrinunciabile della scienza»[17]. Tuttavia, anche in questo caso, il tentativo di enunciare, sia pure in modo del tutto provvisorio, gli assiomi destinati a reggere una simile teoria è preceduto da un complesso di ricerche interamente condotte sul terreno fenomenologico[18]. In realtà il vero nodo da sciogliere è rappresentato dal senso di questo rapporto tra ricerche fenomenologiche e elaborazione logica, tra il sistema matematico-formale e le ricerche preliminari al sistema. Un problema che, in questo testo husserliano, si presenta anche come difficoltà del passaggio dalla critica dello psicologismo, con l'idea in esso implicita della logica pura in quanto disciplina teoretica autonoma, e le sei ricerche che a questa introduzione fanno seguito. Fin dall'inizio sono restate incomprensibili a gran parte della letteratura husserliana le ragioni che conducono dal programma enunciato nei Prolegomeni e culminante nell'idea della teoria delle forme possibili di teoria ad una sequenza di analisi che tendono costantemente a rompere il cerchio degli interessi propriamente logici, sino al tentativo di un'elaborazione già relativamente compiuta di una teoria degli atti intenzionali in generale, come avviene nella Quinta ricerca. Del resto, già quella critica di «ricaduta nello psicologismo» che accompagna il secondo volume di quest'opera dalla data della sua pubblicazione ad oggi[19], è almeno in parte riconducibile a questa difficoltà. Essa sembra derivare, non tanto da motivazioni intrinseche, quanto piuttosto dall'attesa che, una volta assunta, come fa Husserl, l'autonomia della logica nel suo carattere teoretico puro, una volta che con tanta sicurezza e definitività si è affidata la logica al matematico, non resti altro compito che quello del passaggio diretto e immediato alla costruzione sistematica. Ciò che appare in questione non è, o meglio, non è soltanto, la pretesa «ricaduta nello psicologismo», ma piuttosto in linea del tutto generale l'ammissibilità di una nuova esigenza filosofica, di un nuovo campo di lavoro filosofico che Husserl propone. In effetti, l'esplicita presa di posizione in favore di una elaborazione matematica della logica, si accompagna con la richiesta di una chiarificazione dei suoi concetti costitutivi fondamentali che procede, a sua volta, secondo una impostazione autonoma. Da parte filosofica non si tratta, cioè, di elaborare una logica all'interno del «sistema della filosofia» - una logica dunque, legata ad assunzioni «filosofiche» generali, come era del resto la stessa tesi empiristica generalizzata che stava alla base dello psicologismo esplicito. La logica è - idealmente - una disciplina unitaria e conclusa, che va coordinata nel sistema delle discipline matematiche. Una logica filosofica avrebbe dunque tanto poco senso quanto una geometria filosofica. E tuttavia si ripropone, nell'uno e nell'altro caso, il problema della «filosofia», nella misura in cui si intenda il suo ambito di indagine delimitato dalla riflessione gnoseologica. Questa riassunzione di senso di una filosofia della logica diventa del resto possibile e legittima solo nella misura in cui si è ottenuta chiarezza sull'impossibilità di una logica dei filosofi che si contrapponga alla logica dei matematici[20].

Questa delimitazione reciproca viene illustrata da Husserl al termine dei Prolegomeni mediante l'idea della divisione del lavoro. Si ribadisce che «la costruzione delle teorie, la soluzione rigorosa e metodica di tutti i problemi formali resterà sempre l'autentico dominio del matematico. Si presuppongono qui metodi e disposizioni di ricerca peculiari che sono sostanzialmente gli stessi per tutte le teorie pure. Recentemente anzi l'elaborazione della teoria sillogistica che da tempo immemorabile veniva attribuita alla sfera più propria della filosofia, è stata assunta dai matematici, subendo tra le loro mani un'evoluzione insospettata - proprio questa teoria che pareva ormai da tempo compiuta. E contemporaneamente sono state scoperte ed elaborate, con una sottigliezza genuinamente matematica, teorie intorno a nuovi generi di inferenze, che la logica tradizionale aveva trascurato o ignorato. Nessuno può vietare che i matematici rivendichino per sé tutto ciò che è suscettibile di trattazione secondo metodo e forma matematica»[21]. Di qui sorge la domanda: «Ma se l'elaborazione di tutte le teorie è di competenza del matematico, che cosa resta al filosofo?» Si risponde allora che «il matematico, in realtà, non è il teorico puro, ma soltanto il tecnico ingegnoso, è per così dire il costruttore che, guardando unicamente ai nessi formali, costruisce la teoria come un'opera d'arte tecnica. Come il meccanico pratico costruisce macchine, senza possedere necessariamente la comprensione ultima dell'essenza della natura e delle sue leggi, così il matematico costruisce teorie dei numeri, delle grandezze, delle inferenze, delle varietà, senza che per questo egli debba necessariamente possedere la comprensione ultima dell'essenza della teoria come tale e delle leggi e concetti che la determinano. La stessa cosa accade nel caso di tutte le "scienze specialistiche"»[22]. Quanto alla ricerca filosofica, «essa non intende rubare il mestiere allo scienziato specialista, ma soltanto pervenire ad una comprensione evidente del senso e dell'essenza delle sue operazioni, in rapporto ai metodi ed alle competenze. Al filosofo non basta che noi ci orientiamo nel mondo oppure che possediamo leggi espresse in formule in base alle quali prevediamo il futuro corso delle cose e possiamo ricostruire quello passato; egli vuole chiarire che cosa sia l'essenza di "cosa, "evento" , "causa" , "effetto" , "spazio", "tempo", ecc.; e ancora: che genere di affinità straordinaria intercorra tra queste essenze e quelle del pensiero, del conoscere, del significare, dal momento che esse possono essere pensate, conosciute, significate, ecc. E se la scienza costruisce teorie per la soluzione sistematica dei suoi problemi, il filosofo chiede che cosa sia la scienza della teoria, che cosa renda possibile la teoria in generale, ecc. Soltanto la ricerca filosofica integra le operazioni scientifiche degli scienziati della natura e dei matematici, in modo da completare la conoscenza pura e la conoscenza teoretica autentica»[23].

Se queste affermazioni implicassero nel loro senso l'attribuzione di un privilegio filosofico, la ripresa di una differenza di livelli e di dignità tra l'attività scientifico-positiva e la filosofia - se insomma si trattasse ancora una volta di contrapporre l'ingegno alla sapienza, questa posizione andrebbe semplicemente respinta. Ma come si può già desumere dalle nostre considerazioni preliminari, questo problema ha un senso irriducibile alla questione, in ultima analisi, banale della presunzione filosofica. Ciò che qui si ha di mira è la duplice ed essenziale direzione dell'indagine scientifica, l'una rivolta verso l'acquisizione positiva e diretta di conoscenze sempre nuove ed alla loro costante ristrutturazione sistematica, l'altra all'esplorazione del metodo di questa acquisizione, dei fondamenti della costruzione, dell'illustrazione dei concetti primitivi che nella costruzione stessa sono presupposti. Si tratta di una relazione che si è sempre fatta valere all'interno dello sviluppo storico della scienza e che è ciò che promuove in modo caratteristico la sua dialettica interna. E come nel corso dello sviluppo questa relazione vige all'interno di un'intenzione scientifica unitaria, così all'idea della divisione del lavoro si associa qui necessariamente l'idea di un riconoscimento e di una reciproca integrazione: «L'ars inventiva dello scienziato specialista e la critica della conoscenza del filosofo sono attività scientifiche che si integrano a vicenda e solo attraverso di esse si realizza la piena ed evidente comprensione teoretica che abbraccia tutte le relazioni essenziali»[24]. Che poi qui si affermi l'assenza «caratteristica», nello scienziato specialista, della «comprensione ultima dell'essenza della teoria come tale e delle leggi e dei concetti che la determinano» non è da intendere come indicazione di un livello inferiore dell'acquisizione scientifica. Si tratta piuttosto del fatto che il «matematico, il fisico o l'astronomo, per l'esecuzione delle più importanti operazioni scientifiche, non hanno bisogno di penetrare negli ultimi fondamenti del loro fare»[25]: anche se ciò rappresenta necessariamente un limite di incompletezza e va quindi inteso, alla fine, solo in senso relativo. Sarà dunque all'interno del processo della costruzione scientifica stessa che si imporrà il problema della chiarificazione concettuale, proprio perché quel limite di incompletezza, che all'inizio può anche non incidere sul fecondo progresso della scienza, può apparire infine come una crisi interna dello sviluppo.

Per quanto riguarda il caso di Husserl, le difficoltà che sospingono verso la radicalizzazione del problema fino al programma di una nuova teoria della conoscenza sono chiaramente ravvisabili nei due grandi problemi irrisolti che Husserl indica come cruciali nella matematica del proprio tempo: il problema del senso delle varietà spaziali e di una interpretazione teoricamente adeguata dei numeri complessi. Per molti aspetti, osserva Husserl, la matematica «vale ancora come ideale di ogni scienza in generale: ma che essa in realtà non lo sia, lo insegnano le vecchie controversie, che continuano a restare irrisolte, sui fondamenti della geometria, nonché quelle sulle basi che giustificano il metodo degli immaginari. Gli stessi scienziati che padroneggiano con ineguagliabile maestria i mirabili metodi della matematica e che la arricchiscono con metodi nuovi, si rivelano del tutto incapaci di rendere conto in modo esauriente della validità logica di questi metodi e dei limiti della loro applicazione legittima. Ora, benché le scienze si siano sviluppate nonostante tutte queste deficienze e ci abbiano procurato un dominio sulla natura mai sospettato in precedenza, esse non possono tuttavia soddisfarci dal punto di vista teoretico»[26].

Entrambi questi problemi interessano direttamente la tematica del primo Husserl. Nella prefazione alla Filosofia dell'aritmetica si annuncia l'intenzione di presentare nel secondo volume di quest'opera non soltanto una teoria dei numeri (o come si esprime Husserl, quasi-numeri) che sorgono dalle operazioni inverse, ma anche una nuova teoria filosofica della geometria eucidea[27]. È all'interno di questa sfera di interessi, che tiene conto dei momenti più avanzati del pensiero matematico del periodo, che Husserl perviene all'elaborazione del concetto di teoria e di varietà, oltre che a quello di definitezza. Ciò si può desumere da una dichiarazione contenuta nel primo volume di Idee, dove Husserl osserva: «I concetti qui introdotti mi servirono già al principio degli anni novanta nelle Ricerche sulla teoria delle discipline matematico-formali, pensate come continuazione della Filosofia dell'aritmetica - soprattutto allo scopo di trovare una soluzione di principio del problema dell'immaginario»[28]. Nella stessa nota ci si richiama alla ripresa di questa tematica in due conferenze tenute nel 1900-1901 alla «Mathematische Gesellschaft» di Gottinga. Ciò viene ripetuto in Logica formale e trascendentale, dove si osserva che «il concetto di varietà definita mi servì originariamente per un altro scopo, cioè per chiarire il senso logico del passaggio calcolistico all' "immaginario" e, in connessione con ciò, per mettere in luce il nucleo sano del "principio della permanenza delle leggi formali" (H. Hankel), principio celeberrimo, ma logicamente infondato e oscuro»[29]. Questo sfondo tematico, da cui Husserl sempre più si allontana nell'allargamento dell'orizzonte dei propri interessi, va tuttavia tenuto presente in particolare nella lettura delle Ricerche logiche. Già nell'ultimo capitolo dei Prolegomeni si affaccia l'idea della possibilità di interpretare l'estensione del campo dei numeri come passaggio dalla teoria dei numeri reali (che è già essa stessa una forma di teoria) alla forma corrispondente sovraordinata di teoria, e si aggiunge che «in realtà in questa concezione si trova la chiave per l'unica soluzione possibile di un problema che non è ancora stato chiarito, cioè del fatto che, nel campo dei numeri, concetti impossibili (non-essenziali) possono essere trattati, dal punto di vista metodologico, come concetti reali»[30].

Non meno caratteristico è l'accenno al problema della geometria: «Se chiamiamo spazio la nota forma di ordinamento del mondo fenomenico, è naturalmente assurdo parlare di "spazi" per i quali, ad esempio, non valga l'assioma delle parallele. E sarà assurdo anche parlare di geometrie diverse, in quanto la geometria viene appunto definita come scienza dello spazio del mondo fenomenico. Ma se con spazio intendiamo la forma categoriale dello spazio del mondo e, correlativamente, con geometria la forma categoriale di teoria della geometria in senso comune, allora lo spazio cade sotto un genere, da definire secondo leggi, di varietà determinate in modo puramente categoriale, in rapporto alle quali si parlerà naturalmente di spazio in senso ancora più ampio. Così la teoria geometrica si coordina con un genere corrispondente di forme di teorie teoreticamente interdipendenti e determinate in modo puramente categoriale, che si possono definire in un senso altrettanto esteso come "geometrie" di queste varietà "spaziali"»[31].

In entrambi questi riferimenti, per quanto possano essere limitati, appare determinante l'idea di una giustificazione delle costruzioni aritmetiche e geometriche attraverso i concetti di teoria e di forma di teoria, una giustificazione, cioè, che fa leva sulla distinzione di livelli formali e quindi sul passaggio al livello formale superiore. Questo punto di vista non viene adeguatamente sviluppato nelle Ricerche logiche, e neppure, in ultima analisi, in Logica formale e trascendentale dove il problema della geometria viene ripreso nella discussione del concetto di sistema deduttivo[32]. Tuttavia in esso va colta una delle motivazioni di fondo che conducono Husserl ad affrontare in tutta la loro ampiezza i problemi della logica; e su questo sfondo acquistano anche il loro senso di prospettiva alcuni dei punti culminanti delle Ricerche logiche, come è indubbiamente il caso della distinzione tra significati possibili e impossibili introdotta nel quarto capitolo della Sesta ricerca.

§ 3

 

Fino a questo punto ci siamo limitati a indicare l'atteggiamento di Husserl nei confronti dei problemi della logica secondo linee molto generali ed esterne. Abbiamo così sottolineato la stretta relazione che sussiste tra la critica della tendenza psicologistica e la difesa dell'indirizzo matematizzante, nonché l'orientamento, che si manifesta fin dall'inizio e che verrà in seguito costantemente approfondito, diretto alla rivendicazione di uno spazio autonomo alla ricerca filosofica e della sua funzione di integrazione. Ma non abbiamo detto nulla su ciò che si debba intendere quando si parla, in Husserl, di matematicità della logica; e neppure sulla natura effettiva, sulla direzione di fondo delle ricerche «filosofiche» di cui viene qui avanzata l'istanza. È necessaria dunque un'ulteriore approssimazione, che senza pretendere di fissare i limiti di questa discussione, contribuisca almeno a circoscrivere alcuni dei suoi termini.

Le Ricerche logiche prendono l'avvio da una diffusa discussione del concetto di espressione e significato nella loro distinzione di principio e al tempo stesso nella loro unità necessaria. Questo punto di avvio e i risultati che emergono via via in questo primo tentativo di mettere in evidenza le «distinzioni essenziali» rappresentano la base elementare su cui si sviluppano in una complicazione crescente le ricerche husserliane. Il problema di un'illustrazione del concetto di espressione rimanda a quello del segno, un termine che viene assunto in primo luogo nell'accezione di segno indicativo o segnale. Si tratterà dunque di chiarire l'irriducibilità dell'espressione in quanto segno provvisto di un significato ai segni puramente indicativi, operando una prima distinzione che comporta l'esclusione preliminare dal concetto di espressione di quello della comunicazione. La portata comunicativa dell'espressione va separata dalla sua portata puramente significativa, ed il concetto di linguaggio viene definito in primo luogo attraverso quello di segno significativo, indipendentemente dal fatto che esso funga o meno all'interno di un contesto dialogico[33]. L'intento comunicativo è, per così dire, un incremento che l'espressione riceve, una funzione che essa può assolvere, ma che non è, rispetto ad essa, essenziale. Anche in questo caso agiscono le motivazioni di una critica dello psicologismo: nel concetto logico del giudizio non si intende il giudizio in quanto «vissuto» di un giudicante. Ma esso è determinato unicamente dal significato, dalla proposizione come unità ideale: «Ogni volta che le scienze sviluppano teorie sistematiche, ogni volta che esse, anziché partecipare il mero decorso della fondazione e della ricerca soggettiva, presentano il frutto maturo di una verità riconosciuta come unità oggettiva, in questione non sono mai i giudizi, le rappresentazioni e gli atti psichici di qualsiasi altro genere. Certo, lo scienziato oggettivo definisce delle espressioni. Egli dice: con forza viva, massa, integrale, seno, si intende questo e quest'altro. Tuttavia, così facendo, egli rinvia soltanto al significato oggettivo delle sue espressioni, contrassegna i "concetti" che ha di mira e che svolgono la loro funzione come momenti costitutivi nelle verità di un determinato campo di ricerca. Ciò che lo interessa non è il comprendere, ma il concetto che vale per lui come unità ideale di significato, così come la verità che è essa stessa costituita di concetti»[34].

Dall'espressione e dal significato va inoltre distinto l'oggetto inteso dal significato, poiché «ogni espressione non vuol dire soltanto qualcosa, ma dice anche su qualche cosa; oltre ad avere un significato, si riferisce anche ad oggetti di genere qualsiasi. In certi casi, la stessa espressione può avere molteplici riferimenti. Ma in nessun caso l'oggetto coincide con il significato»[35]. Vi è qui una relazione di riferimento, che se da un lato va distinta dal significato stesso, dall'altro è posta con la posizione del significato: «un'espressione, cioè, acquista un riferimento all'oggetto per il solo fatto che essa significa, e quindi si dice giustamente che l'espressione designa (denomina) l'oggetto per mezzo del suo significato, ovvero che l'atto del significare è il modo determinato di intendere l'oggetto in questione - solo che proprio questo modo dell'intendere significativo, e quindi il significato stesso, può variare mentre resta identica la direzione verso l'oggetto»[36].

Ora, l'oggetto si costituisce in atti essenzialmente diversi da quelli in cui si costituisce il significato. Se l'oggetto è un oggetto percettivo, esso si costituisce in atti della percezione che hanno caratteristiche loro proprie, distinte da quelle degli atti che, attraverso l'espressione, significano l'oggetto percettivamente costituito. Gli uni e gli altri si trovano tuttavia in una relazione che diventa visibile quando la percezione apprende l'oggetto nel modo in cui esso è inteso dal significato. Il riferimento dell'oggetto al significato è allora realizzato: l'oggetto inteso è attualmente dato. Assumendo questo punto di vista i significati si presentano come correlati di intenzioni significanti vuote che si riempiono nei correlati di certi atti di riempimento. Fin d'ora si colgono le possibili complicazioni di questo problema: tuttavia, all'interno dei limiti di un primo tentativo di chiarimento, basterà accertare che ogni significato intende un oggetto nella modalità del riferimento e che la realizzazione di tale riferimento, e quindi il «riempimento», è extra-essenziale rispetto al significato stesso. Come in precedenza si è fatta valere la distinzione tra l'espressione e il segno indicativo, mostrando che l'espressione, pur potendo fungere da segnale come accade nella comunicazione[37], non è tuttavia definita nel suo carattere di espressione dal rapporto indicativo, così ora si distingue dall'essenza dell'espressione la sua possibilità di fungere in una conoscenza attuale. Ciò comporta, correlativamente, la critica della tesi secondo cui il significato si risolve nell'intuizione corrispondente dell'oggetto[38]. Infatti, il rapporto conoscitivo nella sua forma più elementare può essere definito come rapporto di coincidenza tra significazione (intenzione significante) e intuizione oppure, rispettivamente, tra il significato e il suo oggetto nella misura in cui esso è dato così come è inteso dal significato, cioè come coincidenza tra il significato e ciò che Husserl indica, per trasposizione, come senso ricmpiente [39]. Questa caratterizzazione del rapporto conoscitivo non deve essere tuttavia interpretata come se il significato fosse, in quanto tale, sorretto dall'intuizione dell'oggetto che in esso viene inteso. Con ciò si arriverebbe a postulare come significative solo le espressioni che rinviano alla presenza attuale di ciò che il significato intende, e non si riuscirebbe a spiegare il fatto fondamentale che caratterizza il linguaggio, cioè il suo essere il veicolo autonomo di intenzioni significanti in quanto tali: «Per coloro che trasferiscono nell'intuizione il momento del significato, l'esistenza di un pensiero puramente simbolico rappresenta un insolubile enigma. Per loro un linguaggio privo di intuizione è anche privo di senso» [40]

Un esempio che illustra questa caduta dell'attualità del rapporto conoscitivo è dato dalla «comprensione senza intuizione» delle espressioni linguistiche. L'espressione resta significante anche se lo stato di cose espresso non è più direttamente presente, anche se dunque non sussiste la coincidenza attuale tra il significato vuoto e il senso «riempiente». Si avrà allora una comprensione «simbolica» delle espressioni, una comprensione nella quale lo stato di cose significazionalmente inteso non è attualmente dato, ma solo indirettamente presunto. Si parla qui naturalmente, di funzione simbolica delle espressioni, in un senso del tutto peculiare, che è strettamente connesso con il concetto di linguaggio. E la possibilità di fungere simbolicamente, in questo senso, è una possibilità che spetta originariamente al linguaggio stesso nella stessa misura in cui ad esso spetta la possibilità di fungere come veicolo della conoscenza attuale. Ciò significa anche che è proprio del linguaggio una maggiore estensione rispetto all'ambito degli oggetti attualmente conosciuti e in generale conoscibili. In altri termini: il campo del significato è più esteso di quello dell'intuizione[41]. Ciò appare in particolare se si considerano le espressioni di significato assurdo a cui non spetta per principio alcun senso riempiente e che quindi vengono ricordate (nella Prima ricerca) come un argomento decisivo per criticare la risoluzione del significato nella sua traduzione intuitiva. In questi casi l'espressione funge solo simbolicamente e il suo significato non può per principio coincidere con un senso riempiente[42].

Consideriamo ora, secondo quel criterio di semplice schematizzazione al quale ci siamo finora attenuti, le implicazioni di quell'idea che costituisce il passo essenziale verso l'istituzione di una teoria logica - l'idea, cioè, che in ogni significato dato sia immanente una certa struttura tipica, rispetto alla quale esso può essere considerato come uno fra i molti possibili esempi. Si richiede qui, per l'effettuazione di questa specie peculiare di astrazione, che sia già acquisita la distinzione tra i due momenti costitutivi essenziali del significato, tra ciò che nel significato rimanda al suo oggetto (la sua materia o, come anche diremo, la sua sostanza [43]) e ciò che rende possibile questo rimando nelle sue diverse modalità. Sul piano linguistico questa tipicità strutturale può essere messa in evidenza sostituendo dei termini indeterminati alle espressioni che costituiscono nel significato completo, assunto come esempio, la sua materia. Il passaggio formalizzante che prende le mosse da un'espressione esemplificativa di significato unitario, come è la proposizione questo albero è verde, conduce alla forma proposizionale questo S è p, «come forma che abbraccia nella propria estensione solo significati indipendenti»[44]. In questa forma proposizionale si prescinde dunque dalla funzione conoscitiva proprio nella misura in cui la «materia» resta qui indeterminata, e quindi essa non avrà nemmeno una funzione simbolica nel senso precedentemente delineato. Il rapporto tra significato e riempimento ha tutt'altro senso di quello tra la struttura significativa e i significati esemplificativi corrispondenti.

Le difficoltà interpretative hanno inizio non appena si tenta di fissare che cosa si debba propriamente intendere con forma del significato rispetto alla sua materia o sostanza. Per mettere in rilievo questa differenza, si può mostrare che, mantenendo identica la sostanza, è possibile operare la variazione della sua forma. Se confrontiamo, ad esempio, le forme proposizionali «S è p e Q è r» e «Se S è p, allora Q è r», i termini «S è p» e «Q è r» si presentano qui come sostanze identiche all'interno di forme diverse, dal momento che nel primo caso la forma è data dalla connessione congiuntiva, nel secondo dalla connessione ipotetica. Lo stesso si può dire per «S è p» e «Q è r» considerati come significati indipendenti. Anche qui si fa valere la differenza tra sostanza e forma: «S è p», infatti, va interpretata come connessione predicativa delle sostanze S e p, in quanto sostanze che hanno rispettivamente la forma di soggetto e la forma di predicato. L'analisi non si ferma tuttavia a questo punto: perché S possa entrare nella forma del soggetto deve a sua volta avere la forma del sostantivo e, dalla parte del predicato, p deve avere la forma dell'aggettivo.

Ci troviamo così di fronte ad una complessa stratificazione nella quale si costituisce l'unità del significato: in essa è possibile distinguere le forme che operano su sostanze già formate, che vengono indicate da Husserl rispettivamente con il termine di forme sintattiche e sostanze sintattiche, e le forme che operano su sostanze «pure», prive di forma, che vengono indicate come forme e sostanze nucleari; si attribuirà infine all'unità delle prime il termine di sintagma ed all'unità delle seconde quello di costrutto nucleare (Kerngebilde)[45]. Le forme dei nuclei, che sono le categorie primitive dei significati, delimitano la sfera della variabilità di ciò che può presentarsi come sostanza all'interno della forma sintattica nell'unità del sintagma. Nel caso della forma questo S è p «possiamo senz'altro trasformare il nostro esempio questo albero è verde in questo oro, questo numero algebrico, questo corvo blu, ecc. è verde, in breve, possiamo sostituire qualsiasi materia nominale in un senso lato, e così anche qualsiasi materia aggettivistica nel caso di p: noi otteniamo sempre un significato unitario e sensato, e precisamente una proposizione indipendente della forma prescritta - ma l'unità di senso va perduta non appena non ci atteniamo alle categorie delle materie di significato. Ogni qual volta vi è una materia nominale, può esserci una materia nominale qualsiasi, ma non una materia aggettivistica o relazionale, o un'intera materia proposizionale; ma ogni qual volta vi è una materia di tali categorie, può esserci sempre di nuovo una materia di questo genere, cioè sempre una materia della stessa categoria, e non di un'altra. Ciò è vero per qualsiasi significato, per quanto possa essere complessa la sua struttura»[46]. In tutto ciò è già visibile una legalità interna della sfera dei significati, una legalità che concerne le loro possibilità di costruzione pura. Ammesso, cioè, che siano date le categorie primitive di significato e le loro sintassi primitive, allora possono essere ottenute costruttivamente tutte le strutture che costituiscono per loro essenza delle unità di significato: «Di qui sorge il grande compito, ugualmente fondamentale sia per la logica che per la grammatica, di far emergere questa costituzione a priori che abbraccia il regno dei significati, di indagare in una "morfologia dei significati" il sistema a priori delle strutture formali, cioè di quelle strutture che sono indifferenti a qualsiasi particolarità materiale dei significati»[47].

Se ora passiamo alla sfera delle espressioni di cui questa teoria delle forme di significato appare costituita, ci rendiamo conto che è possibile qui, come nel caso di ogni altra teoria puramente formale, una modificazione essenziale, la cui importanza è, in ultima analisi, decisiva ai fini di una sua effettiva elaborazione. Si tratta di una modificazione che interessa il concetto di espressione, così come lo abbiamo in precedenza definito: esso valeva per noi come qualcosa di sensibilmente percepibile che rappresentava tuttavia soltanto, in certo senso, il veicolo attraverso cui viene inteso il significato. Si può pensare che l'intenzione significante venga meno, ed in tal caso, si potrebbe dire, l'espressione si presenterebbe come un «segno privo di significato». Tuttavia, se considerassimo più da vicino questo punto, ci renderemmo ben presto conto che questa caratterizzazione incontra più di una difficoltà: in generale, quando si parla di «segni privi di significato» si possono intendere anche cose molto diverse, e l'interpretazione di volta in volta adeguata andrebbe accuratamente precisata. Nel caso in questione, è comunque certo che l'espressione privata del suo rinvio al significato, ed intesa quindi come «mera» espressione, si presenta nelle sue pure e semplici qualità sensibili: come complesso fonetico, se si tratta di una parola effettivamente pronunciata, o come semplice grafema, se si tratta invece di una parola scritta. In entrambi i casi sono comunque determinanti i caratteri qualitativi materiali, e per questa ragione i complessi fonetici o i grafemi vanno legittimamente sussunti sotto il concetto della cosa in un'accezione sufficientemente ampia. Da tali segni intesi come mere espressioni, vanno poi distinti quei segni che, all'interno di una connessione sistematica, possono, per così dire, sostituire un linguaggio che si muove nel campo delle pure forme e che vanno indicati anch'essi come «privi di significato» secondo un'interpretazione nuova. I segni in questione sono in effetti delle cose, caratterizzate, come ogni altra cosa, da certe qualità sensibili e materiali. La sola differenza - ed è una differenza essenziale - consiste nel fatto che queste «cose» vengono considerate indipendentemente dalle loro qualità, e quindi «intese» come cose qualsiasi, unicamente determinate dai loro rapporti reciproci. Nel caso normale, che qui abbiamo di mira, si tratterà di «grafemi», e quindi, in particolare di rapporti spaziali. Se conveniamo di chiamare simboli tali grafemi, sarà allora essenziale a questa nozione il sussistere di una regola o di un insieme di regole che definiscano l'unità sistematica dei simboli stabilendo i modi «legittimi» delle loro relazioni spaziali. Nella descrizione di un sistema simbolico compariranno perciò termini di localizzazione come «tra», «a destra», «a sinistra», «sopra», «sotto», e così via.

In precedenza abbiamo parlato di funzione simbolica del linguaggio intendendo con ciò il fungere del linguaggio in modo autonomo rispetto ai riempimenti, e quindi rispetto all'attualità della relazione conoscitiva. Da questo concetto di funzione simbolica va nettamente distinto il concetto di simbolo, come è stato qui delineato: «un pensiero simbolico inteso come privo di intuizione» è infatti tutt'altra cosa da «un pensiero simbolico che si realizza con concetti operazionali sostitutivi»[48].

Il simbolo non è un segno, se si intende il segno come definito dal rapporto di indicazione, come segnale[49]. Ma esso non è nemmeno una espressione, poiché è «privo di significato», ed infine non è soltanto una cosa, perché non viene inteso in ciò che esso è dal punto di vista sensibile qualitativo, ma nella sua funzione combinatoria. Tuttavia, nel trattare di questo problema, Husserl accenna alla possibilità di intendere come «significato» del simbolo la stessa relazione combinatoria e di conseguenza il concetto di espressione viene esteso anche a comprendere i simboli. L'espressione simbolica avrà allora il carattere di un segno «il cui significato è determinato unicamente dalle forme esterne di operazione», e quindi di una cosa qualsiasi «che può essere manipolata sul foglio di carta in queste forme determinate»[50].

«Il vero senso dei segni in questione» osserva Husserl «si rivela nel momento in cui pensiamo alla ben nota similitudine tra le operazioni di calcolo e quelle che si compiono nei giochi che si svolgono secondo regole, come quello degli scacchi. Le figure degli scacchi non intervengono nel gioco, come cose di avorio o di legno, che hanno un determinato colore. Ciò che le costituisce dal punto di vista fisico e fenomenale è del tutto indifferente e può variare a piacere. Esse diventano figure degli scacchi, cioè pezzi del gioco in questione, in virtù delle regole che conferiscono ad esse il loro preciso significato di gioco»[51].

Tra espressione e simbolo vi è dunque una netta differenza e al tempo stesso una connessione che va accuratamente illustrata. Le espressioni hanno anch'esse un aspetto materiale, fisico; ma nel cogliere l'espressione si ha di mira il significato e attraverso di esso l'oggetto, in un atto unitario che solo astrattamente può essere distinto ed articolato nei suoi momenti parziali. Disponendosi sul piano formale, e quindi, nel caso della logica, sul piano delle forme di significato, è possibile prescindere dal carattere espressivo considerando il segno come semplice cosa che mantiene tuttavia un significato combinatorio, un significato, come dice Husserl, operazionale. Questo significato operazionale deve essere tuttavia distinto dal significato originario, così come il concetto proprio e pieno di espressione da quello di simbolo, ed entrambi dai segni intesi come segnali. Sussiste qui una sorta di «parallelismo» in base al quale il risultato delle trasformazioni operate direttamente sui simboli può infine essere reinterpretato nel senso dei significati originari[52].

In tutto ciò e implicito che la logica, nella misura in cui si definisce come teoria formale del significato, può essere simbolizzata ed elaborata calcolisticamente. Otteniamo così una prima caratterizzazione della matematicità della logica, o anche, più in generale, una prima caratterizzazione del concetto di matematica, che si potrebbe definire matematica del significato, o meglio, per usare l'espressione propriamente husserliana, matematica apafantica: «L'elaborazione metodicamente perfetta di questa analitica (quando essa è rivolta puramente ai significati giudicativi) conduce necessariamente ad una "matematica" formale apofantica. Giacché chiunque abbia una volta imparato, nella matematica moderna e nell'analisi matematica in generale, la tecnica deduttiva, deve senz'altro vedere (come già Leibniz ha visto per primo) che le forme proposizionali si possono trattare, e si può "calcolare" con esse, come si fa con numeri, grandezze, ecc.; di più, che questo è l'unico modo in cui deve essere costruita una teoria universale delle proposizioni, come una teoria essenzialmente deduttiva.»[53].

§ 4

 

Nelle considerazioni precedenti abbiamo messo in rilievo esclusivamente quel livello inferiore della logica nel quale cadono le differenze della sensatezza e del nonsenso, un livello che Husserl designa anche come grammatica logica pura. In questa sfera ci si disinteressa delle condizioni di validità del significato - un problema che verrà in seguito precisato e articolato nella distinzione degli strati della logica della conseguenza e della logica della verità[54]. Restando su questo terreno, avremmo in realtà indicato solo una parte dei compiti che spettano secondo Husserl all'analitica logica. Infatti, sia nella teoria delle forme del significato, sia negli strati superiori, noi restiamo sempre dalla parte del significato, ottenendo al tempo stesso una caratterizzazione ancora incompleta del senso della «matematicità» della logica. Ma se riprendiamo l'intero problema a partire dalla distinzione elementare tra il significato e l'oggetto si presenta allora la possibilità di un'estensione della tematica proposta che apre tutto un complesso di prospettive nuove. Infatti, l'astrazione formalizzante che in precedenza rendeva possibile l'acquisizione della forma logica in quanto forma di significato, può essere diretta sull'oggetto e condurre cosi alla sfera delle relazioni formali che non concernono più i significati, ma gli oggetti. Si parlerà allora, anche in questo caso, di oggettualità sintattiche che debbono potersi rispecchiare in tutte le loro forme e articolazioni in «sintassi di significato esattamente corrispondenti»; così come si ritroverà qui la differenza tra queste stesse oggettualità intese «come derivate da altre oggettualità mediante forme sintattiche» e oggetti (substrati) ultimi, privi di qualsiasi forma di connessione[55]. E potrà infine essere legittimamente avanzata l'idea di una teoria che elabori, in una assoluta generalità, le sintassi primitive dell'oggetto in generale e le loro complicazioni possibili.

Ciò che qui si intende far valere è l'unità interna della sfera logica in senso stretto, della logica come matematica apofantica, con la «matematica non apofantica, cioè con 1' "analisi" formale tradizionale dei matematici»[56], una unità che non è data direttamente con l'algoritmizzazione della logica. Senza l'idea che i concetti tematici fondamentali che sorreggono le diverse discipline analitico-matematiche possono essere ricondotti sotto il concetto di oggetto, ponendosi così in una reciproca correlazione come sue ramificazioni categoriali, non può apparire con una chiarezza di principio il nodo necessario che collega tali discipline nel loro insieme, secondo rapporti certamente molto complessi, alla sfera del significato. Così, dal punto di vista di Husserl, il fatto che anche «la sillogistica può essere trattata in modo algebrico» ed ha perciò un aspetto teoretico «simile a quello di un'algebra delle grandezze e dei numeri» non è sufficiente a portare ad unità queste discipline, così come, nella direzione inversa, il fatto che «secondo un'osservazione geniale di Boole, il calcolo dell'aritmetica si riduce (considerato formalmente) al calcolo logico se si pensa la serie dei numeri limitata a zero e uno»[57]. È necessario invece mostrare come l'esibizione delle categorie del significato è correlativa all'esibizione delle categorie dell'oggetto, in modo tale che la sfera del logico arrivi ad abbracciare l'intera sfera del formale, la sfera matematica in senso ampliato, nel senso in cui Husserl riattualizza l'espressione leibniziana di mathesis universalis. Questa sfera si articolerebbe dunque in una teoria del significato o apofantica formale ed in una teoria dell'oggetto o ontologia formale: «In effetti, tutto ciò che appartiene alla sfera logica, cade sotto le categorie reciprocamente correlative di significato e di oggetto. Se quindi parliamo al plurale di categorie logiche si potrà trattare soltanto di pure specie che si distinguono a priori all'interno del genere "significato" o di forme correlative dell'oggettualità intesa categorialmente come tale.»[58].

Questo orientamento generale del discorso husserliano si trova alla base della determinazione del concetto di teoria in senso stretto, determinazione che è collegata con la distinzione generale delle scienze in due grandi classi secondo i modi della loro unità. Se ci atteniamo alle indicazioni con cui si aprono i Prolegomeni, si distinguerà allora il concetto della scienza da quello del «mero sapere», cioè dalle conoscenze singole e isolate: «Ora, al concetto della scienza ed al suo compito inerisce qualcosa di più che il mero sapere. Se noi abbiamo esperienza di singole percezioni interne o di gruppi di percezioni e le riconosciamo come esistenti, abbiamo certo un sapere, ma non ancora una scienza. E non altrimenti accade per i gruppi di atti conoscitivi privi di connessioni. Certo, la scienza intende darci una molteplicità del sapere, ma non una mera molteplicità. Anche l'affinità delle cose non produce ancora la sua unità peculiare nella molteplicità del sapere. Un gruppo di conoscenze chimiche non consentirebbe certo di parlare di una scienza chimica. Evidentemente si richiede qualcosa di più, si richiede, cioè, il nesso sistematico in senso teoretico, ed in questo consiste la fondazione del sapere e quindi anche la concatenazione ed il coordinamento del succedersi delle fondazioni. All'essenza della scienza inerisce dunque l'unità del nesso di fondazione, nel quale ricevono un'unità sistematica, insieme alle singole conoscenze, le stesse fondazioni e con queste anche le complessioni superiori di fondazioni che chiameremo teorie»[59]. Questa unità sistematica definisce tuttavia solo una classe di scienze che Husserl distingue, designandole come scienze astratte (o nomologiche), dalle scienze che derivano la loro unità da principi extra-essenziali, ed in particolare dall'omogeneità del loro campo (scienze concrete o ontologiche o descrittive)[60]. Certamente, ogni scienza presuppone un certo grado di unificazione che non riguarda unicamente il riferirsi delle proposizioni di cui essa è costituita ad oggetti appartenenti ad un genere unitario. Così, ogni scienza presuppone dei procedimenti metodici attraverso i quali le verità singole vengono fondate in verità di carattere più generale, o nuove verità vengono acquisite attraverso la loro mediazione[61]. Ma non ogni scienza appare interamente attraversata dal nesso della fondazione, in modo tale che ogni proposizione singola sia sistematicamente riducibile ad una legge, e questa a sua volta a certe leggi che «per loro stessa essenza (quindi "in sé ", e non in senso meramente soggettivo o antropologico) non possono essere più fondate»[62]. Quando ciò si verifica, si dirà che una scienza è completamente ridotta all'unità della teoria, cioè «all'unità sistematica della totalità idealmente chiusa di leggi che si basano su un'unica legalità fondamentale come loro ultimo fondamento e che derivano da tale fondamento mediante la riduzione sistematica[63]. Con ciò si precisa anche il concetto correlativo di spiegazione (Erklärung): «Spiegare secondo la teoria significa rendere comprensibile il singolare a partire dalla legge generale, e quest'ultima a partire dalla legge fondamentale. Nel campo dei fatti, si tratta perciò di riconoscere che ciò che accade in determinate collocazioni di circostanze, accade necessariamente, cioè secondo leggi naturali. Nel campo dell'a priori si tratta di comprendere la necessità delle relazioni specifiche di grado inferiore a partire dalle necessità generali più comprensive, ed infine dalle leggi relazionali più primitive e generali che chiamiamo assiomi»[64].

Nella misura in cui la logica si presenta come dottrina della scienza, essa ha a che fare con ciò che costituisce la sua unità teoretica[65]. Essa si occuperà dunque dei modi in cui i significati possono essere connessi secondo il rapporto di fondazione nel senso indicato. I problemi nei quali ci siamo imbattuti in precedenza, si ritrovano qui generalizzati sul piano sistematico: già nel caso delle fondazioni in generale, esse sono caratterizzate dal fatto che «ogni qual volta passiamo fondativamente da conoscenze date a nuove conoscenze, all'interno del modo di fondazione, vi è una certa forma che essa ha in comune con infinite altre fondazioni e che si trova in un certo rapporto con una legge generale mediante la quale è possibile giustificare direttamente tutte queste singole fondazioni»[66]. Lo stesso dovrà valere per la teoria intesa come unità sistematica dei significati nel rapporto di fondazione: anche in questo caso sarà possibile il passaggio alla struttura invariante di cui ogni teoria è soltanto una particolarizzazione, un «esempio». Si affaccia così l'idea di una teoria delle forme di teoria e, correlativamente, delle forme di campo nella quale si presenta, in una nuova interpretazione, il concetto di matematica formale o dottrina delle varietà, «questo massimo frutto della matematica moderna»[67].

§ 5

 

Il problema del significato appare dunque come il centro effettivo dell'idea husserliana della logica, non soltanto per la determinazione della sfera morfologica, ma anche in generale per la duplice articolazione della logica nell'apofantica e nell'ontologia, ed infine per la discussione del concetto generale di teoria.

Ci si può chiedere allora in che modo il concetto di significato possa essere adeguatamente istituito, in che modo dunque possano essere ottenute quelle «distinzioni essenziali» che a tale concetto sono strettamente attinenti. Pensiamo qui, naturalmente, al problema del rapporto tra segno, espressione e significato, tra significato e oggetto, tra forma e «materia» del significato, su cui si è in particolare soffermata la nostra attenzione. Ma anche, ad esempio, alla distinzione tra significati oggettivi ed occasionali, tra significati indipendenti e non-indipendenti - per indi-care solo alcune delle distinzioni che intervengono necessariamente nella precisazione dell'idea della logica qui prospettata. Tentare di dare una risposta a questo interrogativo, vuol dire anche mettere direttamente in questione un tema che in precedenza era ampiamente implicito: un' analitica logica presuppone un'«analisi» del significato e delle sue differenze in un senso completamente nuovo, sia nel suo metodo sia negli obiettivi che essa persegue; ed è lo sviluppo di questa analisi che caratterizza le Ricerche logiche in modo senz'altro determinante.

Per illustrare questo punto ci possiamo servire delle ultime indicazioni emerse a proposito del concetto di teoria, a cui del resto ci siamo riferiti non soltanto, naturalmente, per il rilievo che esso assume all'interno del discorso logico husserliano nel suo complesso, ma anche, agli scopi particolari di un inizio introduttivo che ci sono stati sempre presenti, ed in particolare per sottolineare che le indagini svolte da Husserl in quest'opera cadono interamente al di fuori del concetto di teoria, anche se sono rispetto ad esso finalizzate. Così, l'idea della spiegazione che deriva dalla connessione fondativa dei significati nell'unità di ordine superiore della teoria, ci serve qui al fine di introdurre, in certo senso per contrasto, l'idea della chiarificazione, che è essa stessa strettamente connessa ad un secondo concetto di fondazione (Grundlegung)[68]. Infatti l'«analisi» diretta alla chiarificazione delle differenze che concernono la sfera del significato, se da un lato si trova alla base della costruzione teoretica in senso stretto, dall'altro emerge completamente rispetto a questo piano, presupponendo un orientamento dell'indagine del tutto diverso.

Peraltro, questa differenza tra chiarificazione e spiegazione non è cosa che dipenda da una scelta «filosofica» generale, ma anzitutto dall'oggetto tematico della ricerca. Da questo punto di vista, la riflessione sul concetto di significato mostra direttamente questa essenziale duplicità, dal momento che l'istituzione di un nesso esplicativo tra le sue differenze interne rappresenta un compito improponibile proprio perché urta contro un'assurdità di principio[69]. Se ci si propone, ad esempio, di accertare la differenza tra l'espressione ed il significato, non è difficile rendersi conto che vi è spazio qui unicamente per la chiarificazione: questa differenza, cioè, può essere resa chiara, ma non spiegata, e ciò va detto in generale per tutti i concetti costitutivi della teoria, per tutte le categorie primitive del significato, come per tutte le categorie primitive dell'oggetto[70].

Questo è il primo punto che va sottolineato in rapporto al lavoro husserliano: esso si svolge interamente sul piano della chiarificazione.

Il secondo punto è che non basta indicare che i concetti logici fondamentali vanno sottoposti ad una chiarificazione preliminare, ma è necessario anche esibire i criteri della sua effettuazione, è necessario rendere interamente esplicito il suo metodo. Ciò corrisponde ad una richiesta di rigore: infatti ad ogni determinazione chiarificativa dei concetti debbono corrispondere quelle indicazioni di metodo che, mostrando in che modo essa è stata ottenuta, formano il requisito della sua fondatezza. E questo è il passo essenziale compiuto da Husserl nelle Ricerche logiche, un passo che genera tutte le complicazioni future, perché è in questo tentativo di rispondere al problema dell'esplicitazione del metodo della chiarificazione che assume la sua prima forma il concetto husserliano di fenomenologia.

Il terzo punto su cui va richiamata conclusivamente l'attenzione riguarda il problema dell'intuizione, nella misura in cui esso viene riproposto in rapporto alla precisazione del senso di una chiarificazione fenomenologica. In precedenza abbiamo osservato che il correlato intuitivo eventuale del significato, il suo senso riempiente, non è un elemento costitutivo del significato stesso, e su questa base abbiamo distinto la funzione conoscitiva del linguaggio dalla sua portata puramente significativa. Tuttavia, secondo Husserl, le differenze concernenti il significato non possono essere rese chiare arrestandosi alla considerazione delle espressioni nella loro funzione simbolica, ed è questo che fa rinascere in sede di analisi fenomenologica - e non dunque sul terreno della teoria logica - il problema dell'intuizione. Mantenendo la terminologia fissata, l'analisi fenomenologica sarà un'analisi attuale che considera i significati in rapporto ai loro riempimenti[71]: e viene così alla luce il nodo interno che connette questa scelta di metodo con la problematica di una nuova teoria della conoscenza, così come si presenta nella Sesta ricerca logica.

Note

 

* Nelle note seguenti, la traduzione italiana da me curata, Ricerche logiche, Il Saggiatore, Milano 1968 viene indicata con la sigla R.L.

[1] Come esempi si potrebbero citare i giudizi di un Beth o di uno Scholz. Secondo il primo, Husserl non sarebbe mai riuscito ad «assimilare completamente Frege» (I fondamenti logici della matematica, trad. it. di E. Casari, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 147); l'antipsicologismo di Husserl sarebbe puramente preteso e la fenomenologia null'altro che una psicologia speculativa che differisce da quella di Mill e di Ziehen solo perché assume principi differenti (cfr. E. W. Beth e J. Piaget, Epistémologie mathématique et psychologie, Paris, P.U.F., 1961, pp. 33-36; di qui risulta anche che questi giudizi si reggono sulle «conceptions courantes, d'ailleurs en grandes lignes exactes» [ !] della fenomenologia, oltre che sulla lettura del volume di M. Farber, The Foundation of Phenomenology, Cambridge, Mass., 1943). Secondo Scholz, il merito che si è aggiudicato Husserl con la scoperta della logica bolzaniana «è forse da porre più in alto di quello che gli spetta per le sue Ricerche logiche» (Storia della logica, trad. it. di E. Melandri, Milano, Silva, 1962, p. 94). - Lo stesso Beth (op. cit., p. 147) ricorda che l'opera di Husserl ha esercitato una forte influenza sulla logica polacca - ed è questa una direzione passata sostanzialmente inosservata da parte della bibliografia husserliana. Da questo punto di vista assumono rilievo anche le critiche di Husserl alle posizioni di Twardowski, il quale va a sua volta ricollegato all'ambiente brentaniano. (Dal 1968 ad oggi - 2001 - la situazione si è radicalmente modificata. L'interesse per il pensiero logico di Husserl è andato crescendo, sia in rapporto alla sua portata teoretica, sia alle influenze esercitate sulla logica e sulla filosofia del linguaggio del novecento. Nessuno studioso, di qualunque tendenza, azzarderebbe oggi giudizi così superficiali come quelli di Beth e di Scholz).

[2] F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkte, Leipzig 1874, I, pp. 32-33.

[3] Ibid., p. 27.

[4] E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, Halle-Saale 1891, p. VI.

[5] Come è noto, sussiste il problema della possibile influenza esercitata da Frege su Husserl, in particolare con la recensione alla Philosophie der Arithmetik, pubblicata nel 1894 nella «Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik» ed ora leggibile in G. Frege, Logica e aritmetica, trad. it. di L. Geymonat e C. Mangione, Torino, Boringhieri, 1965, pp. 419-437. Si rinvia a questo proposito a D. Føllesdal, Husserl und Frege. Ein Beitrag zur Beleuchtung der Entstehung der phänomenologischen Philosophie, Oslo 1958. Il Føllesdal sottolinea come questo problema sia stato finora poco studiato, rilevando l'insufficienza delle osservazioni che si possono trovare in M. Farber, op. cit., pp. 16-17, e in A. Osborn, Husserl and his Logical Investigations, Cambridge, Mass., 1949, pp. 49-53. D'altra parte il volumetto di Føllesdal è a sua volta ampiamente insoddisfacente: il problema dei rapporti Husserl-Frege viene affrontato con l'intento di stabilire «rigorosamente» se Frege ha influito su Husserl, ed a tal fine si accampano le citazioni corrispondenti (i fatti) per poi passare alle ipotesi e alla loro eventuale verifica. A tanto possono condurre le imitazioni di un "metodo scientifico" grossolanamente inteso. Il risultato è poi che Frege può aver influenzato Husserl, come una possibilità non verificata. (Ed a quale ricchezza di risultati esse possono condurre!). - Sulla posizione di Frege in generale si veda l'introduzione di C. Mangione al volume citato degli scritti di Frege, pp. 16-81. Inoltre: S. Veca, Fondazione e oggettività logica in G. Frege, «Aut Aut», luglio 1966, pp. 26-52.

[6] Come risulta da una lettera di Husserl a Meinong, in data 22.XI.1894, pubblicata in Philosophenbriefe aus der wissenschaftlichen Korrespondenz von A. v. Meinong, Graz 1965, p. 94. - Le idee sviluppate nei Prolegomeni risalgono al 1896, stando alle indicazioni contenute nella prefazione alla seconda edizione delle Ricerche logiche, dove si scrive che essi sono «nel loro contenuto essenziale, una semplice rielaborazione di due serie complementari di lezioni tenute a Halle nell'estate e nell'inverno del 1896». (Cfr. R. L., p. 10). Questa data è spostata al 1895 nel progretto di prefazione per la stessa edizione, pubblicato da Fink nel 1939, dove si legge che il contenuto del primo volume è «sostanzialmente, ed in particolare in tutte le sue argomentazioni antipsicologistiche, solo una ripresa di lezioni universitarie dell'estate e dell'autunno del 1895, e con ciò si spiega anche una certa vivacità e libertà dell'esposizione. Di progettazione nuova fu in realtà soltanto il capitolo conclusivo, il cui contenuto concettuale deriva tuttavia interamente dai più vecchi studi logico-matematici, che non ho più portato avanti dopo il 1894» (Entwurf einer «Vorrede» zu den «Logischen Untersuchungen», 1913, in «Tijdschrift voor Philosophie», 1, febbraio 1939, pp. 106-133, e 2 maggio 1939, pp. 319-339; la citazione riportata si trova a p. 128).

[7] E. Kant, Critica della ragion pura, trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Bari, Laterza, 1949, vol. I, p. 97.

[8] «Gli antipsicologisti sbagliano quando fanno della funzione regolativa della conoscenza, per così dire, la quintessenza delle leggi logiche. Per questa ragione non si è fatto valere come avrebbe meritato il carattere puramente teoretico della logica formale e di conseguenza la sua assimilazione alla matematica formale» (R.L., I, p. 168). Nel § 59 dei Prolegomeni, dopo aver sottolineato l'importanza di Herbart dal punto di vista di una concezione della logica come disciplina pura, non riducibile alla psicologia, Husserl osserva che l'errore fondamentale di Herbart consiste nella definizione del concetto logico attraverso il suo carattere normativo: «Strettamente dipendente da ciò è il fatto che Herbart crede di aver trovato una formula risolutiva quando contrappone la logica come morale del pensiero alla psicologia come storia naturale dell'intelletto. Egli non ha alcuna idea della scienza pura, teoretica, che si cela dietro questa morale (come anche nel caso della morale in senso comune), ed ancora meno dell'ambito e dei limiti naturali di questa scienza e della sua interna unità con la matematica pura» (ibid., I, p. 225). - Fra i filosofi suoi contemporanei che hanno intravisto l'idea della matematicità della logica, Husserl ricorda i nomi di Lotze e di Riehl (ibid., p. 80 e p. 178). In Logica formale e trascendentale questo riferimento viene precisato in senso critico: «Furono soltanto dei logici affatto isolati che si misero dalla parte delle tesi dei matematici, ma in fondo essi seguivano piuttosto una sensazione della via giusta, come Lotze, o il pregiudizio della superiorità del punto di vista dei matematici, come è chiaramente il caso di A. Riehl - più di quanto non cercassero di fondare questa presa di posizione sulla ricerca effettiva» (trad. it. di G. D. Neri, in seguito indicata con L.F.T., Bari, Laterza, 1966, p. 101). - A proposito del giudizio di Husserl su Lotze si veda Entwurf, cit., pp. 325-326, e Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, trad. it. di E. Filippini, in seguito indicata con Idee, Torino, Einaudi, 1965, pp. 836-837.

[9] R.L., I, p. 257.

[10] È appena il caso di ricordare che tra il 1900 e il 1903 vengono pubblicati i volumi dedicati a Leibniz di B. Russell (A critical exposition of the philosophy of Leibniz, Cambridge 1900), di L. Couturat (La logique de Leibniz, d'a près des documents inédits, Paris 1901. - Opuscules et fragments inédits de Leibniz, par L. Couturat, Paris 1903), e di E. Cassirer (Leibniz's System in seinen wissenschaftlichen Grundlagen, Marburg 1902). - Attraverso Leibniz, Husserl perviene a riaprire il problema del significato della logica scolastica, anche su questo punto in armonia con gli interessi riattivati dalla nuova logica. Accingendosi a difendere l'idea di una logica pura dall'obiezione secondo la quale si tratterebbe di una «restaurazione della logica scolastico-aristotelica, che la storia avrebbe già condannato come scarsamente valida», egli si chiede «se il disprezzo verso la logica tradizionale non sia una conseguenza ingiustificata di quello stato d'animo rinascimentale che aveva alla sua base motivazioni che oggi non possono più toccarci». Ed aggiunge: «Il fatto che la logica formale abbia assunto nelle mani della scolastica (specialmente nel periodo della sua degenerazione) il carattere di una falsa metodologia, dimostra forse soltanto che la teoria logica (nella misura in cui era già sviluppata) non era stata correttamente compresa dal punto di vista filosofico: la sua utilizzazione pratica intraprese perciò vie erronee, ed essa venne creduta capace di operazioni metodiche che per sua stessa essenza non era in grado di compiere. Così la mistica dei numeri non dimostra nulla in rapporto all'aritmetica» (ibid., pp. 55-56).

[11] Cfr. H. Scholz, Die Wissenschaftslehre Bolzanos, in Mathesis universalis, BaselStuttgart 1961, p. 220, n. 3.

[12] «L'opinione di Rickert che Bolzano fosse uno studioso ben noto e molto utilizzato in Austria, dove avrebbe esercitato una vasta influenza, è un'invenzione priva del minimo fondamento, come del resto tutto ciò che dice su Brentano, su di me e sui nostri rapporti con Bolzano. A che punto stessero le cose, a proposito dell'influenza di Bolzano, risulta già dal fatto che ancora intorno al 1901 l'edizione originale della Wissenschaftslehre del 1837 era invenduta e l'edizione parziale di Braumüller del 1884 aveva preso la via dell'antiquariato ad un prezzo irrisorio - poco prima che la mia riscoperta della sua importanza attirasse su di essa l'attenzione di tutti» (E. Husserl, Entwurf, cit., p. 129, nota).

[13] R.L., I, p. 230.

[14] Ibid., p. 231. Per il giudizio di Husserl su Bolzano, si veda in particolare Entwurf, cit., pp. 129 sgg. e pp. 326-327; Idee, p. 836; L.F.T., pp. 102-104. Su Bolzano e le Ricerche logiche: G. Preti, I fondamenti della logica formale pura nella Wissenscha/tslehre di B. Bolzano e nelle Logische Untersuchungen di E. Husserl, in «Sophia», II-1V, 1935.

[15] Ibid., p. 268.

[16] Cfr. ad es., ibid., II, p. 15: «... noi non lavoriamo ad un'esposizione sistematica della logica, ma alla sua chiarificazione critico-conoscitiva e, al tempo stesso, ad una elaborazione preliminare in vista di ogni esposizione futura di questo genere».

[17] Ibid., II, pp. 76-77.

[18] Nel primo capitolo della Terza ricerca assumono particolare rilievo i riferimenti all'opera di Carl Stumpf, a cui le Ricerche logiche sono dedicate. La bibliografia husserliana ha generalmente trascurato questo rapporto, ed a maggior ragione vogliamo sottolineare qui il suo specifico interesse. Stumpf è del resto autore poco studiato che meriterebbe di essere ripreso in considerazione. Si vedano intanto H. Spiegelberg, The Phenomenological Movement, Den Haag, M. Nijhoff, 1960, I, cap. II, pp. 53-69; e anche, con particolare riguardo al concetto di «fusione»: A. Gurwitsch, Théorie du champ de la conscience, Paris 1957, pp. 72-77. Segnaliamo infine che le opere di Stumpf Tonpsychologie (1883-1890) e Ueber den psychologischen Ursprung der Raumvorstelhung (1873) sono diventate nuovamente accessibili in seguito alle riedizioni compiute rispettivamente da E. J. Bonset, Amsterdam 1965, e da Frits Knuf e E. J. Bonset, Hilversum-Amsterdam 1965.

[19] Nella prefazione apposta alla Sesta ricerca (1920), Husserl definisce «grottesca» questa critica (R.L., I, p. 17) e nell'Entwurf del 1913 osserva che coloro che parlano di «ricaduta nello psicologismo non trovano nulla di strano nel fatto che lo stesso autore che nel primo volume manifesterebbe un acume da essi tanto lodato, nel secondo cercherebbe riparo in contraddizioni manifeste, anzi infantili» (p. 115).

[20] Naturalmente Husserl parla più volte, sia nelle Ricerche logiche che altrove, di logica filosofica, ma con ciò si intende sempre una logica «filosoficamente» chiarificata, nel senso gnoseologico che qui si ha di mira. Per l'approfondimento di questo tema si veda in particolare: L.F.T., § 8 e § 56.

[21] R.L., I, p. 256.

[22] Ibid., p. 257.

[23] Ibid., p. 258.

[24] Ibid.

[25] Ibid., p. 29.

[26] Ibid., p. 30.

[27] Philosophie der Arithmetik, op. cit., pp. VIII-IX. - Husserl aggiunge di essere debitore delle idee fondamentali della sua nuova teoria «allo studio della memoria di Gauss sui resti biquadratici (II), che pur essendo stata molto letta, è tuttaviasempre stata utilizzata solo unilateralmente» (ibid., p. IX). Su questo riferimento a Gauss in rapporto alla Philosophie der Arithmetik, cfr. B. Picker, Die Bedeutung der Mathematik für die Philosophie Edmund Husserls, in «Philosophia naturalis», 1962, Band VII, Heft 3-4, pp. 290-297.

[28] Idee, p. 118.

[29] L.F.T., p. 118. - Sui problemi posti dal concetto di varietà definita si veda S. Bachelard, La logique de Husserl, Paris, P.U.F., 1957, pp. 109 sgg. La Bachelard osserva che il concetto di definitezza non si presenta nei Prolegomeni benché la suaformulazione sia anteriore (stando appunto alla nota citata di Idee, op. cit., p. 110, n. 1). Questa affermazione deve essere tuttavia corretta, poiché anche se tale requisito non viene esplicitamente enunciato nel capitolo conclusivo dei Prolegomeni, esso ci sembra tuttavia riconoscibile nel concetto di chiusura del sistema di leggi fondamentali (R.L., I, p. 239).

[30] R.L., I, p. 254 (a questo accenno si rimanda anche nella precedente citazione tratta da Idee).

[31] Ibid., p. 255.

[32] Cfr. Sez. I, cap. III, in particolare § 30.

[33] Cfr. Prima ricerca, §§ 1-8.

[34] Ibid., p. 361.

[35] Ibid., p. 313.

[36] Ibid., p. 315.

[37] Cfr. Prima ricerca, §§ 7-8.

[38] Cfr. l'intero cap. II della Prima ricerca.

[39] Cfr. ibid., S 14.

[40] Ibid., pp. 334-35.

[41] R.L., II, p. 108.

[42] Ibid., I, p. 331.- Si veda in particolare la discussione con Sigwart (Ibid., I, p. 320), a proposito dell'esempio «cerchio quadrato». Sigwart nega che espressioni di questo genere abbiano significato, traendo questa negazione dall'asserzione «non vi è alcun cerchio quadrato». In sostanza si chiede qui se vi è un esempio intuitivo dell'espressione in questione, e si conclude dall'insussistenza di questo esempio all'insignificanza dell'espressione corrispondente. Ma se le cose stessero in questi termini, osserva Husserl, «dovremmo definire prive di senso, oltre alle espressioni immediatamente assurde anche quelle che sono assurde solo mediatamente, quindi le numerosissime espressioni che i matematici, con complesse dimostrazioni indirette, hanno provato essere a priori prive di oggetto, e dovremmo negare anche che concetti come decaedro regolare, ecc., siano in generale dei concetti» (p. 321). Husserl nega perciò che espressioni come «cerchio quadrato» e «verde è o» siano da porre sullo stesso piano: la seconda è infatti un'espressione apparente, un nonsenso, mentre la prima ha un significato che viene compreso perfettamente, solo che manca di traduzione intuitiva in linea di principio: cioè, il significato cerchio e il significato quadrato sono incompatibili, e da questa incompatibilità si trae l'affermazione dell'impossibilità a priori di un senso riempiente. Non sempre la «cambiale emessa sull'intuizione» (per servirci di un'immagine di Husserl) viene pagata (p. 322).

[43] La traduzione di Stoff con sostanza (e corrispondentemente di stofflich con sostanziale) può essere naturalmente discussa e ad essa sarebbe preferibile il termine di materia. Va notato tuttavia che Husserl afferma esplicitamente la necessità di distinguere anche sul piano terminologico questo concetto di materia (Materie) che si oppone a forma categoriale dal concetto di materia come opposto a qualità (cfr. Sesta ricerca § 42). All'interno delle Ricerche logiche la traduzione di Stoff con sostanza non conduce in ogni caso ad alcun equivoco essendo il suo senso nettamente determinato. Questa traduzione è stata adottata da M. Farber in The Foundation of Phenomenology, Cambridge, Mass. 1943, p. 322). Nella traduzione francese delle Richerche logiche (PUF, Paris 1961) si propone di rendere Stoff con materiau (vol. III, p 301).

[44] R.L., II, p. 109.

[45] Cfr. in particolare R.L., II, pp. 114-115 e l'Appendice prima a L.F.T. da cui abbiamo tratto i termini Syntagma e Kerngebilde che non compaiono nelle R.L. Si rimanda inoltre per queste distinzioni a Erfahnung und Urteil, Hamburg 1964, § 50b, da cui riferiamo il passo seguente, a chiarimento del problema accennato:«Ad un esame più attento, in ogni giudizio predicativo più semplice si è già effettuata una duplice messa in forma. I membri della proposizione giudicativa non hanno soltanto la messa in forma sintattica, a titolo di soggetto predicato, ecc., in quanto forme funzionali (Funktionsformen) che spettano ad essi come membri della proposizione, ma hanno alla base ancora un'altra specie di messa in forma, le forme nucleari: il soggetto ha la forma nucleare della sostantività (Substantivität) e nel predicato la determinazione p si trova nella forma nucleare dell'aggettività. La forma della sostantività non va peraltro confusa con la forma di soggetto. Essa designa 1'"essere-per-sé", l'indipendenza di un oggetto (una indipendenza che naturalmente, come vedremo, può anche derivare da un'autonomizzazione), rispetto all'aggettività, alla forma dell' "inerenza a qualcosa", della non-indipendenza dell'oggetto determinativo. Questa messa in forma non ha immediatamente nulla a che fare con la funzione di ciò che viene formato (del "costrutto nucleare") nell'intero del giudizio predicativo; ma essa è il presupposto per la messa in forma sintattica, per la trasformazione dei "costrutti nucleari" in sostanze sintattiche con forme funzionali, come la forma di soggetto, ecc. La messa in forma di soggetto presuppone una sostanza con la forma della sostantività. Ma tale sostanza non deve necessariamente assumere la forma di soggetto, essa può anche, come vedremo, avere la forma sintattica dell'oggetto relazionale. Ed analogamente ciò che viene colto nella forma dell'aggettività può fungere sia come predicato sia come attributo» (p. 248).

[46] R.L., II, p. 109.

[47] Ibid., p. 110.

[48] Ibid., I, p. 338.

[49] Ibid., p. 336.

[50] Ibid., p. 118, n. 9.

[51] Ibid., p. 336.

[52] Ibid. - Se si considerano le implicazioni di questa prima presa di posizione sul problema, non è difficile rendersi conto perché Husserl insisterà in seguito sul fatto che la soppressione di queste differenze, che comporta la riduzione di ogni significato al significato-gioco, e quindi dell'intera sfera delle forme a quella delle cose, va criticamente considerata come un momento interno del processo attraverso il quale le scienze diventano esse stesse «fabbriche di proposizioni preziose praticamente utili, in cui si può lavorare come operai o come tecnici inventori, a cui, in veste pratica, si può attingere anche senza un intera comprensione, cogliendone, nel migliore dei casi, semplicemente la razionalità tecnica» (Idee, trad. it. cit., p. 871; i corsivi sono nostri).

[53] L.F.T., p. 93.

[54] Cfr. Erste Philosophie, Husserliana, VII, cap. II, pp. 17-31; L.F.T., pp. 65 sgg.

[55] Idee, p. 31.

[56] L.F.T., pp. 93-94

[57] Ibid., p. 95.

[58] R.L., I, p. 362. - Questo problema si complica ulteriormente se si osserva che il significato può a sua volta essere oggetto di un significato, in modo tale che «su di esso possono eventualmente essere enunciati giudizi unitari evidenti: esso può venire paragonato ad altri significati ed essere distinto da essi; può essere soggetto identico di numerosi predicati, identico punto di riferimento in molteplici relazioni; può essere collegato con altri significati e contato come unità; in quanto significato identico, esso stesso è di nuovo oggetto in rapporto a molteplici significati nuovi - come tutti gli altri oggetti che non sono significati (cavalli, pietre, atti psichici, ecc.)» (ibid., p. 382).- Il termine di teoria dell'oggetto è caratteristico della prima edizione delle R.L., mentre quello di ontologia della seconda edizione e delle opere successive. Per la motivazione di questa scelta, si veda Idee, libro I, p. 30, nota 1, dove Husserl osserva che al tempo della prima edizione delle R.L. non aveva osato assumere il termine di ontologia, perché era «urtante per motivi storici». Per il passaggio dal concetto di teoria dell'oggetto a quello di ontologia si veda in particolare Seconda ricerca, § 8.

[59] Ibid., I, pp. 33-34.

[60] Cfr. Prolegomeni, § 64.

[61] Si veda per questo concetto di fondazione (Begründung), Prolegomeni, §§ 6-9 e § 42.

[62] R.L., I, p. 239.

[63] Ibid.

[64] Ibid., p. 285.

[65] Ibid., p. 362: «Ogni scienza, in rapporto al suo statuto oggettivo, è costituita in quanto teoria di un'unica sostanza omogenea, essa è una complessione ideale di significati. Potremmo dire addirittura, nella sua totalità, pur così differenziata, questa trama di significati che chiamiamo unità teoretica della scienza, appartiene ancora alla categoria che abbraccia tutti i suoi elementi, costituisce essa stessa un unità di significato».

[66] Ibid., p. 37.

[67] Ibid., p. 253.

[68] Si veda su questo punto E. Paci, Fondazione e chiarificazione in Husserl, in «Aut Aut», 99, maggio 1967, pp. 7-13, e dello stesso autore, sul tema di questa introduzione, Per lo studio della logica in Husserl, in «Aut Aut», 94, luglio 1966, pp. 7-25. - Il concetto di chiarificazione viene ripreso in Idee, libro I, § 67 e § 125; libro III, cap. IV. - Nel cap. II della Terza ricerca si definisce un terzo concetto di fondazione (Fundienung) che è di fondamentale importanza per le R.L. nel loro complesso. All'interno di quest'opera la distinzione terminologica (Begründung, Grundlegung, Fundierung) viene mantenuta in modo relativamente costante.

[69] Secondo J. Vuillemin (La philosophie de l'algèbre, Paris 1962, p. 495), la discriminante essenziale che separerebbe l'impostazione husserliana dagli altri indirizzi della riflessione contemporanea sul problema dei fondamenti della matematica consiste nel fatto che essa andrebbe caratterizzata come intuizionismo, «ma in un senso interamente differente da quello di un Weyl o di un Brouwer. Questi ultimi ricostruiscono su un dato irriducibile, ma di origine puramente matematica, come la serie degli interi naturali, tutto ciò che nella teoria degli insiemi e in topologia può ridursi, per mezzo di modi definiti di dimostrazione, come il ragionamento ricorsivo, a questi dati primitivi. Essi non passano in nessun caso ad un "altro genere" e non hanno bisogno di fornire una deduzione filosofica dei concetti primitivi propri della matematica». Non stiamo qui a discutere la caratterizzazione di intuizionismo in rapporto a Husserl che ha i suoi problemi: se teniamo conto dell'orientamento di ricerca che si fa valere in Husserl, si chiede qui implicitamente che la «chiarificazione» del significato cada nella sua «analitica», ed è questa richiesta che meriterebbe di essere segnalata come un assurdo passaggio ad altro genere.

[70] Si ribadisce perciò, in Husserl, che la teoria della conoscenza «in senso proprio non è affatto una teoria. Non è una scienza nel senso pregnante di una unità derivante da una spiegazione teoretica» (R.L., I, p. 285). «Essa non vuole spiegare in senso psicologico o psicofisico, la conoscenza, l'evento fattuale nella natura obbiettiva, ma chiarificare l'idea della conoscenza nei suoi elementi costitutivi o nelle sue leggi; non vuole andare alla ricerca dei nessi reali della coesistenza e della successione, nei quali sono intessuti gli atti conoscitivi fattuali, ma comprendere il senso ideale dei nessi specifici nei quali si documenta l'obiettività della conoscenza; ritornando al riempimento adeguato dell'intuizione, essa vuole rendere chiare e distinte le forme pure della conoscenza e le sue leggi» (ibid.).

[71] «Ciò che è il "significato"» scrive Husserl in un passo molto indicativo della sua posizione «ci può essere dato con la stessa immediatezza con cui ci è dato ciò che è il colore o il suono. Si tratta di qualcosa che non può essere definito ulteriormente, di descrittivamente ultimo. Ogni qual volta compiamo o comprendiamo un'espressione, essa significa per noi qualcosa, noi siamo attualmente coscienti del suo senso. Questo comprendere, significare, effettuare un senso, non è l'udire il complesso fonetico, o l'avere nello stesso tempo l'esperienza vissuta di un'immagine qualsiasi. Con la stessa evidenza con cui ci sono date le differenze fenomenologiche tra suoni che si manifestano, ci sono date anche le differenze tra i significati. Naturalmente la fenomenologia dei significati non raggiunge qui il suo punto terminale, ma ha di qui inizio. Da un lato si accerterà la differenza fondamentale, dal punto di vista gnoseologico, tra i significati simbolicamente vuoti e quelli intuitivamente riempiti, d'altro lato si dovranno studiare le modalità essenziali e le forme di collegamento tra i significati. Questo è il campo dell'analisi attuale del significato» (R.L., I, p. 454).