Materiali di lavoro per un corso sul tema «Linguaggio ed esperienza nella filosofia della musica» tenuto nel 1987 (Università di Milano, Insegnamento di Filosofia teoretica I).
l testo qui commentato è Christian von Ehrenfels, Über Gestaltqualitäten. Vierteljahresschr. für Philosophie, 14, 1890, pp. 249-292. Lo si può trovare ora in Philosophische Schriften, Band III - Psychologie, Ethik, Erkenntnistheorie, a cura di Reinhard Fabian, Philosophia Verlag, Monaco 1991, pp. 128-168. Una traduzione inglese di questo testo sotto il titolo di «On Gestalt qualities» si trova in B. Smith, Foundations of Gestalt Theory, Philosophia Verlag, Wien, pp 82-117. Barry Smith ha anche scritto un bel libro sulla filosofia austriaca, Austrian Philosophy.The Legacy of Franz Brentano, Open Court Publishing Company, Chicago 1994. Esso contiene due capitoli, il VIII e il IX, dedicati a Von Ehrenfels. A questi si rimanda sia per un inquadramento della figura del filosofo, sia per un ampliamento della discussione sulla nozione di qualità ghestaltica. Il testo di Barry Smith è anche liberamente disponibile in Internet all’indirizzo http://ontology.buffalo.edu/smith/book/austrian_philosophy/. - I numeri di pagina delle citazioni si riferiscono all’edizione contenuta nei Philosophischen Schriften. In italiano, il saggio di von Ehrenfels è stato tradotto da N. Stucchi nel volume Forma ed esperienza, Angeli, Milano 1984, pp. 40-74. - Data di immissione in questo archivio: 2003.
L'idea di qualità ghestaltica in von Ehrenfels (239.43 kB) (pp. 28)
Giovanni Piana
L’idea di qualità ghestaltica in von Ehrenfels
Il saggio di Christian von Ehrenfels intitolato Über Gestaltqualitäten (1890) è ritenuto di solito come uno dei lavori nei quali si manifesta nettamente l’esigenza di una svolta metodologica all’interno degli studi di psicologia della percezione, una svolta che raggiunge in realtà piena chiarezza solo all’inizio del secolo XX. È proprio in questo saggio che compare per la prima volta in modo significativo, già nel titolo, il termine di Gestalt. Gestaltqualität potrebbe essere reso con «qualità formale» purché la parola forma venga intesa piuttosto secondo quella inclinazione che la orienta verso le pienezze della percezione - figure concretamente visibili, strutture effettivamente percepite - piuttosto che verso qualcosa di vuoto, di astrattamente intellettuale. Si potrebbe parlare anche di qualità ghestaltica, italianizzando il termine - ed in seguito useremo indifferentemente l’una o l’altra espressione.
Il saggio è dedicato ad un’introduzione ed a una discussione di questo concetto che trova qui un primo abbozzo, spunti estremamente interessanti e molti problemi.
Diciamo subito che si tratta di un lavoro caratterizzato in certo senso da cautela e imprudenza insieme.
Molto cauto è intanto il suo inizio. La nozione di Gestalt viene introdotta infatti sulla base di un’esemplificazione apparentemente molto chiara. Tuttavia, non appena la nozione è stata introdotta, l’autore tenta di operarne una generalizzazione, estendendone il campo di applicazione in modo spericolato, offrendo, piuttosto che un discorso organico, un insieme di accenni, di suggerimenti che mostrano molto bene l’ampiezza della problematica che quella nozione mette in ogni caso in gioco, ma anche le sue difficoltà interne.
Nell’introduzione della nozione di Gestalt gioca inizialmente un ruolo di rilievo una esemplificazione musicale. Von Ehrenfels nota infatti che noi non diciamo soltanto di udire questo o quel suono, ma anche di udire una melodia. Una simile espressione, che del resto è caratteristica del parlare comune, von Ehrenfels la trova, in particolare, nel testo di Mach, L’analisi delle sensazioni, dove si nota che le melodie, come le configurazioni spaziali in genere, sono «date nella sensazione». «Mach - scrive von Ehrenfels - propone asserzioni che per molti suonerebbero certamente come paradossali secondo le quali noi possiamo ‘sentire’ (empfinden) forme spaziali ed anche ‘forme sonore’ (Tongestalten) ovvero melodie in modo immediato» (Über Gestaltqualitäten, p. 128). Ma - questo è il dubbio da cui prende le mosse la riflessione di von Ehrenfels - questa espressione «essere dato nella sensazione » non può essere considerata realmente ovvia o senz’altro comprensibile.
Questa mancanza di ovvietà appare con particolare evidenza proprio nel caso esemplare di una melodia. Si noti che la parola ‘melodia’ va intesa, all’interno del saggio di von Ehrenfels senza particolari sofisticazioni, come uno sviluppo tematico elementare - egli cita di passaggio una canzone popolare. Si tratta dunque di una sequenza di note che si susseguono temporalmente l’una all’altra. Ora, la percezione è legata in generale alla presenza effettiva dell’oggetto percepito: quindi giustamente possiamo dire di udire un suono, ed esattamente quel suono che proprio ora sta risuonando. Ma se ci atteniamo a quest’accezione del percepire non potremmo affatto affermare di «udire una melodia » se non ammettendo che la melodia sia una vera e propria unità di nuovo genere. La melodia si fa sentire attraverso i suoni in successione, tra essi e la melodia vi è certamente una connessione, ma l’esistenza di questa connessione deve essere tale da rendere possibile il considerare la melodia come autonoma rispetto ai suoni di cui è composta, e quindi come un’oggettività che è appunto l’oggettività che abbiamo di mira quando affermiamo di udire una melodia. Attraverso la successione dei suoni si instaura un’impressione della sequenza intesa come colta direttamente ed in un colpo solo - si può dire che la melodia sia data nella sensazione solo in questo senso.
L’unità della melodia è dunque il primo esempio citato da von Ehrenfels come esempio di Gestalt: esso deve servirci da guida per comprenderne la nozione e per intenderne gli sviluppi.
L’esempio è scelto anzitutto per la sua capacità illustrativa, per la sua chiarezza. Se pensiamo, secondo la finzione proposta dall’autore, di fare udire a persone diverse ciascuna nota della melodia e se fosse possibile poi riunire queste diverse senzazioni in una sola non sarebbe in ogni caso pensabile di poter ricostruire ciò che accade in un singolo individuo che oda la melodia dall’inizio alla fine. Ciò che verrebbe a mancare sarebbe proprio quella «qualità formale» che è costitutiva dell’oggetto «melodia».
La qualità formale è dunque qualcosa che risulta dai suoni presi nella loro singolarità, ma in nessun modo può essere considerata come coincidente con essi. La Gestalt poggia sui suoni, ma è in certo modo sospesa su di essi. Detto in altro modo, un poco più astrattamente: l’unità risultante dalla molteplicità dei suoni non è analizzabile negli elementi della molteplicità. In un altro modo ancora - spesso ripreso dalla letteratura successiva: il tutto, l’intero, non è riducibile alla «mera somma» delle sue parti. Si tratta di una formulazione che può essere fatta risalire a Kant.
La prova decisiva della consistenza di una simile nozione di qualità formale sta, secondo Ehrenfels, nella possibilità di «trasporre» una melodia, di proporla in una regione più grave o più acuta. Nella trasposizione, tutti i suoni vengono spostati verso l’alto o verso il basso, quindi tutti i suoni vengono mutati, non sono più quelli di prima: ma la melodia è senz’altro riconosciuta e identificata come la stessa. Di contro, se impieghiamo gli stessi suoni in un altro ordine otterremmo una melodia interamente diversa.
Contro di ciò si potrebbe obbiettare: ciò accade semplicemente per il fatto che la melodia non sorge dai suoni considerati nelle loro altezze assolute, ma dai rapporti intervallari intercorrenti tra essi. Tuttavia questa per von Ehrenfels non può affatto essere considerata un’obiezione: ciò che egli sostiene è appunto l’importanza dell’intervallo, dunque della relazione, rispetto al contenuto dell’impressione singola; quell’unità di nuovo genere che chiamiamo Gestalt e che può essere percepita in se stessa sorge appunto dalla relazione, dal rapporto.
Quando parliamo di intervalli come costitutivi della melodia, osserva von Ehrenfels, parliamo di «qualcosa di diverso dalla somma delle note».
Il riferimento non solo alla melodia, ma in particolare alla possibilità della trasposizione è nettamente dominante nelle prime pagine del saggio. Gli argomenti di appoggio implicano o rimandano a questa possibilità di trasposizione. Che cosa significa, ad esempio, rammentare una melodia? Vè qui qualcosa di diverso dal rammentare una semplice successione di eventi ognuno dei quali con una connotazione determinata. Ad esempio, non è affatto importante, nel rammentare una melodia, rammentare il suono da cui precisamente inizia. Il suono da cui inizia lo posso scegliere liberamente nei limiti delle mie capacità vocali. Ciò che debbo rammentare è il passo compiuto a partire da questa prima nota alla successiva, e poi ancora alla successiva, ecc.
Chi rammenta una melodia rammenta una Gestalt, una costruzione unitaria globale, e riprodurre una melodia significa qualcosa di completamente diverso che rammentare un complesso di rappresentazioni singole che eventualmente, dopo essere state rammentate, rimettiamo poi nel loro giusto ordine.
La portata - ed anche i limiti - di questa prima introduzione della nozione, la si coglie tenendo presente lo sfondo in cui questa tematica viene proposta. Questo sfondo è rappresentato dalle tematiche empiristiche allora fortemente presenti nella psicologia dell’epoca. In base a queste tematiche i complessi debbono poter sempre essere analizzati in elementi semplici. Oppure, in un’altra formulazione ancora più chiara in rapporto al nostro problema: nel complesso non può esservi né di più né di meno di quanto vi è negli elementi di cui essso è composto. Se vi è qualcosa di più esso deriva da un’azione, da un qualche intervento «soggettivo», da una qualche attività mentale che si aggiunge ai materiali sensoriali.
L’impostazione iniziale del problema in von Ehrenfels non deve essere separata da questo sfondo al quale si rapporta in modo tendenzialmente critico, ma dal quale risulta poi dipendente per alcuni tratti importanti. Ciò che in ogni caso von Ehrenfels non mette in questione è l’idea secondo la quale alla base delle formazioni di esperienza vi siano degli «elementi » - in qualche modo dunque degli oggetti semplici - e che tali formazioni siano il risultato della loro composizione.
Il punto in cui agisce la critica è semmai l’idea che dalla composizione degli elementi non possa sorgere nulla di nuovo a meno di un qualche tipo di collegamento proposto da una specifica attività mentale. Il parlare di «somma» - parola già di per se stessa equivoca, impiegata in questo contesto, perché rimanda ad un campo del tutto diverso quale è l’aritmetica - ha per lo più il senso di un’analogia implicita. L’insistenza sul fatto che non si tratta di una «somma » intende rammentare che nell’aritmetica cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. L’argomento soggiacente alle considerazioni di von Ehrenfels è che qualora il complesso sia interamente analizzabile nei suoi elementi, allora due complessi saranno eguali qualora abbiano gli stessi elementi ovvero un mutamento nell’ordine non implicherebbe alcuna modificazione del complesso.
L’introduzione della nozione di Gestalt non mette in discussione l’idea degli elementi e della composizione degli elementi, bensì la concezione sommativa e additiva della composizione. Dobbiamo poter dire: gli stessi elementi possono stare alla base di complessi diversi, più precisamente possono essere unificati in modi diversi. Il modo dell’unificazione è ciò che vogliamo chiamare «qualità ghestaltica». Così nella definizione proposta si sottolinea ad un tempo l’autonomia rispetto agli elementi e la necessità per la qualità ghestaltica di avere in essi un fondamento.
Definizione di qualità ghestaltica
«Con qualità ghestaltiche intendiamo quei contenuti rappresentativi positivi (positive Vorstellungsinhalte) che sono vincolati all’esistenza di complessi rappresentativi nella coscienza, che a loro volta consistono di elementi separabili l’uno dall’altro (cioè rappresentabili separatamente). Chiamiamo fondamento (Grundlage) delle qualità ghestaltiche i complessi rappresentativi necessari per l’esistenza delle qualità ghestaltiche » (ivi, p. 136).
Va da sé che queste qualità ghestaltiche non derivano da «alcuna attività speciale diretta su di esse», come si sostiene in modo esplicito proprio verso la fine del saggio, riprendendo un tema già presente fin dai suoi inizi, e che esse sono date «contemporaneamente al loro fondamento». In questo senso si parla di contenuti rappresentativi «positivi» con particolare insistenza: essi sono tanto positivi quanto sono le sensazioni elementari stesse, e per questo si può dire che una melodia è effettivamente «data nella sensazione», autenticamente percepita. A questo punto si comprende molto bene anche perchè proprio la melodia assolva una funzione così esemplare. Infatti per quanto fin dall’inizio venga proposto il problema della Gestalt anche in rapporto alle forme spaziali, tuttavia si avverte nel testo una maggiore difficoltà nella ricerca di un’esemplificazione sufficientemente chiara. A mio avviso, ciò dipende dal fatto che mentre le note singole sembrano fornire se non altro una buona immagine di ciò che potrebbe valere a titolo di elementi di un complesso, e dunque di fondamento di una Gestalt, non è invece affatto chiaro che cosa potrebbe valere come tale nel caso di una configurazione visiva qualunque, anche se naturalmente potremmo escogitare qualche risposta (ad esempio, in una figura triangolare i segmenti di cui essa è composta). Ancor più problematico sarebbe il ritrovare nel campo delle forme spaziali qualcosa di analogo alla trasposizione nella melodia - mentre la possibilità della trasposizione, in una qualche nozione generalizzata del termine, sembra talora rappresentare una condizione generale per accertare l’esistenza di una Gestalt.
Infine si comprende anche in che senso si possa parlare di una novità o addirittura di una scoperta nella posizione di questa nozione. Non sembra infatti essere una gran scoperta il rilevare che con dodici note possiamo costruire melodie molto diverse oppure che con dodici segmenti, variamente disposti, potremmo formare figurazioni molteplici! Ma secondo gli intenti di von Ehrenfels non si tratta tanto di accertare che con gli stessi suoni possono sorgere molteplici melodie, ma piuttosto di affermare anche la possibilità di ricondurre la diversità delle formazioni dell’esperienza a fondamenti «omogenei». L’esempio diventa interessante non già in se stesso (come si crede di solito), ma per ciò che esso potrebbe significare in una sua generalizzazione. Vedremo fra breve in che modo questo tema si ripresenti al termine del saggio, dopo essere passato attraverso varie e singolari - e molto interessanti - peripezie.
Riassumendo: ogni formazione unitaria deriva dalla composizione di elementi semplici. L’esempio della melodia mostra tuttavia che questa composizione non può essere solo «additiva». La composizione deve dar luogo ad un’oggettività autonoma, per quanto fondata negli elementi che la compongono.
Gli sviluppi successivi sono caratterizzati da un progressivo ampliamento del campo di applicazione della nozione di qualità ghestaltica. Abbiamo già notato che fin dall’inizio, nonostante la maggiore evidenza degli esempi di Gestalten sonore, si ammette senz’altro che vi siano fenomeni analoghi nell’ambito delle formazioni spaziali. Vi sono Gestalten spaziali così come Gestalten temporali, una distinzione che non deve essere necessariamente disgiuntiva. Una qualità formale può sorgere da un fondamento spaziale e temporale. Ad esempio, nel caso della percezione del movimento operano con eguale importanza sia la componente temporale della successione che quello spaziale: ci sarà cioè un succedersi di impressioni visive singole che tuttavia dànno luogo ad una impressione-di-movimento che pone all’incirca gli stessi problemi che nel caso della melodia. L’accento cade in questo caso sul fatto che ogni movimento ha quello che potremmo chiamare un andamento caratteristico - ed è proprio questo andamento che rappresenta la qualità ghestaltica. Si pensi ad un movimento che caratterizzeremmo come movimento rotatorio, oppure come un movimento a scatti - designazioni che indicano appunto il carattere del movimento. Ma proprio in questi esempi si stenta a comprendere che cosa debba valere a titolo di fondamenti oppure a titolo di trasposizione. Comincia a profilarsi il dubbio che il tema dei «fondamenti » finisca con il riproporre la questione delle «impressioni» nella accezione humeana del termine, e dunque tutte le difficoltà relative alla nozione di elemento ultimo e semplice. Ciononostante ciò che si è detto sulla qualità ghestaltica suggerisce ampiamente la sua applicazione anche a casi come questi. Ad esempio, rammentare un movimento non significa rammentare ad uno ad uno i suoi momenti costitutivi (qualunque cosa possano essere), ma rammentare un andamento del movimento che viene colto unitariamente.
Questa tematica viene sviluppata in particolare sulla base della distinzione tra qualità ghestaltica temporale e qualità ghestaltica atemporale. Si tratta di una distinzione che non viene elaborata realmente a fondo da von Ehrenfels, e tuttavia essa ci appare subito significativa perché implica l’ammissione di Gestalten che non hanno bisogno della temporalità per costituirsi.
Esempi di qualità ghestaltiche atemporali saranno qualunque configurazione visiva considerata come tale - le forme spaziali in genere; ma anche un insieme di suoni dati simultaneamente, un accordo. Esso è detto atemporale non già per il fatto che un accordo sia fuori dal tempo - quando esso risuona certamente esso risuona in un qui ed in un ora; ma per il fatto che tutto ciò che sta alla base di questa formazione unitaria è dato in questo qui ed ora. Ciò che invece caratterizza la qualità ghestaltica temporale è il fatto che i fondamenti sono distribuiti in una successione, benché siano afferrati «globalmente». Nel caso delle qualità ghestaltiche temporali «può essere rappresentato al massimo un elemento mentre i rimanenti sono presenti come immagini mnestiche (o come immagini di attesa rivolte al futuro)» (ivi, p. 137). È dunque chiaro perché si possa chiamare un accordo «atemporale ».
Molto più problematico, ma particolarmente significativo invece è il caratterizzare come qualità ghestaltica atemporale il timbro di un suono. In realtà non è facile trovare una concordanza tra il fenomeno «timbro» e la definizione di qualità ghestaltica che è stata proposta. Nella definizione si parla infatti di fondamenti. Supponiamo che ora intorno a noi risuoni uno squillo di tromba. Dove sono i fondamenti? E dove è il complesso di contenuti rappresentativi positivi, per giunta «separabili » che fonderebbero la «qualità timbrica», ed anzi questa specifica qualità timbrica? Eppure non possiamo certo fare a meno di quella definizione, così come non possiamo dimenticarci dell’esempio della melodia che serve per introdurla. Le due cose si sostengono l’un l’altra. Nel caso dell’accordo possiamo ammettere il suo carattere di unità ghestaltica perché potremmo intendere l’accordo come una sorta di melodia verticale - le note sono i suoi elementi esattamente come nel caso della dimensione orizzontale, e vi è certo un qualche senso in cui potremmo parlare di una analogia con la trasposizione melodica. Nel caso del timbro invece le cose cambiano dal momento che non riusciamo ad attribuire alcun senso alla richiesta di indicare i fondamenti della qualità ghestaltica. Forse faticheremmo anche a parlare della percezione di un complesso, facendo riferimento agli armonici: infatti una molteplicità riscontrabile nella spiegazione fisica non necessariamente diventa leggibile sul piano fenomenologico.
Eppure von Ehrenfels cita questo esempio, ed è interessante che lo faccia, segnalando egli stesso la difficoltà. Ma come pensa di venirne a capo?
La sua soluzione è ricca di significato:
«A questo proposito è degno di nota che le qualità ghestaltiche talvolta si spingono a tal punto in primo piano, cioè si impongono a tal punto alla nostra attenzione che risulta difficile scomporre in elementi il loro fondamento. Questo vale nella misura più ampia per il timbro, ma spesso anche per quegli impasti sonori che in generale si suole chiamare accordi. Entrambi i fenomeni - risultando da uguali cause fisiche - si assomigliano anche psichicamente e non possiedono un confine netto, ma trapassano di continuo l’uno nell’altro»(ted. p. 138 ).
Questo passo va commentato con cura. Sullo sfondo di esso sta certamente il terreno delle spiegazioni fisiche piuttosto che quello delle considerazioni fenomenologiche. Ed è evidentemente importante rendersi conto del piano su cui si dispone la nozione di Gestalt nel momento in cui muove i suoi primi passi. Implicando il timbro come qualità ghestaltica, von Ehrenfels non può fare altro che riconoscere che i fondamenti non appaiono alla superficie fenomenologica. Questo può essere dovuto - così egli ipotizza - alla forza dell’unità costituita che prenderebbe tutta la nostra attenzione. Con uno sforzo dell’attenzione potremmo allora arrivare a cogliere percettivamente questi fondamenti? In realtà ancora prima di questa domanda dovremmo rispondere a quest’altra: come potremmo proporci di forzare la nostra attenzione in direzione dei fondamenti se questi sono del tutto inavvertiti ed io ignoro la loro stessa esistenza? D’altra parte per parlare di qualità ghestaltica debbo sapere che gli elementi costitutivi vi sono veramente, e se non attingo questo sapere dalla superficie fenomenologica lo debbo attingere da altre fonti, esso deve essere proposto mediante argomentazioni o come una ipotesi esplicativa più o meno forte.
Ciò è quanto si dice nella seconda parte della frase: abbiamo proposto un esempio abbastanza palese di qualità ghestaltica atemporale facendo riferimento ad accordi. Ora, vi è una spiegazione dell’effetto di un accordo facendo ricorso agli armonici, ed alla struttura degli armonici del suono potrebbe essere riportate anche le differenze timbriche. Gli armonici porebbero rappresentare dunque i componenti elementari inavvertiti che costituiscono il fondamento della qualità ghestaltica.
Ciò che merita di essere sottolineato qui è la natura tutta argomentativa del problema e l’apporto determinante di ipotesi specifiche sulla natura fisica del fenomeno sonoro. Ciò significa che, secondo von Ehrenfels, gli elementi possono anche trovarsi al di fuori del campo percettivo attuale. Il fondamento della qualità ghestaltica non è necessariamente una entità effettivamente percepita. Ma allora l’esemplarità della melodia in rapporto alla nozione di qualità ghestaltica si allenta, mentre si apre una breccia che ci conduce in direzioni inattese. Il caso della melodia era infatti particolarmente chiaro proprio perché ci consentiva di intendere le note stesse, che sono dati effettivamente percepiti come componenti elementari.
Se siamo disposti ad ammettere il timbro come Gestalt, perché non ammettere come tale anche una nota singola? Anche in questo caso gli elementi non sono affatto «dati ». Eppure potremmo addurre argomentazioni analoghe alle precedenti, richiamandoci del resto alla stessa teoria degli armonici che potrebbe giustificare ampiamente il fatto che la nota sia un complesso, anche se non appare così. Ciò è quanto sostiene ancora von Ehrenfels. E naturalmente possiamo andare oltre. Non ci sono solo le «note», ma anche i rumori. Vi è il rumore del tuono, di uno sparo, vi sono fruscii del genere più vario. Lo schiocco che ora faccio con le mie dita è una Gestalt. Il suono a cui ognuna di quelle parole si riferisce è può essere considerato come una particolare qualità ghestaltica. È naturalmente possibile che la spiegazione di von Ehrenfels non ci convinca: tuttavia vi è certamente un aspetto del problema che mostra la possibilità di simili sviluppi, anche in modo del tutto indipendente da quella spiegazione. In fin dei conti tutti questi esempi potrebbero essere intesi come esempi di andamenti, profili, tratti caratteristici. Sono andamenti le melodie e i movimenti, le figure hanno le loro tipicità riconoscibili ed afferrabili «in una volta sola», e questo si può dire anche per una nota, per un timbro, per uno schiocco delle dita. Da un lato dunque von Ehrenfels, per attenersi alla propria definizione di qualità ghestaltica oltrepassa il piano fenomenologico, dall’altro sembra sostenere che in fin dei conti non è poi così importante trovare giustificazioni per i fondamenti elementari, che potranno essere più o meno abboracciate, mentre lo è il riconoscere di essere in presenza non già di «elementi», ma piuttosto di «caratteri» tipicamente differenziati. In tal caso il problema del fondamento o quello della trasposizione perdono di importanza.
Questa è una nostra chiave di lettura. Essa tende a mettere in evidenza anche le indeterminatezze metodologiche di questo testo, il cui interesse in fin dei conti sta anche in queste indeterminatezze. Esso è pregevole proprio per i problemi che riesce a scatenare, è un testo forse più geniale che realmente profondo.
Non meno interessanti sono le proposte di ulteriori estensioni. Esse vengono operate mediante spostamenti successivi, secondo un procedimento analogico che abbiamo già visto in opera. Abbiamo proposto l’accordo come qualità ghestaltica (atemporale). Le note che lo costituiscono potrebbero essere intese come degli analoghi sul piano uditivo di ciò che sono i colori sul piano visivo. Allora gli accostamenti cromatici potrebbero dar luogo a qualità ghestaltiche come nel caso degli accordi. Ad esempio, in rapporto agli accordi consonantici si può parlare di «armonia» in una delle svariate accezioni che ha questo termine. E il termine di armonia è spesso impiegato nel campo degli accostamenti cromatici. Uno dei problemi caratteristici che la teoria dei colori si è sempre posta è quello di dare un senso anche nel campo cromatico a questa espressione di «armonia » che ha la sua prima applicazione nel campo dei suoni.
Si tratta di un parallelismo ricorrente, di cui von Ehrenfels approfitta allo scopo di mostrare e rafforzare la generalità della nozione di Gestalt. Il punto di collegamento consiste intanto nel ritrovare anche nel campo cromatico una qualità ghestaltica come risultato dell’accostamento dei colori. Peraltro anche in questo caso il riferimento alla definizione ed all’impianto iniziale del problema non può che essere piuttosto debole. In particolare, non è certo facile applicare in questo campo il tema della trasposizione: nel campo uditivo si possono produrre armonie eguali sulla base di elementi diversi, mentre ciò non sembra aver senso nel campo del colore.
La soluzione della difficoltà ha anche in questo caso l’aspetto di una facile scappatoia che mostra come von Ehrenfels sia assai poco disposto a rinunciare ad un’indicazione interessante a favore di un impianto teorico coerente. Egli si limita infatti ad osservare che non è affatto detto che la nozione di qualita ghestaltica debba avere le stesse caratteristiche nei vari campi sensoriali. Nello stesso tempo viene prospettata la possibilità di qualità ghestaltiche per ogni campo sensoriale, compreso quello del gusto. Il sapore di una vivanda, il suo essere attraente o repellente, non è riducibile analiticamente ai suoi componenti e rappresenta certamente un suo tratto caratteristico.
Infine von Ehrenfels avanza, a titolo di congettura, la possibilità che si diano qualità ghestaltiche che abbracciano campi sensoriali differenti - dunque che vi siano formazioni unitarie nelle quali ad esempio le componenti sonore confluiscano in componenti cromatiche formando una unità caratteristica. Anche questa congettura è assai poco sorretta dall’impianto teorico, e lontanissima dalla formulazione della definizione. Ma forse niente affatto estranea alla differenza tra composizione «additiva» e composizione «ghestaltica» degli elementi, potendosi illustrare quest’ultima come risultato di una confluenza di elementi, di un trapassare gli uni negli altri in una sorta di fusione che genera qualcosa di nuovo.
La possibilità di intendere il rapporto tra gli elementi che stanno a fondamento della qualità ghestaltica come un confluire dei contenuti l’uno nell’altro propone un’angolatura del problema che sta alla base di numerosi riferimenti a stati di transizione, di passaggio nei quali una determinazione sfuma nell’altra, e quindi anche di situazioni nelle quali si potrebbe parlare di progressioni percettive, di intensificazioni, di incrementi.
Questi riferimenti potrebbero apparire a tutta prima sconcertanti, eppure hanno una loro motivazione nel modo in cui il problema viene via via sviluppato.
Come esempio potremmo pensare ad una successione di suoni in crescendo. Oppure ad una sequenza cromatica nella quale un colore da una tonalità molto chiara raggiunge in modo progressivo, attraverso sfumature, una tonalità molto scura. Ed anche naturalmente a passaggi continui dal rosso al giallo attraverso l’arancione, ecc.
Casi analoghi a questi potrebbero certamente essere considerati sequenze figurali nelle quali una figura appare come una modificazione dell’altra, ad esempio una sequenza di cerchi sempre più grandi potrebbe essere proposta come una sorta di rappresentazione di un crescendo sonoro.
Rincresce soltanto che von Ehrenfels non indugi su questi esempi limitandosi ad osservare che anche questi casi di progressione e intensificazine possono essere considerati alla luce della nozione di Gestalt. Peraltro con qualche incertezza: ad esempio egli sembra mostrare indecisione sul fatto che si debba parlare in casi come questi di qualità gestaltiche oppure di mutamento di qualità ghestaltiche. Ma resta in ogni caso molto significativo il fatto che egli riconosca l’appartenenza all’area del problema le sfumature, le progressioni, le intensificazioni. Così come è significativo il riconoscimento sull’importanza che queste formazioni rivestono nell’ambito dell’esperienza in genere. Si tratta di un riconoscimento che viene effettuato in certo senso indirettamente in tutti quei punti in cui von Ehrenfels lamenta la carenza della lingua sotto questo riguardo. Essa consta - egli dice - di astratte indicazioni indirette (ivi, p. 140) che per lo più, in luogo di esprimere la transizione, tendono a fissare come uno stato ciò che in realtà è il momento di una trasmutazione.
«Come è azzurro è il cielo!»- eppure espressioni come queste sono lontane dal poter esprimere la mobilità dell’esperienza che in essa viene indicata: l’azzurro del cielo è un «azzurrarsi» del cielo che può avvenire in molti modi diversi che non possono affatto essere rispecchiati dalla parole di cui disponiamo.
Ciascuno di questa mobile fusione di contenuti appartiene all’ambito dei fenomeni ghestaltici. L’importanza di questa affermazione sta nella consapevolezza implicita dei problemi che sorgono considerando queste formazioni e in particolare nella consapevolezza della difficoltà a rendere conto di essi in termini «atomistici » e «additivi ».
In nessun modo infatti qualcosa può essere dato come un momento, una fase, una sfumatura se è inteso in sé e per sé, come una formazione chiusa e non invece aperta ad una possibile integrazione.
Si prospettano così implicitamente dubbi su possibili spiegazioni di stile empiristico, anche se non si può certo parlare di una esplicita polemica antiempiristica. La tematica dell’associazione viene mantenuta - ma viene a mutare la sua angolatura: l’associazione viene riportata alle qualità ghestaltiche piuttosto che agli elementi su cui esse si fondano, sulla base dell’argomento che esse possono essere più facilmente trattenute nella memoria. I termini dei nessi associativi sono dunque ora prevalentemente le qualità ghestaltiche. E l’accento cadrà più spesso sulla somiglianza piuttosto che sulla contiguità. La somiglianza, a sua volta, non verrà più intesa secondo uno stile atomistico alla luce dell’idea di una parte comune, nettamente individuata e separata dalle altre parti. Ad una concezione della somiglianza concepita come risultato di un confronto punto contro punto si contrappone un concetto di somiglianza adeguato alla nozione di Gestalt. Se la Gestalt è un tratto caratteristico, anche la somiglianza tra Gestalten sarà somiglianza di caratteri. In realtà von Ehrenfels si trova ad un solo passo dal formulare l’idea della somiglianza come « «somiglianza di famiglia » « così come verrà molto più tardi formulata da Wittgenstein in una riflessione che mina le basi della tradizionale teoria del concetto. Dopo aver notato che possiamo riconoscere l’affinità di una melodia con altre melodie senza essere in grado di indicare in modo più preciso in che cosa consista questa affinità, egli osserva:
«In questo modo riconosciamo che qualcuno appartiene ad una stessa famiglia stando ad una somiglianza che è esibita dal suo carattere psichico globale, dal suo habitus, una somiglianza che si oppone ostinatamente ad un’analisi che voglia ricondurla all’eguaglianza di singole parti »(ivi, p. 146).
Spunti in direzione della filosofia dell’arte non mancano, e pur essendo relativamente esigui e frammentari sono in grado di indicare qualcosa di simile ad un orientamento e ad una direzione. Essi non debbono dunque essere considerati come semplici integrazioni incidentali relativamente estrinseche.
Intanto, la frase più volte ripetuta secondo la quale la Gestalt è «qualcosa di nuovo» rispetto agli elementi su cui essa è fondata contiene una possibile accentuazione di un momento di creatività su cui von Ehrenfels richiama l’attenzione alla fine del saggio. Egli rammenta proprio la vecchia teoria humeana dell’immaginazione nella quale si fa valere la tesi della dipendenza dell’immaginazione dalle « «impressions», consistendo la sua libertà nella «facoltà di combinare liberamente elementi dati dalla sensazione e dell’esperienza interna ». Von Ehrenfels sembra non voler attaccare direttamente questa concezione, ma ne modifica profondamente il senso poiché ciò che viene liberamente combinato sono proprio le Gestalten. La formulazione humeana dunque poteva essere interpretata come se proponesse una combinazione puramente «additiva», indebolendo il momento della creatività, essendo ogni formazione immaginativa interamente analizzabile nei suoi componenti, mentre in von Ehrenfels la creatività viene accentuata al massimo grado perché la combinazione di cui egli parla conduce a «qualcosa di nuovo» irriducibile agli elementi che stanno al suo fondamento (e la cui consistenza tende a diventare sempre più evanescente).
Questa libertà viene appoggiata con una curiosa argomentazione che richiama tuttavia lo stile dell’impostazione complessiva del saggio.
In realtà, osserva von Erhrenfels, se stiamo alle qualità ghestaltiche di grado inferiore - suoni o colori singolarmente presi, ad esempio - esiste la possibilità di una loro organizzazione sistematica che consente la loro relativa dominabilità. I colori, ad esempio - e qualcosa di simile vale anche per i suoni - possono essere intesi come sfumature all’interno di un sistema cromatico complessivo che può essere idealmente considerato come contenente tutte le possibilità cromatiche. Cosicché se all’interno di una sfumatura chiaroscurale vi è un «salto» io sarò sempre in grado di «riempirl» con i giusti «passi ». Vi è qui un sapere che traggo direttamente dalla Gestalt della sfumatura che mi sta di fronte. Ora anche dipinti e melodie sono Gestalten a loro volta, ma in rapporto ad essi non ha alcun senso porre un problema analogo. Un dipinto o una melodia non sono interpolazioni prevedibili nel presupposto di un sistema globale che li comprende tutti. Creatività artistica e concezione della attività artistica come produttiva di Gestalten di ordine superiore sono problemi che secondo von Ehrenfels stanno l’uno nell’altro. Melodie, dipinti, forme architettoniche, ecc. sono in primo luogo Gestalten e proprio per questo possono essere dette il risultato di una attività creativa. Naturalmente di qui deriva la stretta connessione tra produzione artistica e strutture della percezione.
Ecco in che modo von Ehrenfels cerca di sviluppare questa connessione. A suo avviso vi è una differenza tra vista e udito per ciò che concerne la capacità di afferramento globale di un mutamento. Il senso dell’udito sorpassa ampiamente quello della vista nella capacità di «raccogliere insieme le sezioni temporali di processi di modificazione in un immagine complessiva (ivi, p. 141). Ciò è da intendere attraverso l’esempio della ballerina che esegue passi di danza molto vari, seguendo fedelmente l’andamento di una melodia. Abbiamo dunque una sequenza sonora ed una visiva che hanno la stessa durata. Tuttavia se la melodia è abbastanza breve chiunque sarà in grado di riprodurla, mentre stenterà a riprodurre le movenze della danza. Ciò significa, secondo von Ehrenfels, che la successione temporale delle scene visive non dà luogo ad una Gestalt altrettanto stabile quanto la sequenza temporale della melodia. Inversamente "l’udito è di gran lunga inferiore alla vista nella capacità di percepire le qualità ghestaltiche atemporali » (ivi). Una conseguenza di ciò è che mentre in un dipinto possono giocare insieme una grande quantità di colori che vengono colti distintamente nella ricchezza dei loro rapporti, nel caso degli accordi «la varietà delle note udite contemporaneamente non può rivaleggiare neppure lontanamente con la varietà di configurazioni e di colori percepibili in una occhiata »(ivi, p. 141).
Proprio in base a considerazioni di questo tipo si chiarisce, secondo von Ehrenfels, perché non esista un vera e propria arte della luce, dei suoi cambiamenti e quindi dei cambiamenti graduali dei colori - mezzi che vengono utilizzati «sporadicamente con finalità estetiche», ad esempio come mezzi ausiliari nelle rappresentazioni teatrali. In questo campo si producono Gestalten troppo deboli per dare luogo a produzioni autonome. In realtà questo è ancora un modo di ribadire che la produzione artistica è essenzialmente produzione di Gestalten. Un’arte della luce colorata e delle sfumature di colore in movimento non c’è perché sono troppo labili le Gestalten che possono essere prodotte in questo modo - esse sono troppo fugaci e difficilmente si imprimono nella memoria. Se così non fosse un’arte della luce potrebbe ben esserci!
Volendo leggere più a fondo gli spunti di von Ehrenfels in direzione dell’arte, c’è anche dell’altro. Certo, questi spunti per diventare significativi debbono essere sfruttati a fondo dal lettore. Nel testo troviamo cenni che tendono ad una breve elaborazione dell’idea secondo cui l’attività artistica è un’attività produttiva di Gestalten. Occorre anzitutto mettere l’accento sul fatto che questa attività non avviene nel vuoto, ma è radicata all’interno dei processi di esperienza.
Un pittore dipinge un cielo azzurro. Abbiamo già messo in rilievo la carenza della lingua nei suoi impieghi descrittivi al fine di rendere l’autentica esperienza dell’azzurro del cielo; ed anche notato che questa esperienza, come nell’esperienza in genere, vi sono ovunque trasmutazioni, sottili passaggi, una enorme ricchezza di sfumature. Ora dobbiamo aggiungere: queste qualità ghestaltiche hanno anche uno sfondo emotivo da cui sono accompagnate. Un pittore che si propone di dipingere un cielo azzurro tenderà dunque a superare la carenza della lingua, a restituire la mobilità dell’esperienza ed anche a far apparire nel suo prodotto lo sfondo emotivo che la accompagna: anche se anche in questo caso vi saranno delle limitazioni. Anche il pennello del pittore non può fare altro che cogliere «solo un membro della catena dei singoli stati in trasformazione», e perciò egli «può compensare solo in misura limitata la carenza della lingua ». Ma a parte ciò il compito di superare questi limiti sembra essere il compito stesso dell’arte. Anche la poesia, arte del linguaggio per eccellenza, cerca, secondo von Ehrenfels, di suscitare le qualità ghestaltiche nell’animo del lettore o dell’ascoltatore insieme agli effetti emotivi ad esse collegati.
Per quanto non sia troppo giusto tentare di trarre da queste scarne indicazioni un discorso approfondito, tuttavia occorre almeno notare che von Ehrenfels non intende enfatizzare più di tanto la presenza dell’affettività nella produzione artistica, essendo più interessato a richiamare l’attenzione sugli aspetti formali, più che su quelli contenutistici. Il problema dell’emotività si pone per due ragioni: la prima, accennata or ora, per il fatto che le Gestalten hanno comunque uno sfondo emotivo. La seconda riguarda invece il fatto che la nozione di Gestalt può essere applicata non soltanto ai fenomeni della percezione esterna, ma anche a quelli della percezione interna - cioè ai vissuti in genere ed ai loro temi.
In quale altro campo infatti troviamo con maggiore evidenza fusione e confluenza delle parti, passaggi e transizioni, se non nella vita psichica, nella dinamica delle emozioni e dei sentimenti?
Potremmo dire addirittura che l’essenza del sentimento è la trasmutazione, che di questa essenza fanno parte l’intensificazione e il decremento qualitativo, fanno parte quei crescendo e decrescendo che abbiamo già messo in rilievo come Gestalten nel campo del suono. Nell’ambito della vita affettiva «si riscontrano cambiamenti (come l’insorgere e lo sparire di un piacere, di un dolore, di un’attesa) che, se sono oggetti di rappresentazione interna, sono analoghi alle qualità ghestaltiche caratteristiche di un suono che cresce o si va spegnendo» (p. 58). Poiché un’analogia tra Gestalten può stare a fondamento di una nuova Gestalt, osservazioni come queste possono essere considerate orientate a sostenere una possibile «associazione» tra suono e sentimento, o meglio tra movimento sonoro (musicale) e movimento affettivo, a cui attribuire eventualmente l’ «effetto estetico» dell’opera. Nessun riferimento dunque alla particolarità del sentimento, ma piuttosto ai suoi tratti caratteristici. Forse si tratta di una posizione non troppo lontana da una estetica «formalistica» secondo temi allora molto dibattuti? Qui si apre una discussione molto ampia a cui certo non è possibile nemmeno accennare. Vi è un interessante indizio già in questo testo degli orientamenti e degli interessi futuri di von Ehrenfels dal punto di vista della riflessione teorica e specificamente musicale. Trattando della somiglianza tra Gestalten egli osserva che ci si può chiedere se «le qualità gestaltiche di differenti campi rappresentativi, che possono apparire come disparati (come un crescendo, l’intensificazione della luce nel montare del giorno, l’intensificazione emotiva di un’attesa) non esibiscano una somiglianza diretta che, al di là dell’eguaglianza di caratteri comuni (come in questo caso il tempo), hanno la loro sede nel fenomeno stesso, e non solo nei sentimenti da cui sono accompagnate». E in nota a questo passo si rammenta l’aurora nel prologo del Crepuscolo degli dei osservando che le opere di Wagner in genere «per via del parallelismo che in esse si realizza tra eventi musicali e drammatici offrono materia ricchissima per la messa a confronto di qualità ghestaltiche di ogni genere» (ivi, p. 147). Nello stesso periodo della stesura di questo testo in effetti von Ehrenfels prendeva vivacemente parte con una posizione propria al dibattito sul wagnerismo. I saggi dedicati ad esso sono stati ripubblicati nei Philosophischen Schriften, Bd. 2, Aesthetik, Philosophia Verlag, München, 1986.
Nella nostra esposizione e nei nostri commenti non sono stati evitati cenni critici soprattutto in direzione degli aspetti metodologici. Il saggio resta interessante per le aperture problematiche che esso contiene, ma vi sono ovunque incoerenze e indeterminatezze che sono dipendenti, io credo, dalla scarsa chiarezza in rapporto al terreno su cui l’intera problematica deve essere riportata. In particolare vi è una forte ambiguità sulla nozione di elemento inteso come fondamento della qualità ghestaltica. Talora questi elementi sembrano dover appartenenere alla configurazione percettiva e poter essere colti in essa. In questa direzione ci orienta l’esempio-guida della melodia. Talaltra invece, e forse anzi dovremmo dire per lo più, ciò che deve valere come elemento viene lasciato o relativamente indeciso o variamente argomentato e ipotizzato ricorrendo al terreno delle spiegazioni fisiche. Ciò ha naturalmente delle conseguenze sul modo in cui deve essere intesa la definizione proposta di Gestalt così come sull’intero andamento del saggio che in parte sembra orientato da considerazioni prevalentemente descrittive, in parte da considerazioni di tutt’altro ordine.
A questo proposito basterà attirare l’attenzione sulla singolarissima conclusione del saggio che approfitta ancora una volta della nozione di qualità ghestaltica, ed anzi della possibilità di qualità ghestaltiche abbraccianti campi sensoriali differenti per volgerla in una direzione forse del tutto inattesa.
Al termine del saggio si fa infatti notare che differenze significative sul piano dell’esperienza, come quella tra suono - ad esempio tra un accordo consonante o dissonante - e rumore, possa venire meno in una considerazione relativa ai fondamenti: secondo von Ehrenfels la differenza sembra consistere nel fatto che nel primo caso è possibile «analizzare l’impressione », cioè a «tenere distinte le singole parti del fondamento». Tuttavia non è impensabile che qualcuno riesca ad «analizzare nei suoi elementi ogni rumore attraverso l’attività dell’attenzione» (ivi, p. 154). La differenza tra il rumore e suono consisterebbe unicamente nelle qualità ghestaltiche, e non negli elementi. La stessa cosa potrebbe essere ipotizzata nel caso delle differenze tra suoni e colori, e in generale di qualità sensoriali eterogenee. Se così fosse l’idea di qualità ghestaltica si adatterebbe a meraviglia all’idea della «derivazione dei contenuti rappresentativi complessi da un elemento primitivo comune «e sarebbe perciò possibile «comprendere sotto una unica formula matematica l’intero mondo conosciuto» (ivi, p. 155). All’interno di una simile forzatura speculativa l’idea di «elemento», che continua ad essere dubbia lungo tutto il saggio, diventa del tutto evanescente, e sembra non poter fare a meno di presupporre una concezione atomistica del reale.
È inutile dire che una simile conclusione è sintomo di una confusione tra piani concettuali ed analitici profondamente diversi. Questi piani sono, almeno in via di principio, tenuti distinti da von Ehrenfels. La distinzione, che egli trae da Brentano, tra psicologia descrittiva e psicologia genetica viene infatti esplicitamente rammentata. In particolare in Brentano come in von Ehrenfels con il termine di «psicologia genetica» si intende il terreno delle «spiegazioni » psicologiche, dunque della ricerca delle cause, con inevitabili implicazioni di considerazioni di ordine fisico e fisiologico. Ma questo riconoscimento di principio non toglie che i due piani si intersechino equivocamente l’uno con l’altro: più precisamente le cognizioni acquisite sul piano genetico vengono presupposte nel momento in cui ci si accinge alla descrizione, e persino proiettate nel suo interno.
A mio avviso, ciò che si chiama «psicologia della forma» ha in realtà il suo inizio non tanto in questo saggio di von Ehrenfels, quanto nel momento in cui si teorizza apertamente ed esplicitamente sia l’autonomia della «psicologia descrittiva » « sia la sua anteriorità rispetto a considerazioni genetico-causali. E così, nonostante la ricchezza degli spunti che von Ehrenfels propone, quando questo passo viene effettuato con piena consapevolezza metodologica, il modo di intendere la nozione di Gestalt muta profondamente. Esse viene infatti utilizzata in primo luogo per indicare che ogni formazione di esperienza è una formazione strutturata, ovvero che essa è una risultante dei dinamismi direttamente rilevabili all’interno della configurazione stessa.
La nozione di elemento nell’accezione di von Ehrenfels, che rimanda da un lato alle impressioni humeane, o ne contiene almeno il ricordo, dall’altro deborda sul terreno genetico-causale, viene abbandonata e si acquista anche la piena consapevolezza della necessità di una revisione profonda dell’impalcatura empiristica della tematica psicologica.