Questo testo riproduce il contenuto di una lezione di un corso sul tema
«La ripetizione» tenuto nel 1994 presso l’Università degli Studi di Milano.

Gli esempi musicali sono incorporati nel testo pdf

 

Giovanni Piana, Ripetizione, musica e magia. Conversazione intorno a "La musica e la magia" di Jules Combarieu (pp. 32 - Mb 1,35)


 

 

1994



I.

 

«L’organizzazione delle forme in musica obbedisce ad una legge fondamentale: la ripetizione». Questa frase di Jules Combarieu (1859-1916) si trova in un testo del 1909, intitolato, La musica e la magia, tradotto in italiano nel 1982 [1] . Essa va intesa in un senso del tutto generale, ma rappresenta anche la premessa per un’amplissima discussione sui rapporti tra musica e magia.

L’atmosfera positivista si risente nel corso dell’opera e nella sua impostazione, ma in forma attenuata e priva di rigidità, come è giusto che sia nell’èra del positivismo al suo tramonto. Tuttavia, nonostante il molto tempo passato dalla sua prima pubblicazione, nonostante il fatto che, come subito vedremo, le tesi presentate in essa non siano affatto accettabili, la sua lettura può essere ancora stimolante da vari punti di vista. Va notato in particolare che l’autore appartiene solo indirettamente all’antropologia musicale - egli piuttosto è un musicologo interessato non solo agli aspetti storici della musica (egli è autore di una Storia della musica in tre volumi), ma anche, e forse soprattutto, agli aspetti teorici [2] .

Questa presenza di un forte interesse teorico, quindi per domande quali quelle sull’essenza e sulla natura della musica, sulle sue leggi e sulla loro evoluzione deve essere sottolineata proprio per non equivocare sul carattere del volume. Non si tratta infatti di una ricerca antropologica vera e propria, e tanto meno di una ricerca antropologica di prima mano, ma di un’indagine che, sfruttando materiale etnomusicologico, tenta di affermare la tesi secondo la quale musica e magia hanno, all’origine, una stretta unità, anzi che la musica deriva dalla magia.

Si tratta dunque di una discussione che riguarda l’origine della musica. Ciò che si sostiene più volte e secondo varie formulazioni è che la musica non è sempre stata quella che conosciamo, e precisamente una produzione artistica, realizzata per il godimento estetico: questa sarebbe una trasformazione che la musica ha subito nel suo sviluppo. L’idea di una produzione finalizzata alla pura fruizione estetica apparterrebbe in via di principio ad una una cultura particolarmente avanzata. Regredendo invece sempre più indietro nel passato, risalendo addirittura ai primordi della civiltà e della cultura, troveremmo un’unità strettissima tra le manifestazioni musicali e le pratiche magiche al punto di poter parlare della musica come il risultato di una evoluzione che comincia dalla magia. L’intero testo di Combarieu intende illustrare questa tesi, cercando anche di mostrare come, ponendosi su questa strada, si riesca ad apportare chiarimenti anche su questioni dibattute e irrisolte sul piano della riflessione estetica e di teoria musicale.

Vorrei intanto subito farvi notare che vi è una certa differenza di significato, e non solo di sintassi, tra il parlare dell’origine della musica oppure della musica alle sue origini. In questo secondo caso si alluderebbe unicamente ad una dimensione di primitività culturale e temporale: il tema sarebbe anzitutto quello di indagare che ne è della musica nelle sue manifestazioni che possono essere considerate particolarmente primitive sulla base di qualche criterio esplicitamente enunciato. Si tratterà allora di considerare le forme che assume la musicalità in genere, la vocalità o l’impiego degli strumenti, il modo in cui la musica è integrata nella vita del gruppo sociale, nelle pratiche di lavoro o nelle pratiche domestiche, nelle condizioni festive, nella danza, e dunque anche nel rituale e in particolare nei rituali magici.

Naturalmente può essere che sullo sfondo di una simile indagine aleggi l’idea che considerando la musica in queste condizioni si colga anche qualcosa che appartiene essenzialmente alla musica, anche se non è vistosamente presente o è addirittura assente nella musica di età più colte, o inversamente che certe caratteristiche della musica di età più colte abbiano la loro «giustificazione» proprio in queste pratiche musicali primitive. Origine e giustificazione finiscono in questo contesto ad approssimare il loro significato, e ciò certamente non a caso. Se di un certo comportamento mi è ignoto il senso, un’indagine sull’origine può apportare un chiarimento e nello stesso tempo una giustificazione. Lo scopo principale dell’indagine resta comunque quello di accertare empiricamente ciò che ne è della musica in uno stadio primitivo del suo sviluppo.

Parlando invece dell’origine della musica la direzione principale diventa proprio la questione della giustificazione: ci occupiamo della musica alle sue origini, della musica «primitiva», come potremmo dire in breve evitando di tormentarci subito sulla metodologia d’impiego di questo concetto, soprattutto per dare una risposta alla domanda sull’origine della musica, domanda che poi non ha una sostanza storica, ma eminentemente teorica. Essa infatti vuol sapere qualcosa sulla natura profonda della musica, sulla sua essenza, sulle ragioni che fanno della musica quella che essa è, sulla sua funzione espressiva.

In Jules Combarieu l’inclinazione principale del discorso sta indubbiamente in questa seconda direzione. Ed uno dei fili conduttori principali, benché non sia il solo, riguarda proprio il problema della ripetizione. Come illustrazione dell’affermazione che abbiamo citato all’inizio, Combarieu cita un breve brano del XIII secolo [3] :

Es. 1 - mp3

Si tratta di un brano dalla struttura molto semplice suddiviso in quattro sezioni: un motivo A viene seguito da un motivo B e questo a sua volta da un motivo che differisce da B per l’inversione di solo due note e che potremmo indicare proprio per questo con B’. Lo schema ABB’ viene ripetuto due volte: l’unica particolarità sta nel fatto che il motivo A viene ripetuto due volte dopo tra l’una e l’altra ripetizione di quello schema.

Con un balzo vertiginoso, ma del resto giustificato proprio dal problema che Combarieu si appresta a discutere, egli cita subito dopo l’Andante su cui si apre la sonata op. 26 di Beethoven [4] :

Es. 2 - mp3

Questo Andante, che sta alla base delle successive variazioni, è naturalmente molto più complesso del brano precedente, e tuttavia la sua impalcatura è, non meno della precedente, fondata sulla ripetizione: un motivo A ed un motivo B sono ripetuti per tre volte in successione, mentre un motivo C fa da cerniera per l’ultima ripetizione di A e B. Lo schema è dunque AB; A’B’; C; A"B".

Inutile dire fino a che punto gli esempi si possano moltiplicare. Questi due casi sono comunque abbastanza distanti tra loro nel tempo ed abbastanza differenti perché si imponga la domanda sulle ragioni per le quali la ripetizione riveste una importanza così grande nella musica. «Donde deriva nella musica questo gusto per la ripetizione?» [5]. La risposta non sembra essere immediatamente a portata di mano. Combarieu rammenta, in particolare, fino a che punto nel linguaggio verbale la ripetizione venga accuratamente evitata - sottolineando che laddove, come nella poesia, la ripetizione assume importanza, ciò è dovuto proprio all’interesse per la sonorità dell’espressione verbale, quindi ancora all’aspetto musicale. Dovremmo allora parlare di una sorta di istinto della ripetizione che nella musica arriva a manifestarsi? Si tratterebbe di una spiegazione che non spiega nulla. Combarieu rifiuta anche possibili spiegazioni naturalistico-causalistiche. La ripetizione è particolarmente importante negli eventi della natura: a livelli più o meno profondi della legalità naturale, ci troviamo spesso alla presenza di fenomeni di ricorrenza più o meno rigorosa. Ma come potremmo stabilire un nesso percepibile e significativo tra questi fenomeni ed il problema della ripetizione nella musica? Lo sfondo positivistico non basta a far sì che Combarieu simpatizzi con posizioni come queste.

È interessante notare che egli non simpatizza nemmeno per le possibili spiegazioni retorico-pedagogiche del problema. La ripetizione riveste una particolare importanza nel linguaggio verbale quando è in questione una qualche forma di pregnanza espressiva - quindi nel quadro degli impieghi «retorici». La ripetizione, ad esempio, è in grado di far notare l’importanza dei concetti e delle nozioni, può servire per ribadirli ed enfatizzarli. Si tratta perciò di un mezzo ben noto ai predicatori: attraverso la ripetizione, così spesso si sostiene, lo stesso sentimento religioso può risultare potenziato e la musica religiosa in particolare può assecondare una simile tendenza, che non avrebbe dunque una origine propriamente musicale, ma piuttosto retorico-pedagogica in senso lato. Dalla musica religiosa, che è essenzialmente musica vocale, la ripetizione sarebbe poi penetrata nella musica strumentale.

Contro spiegazioni di questo genere Combarieu ribatte che i musicisti non sono né predicatori né retori - adducendo anche vari esempi per mostrare che le ripetizioni nella musica vocale non necessariamente seguono la logica concettuale del testo. Ad esempio non necessariamente sottolineano le parole «importanti» sotto un qualche profilo etico o religioso, anche se ciò naturalmente può anche accadere. Ma può accadere anche che ripetizioni che fanno parte del testo non trovino affatto un corrispondente musicale e inversamente: spesso si presentano ripetizioni che non sono affatto suggerite dal testo poetico. Ciò mostra secondo Combarieu che «le espressioni verbali si dimostrano semplici materiali nelle mani del compositore, il quale costruisce in assoluta autonomia...» [6], talora seguendo le suggestioni del testo talora distaccandosi da esso.

Queste critiche preparano naturalmente una tesi positiva: la ripetizione entra nella musica e fa parte della sua sostanza perché fa parte della sua origine. Quando noi osserviamo che la musica deriva dalla magia allora sembra ottenere un’improvvisa chiarezza anche il problema della ripetizione: «una delle regole universalmente seguite nell’uso delle formule magiche è la ripetizione» [7]. La formula magica è per principio una formula ripetitiva. Il medico, ad esempio, prescrive di cantare tre volte una certa formula e «il numero faceva parte del rimedio» [8].

In questa tesi della relazione tra musica e magia vi sono naturalmente diverse implicazioni che converrà mettere chiaramente in luce prima di accingerci ad una riflessione critica.

Intanto va da sé che alla base di queste considerazioni vi è una distinzione piuttosto netta tra magia e religione. Tutta la cura che era stata posta in precedenza nel distinguere la musica dalla perorazione religiosa dipendeva soprattutto, non tanto dall’intento di segnare un distacco tra musica profana e musica religiosa, quanto piuttosto da quello di fare arretrare il problema delle origini dalla religione alla magia. Per quanto riguarda questa distinzione Combarieu riprende idee che erano già state formulate in ambiente positivista, in particolare da Frazer nel suo Ramo d’oro. Nella magia si esprime una nozione di natura come animata da forze interne che sono dominabili da parte di uomini con capacità eccezionali - i maghi, appunto - mentre nella religione la natura dipende da una volontà superiore, da un dio o da una pluralità di divinità a cui ci si deve rivolgere nella forma della preghiera e del culto. Si tratta in realtà di una concezione che va ampiamente oltre l’ambiente positivista e che, in forme fortemente modificate e più complesse, si ritrova in un autore come Cassirer [9] . Lo stesso Combarieu del resto non condivide alcuni tipici pregiudizi sulla magia che sono ancora presenti in Frazer (come l’idea che il mago sia in realtà un astuto mentitore che riesce a convincere il gruppo dei suoi poteri) [10]. Posta questa differenza, il problema musicale viene spostato, secondo un punto di vista evoluzionistico elementare, dalla musica profana alla musica religiosa, e dalla musica religiosa alla musica legata alla magia - quindi anche dalla musica strumentale alla musica vocale, che acquista di conseguenza una priorità di principio. «Il canto profano proviene dal canto religioso. Il canto religioso proviene dal canto magico» [11].

Ciò richiede anche una precisa presa di posizione nei confronti della natura della pratica magica: ogni pratica magica, che prevede aspetti gestuali e manipolatori di vario tipo, ha una componente sonora, e in particolare vocale, ineliminabile. Questo è un aspetto che gli studi hanno in realtà fortemente trascurato e che ha invece ha la massima importanza per l’azione magica in genere. La pratica magica consta di azioni concrete che lo stregone realizza, ma queste azioni concrete sono sempre accompagnate da aspetti orali. Le formule magiche erano originariamente cantate, e poi recitate [12] . Questa «degradazione» di una pratica canora a una pratica verbale è caratteristica del resto anche del rito religioso, in cui l’aspetto canoro cede sempre più il passo a quello della semplice recitazione. Questa evoluzione corrisponde anche ad un processo di razionalizzazione: la parola parlata assume un significato intelligibile e questo in particolare lo si comprende in rapporto alla preghiera: in essa si deve entrare in un rapporto comunicativo con la divinità e chiedere ad essa una grazia o un favore. La preghiera deve allora avere carattere di comprensibilità esattamente come nel caso del discorso comune. Nel caso del canto magico invece il problema è quello di esercitare un potere insinuandosi all’interno delle forze stesse della natura. La potenza della parola è tutt’altra cosa dalla sua capacità significativa. Per questo motivo il canto magico consta per lo più di parole «prive di senso» [13], che sono prese per il loro puro valore musicale, ovvero per la loro capacità fonico-espressiva.

L’estraneità ad ogni preoccupazione di ordine estetico nella musica delle origini è una conseguenza ovvia di questa impostazione. Il primitivo non deve «essere granché disposto alla teoria dell’arte per l’arte! Per trarsi fuori dal pericolo il primitivo dispone di un’arma difensiva ed insieme offensiva: il canto» [14].«...la concezione del canto come gioco, ricreazione e ornamento è concezione tardiva e niente affatto originaria» [15].

Anche il canto religioso propriamente detto è lontano dalla musica d’arte ed è prossimo, almeno per quanto riguarda lo scopo, al canto magico:«... il canto della chiesa non è affatto un’opera d’arte e una pratica di affezionati e amatori; esso ha un ruolo e uno scopo pratici. Rappresenta un mezzo e non un fine; si canta di fatti per ottenere dei benefici e questo - che si voglia o no - coincide con la magia» [16]. L’accento cade dunque anzitutto sui motivi di sopravvivenza - in quanto incorporata nella magia la musica diventa una delle tecniche importanti di sopravvivenza del primitivo; nello stesso tempo la concezione della magia che qui viene proposta rende a suo modo conto dell’antica idea della partecipazione della musica all’essenza del reale, della concezione «metafisica» della musica. Attraverso il canto magico si evocano infatti le forze che governano la realtà stessa.

II

La tesi di Combarieu è certamente non poco impegnativa, proprio per il fatto che l’autore intende farla valere anche ed in particolare in rapporto a questioni specificamente musicali, a questioni di teoria e di organizzazione dei fatti musicali. Come abbiamo sottolineato fin dall’inizio, Combarieu non si limita a raccogliere materiali sui rapporti tra musica e magia - rapporti certamente esistenti ed importanti - ma avanza la pretesa più ampia che questi rapporti abbiano molte cose da insegnarci sugli sviluppi futuri della musica, nei quali questo rapporto è a malapena riconoscibile o non lo è affatto.

Così fin dalle prime pagine del saggio troviamo un’affermazione come la seguente: «Pur estranei a quelli che noi denominiamo teoria musicale, i canti della magia contengono allo stato embrionale tutto quello che più tardi costituirà l’arte propriamente detta» [17]. Dopo aver indugiato sulle forme di espressione tipiche della magia, Combarieu si propone esplicitamente di esaminare «come gli usi della magia abbiano determinato l’organizzazione del linguaggio musicale» [18].

Si stabilisce così una connessione interna tra l’origine della musica dalle pratiche magiche con la grammatica del linguaggio musicale. Combarieu cerca di fornire vere e proprie spiegazioni relative alle forme musicali a partire dalle forme elementari delle formule magiche - e con il diventare sempre più esplicito questo intento si accrescono i dubbi sulla bontà ed efficacia della via intrapresa.

Vogliamo considerare questi sviluppi proprio a partire dal tema particolarmente vistoso della ripetizione così come viene trattato nel capitolo sul ritmo [19] .

Occorre subito richiamare l’attenzione sul fatto che parlando di ritmo, Combarieu intende in generale una nozione che riguarda propriamente l’organizzazione interna del brano - la possibilità della sua suddivisione in sezioni nel senso già illustrato dai due esempi che abbiamo rammentato in precedenza. Si tratta perciò di una nozione molto ampia che è assimilabile a quella di «forma». In sostanza un’analisi «ritmica» nel suo senso è un’analisi che descrive il brano «avendo cura di porre nei punti convenienti (senza lasciarsi influenzare dalla presenza ingannatrice delle stanghette di battuta) le cesure principali e le cesure secondarie» [20], quindi un’analisi che tende ad evidenziare la struttura complessiva del brano considerato. Va da sé che si potranno distinguere raggruppamenti di ordine inferiore e di ordine superiore: ad es. con ABA potremo indicare una forma molto ampia in cui sono distinguibili tre sezioni che potranno a loro volta essere segmentate in vari modi. Attenendosi alla terminologia scolastica in uso ai suoi tempi ed in parte ancora oggi, per indicare questi segmenti Combarieu fa riferimento ad unità linguistico-letterarie: così egli parla di una sequenza di motivi musicali che formano una frase o anche un verso, di una sequenza di frasi che formano un periodo o anche una strofa, ecc.

Nonostante le critiche delle analogie retorico-linguistiche, i riferimenti al livello linguistico si impongono nuovamente - e ciò non deve in ogni caso sorprendere, tanto più che ci troviamo sul piano della parola magica che sta in certo senso prima della poesia e prima della musica e che è, nello stesso tempo, poesia e musica.

Val la pena di citare qualche esempio di formula magica, su cui Combarieu si sofferma traendolo soprattutto da un trattato di medicina (De medicamentis) di Marcello di Bordeaux [21] .

In queste formule, secondo Combarieu, dobbiamo cogliere i «ritmi» nel senso che abbiamo precedentemente definito e che sono particolarmente rilevanti non già nella musica primitiva, ma nella musica in genere. Ecco un esempio di «ritmo» che Combarieu chiama tripartito (o ternario):

Alam Bedam

Alam Betur

Alam Botum

Benché non si tratti di poesia nel senso comune del termine trattandosi di parole prive di senso, tuttavia la formula esemplifica ciò che prima abbiamo chiamato motivo (la parola singola come alam o betur), verso e strofa. È appena il caso di rilevare la quantità di ripetizioni letterali e di rapporti di somiglianza che si presentano qui. Non solo vi è il motivo ALAM ripetuto tre volte, ma vi sono anche le ripetizioni interne BE BE BO; ed ancora TUR TUM, nonché la finale M, la rima interna nel primo verso ALAM BEDAM e, del resto - perché no? - la ripetizione della A in ALAM. Una vera folla di ripetizioni! Ed è chiaro che Combarieu pensa di poter cavare da queste formule quelle strutture che si fanno poi valere anche sul piano puramente musicale.

Nel testo si dànno numerosi altri esempi altrettanto chiari per quanto riguarda lo scopo. In essi si tratta normalmente di formule in cui la ripetizione è dominante, come nel caso precedente. Viene tuttavia anche citato un esempio che ha un carattere per così dire puramente prosastico - un carattere «narrativo», come dice l’autore; ma ci si affretta ad osservare che esso deve essere cantato tre volte e proprio per questo esso «aquisisce con la ripetizione quel ritmo che altrimenti gli mancherebbe» [22]. Si tratta di un’affermazione che collega nella forma più stretta l’idea della ripetizione con quella di «ritmo» nell’accezione dell’autore. Qualcosa che è «senza ritmo» acquista ritmo anche solo nella misura in cui viene semplicemente ripetuta.

Per illustrare meglio in che modo Combarieu pensi di poter passare dalla formula magica al brano musicale è il caso di soffermarsi su un esempio particolarmente chiaro che del resto viene più di una volta richiamato dall’autore [23] . Si tratta della formula:

Kyria Kyria Kassaria Surorbi

a quanto sembra, efficacissima per guarire gli orzaioli dell’occhio.

Si tratta naturalmente di un «verso» che possiamo considerare avente la struttura AAB: Kyria / Kyria / Kassaria Surorbi

Essa potrebbe essere considerata come un caso particolare di una forma più generale AA’B, con la seconda sezione non esattamente identica alla prima. Il secondo motivo B è caratterizzato poi dal fatto di essere più lungo del primo motivo e di formare rispetto ad esso una sorta di prolungamento; da notare naturalmente il legame tra i due motivi formato dalle lettere comuni K(...)RIA.

Ed ora possiamo spiccare il volo verso la Passione bachiana secondo San Giovanni (n. 32) [24]: dove ad un primo elemento motivico A segue una variazione A’ di A; e poi ancora un elemento motivico un poco più ampio in corrispondenza appunto all’elemento B.

Ci troveremmo qui in presenza, secondo Combarieu, di un corrispondente musicale della formula magica precedente.

Ecco altri due esempi tratti da Mozart che secondo Combarieu illustrerebbero la stessa situazione (sonata in sol magg. KV 283 e in fa magg. KV 533)

Sonata KV 283

Sonata KV 533

L’esposizione di Combarieu è ricchissima di esemplificazioni che toccano anche vari aspetti della costruzione musicale; ma questi pochi esempi sono sufficienti per chiarire come venga effettuato il raccordo tra formula magica e forma musicale, cosicché ci possiamo senz’altro avviare a tirare le fila fornendo qualche elemento per una discussione.

Naturalmente si potrà fin dall’inizio manifestare un certo sconcerto di fronte ad un’impostazione di principio che ha come conseguenza la riconduzione di passi della Passione bachiana secondo San Giovanni, un brano di Mozart o di Beethoven a formule per la cura dei foruncoli o degli orzaioli degli occhi! Forse potremmo citare questa sola circostanza come in grado di invalidare l’intera impostazione di Combarieu. Ma questo sarebbe un atteggiamento non solo ingiusto, ma anche vagamente ottuso. Combarieu è un teorico della musica molto raffinato, particolarmente interessato alla struttura del linguaggio musicale considerato anzitutto nella sua autonomia, ed è lontanissimo da lui una impostazione riduttiva del significato e della portata della musica [25] . Inoltre sembra interessante, se riteniamo che la posizione di Combarieu sia insostenibile, cercare di indicarne le ragioni.

III

Vi è un punto in cui Combarieu sottolinea la molteplicità di forme che la ripetizione presenta nella musica: «La ripetizione in musica assume molte forme. Può aver luogo in una tonalità diversa (trasposizione) o in una parte diversa (imitazione); può essere melodica (riproduzione delle stesse note), o ritmica (riproduzione delle stesse durate ma assegnate a note differenti); e può essere infine integrale o frammentaria. Quando è integrale, essa mantiene l’ampiezza del tema base (verso, frase o periodo), ma può anche essere limitata alle note essenziali della formula tralasciando abbellimenti, raddoppi, note di passaggio; oppure può succedere che, inversamente introduca queste note accessorie dove prima non esistevano. Quando è frammentaria, la ripetizione si limita alla testa, o alla parte mediana, o a quella finale, della formula o tema: riproduce integralmente il frammento scelto, pur dandogli uno sviluppo più o meno ricco» [26]. Ora il riconoscimento di questa molteplicità avrebbe dovuto forse suggerire anzitutto l’idea di una possibile funzione interna svolta dalla ripetizione in rapporto alla formazione di quel particolare «oggetto» che è un brano musicale - o anche di una possibile molteplicità di funzioni. Se dovessimo impostare per nostro conto questo problema, prenderemmo proprio questa strada e cominceremmo probabilmente con il chiederci se vi sia una relazione tra la forma temporale di un brano musicale e la rilevanza che può assumere in esso la ripetizione. Naturalmente tocchiamo qui una questione di ampio respiro che non può essere risolta in quattro parole. Tuttavia si possono forse indicare in breve alcuni lineamenti del problema.

Le affermazioni sull’importanza della ripetizione nella musica generalmente non sono accompagnate da osservazioni su una tensione latente che esiste con la forma temporale. Forse questa tensione traspare dal fatto che talora, se da un lato si sottolinea la rilevanza musicale della ripetizione, dall’altro si afferma che, nonostante tutto, in rapporto ad un brano musicale non si può parlare di ripetizione autentica proprio in forza del fatto che esso si sviluppa temporalmente. Una simile affermazione potrebbe essere illustrata molto semplicemente facendo notare che se risuona prima un suono A e poi un altro suono A, il suono A successivo è diverso dal suono A precedente per il semplice fatto che è successivo. Così se consideriamo cinque ripetizioni di A, il primo A non è preceduto da alcun A, il secondo A da un suono A, il terzo da due, ecc. Ciò determina una differenza contestuale che impedirebbe di parlare di ripetizione autentica [27] . Seguendo questa argomentazione si potrebbe quasi dire (e lo si è detto) che nella musica il principio di identità non ha alcuna applicazione e pertanto che non si può nemmeno parlare di ripetizione. «Nella musica A non è mai eguale ad A». [28]La musica incarnerebbe, in una parola, quell’idea del fiume eracliteo, nella cui acqua non è mai possibile bagnarsi due volte.

In realtà siamo qui alla presenza di un’affermazione nella quale vi è una parte di ragione e una parte di sofisma. La parte di ragione consiste nel sottolineare l’importanza del contesto, ed in particolare del puro contesto temporale per la qualificazione di un evento sonoro nel suo senso percettivo. Per mettere in evidenza il suo lato sofistico basta fare riferimento al caso elementare su cui quell’osservazione è costruita ed immaginare che la sequenza continui a piacimento: il suono A viene ripetuto non tre o quattro volte, ma dieci, venti, trenta... Ed allora ciò che appare alla percezione è proprio niente altro che ripetizione, sulla quale la temporalità non è in grado minimamente di incidere: se la successione è abbastanza lunga anche la differenza di contesto temporale sarà percettivamente irrilevante, essendo da un punto di vista percettivo irrilevante che un A sia preceduto da venti suoni invece che da ventuno. Diventa invece dominante l’identità del suono che nell’argomentazione precedente sembrava quasi essere assorbita e negata dalla differenza nella successione temporale - e questo predominio è tale da attenuare il senso del flusso temporale e ricondurre il movimento dei suoni ad una condizione di stasi. Affermare che il suono successivo A differisce dal precedente per il semplice fatto che è successivo, che poteva sembrarci persino plausibile, ci porta in realtà alle soglie del non-senso. Sarebbe la stessa cosa se dicessimo che non posso parlare dell’eguaglianza di due quadrati che mi stanno di fronte l’uno a fianco dell’altro per il fatto che l’un quadrato ha un quadrato alla sua sinistra e l’altro ha un quadrato alla sua destra.

In questa nostra prima osservazione tuttavia permane, sia pure nella direzione inversa, l’idea di una sorta di contrapposizione tra ripetizione e temporalità. Prima si diceva che la ripetizione è ingoiata dal flusso, ora diciamo che è la ripetizione che ingoia il flusso. Consideriamo del resto il problema in modo del tutto generale. È un fatto che se cerchiamo esempi pregnanti per illustrare l’idea della ripetizione e della sua apprensione, non faremo riferimento ad eventi temporalmente piuttosto lontani tra loro ed inframmezzati da altri eventi, ma piuttosto ad eventi elementari in successione immediata: il ticchettio di un orologio, un inesorabile sgocciolio, una sequenza di note eguali... È importante qui che si affermi l’idea di una successione regolare di eventi, che è cominciata prima e che potrebbe continuare poi, indefinitamente. Nella ripetizione, ciò che si ripete è un evento già stato, ma affinché si dia esperienza della ripetizione, il richiamo al passato non basta. Così per dare il senso della ripetizione, non batterei solo due volte con le nocche della dita su un tavolo, ma più e più volte, e questo non come se questo senso dipendesse banalmente dal numero di volte in cui l’evento si ripete, ma per il fatto che dovrei suggerire anche la possibilità che la successione di eventi prosegua ancora indefinitamente. Cosicché forse, nel momento in cui smettessi di tamburellare, con un vago gesto della mano alluderei alla possibilità di una continuazione. Due battiti isolati potrebbero essere appresi semplicemente come una coppia di suoni eguali, che formano una configurazione unitaria e chiusa esattamente come due quadrati eguali che io potrei disegnare alla lavagna. Mentre una successione di battiti eventualmente accompagnati ad un gesto allusivo ad una possibile prosecuzione ci appare immediatamente sotto l’insegna della ripetizione. La successione dei battiti deve proporre dei puntini di sospensione che alludono alla proseguibilità e questi puntini di sospensione promettono non solo che la successione continuerà ma continuerà esattamente nello stesso modo di prima.

Già fin d’ora si intravvede chiaramente una sorta di ambivalenza e di possibile conflittualità: la ripetizione, intesa così, ci fa percepire l’avanzare del tempo. I battiti segmentano il suo flusso, e quindi in certo senso ne tradiscono la natura, ma nello stesso tempo lo fanno avvertire. Con i battiti posso simulare un andamento, più lento... più veloce... Quindi un movimento. La ripetizione non chiama in causa soltanto il passato, ma anche il futuro. La ripetizione si spinge oltre l’ultimo evento ripetuto annunciando che il prossimo evento sarà eguale agli eventi fin qui trascorsi. In questo annuncio è certamente compresa la possibilità di cogliere le cose da una diversa angolatura: la ripetizione avanza sulla linea del tempo: ma questo avanzare contiene l’anticipazione di un evento futuro come un evento coincidente con l’evento passato. Saremmo tentati di dire: di nuovo A nel futuro, e dunque, nel futuro, nulla di nuovo - sempre A.

Appare così, all’interno della nozione, una conflittualità latente. Le dimensioni della temporalità vengono connesse le une alle altre, ma in modo tale da farle implodere nell’unica dimensione del presente - di un presente immoto in cui è contenuto tutto ciò che è già stato e tutto ciò che è a-venire. Ma un presente così concepito nel quale il passato e il futuro si contraggono è un presente autentico? Ancora una volta si prospetta una sorta di opposizione tra la fluidità dello scorrere e la rigidità della ripetizione.

La ripetizione sembra stare dalla parte dell’elemento statico piuttosto che dalla parte del dinamismo del movimento; e ciò sembra valere in generale e forse anche, si sarebbe tentati di sostenere, sul piano musicale. In realtà che la ripetizione possa essere «giocata» musicalmente per creare condizioni di rigidità, di arresto del movimento, di congelamento del flusso temporale, questo è certo; ma altrettanto certo è che vi sono anche possibilità volte in tutt’altra direzione e che in ogni caso il porre l’accento sulla contrapposizione ci porterebbe fuori strada.

Intanto è opportuno sottolineare che il concetto stesso di ripetizione non può che costituirsi sulla base di un riferimento temporale. Di esso non si può rendere conto in termini della sola eguaglianza o somiglianza, ma ci si deve richiamare ad azioni (operazioni) ed eventi. Di questi si dice anzitutto che «si ripetono». Di quattro quadrati come questi

si potrebbe parlare di quattro quadrati eguali oppure di un quadrato ripetuto più volte: si tratta di due espressioni che si attagliano alla stessa configurazione, ma esse contrassegnano una differenza nel modo di intendere. Nel secondo i quadrati sono colti in una sequenza, come se ogni quadrato «precedesse l’altro» in un senso quasi-temporale. Si attribuisce allora alla configurazione nel suo complesso un «inizio» e una «fine» oppure la possibilità della sua indefinita prosecuzione. Si noti come il punto di vista della ripetizione suggerisca l’idea di un ordine [29] , mentre parlando della semplice eguaglianza si ha a che fare con una pura molteplicità. Quest’ultima possibilità è invece esclusa nel caso della semplice eguaglianza di suoni - ad esempio di eguale altezza. Essi non si possono dare in un unico sguardo, come nel caso dei quadrati, cosicché parlando di molteplicità in questo caso si intende certamente dire che, in un certo lasso di tempo, lo «stesso suono» è risuonato più volte. Il suono è un oggetto che ha carattere di evento. E come tale è consegnato alla possibilità della ripetizione. La ripetizione ha nella temporalità le sue radici e con essa intrattiene una dialettica complessa, che non è decisa una volta per tutte e che sta alla base della multiformità delle sue possibili funzioni.

Un primo e generale problema che si porrebbe approfondendo questo ambito di considerazioni riguarda il fatto che la ripetizione agisce in rapporto alla temporalità inducendo ordine ed articolazione. Le esposizioni manualistiche del divenire eracliteo spesso non mettono in sufficiente evidenza il fatto che, nella concezione complessiva di Eraclito, assume particolare importanza l’idea di un ordine costituito attraverso l’opposizione, e che questo tema si associa direttamente a quello della ripetizione. Certo, egli dice che «Il sole è nuovo ogni giorno» (fr. 6); ma dice anche che esso non può oltrepassare la sua misura, altrimenti «Le Erinni, ministre del giusto, lo scopriranno» (fr. 94); ed egli parla del fuoco che governa l’ordine del mondo come un fuoco che secondo misura si accende e secondo misura si spegne (fr. 30). Nel termine di misura è certamente presente un richiamo al metron della poesia e della musica, che è ciò che in esse continuamente si ripete. Che sia lecito ipotizzare una origine musicale della riflessione eraclitea, è forse già suggerito proprio da questo rapporto tra flusso e ripetizione [30] . La direzionalità del fiume che non può che scendere a valle, a partire da una origine e dirigendosi verso una mèta, si contrappone ma anche può coesistere con un ordine fondato sulla ripetizione che ha nel cerchio la sua rappresentazione esemplare: «Comune è infatti sulla circonferenza del circolo l’inizio e il termine» (fr. 103).

In rapporto alla musica ordine e articolazione sono le funzioni della ripetizione su cui dovremmo anzitutto attirare l’attenzione. Il divenire fluente è anche inarticolato, manca di punti di articolazione. La semplice ripetizione di una nota dà luogo certamente ad un livello di articolazione molto basso. Se ci venisse proposto di operare una partizione nella seguente successione:

in essa non potremmo trovare appigli di sorta che in qualche modo la giustifichino. Cosicché potremo apporre segni di partizione ovunque, arbitrariamente, oppure scegliere semplicemente di far valere come parti i singoli elementi della successione. Ciò corrisponde in realtà ad una mancanza di un’autentica articolazione interna. Tuttavia rispetto al tempo del flusso una simile partizione elementare rappresenta già una condizione per un ordine possibile. La ripetizione è naturalmente alla base del tempo scandito. Andando un solo passo oltre si può notare che una successione di note viene percepita come articolata per il solo fatto che nell’avvicendamento di note differenti risuona occasionalmente la stessa nota, che funge come punto di articolazione. Si fa allora subito sentire una tendenza - che può essere variamente rafforzata o indebolita da altri fattori - al raggruppamento dei tratti che le note ripetute delimitano, tendenza che rende possibile una partizione che non è del tutto arbitraria ma che ha qualche fondamento nella struttura della successione. Si tratta di casi elementarissimi, che tuttavia sono sufficienti a far presentire l’importanza che può assumere la ripetizione nel conferire un’ordine, vorrei quasi dire, una «figura» ad una successione di suoni. Il «sempre diverso» non dà forma, mentre il ritorno dell’eguale, nelle molteplici forme che esso può assumere, dalle più semplici alle più complessamente stratificate, fa parte della costruzione musicale in quanto è un’architettura di suoni.

Il termine di architettura rimanda alla solidità delle strutture portanti ed in ultima analisi a quella del mattone, della calce, del cemento; ma il suono è un materiale evanescente, e se ne va con il tempo scorre. A questo proposito possiamo accennare ad un’altra funzione importante della ripetizione nella musica strettamente legata al precedente: essa contribuisce ad evidenziare una configurazione una volta che è stata posta in essere. La ripetizione può infatti anche rappresentare una «mossa» in un gioco i cui poli essenziali sono il tempo e la struttura: essa può agire in favore di una memoria che tenta di arrestare il passare del tempo e il consumo delle forme che avvengono nel suo corso. Non solo i suoni, ma anche le figurazioni che si sono formate attraverso di essi se ne vanno con il tempo che scorre. E la ripetizione è una forza che agisce contro questa evanescenza.

Vi è poi la capacità della ripetizione di contribuire a far avanzare il brano musicale - dunque una funzione di movimento piuttosto che di stasi. Ciò vale persino per la semplice ripetizione di un’unica nota - il caso che abbiamo rammentato in precedenza più di una volta per tutt’altri motivi.

In passi come i seguenti, tratti dal quartetto di Haydn, op. 20 n. 5 :

A. (I tempo - batt. 13-17)

Es. 3 - mp3

B. (I tempo, batt. 76-80)

Es. 4 - mp3

si avverte subito l’effetto di movimento generato dalla ribattitura delle stesse note. Questo effetto è dovuto al carattere di pulsazione temporale che in un simile contesto ricevono le note ribattute - esse camminano con il tempo e fanno camminare il tempo. Analogamente le linee ascendenti descritte da violini e viola nel passo seguente, sempre tratto da un quartetto di Haydn (op. 74, n. 2, ultimo tempo, batt. 195-204)

Es. 5 - esecuzione senza il vc. Es. 6 - esecuzione con il vc.

vengono fortemente drammatizzate dalle note ribattute al basso, drammatizzazione rafforzata dalle dissonanze che esse introducono. È il caso di notare che nessun esempio di questo tipo ricorre nelle pagine di Combarieu - essi sarebbero effettivamente difficili da riportare alla sua impostazione del problema.

Si rammenta spesso, quando si parla della ripetizione nella musica che essa è, in senso ampio, anche ripetizione del «simile», e non soltanto dell’ «eguale». Si comprende allora come si possa estendere a dismisura il suo campo di azione. La varietà ha a che fare con la ripetizione esattamente come il simile ha a che fare con l’eguale. La nozione stessa di ripetizione assume una sorta di plasticità interna nella stessa misura in cui la variazione entra nel suo interno, operando in direzione opposta agli elementi di staticità e di rigidità. Immaginiamo che un motivo venga via via ripetuto ma ad ogni passo con una modificazione rispetto al passo immediatamente precedente. Seguendo questa via potremmo allontanarci a tal punto dal motivo originario da non consentirci più di associare il motivo di arrivo a quello da cui avevamo preso le mosse. Ma allora in rapporto al percorso che conduce tra questi estremi si può parlare di una graduale trasformazione, addirittura di una processualità, di uno sviluppo - nozioni che sembrano trovarsi sul versante opposto a quello della ripetizione. Tra ripetizione e variazione vi è una dialettica che ha vari gradi di complessità: la ripetizione e la modificazione possono stare l’una nell’altra, in varie forme possibili di tensioni interne. Talora la ripetizione musicale può avere origine dall’imitazione di un gesto o un evento. Combarieu stesso rammenta alcuni di questi casi, ad esempio, l’imitazione del salto del canguro, in una melodia australiana destinata alla danza [31] :

 

Es. 7 - mp3

Oppure l’imitazione del cadere della pioggia in un canto messicano di invocazione della pioggia [32] :


Es. 8 - mp3

Commenta Combarieu: «Questa melodia, dal punto di vista del ritmo e della forma del disegno melodico sembra molto appropriata al suo scopo: è una magia, un carmen o aoidé. I salti di ottava all’inizio, con le loro corone, valgono da richiamo, seguito da attesa e da angoscia, alle cose dell’alto. La prima idea melodica, ripetuta tre volte (nella magia il numero tre riveste capitale importanza) è una sorta di preghiera ostinata, quasi imperativa. La seconda idea - un arpeggio discendente - possiede quello che oggi si dice valore descrittivo o imitativo. Questa parola però non ha per il primitivo lo stesso senso con il quale noi la intendiamo. Il musicista offre qui uno schema molto rudimentale della cosa che egli vuole ottenere. Desiderando la pioggia, egli fa un arpeggio discendente, ossia un gesto che significa una cosa che cade. Questo gesto il cantore lo ripete due volte, poi riprende la formula della preghiera iniziale, per tre volte come dapprincipio. Si tratta di un linguaggio molto espressivo e molto chiaro, con forme le quali, nell’ambito della magia, hanno sempre avuto uso principalissimo: esso è inteso ad agire sul simile con il simile» [33].

Queste osservazioni corrono sul filo dell’equivoco: intanto il riferimento alla magia in rapporto alla costruzione di una forma ha qui un senso nettamente differente dai casi per lui eminenti della ripetizione nella formula magica, differenza che forse non è abbastanza avvertita. Così in rapporto al fatto che la prima forma melodica viene ripetuta tre volte, da un lato Combarieu ricorda che «nella magia il numero tre riveste capitale importanza», ma dall’altro anche fa riferimento ad una motivazione «retorica», dal momento che parla di «una sorta di preghiera ostinata, quasi imperativa»: e non necessariamente l’una spiegazione sta nell’altra. Ma soprattutto risulta chiaro anche solo da questo passo che egli ha una concezione della magia che mette in ombra gli aspetti rituali, che darebbero risalto all’elemento simbolico-espressivo, per dar valore invece ad una concezione pratico-utilitaristica. Un conto è in effetti considerare, ad esempio, una danza per la caccia come un vero e proprio momento della caccia, che cerca di garantire il suo successo quanto lo è un’accurata preparazione del veleno da porre sulla punta delle frecce; un altro è considerare la danza come un’azione rituale che ha a che fare con il successo della caccia, ma non in modo meccanico, cosicché il rituale propiziatorio prevale su un’interpretazione meramente pratica [34] . La sottovalutazione dell’elemento simbolico-espressivo conduce nello stesso tempo a non cogliere nell’ «imitazione» musicale l’interesse per l’aspetto formale. Questo problema viene appena sfiorato, laddove Combarieu parla, nel passo or ora citato, di «schema molto rudimentale» della cosa che il musicista vuole ottenere. Ora, non si tratta tanto della «rudimentalità» dell’imitazione, quanto piuttosto di uno stimolo che viene dal mondo esterno - il modo caratteristico di camminare e di saltare di un canguro, il volo di una cicogna, il cadere della pioggia, ecc. - che viene colto nella sua tipicità formale e che come tale colpisce l’immaginazione musicale. In luogo di ciò si cita il principio magico dell’azione del simile attraverso il simile, cosicché all’interesse per la forma subentra una imitazione duramente motivata dallo scopo puro e semplice di far piovere.

Analogamente - per fare un altro esempio, tratto invece dall’ambito dei «canti di lavoro» - un uomo accompagna con una sorta di nenia l’andirivieni di un bue per attingere acqua da un pozzo, con un movimento di allontanamento per tirare la corda seguito da un movimento di avvicinamento per rilasciarla. Vi è dunque un’azione suddivisa in due fasi: nella prima l’animale tira la corda e l’azione subisce un arresto ma resta incompiuta, nella seconda la corda viene rilasciata e l’azione si compie. L’uomo canta dunque due frasi strettamente simili

Es. 9 - mp3

ma in modo tale da stabilire una sospensione sulla prima fase ed un effetto di chiusura sulla seconda. Una forma musicale in miniatura ha così «origine» da un movimento e in un’azione reale. Parlare di pura imitazione o di descrizione sarebbe del tutto fuori luogo, così come lo sarebbe l’intendere questa «origine» come se essa consistesse nel puro e semplice movimento di un bue.

IV

È appena il caso di dire che queste nostre poche osservazioni su un problema così ampio e così multiforme come è quello della ripetizione nella musica sono puramente indicative, ma una particolare importanza ha ciò che con esse viene indicato: la ripetizione fa originariamente parte dei mezzi espressivi intrinsecamente propri della musica, proprio nella misura in cui essa consta di eventi sonori distribuiti nel tempo. I nostri pochi esempi indicano anche che i modi e le forme in cui la ripetizione può entrare in un brano musicale sono molteplici e che sarà, come sempre, il musicista a prendere intorno a ciò le proprie decisioni, fra le quali va certo compreso anche quella di tentare di evitare la ripetizione o di contrastarla nella misura del possibile [35] .

L’errore principale che Combarieu commette sta nel fatto che egli, da un lato, manifesta un interesse assai vivo per le forme di articolazione del brano musicale, per gli aspetti della sua «grammatica» che chiamano in causa la ripetizione, dall’altro tenta di dare di essi una giustificazione esterna di cui non si sente affatto il bisogno. La musica ha origine dalla ripetizione, cosicché risulta quanto mai sbagliato anche solo il chiedere da dove ha origine la ripetizione nella musica. In Combarieu invece tutte tutte le possibili e molteplici motivazioni interne che renderebbero conto della presenza della ripetizione nella musica vengono messe da parte. Accade come se «il gusto della musica per la ripetizione» si presentasse anzitutto come un insolubile enigma; ma poi, non appena si è indicata la derivazione della musica dalla magia, tutto diventasse improvvisamente chiaro. Un dato di fatto, la ripetizione nella magia, illuminerebbe un altro dato di fatto, la ripetizione nella musica, essendoci tra l’uno e l’altro un legame: la musica ha le proprie origini nella magia. Verrebbe voglia di chiedere: dunque, se la musica avesse avuto origine da qualche altra cosa, in essa la ripetizione potrebbe non avere nessuna importanza o quasi nessuna? E non vi sarebbero in essa le forme ABA, ABB o quant’altre si possano immaginare? La singolarità di queste domande mostra il rischio che stiamo correndo. All’interno dell’impostazione di Combarieu, forme che fanno parte della tipologia della ripetizione in generale, e che dunque hanno un interesse musicale diretto, esigono, per essere giustificate, il reperimento empirico di una formula magica che corrisponda ad esse. Ad esempio, in una tipologia delle forme della ripetizione rientrerebbe certamente la «retrogradazione» di una successione: ABC CBA. Ora Combarieu fa notare che nel gioco verbale della formula magica questa struttura si presenta con una certa frequenza [36] . Per lui non vi è da dubitare che questa forma di trattamento del materiale musicale abbia origine proprio dalla formula magica di analoga struttura. Dovremmo di conseguenza assumere che in assenza di un qualche corrispondente nel formulario magico, una forma non potrebbe avere nessuna giustificazione in ambito musicale. Combarieu esita di fronte a questo passo, come è ben comprensibile, e lo mitiga osservando che «vi fu incontestabilmente un’età in cui la musica mutuò tipi di composizione dalla magia riproducendoli fedelmente, ma vi è stato un momento nel quale, pur conservando il principio generale della ripetizione, la musica lo ha liberamente interpretato» [37]. Resta comunque del tutto estranea alla sua impostazione l’idea che la ripetizione nelle sue varie forme, e naturalmente la dialettica interna tra esse, possa essere considerata nella sua autonomia espressiva, senza che si cerchino spiegazioni sul terreno della magia o altrove [38] . Combarieu cita di continuo brani musicali per mostrare che in essi c’è la ripetizione; invece dovrebbe servirsi degli stessi esempi per mostrare ciò che la ripetizione fa [39] .

Occorre infine notare che la tematica dei rapporti tra musica e magia in Combarieu intende rispondere ad una domanda alla quale fino a questo punto non abbiamo dato la necessaria evidenza - mentre la discussione avrebbe forse potuto cominciare da essa. Si tratta di una domanda di ordine estetico. Man mano che si sviluppa la lettura del libro, si rafforza sempre più il dubbio che l’intera discussione condotta dall’autore abbia come scopo soprattutto quello di rendere conto del fascino della musica, della sua capacità attrattiva. La musica ci incanta. La musica è incantevole. In questi aggettivi, secondo Combarieu, dobbiamo essere in grado di risentire ancora il riferimento originario alla magia. «Il verbo incantare ha indicato dapprincipio l’azione specialissima che si esercitatava sopra un oggetto o una persona con l’aiuto del canto» [40]. La stessa parola «canto» ha a che vedere con incantesimo, così come cantare con incantare, nel senso di una pratica incantatoria. Incantesimo in francese si dice anche charme. A sua volta questo termine ci riporta al latino carmen ed ai suoi molteplici significati tra i quali vi è anche quello di indicare un brano suonato con un flauto o una cetra [41] .

Il fascino della ripetizione nella musica dovrà dunque essere ricercato nella fascinazione esercitata dalla magia. Ma in realtà, anche se avessimo deciso fin dall’inizio di seguire questo percorso nella nostra esposizione, ben presto ci saremmo imbattuti nei nodi della impostazione metodica di Combarieu e nelle conseguenze che abbiamo cercato di mettere in evidenza. La fascinazione magica, infatti, secondo Combarieu, non è tanto legata al cerimoniale magico, alla sua misteriosa gestualità, ai suoi singolari vocalismi, quindi alla sua forza immaginifico-evocativa, ma proprio alla sua efficacia, al possibile successo dell’azione magica, all’idea di un dominio della natura che la magia renderebbe possibile.

Uno spiraglio volto in altra direzione sembra aprirsi quando Combarieu, in luogo di insistere sulla derivazione della musica dalla magia, porta l’attenzione sul rapporto della magia con l’immaginazione in generale. Sullo sfondo della magia e della musica vi è l’uomo stesso come immaginazione e sentimento [42] - e proprio per questo egli può divenire da mago, poeta e musicista [43] . Per Combarieu la magia è uno straordinario e grandioso, per quanto primitivo, prodotto dell’immaginazione umana; ma ciò vale anche per la musica, e per l’arte intera, nella quale invece l’immaginazione si manifesta nelle sue capacità più raffinate. Considerato da questo lato, il modo dell’incontro tra musica e magia potrebbe assumere un’inclinazione interamente diversa.


Note

 

[1] J. Combarieu, 1982, La musica e la magia, Ed. it. a cura di Maurizio Papini, Mondadori, Milano, p. 170. Tutte le citazioni fanno riferimento a questa traduzione italiana.

[2] Tra le sue opere: La musique, ses lois, son évolution, Paris, Flammarion, 1907, Histoire de la musique, 3 voll. , Paris 1913-1919.

[3] p. 169.

[4] p. 170.

[5] p. 170.

[6] p. 173.

[7] p. 172.

[8] ivi.

[9] Cfr. in questo archivio: G. Piana, La notte dei lampi, II, L’immaginazione sacra. Saggio su Ernst Cassirer, § 9.

[10] Egli sostiene invece che lo stregone "è sincero e convinto di quello che fa almeno quanto uno scienziato che nel suo laboratorio crei un contatto tra due conduttori elettrici e se ne aspetti lo scoccare di una scintilla. Il rituale e il formulario cui egli si conforma assumono ai suoi occhi il medesimo valore che hanno per noi i trattati tecnici"(p. 23). Altrove Combarieu prende posizione contro coloro che giudicano pregiudizialmente ridicole e rozze le posizioni dei primitivi (cfr. p. 140).

[11] p. 13.

[12] p. 16.

[13] p. 17.

[14] p. 24.

[15] p. 6. - Poiché Combarieu cita "l’arte per l’arte" fa leva su un equivoco nemmeno troppo sottile, trattandosi effettivamente di una teoria piuttosto recente! Sulla tesi che vorrebbe sostenere vi sarebbe invece molto da discutere.

[16] p. 11.

[17] p. 17.

[18] p. 165.

[19] Parte IV, cap. I, Il ritmo nella magia e nella musica.

[20] p. 178.

[21] p. 175.

[22] p. 180.

[23] p. 178.

[24] p. 181.

[25] Sulle posizioni di Combarieu sulla teoria e sull’estetica musicale: E. Fubini, Il linguaggio musicale nel pensiero di Jules Combarieu in "Rivista di Estetica", VII, 1962, pp. 423-441.

[26] p. 194.

[27] F. Escal, Ostinato, in "Corps Écrits", 15, 1985 (dedicato a Répétition et Variations), 1985, p. 46.

[28] Val la pena a questo proposito citare un episodio narrato da Ruwet e il commento che egli fa di esso: "Je me souviens d’avoir assisté il y a quelques années à une confèrence de Michel Philippot à Royaumont. Philippot, au nom d’une exigence de renouvellement perpétuel, avait fait grief à Webern d’avoir introduit une reprise dans la Symphonie op. 21. A quoi André Souris, si j’ai bonne mémoire, avait repondu qu’étant donné que la musique se déroule dans le temps, une reprise ne peut jamais être considérée comme une pure et simple répétition. En musique, A n’est jamais égal à A. Or, nous dirons que, sur le plan de la langue, du système, A est égal à A, et que sur le plan de parole, il ne l’est pas. Mais les deux aspects s’impliquent mutuellement. Et, notamment la reprise de A par A’ ne peut être sentie come différente dans la dynamique de l’oeuvre, que parce que, sur le plan de la langue, A et A’ sont identiques. C’est seulement s’il y a des identités sur le plan de la langue qu’il peut y avoir des différences sur le plan de la parole, c’est-à-dire un mouvement, un devenir" (N. Ruwet, Langage, musique, poésie, Paris 1972).

[29] Nel considerare la connessione tra ordine e ripetizione in rapporto alla nozione di calcolo il riferimento alla temporalità diventa del tutto inessenziale. Su questo punto rimando al mio lavoro Numero e figura. Idee per una epistemologia della ripetizione, in questo archivio in part. I, § 11.

[30] Queste origini musicali del pensiero eracliteo sono esplorate a fondo, con grande ricchezza e finezza di analisi, da Carlo Serra in Intendere l’unità degli opposti: la dimensione musicale nel concetto eracliteo di armonia, reperibile in Internet, http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico.

[31] p. 155.

[32] p. 45.

[33] p. 46.

[34] Vi è un punto in cui Combarieu richiama i disegni preistorici nelle caverne dei Pirenei facendo notare che essi rappresentano solo animali commestibili (p. 153), e questo proprio in forza del magismo inerente a quei disegni: ciò significa per lui che essi non hanno all’origine alcun carattere estetico, ma eminentemente pratico - ed il disegnarli avrebbe lo scopo diretto del possesso, dal momento che, dal punto di vista del pensiero mitico-magico, possedere l’immagine e già il possedere la cosa stessa. Combarieu afferma inoltre che proprio questa ipotesi interpretativa su quei dipinti "ha suscitato l’idea del presente libro" (ivi). Si ha così la sensazione, detto in breve, che Combarieu pensi che il primitivo dipingeva gli animali sulle pareti della sua caverna solo per il fatto che voleva mangiarli - né più e né meno, anzi forse persino perché si illudeva, così facendo, di averli quasi già mangiati.

[35] Questa è anche la ragione per la quale proposizioni come "non c’è musica senza ripetizione" oppure "la ripetizione è essenziale solo a questo o quel linguaggio musicale" non ci aiutano certamente ad approfondire la varietà dei modi e dei significati in cui la ripetizione si può presentare nella musica.

[36] Cfr. in particolare pp. 198-199, dove ci si sofferma sulla formula "Laki Laki Laki /Mu // MU / Kila Kila Kila".

[37] p. 193.

[38] Pensiamo alla vecchia teoria formulata nel 1896 da Bücher in un libro famoso il cui titolo suonava significativamente Arbeit und Rhytmus. In esso si sosteneva appunto che la musica, in cui è fondamentale la componente ritmica, deriva dai canti di lavoro svolte in comune; ed anche in questo caso si potrebbe insistere sulla funzione eminentemente pratica del canto, sulla sua subordinazione e funzionalizzazione al lavoro. Attraverso questa teoria sembra anche che riusciamo a dare una risposta più che persuasiva alla questione della ripetizione: le attività a cui comunemente si pensa sono naturalmente attività essenzialmente ripetitive e richiedono una precisa scansione temporale per poter essere eseguite adeguatamente in gruppo. Anche in questo caso, come in quello del nesso con la magia, sembra importante al teorico sottolineare che "agli inizi" non si canta mai soltanto per cantare. La teoria dell’origine della musica dal lavoro è stata contestata da vari punti di vista, talvolta anche con argomenti fattuali: ad esempio, con l’osservazione che il lavoro comune in un senso stretto e rigoroso come quello qui richiesto non ha un grado di arcaicità sufficiente per sostenere un discorso sull’origine della musica (K. Sachs, La musica nel mondo antico, Firenze 1963, p. 5:"Il lavoro comune condotto ritmicamente non è mai esistito nei più antichi consorzi umani"). Ma questi argomenti fattuali sono persino troppo deboli di fronte all’autentica obiezione che si dovrebbe rivolgere qui: sbagliato è anzitutto porre il problema come problema di una derivazione da questo o da quello.

[39] E. Fubini, art. cit., p. 435 rileva come una "contraddizione, forse apparente" il fatto che dopo aver impostato tutto il suo discorso teorico sull’autonomia del linguaggio musicale, con la definizione della musica come "art de penser avec des sons", Combarieu ha tenuto poi "a mostrarne, accanto alla sua indipendenza e alla sua autonomia, anche l’indipendenza ed eteronomia", poiché secondo lui il fatto che la sintassi musicale sia "un procedimento formale per regolare la combinazione di un complesso di suoni" non toglie che "il linguaggio musicale lo si comprende solo se visto in una prospettiva più ampia, che tenga conto dei complessi fattori sociologici da cui in definitiva dipende la sua vita e la sua evoluzione; per cui le caratteristiche tecniche e formali della musica ’sont tributaires de la vie sociale: elles lui doivent leur habitus e leur intelligibilité" (La musique, ses lois et sono évolution, Paris 1907, p. 213). In realtà la contraddizione è in effetti solo apparente perché verso una soluzione sociologizzante tende già l’orientamento strettamente convenzionalistico assunto dall’autore in rapporto al linguaggio musicale. Dalla tesi generale secondo cui le caratteristiche tecniche e formali della musica debbono la loro intelligibilità alla vita sociale dipende l’intera impostazione dei rapporti tra musica e magia.

[40] p. 32.

[41] p. 34. - Un’eco di questi temi che legano insieme musica, ripetizione, charme e magia si ritrova in un autore tanto lontano da Combarieu come è Jankélévitch. In realtà Jankélévitch propende a considerare l’idea che il parlare di ripetizione nella musica è reso problematico per via del nesso con la temporalità sulla scorta di uno spunto di Bergson secondo il quale "ogni successivo ritorno del pendolo, per il solo fatto che è successivo ai precedenti nell’ordine della durata, modifica qualitativamente il passato di colui che ascolta"(La musique et l’Ineffable, Parigi 1961, trad. it. a cura di E. Lisciani-Petrini, Tempi moderni Ed., Napoli 1985, p. 31). A ciò si dovrebbe secondo Jankélévitch ciò che egli caratterizza come "insensibilità della musica alla ripetizione", cioè il fatto che le ripetizioni sono ampiamente tollerate nella musica. L’accento posto su questa "insensibilità" rappresenta a sua volta un mezzo per ribadire la debolezza della metafora del linguaggio riferita alla musica e la distanza dello sviluppo musicale da un "discorso" nel senso corrente del termine - ed in particolare per sottolineare che la componente architettonica del brano tende a stemperarsi nel decorso temporale del brano fino addirittura a sottrarsi alla percezione ("senza la visione retrospettiva del cammino percorso il puro ascolto non noterebbe il piano della sonata, giacché il piano è cosa concepita, non cosa udita né tempo vissuto" - p. 24). Si tratta di un modo di impostare il problema della ripetizione nella musica che segue tutt’altra via da quella che abbiamo cercato di tratteggiare. Jankélévitch infatti non sembra rendersi conto dell’importanza che la ripetizione ha nella musica proprio in rapporto con l’elemento strutturale-architettonico; e la formulazione relativa all’"insensibilità della musica alla ripetizione" è evidentemente, dal nostro punto di vista, una formulazione troppo debole. Nemmeno egli si sofferma sulla ripetizione come un possibile mezzo espressivo. La ripetizione invece ridiventa particolarmente importante quando Jankélévitch si sofferma sul fascino della musica, sul suo charme, sulla forza ammaliatrice della musica nel quale vi è qualcosa che ricorda il fascino incantatorio della magia. Peraltro la distanza con la posizione di Combarieu resta molto marcata, cosicché vi è un punto in cui si precisa: "L’operazione musicale, come l’iniziativa ’poetica’ è un’azione sorgiva, ed è per questo che merita l’appellativo di charme piuttosto che quello di magia: lo charme è infatti magia in senso figurato, essendo operazione mistica e non magica..." (p. 171).

[42] p. 13.

[43] p. 407.

 


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