Questo testo deriva da lezioni del corso «L’immaginazione» tenuto presso l’Università degli Studi di Milano nell’anno accademico 1979-1980.

Edizione digitale: 2004

icon Le regole dell'immaginazione e le procedure del lavoro onirico (898.06 kB) (pp.45)


Giovanni Piana


Le regole dell’immaginazione

e le procedure del lavoro onirico

1980


 


1. L'effetto di realtà del sogno

2. La condensazione

3. Lo spostamento

4. La traduzione visiva dei pensieri latenti

5. L'impiego delle immagini nel sogno


1. L’effetto di realtà del sogno


Nel parlare di regole dell’immaginazione [1] si potrebbe pensare che vi sia una stretta relazione tra questo tema e quello delle procedure oniriche nel modo in cui Freud ne parla nella sua Interpretazione dei sogni [2] . Vogliamo anche noi guardare per un certo tratto in quella direzione, dunque in direzione del problema del «lavoro onirico» ovvero di quell’insieme di procedure che operano la «traduzione» dei pensieri latenti nel contenuto manifesto del sogno. Uno degli obiettivi importanti che si propone Freud consiste appunto nel tentativo di chiarire i modi e i metodi che vengono applicati nella produzione del sogno.

È appena il caso di dire che la problematica del sogno è destinata ad occupare una posizione importante in una filosofia dell’immaginazione. Comunque questa venga sviluppata, il sogno rappresenta un riferimento con cui essa prima o poi deve misurarsi. Ciò vale in particolare per una filosofia fenomenologica dell’immaginazione. In realtà, anche dal nostro punto di vista, il sogno rappresenta una sorta di silloge significativa dei problemi che una fenomenologia dell’immaginazione deve toccare. In rapporto al sogno deve essere rimessa in gioco la questione della neutralizzazione delle posizioni d’essere, la tematica dell’acontestualità interna ed esterna, la problema delle sintesi associative e immaginative, la tematica del simbolismo; e poi naturalmente anche la relazione tra immaginazione e vita emotiva, così come quella delle regole dell’immaginazione.

Tra i tratti specifici che caratterizzano il sogno vi è indubbiamente la circostanza secondo la quale i sogni presentano sequenze di eventi che appaiono come eventi realmente accaduti. Se volessimo distinguere il sogno dalle fantasticherie, sarebbe giusto ricollegarsi proprio a questa circostanza. Nei sogni noi compiamo atti ed esperienze di vario genere, e tutto ha il senso del realmente accaduto. Potremmo parlare in proposito di un effetto di realtà che appartiene agli eventi del sogno, un effetto che, come tutti sanno, è totalmente indipendente dalla maggiore o minore stranezza e incoerenza di quegli eventi.

Questa circostanza è un poco imbarazzante proprio assumendo un punto di vista fenomenologico. Una filosofia fenomenologica dell’immaginazione infatti può essere sviluppata facendo ricorso ad esempi di prodotti dell’immaginazione in cui la neutralizzazione delle posizioni d’essere fa parte del loro stesso statuto descrittivo. Invece qui ci troviamo di fronte ad una situazione nuova, e per certi versi critica.

Intanto: in che senso si parla di effetto di realtà in un caso come questo? Nell’ambito della fenomenologia della percezione, potremmo indubbiamente parlare di effetto di realtà, ma in tal caso vincoleremmo il sorgere di un simile effetto alle concordanze sintetiche dei processi percettivi. Ciò che vedo di fronte a me, viene posto in essere proprio nella misura in cui in un decorso osservativo le attese percettive interne al decorso vengono di continuo confermate.

Invece nel caso del sogno, l’effetto di realtà non appare affatto vincolato alla coerenza delle sintesi. E ciò potrebbe rappresentare un argomento per mettere in discussione il nostro stesso modo di intendere il problema delle posizioni d’essere. Si potrebbe infatti approfittare dell’esempio del sogno per sostenere che l’effetto di realtà non è connesso ad una strutturazione interna delle scene percettive, ma piuttosto ad un aspetto qualitativo del vissuto stesso. La vivacità delle impressioni - per dirla con linguaggio humeano - che sarebbe responsabile dell’effettuazione di una posizione d’essere sul terreno dell’esperienza sensibile, potrebbe anche rendere senz’altro conto dell’effetto di realtà del sogno. Le apprensioni del sogno sia di ordine visivo che tattile o uditivo sarebbero abbastanza vivaci da approssimarsi alle percezioni della vita desta, ed a questa vivacità sarebbe dovuto, in entrambi i casi, l’effetto di realtà.

In realtà non credo che si debba senz’altro, in nome della vivacità della scena onirica, rimettere in questione l’idea che la nozione di realtà abbia la sua costituzione primaria nell’ambito delle concordanze della percezione - idea che è tra l’altro di fondamentale importanza per la tematica immaginativa. Naturalmente nel descrivere gli eventi del sogno possiamo esprimerci dicendo: quella cosa mi si è presentata con una tale evidenza, con una tale chiarezza che era come se la percepissi. Tuttavia il «c’è» del sogno non si risolve affatto in questa descrizione qualitativa. Nel sogno si presentano spesso, ed anzi per lo più, cose assai poco chiare, poco evidenti. Vi è una vaghezza ed un’indeterminatezza che fa parte del senso stesso degli eventi onirici e che quindi si manifesta in inerenze ad essi, nel modo stesso in cui essi sono sognati. Il fatto singolare è che questa mancanza di evidenza e questa indeterminatezza non tolgono il «c’è» onirico. Su che cosa esso poggia? In che cosa trova la sua peculiare certezza?

Una congettura sul meccanismo psichico che starebbe alla base del carattere «allucinatorio» del sogno è formulata da Freud nel quadro della teoria esplicativa esposta nel capitolo settimo dell’Interpretazione dei sogni, laddove si parla di una «via retrograda» che rende possibile la regressione dal sistema mnestico al sistema percettivo. "Non abbiamo fatto altro - osserva qui Freud - che dare un nome ad un fenomeno inspiegabile. Chiamiamo regressione il fatto che nel sogno la rappresentazione si ritrasforma nell’immagine sensoriale da cui è sorta in un momento qualsiasi". Impostato in questo modo Freud ritiene di connettere questo stesso problema alla ripresa di «ricordi infantili che esistono in forma intensamente sensoriale» e addirittura di elementi che risalgono alle «eredità arcaiche» dell’uomo [3] . Si tratta evidentemente di un punto di fondamentale importanza per l’elaborazione complessiva di Freud: tuttavia proprio da ipotesi esplicative tanto forti noi vogliamo programmaticamente prescindere. La domanda proposta pertanto va intesa come una domanda relativa ad un importante peculiarità della scena onirica di cui si può tentare una risposta sul piano della sua fenomenologia.

Assumendo questo punto di vista risulta piuttosto naturale ricollegare il problema dell’effetto di realtà alla questione della passività, non tanto nel senso che l’io sognante è un io immerso nel sonno, ma nel senso del modo in cui l’io che vive e agisce nel sogno sperimenta il suo mondo onirico circostante.

Il sogno ha il carattere di una fantasticheria, e precisamente di una fantasticheria estrema proprio per ciò che concerne il tema della passività. Si può allora sostenere questa passività portata all’estremo sopprime il carattere del contenuto immaginativo come contenuto immaginativo. Inversamente potremmo notare che un momento di spontaneità dell’io, anche se molto tenue, rappresenta una sorta di condizione affinché il prodotto immaginativo appaia come tale. L’effetto di realtà non va ricercato in una qualche determinazione positiva delle scene immaginative, ma nel fatto che esse si impongono e su di esse «io non posso farci nulla». Qualunque cosa accada in sogno assume il carattere di ciò che c’è veramente, per il solo fatto che l’io non è in alcun modo in grado di controllare la scena immaginaria. L’incoerenza viene molto spesso avvertita - ma questa incoerenza si converte in disagio della soggettività dormiente che non può fare altro che recepirla; nel momento in cui questa soggettività riesce a formulare il pensiero «questo è soltanto un sogno», allora essa è ormai prossima a ridestarsi. Nello statuto descrittivo del sogno non è compresa l’appartenenza all’immaginario: ad esso il sogno verrà restituito solo in un secondo tempo, nonostante l’effetto di realtà.

È un fatto che nel rendere conto del modo in cui avviene questa restituzione è necessario richiamarsi ai principi generali su cui si regge la costituzione di un prodotto immaginativo come tale. Anzitutto i sogni hanno per noi una qualche forma di esistenza solo in quanto vengono ricordati. Ma il ricordo del sogno ha alcuni tratti peculiari rispetto ai ricordi in genere. Essi sono evanescenti al massimo grado. Ma non nello stesso senso dell’evanescenza dei ricordi di fatti realmente accaduti: questa è accompagnata dall’idea che in ogni caso la memoria si sta rivolgendo ad un fatto avvenuta nel passato, ed in un momento ben determinato - un fatto che è a sua volta stretto tra altri fatti ben determinati. Noi sappiamo questo mentre ricordiamo, e sappiamo dunque che potremmo eventualmente affidarci come appigli agli altri fatti che sono nelle sue vicinanze. Nel caso del ricordo di un sogno le cose stanno diversamente: è come se volessimo trattenere qualcosa che ci sfugge, e che potrebbe sfuggirci in modo definitivo dal momento che non vi è alcuna compagine vera e propria, alcuna rete nella quale gli eventi onirici siano intessuti. Del resto, l’immagine del volgersi indietro nel passato che si attaglia al ricordo degli eventi passati in genere, non si attaglia per nulla nel caso dei ricordi dei sogni. Il passato riguarda l’io che poco fa dormiva e non il sogno stesso, la sequenza delle scene oniriche. Il passato si trova interamente al di fuori del sogno. Nel sogno accade qualcosa, e accade al presente. Ma in un presente totalmente indeterminato. In un presente che si sottrae a qualunque autentica sintesi temporale.

Il tema dell’indeterminazione temporale, che assolve un ruolo così importante nella filosofia dell’immaginazione, si ripresenta qui in forma quasi letterale. Ed altrettanto letterale è la ripresa del problema dell’acontestualità. Anche indipendentemente dalle cose più o meno strane che accadono nei nostri sogni, la restituzione del sogno all’immaginazione può avvenire per lo stesso fatto che la storia raccontata nel sogno si presenta come una storia sé stante, rispetto alla storia di cui ricolleghiamo i fili da un giorno all’altro, attraverso ed oltre la notte, anche quando fossero a portata di mano nel racconto della veglia i «residui diurni» di cui il sogno si avvale. Vi è dunque un’attribuzione del sogno all’immaginazione che si effettua sulla base di una nozione di realtà costituita a sua volta attraverso operazioni di sintesi. Proprio per il fatto che il sogno non può essere ricomposto all’interno di queste operazioni, esso si prospetta infine come appartenente al campo dell’immaginario, come una labile parvenza che non ha alcun fondamento sostanziale.

In margine a tutto ciò vorrei notare che qualunque discorso sull’immaginazione che ponga l’acccento sulla sua fluidità e mobilità, presuppone una nozione di realtà che deve avere in ogni caso una sua stabilità, una sua durezza. La realtà, quella vera, sta sempre alle nostre spalle. Incombe su di noi. Cade a proposito, per contrasto, un accenno alla «filosofia» surrealista dell’immaginazione, che naturalmente non vogliamo considerare come una filosofia vera e propria, da approvare o confutare, ma come significativa di un atteggiamento che confluisce poi in una pratica artistica. Mentre noi abbiamo mostrato come, a partire dalla realtà, si costituisca il sogno come fantasia, nel Primo Manifesto del surrealismo (1924) Breton sottolinea il fatto che, inversamente, si dovrebbe decostituire la realtà stessa di fronte al sogno. Si suggerisce così che forse la nozione di realtà a cui facciamo di continuo appello, con la sua stabilità, sia dovuta più di quanto saremmo propensi ad ammettere, ad una sorta di razionalizzazione, a qualche cosa di simile ad una prevaricazione della volontà, che proviene dall’io desto con le sue istanze di dominio e di controllo. "Mi ha sempre stupito - scrive Breton - l’estrema differenza di importanza, di gravità che presentano per l’osservatore comune gli avvenimenti della veglia e quelli del sonno. Ciò avviene perché l’uomo, quando cessa di dormire, è prima di tutto lo zimbello della propria memoria..." [4] . L’unità della realtà al di là del sogno, è ricostituita attraverso la memoria che supera la lacuna del sonno e che lascia valere ciò che accaduto durante il sonno come una parentesi irrilevante. Se la memoria non intervenisse la realtà stessa diventerebbe tanto fluida da non consentire che si faccia valere alcuna istanza di unità e di coerenza. Contro questa nozione di realtà che si contrappone al sogno, Breton gioca sui termini stessi in cui manifesta questa opposizione, ipotizzando legami nei sogni e fratture nella realtà. I sogni ci appaiono frantumati e disgregati, ma nulla toglie che si possano ipotizzare legami sia all’interno del sogno fra i sogni della stessa notte e fra i sogni in genere. Poiché siamo «zimbello della memoria», la memoria potrebbe prendersi gioco di noi, arrogandosi il «diritto di fare dei tagli» in questa possibile continuità. Nello stesso modo la memoria potrebbe forzare legami nella vita reale che in realtà non ci sono. A ben pensarci la realtà che ci sta di fronte potrebbe essere avvertita come una realtà costituita di frammenti sparsi che vengono tenuti insiemi da una volontà che ha orrore del disordine e che sente l’incoerenza come una minaccia. Che unità vi è tra questa o quella delle tante azioni che viviamo ogni giorno, tra uno studente che ascolta una lezione intorno all’immaginazione e ciò che egli farà appena sarà uscito dall’aula, o tra un docente che ora parla delle regole dell’immaginazione e poi corre a casa a suonare il violino? Se non ci fosse questo io sempre vigile, attento a tenere insieme se stesso e la realtà con tutte le proprie forze, con la sua volontà e la sua memoria, "niente ci permetterebbe di inferire che sussista una dispersione maggiore negli elementi costitutivi del sogno" [5] . Breton collega a tutto ciò lo stesso termine di surrealtà e di surrealismo: "Credo alla futura soluzione di questi due stati, in apparenza così contradditori, che sono il sogno e la realtà, in una specie di realtà assoluta, di surrealtà, se così si può dire" [6] .

 

Annotazione

Per quanto si possa insistere sull’effetto di realtà e sul carattere quasi-percettivo del sogno, in esso non vi è nulla che sia anche lontanamente simile alla costituzione percettiva di oggetti nella vita diurna. L’ «effetto di realtà» del sogno non è infatti certamente in grado di restituirci la realtà così come la conosciamo nella vita diurna. Il sogno ha la «forma dell’accadere», ma a questa forma si associa uno «stile» che non è quello della realtà effettiva. Gli eventi che sono vissuti nel sogno, gli oggetti che sono in qualche modo percepiti sono nettamente differenti nel loro modo di apparire dagli oggetti e dagli eventi della vita reale. Ciò pone forse il problema di una possibile fenomenologia del contenuto onirico manifesto, ovvero della possibilità di considerare i caratteri della scena onirica come tali ed eventualmente di individuare in essi delle tipicità. Per ragioni abbastanza ovvie questo problema non appartiene certo agli interessi freudiani che sono invece volti a frantumare il racconto del sogno nei suoi componenti per ritrovare una coerenza in profondità nei sensi fatti emergere nel corso dell’interpretazione. Il disinteresse di Freud per questo lato del problema è dunque del tutto coerente e giustificato. Una fenomenologia del contenuto manifesto si muoverebbe invece alla superficie della scena onirica e dovrebbe essere sviluppata indipendentemente da ogni preoccupazione di ordine interpretativo. Essa dovrebbe rispondere alla domanda: come è fatto il «mondo» del sogno? Quali sono le tipicità che in esso si possono rilevare? Come appaiono gli ambienti, i luoghi, lo spazio nei sogni? Vi sono «caratteri» propri della «cosa» onirica? In che modo vi è una successione di eventi nei sogni? Anche se abbiamo costantemente la sensazione che la disposizione degli eventi del sogno in una sequenza narrativa tenda a mettere da parte le peculiarità del sogno, indebolendo ed attenuando le componenti che sono costitutive della «realtà» onirica, tuttavia una fenomenologia del contenuto manifesto potrebbe forse tentare, attraverso i racconti dei sogni, di ricostituire proprio quelle peculiarità che sono proprie del sogno, e non ad esempio di una realtà «fiabesca». Anche in una fiaba può accadere che una persona diventi un’altra oppure che abbia un modo di essere duplice. Ma il modo di essere duplice della formazione mista che si esprime nella frase «Incontrai Pietro, ma era Paolo» è caratteristica del sogno e non si troverà mai in una fiaba. Il sogno non imita le fiabe. Il sogno ha uno stile suo proprio che forse è possibile circoscrivere e delimitare, descrivendo quella che potrebbe essere considerata come una vera e propria regione dello spazio del fantastico.


Note

[1] Cfr. G. Piana, Le regole dell’immaginazione,, in questo archivio 2004.

[2] S. Freud, L’interpretazione dei sogni (1899), trad. it. in Opere, Torino 1972, vol. III.

[3] ivi, p. 501.

[4] cfr. I. Margoni, André Breton e il surrealismo, Mondadori, Milano 1976, p. 257

[5] ivi, p. 258.

[6] ivi, p. 259.


2. La condensazione


Cerchiamo ora di fornire una traccia, sia pure molto tenue e sommaria, della tematica freudiana del lavoro onirico. L’angolatura da cui ci disponiamo ci pone ad una certa distanza dalle preoccupazioni e intenti di fondo che orientano la ricerca di Freud, e persino da interessi psicologici in genere. Il nostro terreno è quello di una filosofia dell’immaginazione: tutta la nostra attenzione è dunque orientata nel senso di cercare di determinare in che modo una simile analisi che tende, in particolare, ad un’illustrazione dei meccanismi di una formazione immaginativa qual è il sogno, possa essere di giovamento all’interno delle nostre considerazioni filosofiche.

Notiamo anzitutto che l’idea stessa di lavoro onirico è tutta interna al concetto freudiano di interpretazione, al suo metodo. Essa è infatti implicitamente presupposta nella distinzione tra contenuto manifesto e pensieri latenti, dal momento che rimanda alla modificazione che il pensiero latente esibisce nella sua riformulazione onirica. Per questo essa deve essere considerata come una nozione teorica - Freud insiste in modo particolare su questo punto. All’inizio dell’analisi abbiamo a che fare unicamente con il racconto del sogno, quindi con il contenuto manifesto; man mano che l’analisi procede vengono alla luce i pensieri latenti. Possiamo allora pensare di operare un ribaltamento, ponendoci il problema del cammino inverso, dai pensieri latenti al contenuto manifesto, proponendo appunto l’idea, tutta teorica, di lavoro onirico e dei suoi metodi. Ad esso dunque non possiamo accedere in modo diretto, ma accertiamo che vi è stato un «lavoro» nella stessa misura in cui operiamo un confronto tra il contenuto manifesto e ciò che risulta dalla sua interpretazione. In questo confronto non emerge solo la modificazione, ma emergono anche i modi della modificazione, che vengono colti con evidenza, così come le loro tipicità. Si apre così il problema di una tipologia delle forme dell’attività onirica. Da questo punto di vista può essere considerato il capitolo sesto dell’Interpretazione dei sogni a cui faremo qui prevalente riferimento in una lettura molto parziale ed anche palesemente unilaterale. L’unilateralità consiste in particolare nel fatto che nel trattarne la tematica prescinderemo dalle ipotesi esplicative vere e proprie che sono sviluppate nell’ultimo capitolo dell’opera.

Le procedure del lavoro onirico vengono classificate sotto quattro grandi titoli:

1. procedure di condensazione

2. procedure di spostamento

3. procedure dipendenti dalle esigenze di rappresentabilità onirica come rappresentabilità visiva

4. impiego di simboli

In rapporto al problema attuale, l’impiego dei simboli (nell’accezione specifica che Freud attribuisce a questo termine) può essere lasciato da parte [7] , mentre assumono rilievo i primi tre titoli, che meritano di essere considerati entrando un poco nel dettaglio.

Vogliamo occuparci anzitutto della condensazione (Verdichtung). Attenendoci all’impiego corrente dei termini in luogo di condensare potremmo dire concentrare, riassumere, esporre in forma concisa, fondere insieme, sintetizzare. Potremmo allora pensare che una simile tematica possa arrivare a coincidere o ad intersecarsi strettamente con quella delle sintesi immaginative e che dunque si riapra, secondo modi determinati dalla peculiarità dell’argomento, quel complesso di problemi che altrove abbiamo posto sotto il titolo di immaginosità dell’immaginazione [8] . Del resto vi è un’interpretazione divenuta corrente secondo la quale la condensazione di cui parla Freud si troverebbe in un rapporto di stretta analogia con l’attività immaginativa che conduce alla metafora.

In rapporto a ciò credo sia giustificato avanzare qualche perplessità. In realtà Freud fa un uso del termine di condensazione piuttosto elastico. Egli sembra disposto ad utilizzarlo ogni volta che si è in presenza di una situazione di concisione. Si tratta perciò di un impiego relativamente generico del termine, che non ha il carattere di una designazione tecnica ben definita. Sotto di esso cadono esempi di tipo piuttosto diverso, cosicché sarebbe forse opportuno parlare della condensazione come di un insieme di procedure, piuttosto che come un’unica procedura. E va notato in particolare che i risultati a cui mettono capo le procedure di condensazione non sono immagini nell’accezione vera e propria che rinvia alle sintesi immaginative.

L’ampiezza dell’uso del termine di condensazione può essere mostrata già nel fatto che Freud lo impiega sia in rapporto al sogno nel suo complesso o ad un suo frammento abbastanza esteso, sia in rapporto agli elementi del sogno considerati nella loro singolarità, ed in un’accezione diversa e più nettamente delimitata.

In rapporto al sogno intero o a frammenti di sogni si parla di condensazione richiamandosi al fatto che «il sogno è scarno, misero, laconico in confronto alla mole ed alla ricchezza dei pensieri del sogno» [9] . Ma questa nozione diventa per noi particolarmente interessante quando essa viene riferita ai singoli elementi del sogno. Risulta allora subito la stretta dipendenza della nozione di condensazione dalle associazioni libere come metodo dell’interpretazione.

In generale, e non dunque soltanto nel caso dei sogni, un qualunque contenuto che venga proposto in un «gioco associativo» può dar luogo a più di una catena associativa. Questa circostanza non ha in sé nulla di stupefacente. Se tuttavia, come accade in Freud, consideriamo i contenuti associati come motivi che stanno alla base dell’elemento onirico proposto all’associazione, e dunque anche come suoi sensi, ecco che quell’elemento onirico si presenta come un elemento in cui sono condensati una pluralità di richiami. Naturalmente il passaggio dalla pura e semplice connessione associativa all’affermazione che gli elementi associati fanno effettivamente parte dei motivi che hanno prodotto nel sogno una determinata formazione non è affatto ovvio - ed esso è d’altronde essenziale affinché si possa parlare di condensazione. In effetti secondo Freud il cammino delle associazioni libere non deve essere inteso come una vera e propria ripetizione a ritroso del cammino percorso dal lavoro onirico, ma nello stesso tempo occorre mantenere ben ferma l’idea che attraverso le associazioni ci si aggiri nei dintorni dei motivi effettivi del sogno.

Se si assume senz’altro questo punto di vista, il parlare di condensazione assume un senso ben determinato che si trova in stretta connessione con il problema delle concatenazioni associative effettuate nel corso dell’analisi. Nel caso del sogno della «monografia botanica», la monografia botanica dà luogo a ben quattro serie associative i cui primi elementi sono i seguenti:

 

 

Le quattro serie hanno poi determinate relazioni tra loro (il riferimento botanico nella prima, seconda e terza, oppure il riferimento alla propria attività scientifica nel secondo e terzo caso); ed ogni elemento è provvisto da una particolare tonalità emotiva, sulla cui base possono stabilirsi nuovi nessi.

È chiaro che ciò che qui viene in questione è anzitutto l’immaginazione associativa. Attraverso di essa non perveniamo a nessuna immagine in un senso vero e proprio, ma ad un contenuto che rappresenta una sorta di punto di incontro di catene associative, e per questo fatto tende ad assumere una complessa stratificazione di sensi. Per questo motivo parlare soltanto di immaginazione associativa come se si trattasse del puro e semplice dispiegamento di una concatenazione non basta. Potremmo dire che nelle pieghe della monografia botanica, come elemento onirico, vi sono quelle altre monografie, con i loro ulteriori elementi impliciti, con le loro specifiche tonalità emotive. Vi è dunque una sorta di arricchimento di senso del contenuto - senza che vi sia un processo di valorizzazione che metta capo ad un’immagine. Alla base della tematica della condensazione vi è dunque quella di un arricchimento di senso che non va confuso con la «valorizzazione» fondata su sintesi immaginative vere e proprie. Questo arricchimento poggia invece su percorsi associativi e sulla portata di senso di cui sono carichi i contenuti associati per la soggettività che li compie.

Questo è lo sfondo generale del problema. Qualche indugio presso esempi e casi particolari può contribuire ad un chiarimento.

Consideriamo il caso dell’immagine collettiva ovvero della «persona collettiva» [10] . Nel personaggio onirico di Irma sono «condensate» almeno altre sei persone. Ciò significa semplicemente che proponendo «Irma» alle associazioni libere si aprono varie serie di catene associative che hanno come primo elemento quelle persone. In sé nulla di straordinario. Se in un gioco associativo propongo il nome di De Gaulle, il mio interlocutore potrebbe proporre svariati altri nomi di persona, senza che ciò debba generare particolare stupore. In tal caso tuttavia non avrebbe senso parlare di De Gaulle come persona collettiva. Mentre lo avrebbe se avessimo sognato De Gaulle e l’associazione non avvenisse per gioco, ma in rapporto all’analisi del sogno. Affinché la tematica della condensazione non perda tutta la sua pregnanza abbiamo dunque bisogno di attenerci strettamente entro la cornice specifica del problema, così come abbiamo bisogno di postulare che le associazioni libere siano, in un modo o nell’altro, autentiche vie di accesso al nucleo del sogno.

Inoltre va tenuto presente che il termine iniziale, proposto all’associazione, non è un termine qualunque - Irma è una persona in carne ed ossa conosciuta da Freud, verso la quale egli ebbe determinati rapporti che potevano in qualche modo chiamare in causa altre persone. Del resto, in ogni incontro altri incontri sono spesso inconsciamente richiamati, in ogni rapporto tra me e l’altro, altri rapporti si trovano sullo sfondo e determinano in modo più o meno pronunciato i nostri atteggiamenti. Tuttavia non parleremmo per questo di «persone collettive». Dove sta dunque la differenza? La differenza sta nel fatto che la persona che compare nel sogno è tutta fatta di immaginario, la persona incontrata nel sogno è di per se stessa, per quello che è e che fa, totalmente inconsistente, mentre tutta la sua consistenza sta nel fatto che essa deve essere integralmente considerata come manifestazione di un senso da ricercare.

Un caso piuttosto diverso è rappresentato da quelle che Freud chiama «persone miste». Si tratta di persone che appaiono nel sogno con i tratti caratteristici di persone distinte. La condensazione è qui una vera e propria commistione che si presenta direttamente nel contenuto manifesto. Nel caso delle persone collettive, il carattere collettivo si presenta al di fuori della scena onirica, nelle associazioni; mentre in quello delle persone miste la commistione è palesata nella stessa scena onirica, anche se per venire capo di essa è naturalmente ancora necessario il ricorso alle associazioni libere.

Questa differenza viene chiaramente avvertita da Freud, che riprende il problema estendendolo alle cose in genere [11] . In questa ripresa Freud compie un’affermazione che per quanto possa essere trascurabile da altri punti di vista, è invece interessante dal nostro: «La possibilità di creare formazioni miste è il primo dei tratti che tanto spesso conferiscono ai sogni un’impronta fantastica, in quanto per loro mezzo vengono introdotti nel contenuto onirico elementi che non hanno mai potuto essere oggetto della percezione. Il processo psichico che interviene nella formazione mista, durante il sogno, è evidentemente identico all’atto di immaginare o riprodurre durante la veglia un centauro o un drago» [12] .

Incontriamo qui forse la regola elementarissima dell’immaginazione fantastica che divide ciò che nella realtà è unito e unisce ciò che nella realtà è diviso? Non sono certo che a questa domanda si debba rispondere senz’altro in modo affermativo. La questione è più sottile e quella identità del processo psichico di cui si parla in quella frase è assai poco evidente, e forse fuorviante.

Osserviamo anzitutto che quell’affermazione può avere un senso per le persone miste, ma non per quelle collettive. Nel caso delle persone miste esse entrano nel sogno con le loro caratteristiche paradossali; e nella narrazione del sogno noi segnaliamo la commistione anche se non ne sappiamo indicare il senso. La formulazione verbale nel racconto del sogno è di solito «era questo, ma anche quest’altro» oppure «era questo, ma in realtà era quest’altro» [13] . Il fatto che la strana aggregazione sia palese nella scena onirica potrebbe farci pensare appunto all’analogia con le figure fantastiche, come centauri e draghi. Nello stesso tempo non possiamo trascurare il fatto che questo tema si impone nel quadro della tematica della condensazione, dunque alla differenza tra persone collettive e miste fa riscontro una stretta affinità che rimanda alla tematica dell’interpretazione attaverso le associazioni.

Qui vi sono alcuni equivoci da districare. Le oggettività fantastiche in quanto formazioni miste - centauri, draghi - sorgono da una libera disaggregazione dei contenuti che vengono altrettanto liberamente riaggregati. In rapporto ad essi non abbiamo allora affatto bisogno di richiamarci a processi associativi, ed anzi dovremmo sottolineare questa funzione della fantasia in contrapposizione ai processi della sintesi.

Nel caso delle persone o degli oggetti misti, non appena essi vengono proposti nel racconto del sogno, si pone senz’altro il problema del loro senso, e questo problema può essere risolto solo interpretativamente, ponendosi alla ricerca di un elemento comune nei pensieri del sogno che illustri e giustifichi quella aggregazione. Ed è anche il caso di notare che mentre entità fantastiche come centauri e draghi hanno un interesse immaginativo diretto, queste entità miste di questo interesse sono del tutto prive, non hanno in se stesse alcuna portata immaginativa. La loro consistenza, lo ripetiamo, sta tutta nel coprire un senso che deve essere ricercato. L’analogia tra persone miste ed entità fantastico-immaginarie appare di conseguenza alquanto problematica.

Del resto lo stesso Freud, che si è fortemente sbilanciato parlando di «identità evidente», limita la propria affermazione, osservando che vi è comunque una differenza dovuta al fatto che «nella creazione fantastica della veglia, elemento determinante della nuova formazione è l’impressione ricercata, mentre la formazione mista del sogno viene determinata da un movimento esterno alla propria configurazione, cioè dell’elemento comune esistente nei pensieri del sogno» [14] . Che è quanto dire: nel produrre una entità fantastica badiamo soltanto allo scopo espressivo, narrativo o emotivo che ricerchiamo. Essa avrà allora una consistenza immaginativa interna, dipendente proprio dal modo della sua configurazione superficiale. Mentre la configurazione superficiale della formazione mista va interamente risolta nel processo psichico della condensazione. Se questo è il senso di questa osservazione limitativa, di quella «identità evidente» resta ben poco. Entità fantastico-immaginarie e persone miste si situano entro orizzonti problematici interamente diversi. In linea generale, anche in rapporto al tema delle regole, risulta importante la riconduzione del senso al motivo. Le regole che vengono messe in evidenza come regole del lavoro onirico non possono essere facilmente scisse dalla problematica dei nessi motivazionali.

Un altro esempio ricco di interesse e di problemi è quello della condensazione applicata alle parole. Nei nostri sogni compaiono talvolta parole, pronunciate nel corso dell’evento onirico, che ricordiamo distintamente come stravaganti formazioni verbali del tutto prive di senso. Impiegando il metodo delle associazioni ci si rende conto che queste formazioni verbali derivano da una procedura di storpiamento di parole note che gioca spesso sull’aggregazione di due parole in una. Il parlare di condensazione appare qui naturale sia per la procedura combinatoria utilizzata (due parole vengono fuse in una) sia per il fatto che l’applicazione di questa procedura può essere considerata come un modo «laconico» di formulare un lungo discorso. Particolarmente illustrativo è l’esempio della parola Norekdale, per la quale l’analisi esibisce l’associazione Nora + Ekdal che sono entrambi nomi di personaggi di drammi di Ibsen [15] , e di qui si sviluppano ulteriori nessi che l’interpretazione del sogno deve dipanare. Anche in questo caso l’individuazione del motivo è ciò che conferisce senso alla formazione verbale. Benché questo caso non introduca nulla di realmente nuovo rispetto alle persone collettive ed alle configurazioni miste, Freud richiama l’attenzione sul fatto che il portare l’attenzione su questo punto riveste una grandissima importanza dal momento che apre nuove prospettive di ricerca anche oltre la problematica specifica dell’interpretazione dei sogni. Infatti si esemplifica qui una rielaborazione inconscia che ha di mira materiali linguistici che vengono variamente modificati, attraverso la mediazione emotivamente ricca del sognatore, secondo connessioni che riguardano sia il piano puramente materiale delle parole (ad es. assonanze) sia il piano dei riferimenti di significato. Freud intravvede subito la possibilità di estendere l’indagine ai lapsus verbali e ai meccanismi di formazione dei motti di spirito, problemi ai quali dedicherà opere di fondamentale importanza [16] .

Va infine notato, in rapporto alla condensazione, che i temi della laconicità e della brevità assumeranno una particolare importanza all’interno della teoria esplicativa che verrà proposta nel capitolo settimo dell’Interpretazione dei sogni, come rispondenti ad una tendenza che fa parte dello stesso meccanismo dei processi psichici in genere. Come abbiamo premesso, questo aspetto non rientra nell’ambito delle nostre considerazioni.

Annotazione

In Freud vi è una tendenza ad assimilare le tecniche del motto alle procedure del lavoro onirico. Questa tendenza prende le mosse da alcune analogie e dalla possibilità di riportare alcune importanti distinzioni dal sogno al motto. Essa si orienta tuttavia anche nel senso di rafforzare una concezione secondo la quale vi sarebbe uno speciale «modo di pensare» caratteristico dell’inconscio. In realtà vi sono differenze significative che meritano di essere chiaramente sottolineate. In primo luogo la procedura di costruzione del motto sta interamente alla superficie, la sua struttura sta sotto i nostri occhi anche se a tutta prima potrebbe essere per noi poco chiara. Ma il chiarimento non avviene attraverso un’«interpretazione» - nel senso in cui questa parola può essere usata in rapporto al sogno, bensì attraverso una «analisi» del motto stesso. Dalla superficie del motto possiamo leggere le regole dalla cui applicazione esso sorge; nel caso delle formazioni oniriche invece, la nozione di regola subisce uno spostamento dal piano orizzontale della scena onirica (contenuto manifesto) al piano verticale della sua origine motivazionale. Lo stessa affermazione che il sogno ha una struttura può essere sostenuta solo esibendo la possibilità della sua intepretazione. A ciò è strettamente connesso il fatto che nell’interpretazione del sogno siamo costretti ad interessarci di fatti privati e strettamente individuali, mentre i motti di spirito sono in via di principio «pubblici», ovvero immediatamente comprensibili da ciascuno. Così la formazione del lavoro onirico «norekdale» richiede necessariamente il rimando ad associazioni individuali, strettamente dipendenti dalle motivazioni soggiacenti, mentre il caso strutturalmente affine dei modi «familionari» di un milionario non ha bisogno di un simile supporto. Sottolineare questi aspetti significa anche suggerire che il tema delle regole dell’immaginazione è indipendente dalle specificazioni possibili dell’attività immaginativa.


Note

[7] Sul concetto di simbolo in Freud ne parlo in Elementi di una dottrina dell’esperienza, cap. III, 15.

[8] ivi, III, § 9.

[9] S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit., p. 259.

[10] ivi, p. 271.

[11] ivi, p. 298.

[12] ivi.

[13] cfr. ivi, pp. 299-300, dove si cita l’immagine mista «costituita dalla figura di un medico e da un cavallo, e per di più vestita da una camicia da notte».

[14] ivi, p. 298.

[15] Casa di bambola e L’anitra selvatica.

[16] La psicopatologia della vita quotidiana (1900) - Il motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio (1905)(S. Freud, Opere, Torino 1972, vol. IV e V). Sul problema del motto di spirito ed in generale del comico in Freud, si può vedere il cap. II, § 1 del bel libro di Alfredo Civita, Teorie del comico, Unicopli, Milano 1984, ora disponibile anche in versione digitale in Spazio filosofico, Collana Il dodecaedro.


3. Lo spostamento


Molto più compromesso con l’apparato teorico-esplicativo di Freud sembra a prima vista la seconda procedura generale del lavoro onirico, che egli caratterizza con il termine di spostamento (Verschiebung), benché non manchino aspetti riportabili sul terreno fenomenologico.

Anche nel caso dello spostamento, la nozione viene istituita a partire dal confronto tra contenuto manifesto e pensieri latenti. Ma mentre nel caso della condensazione potevamo dare un’esemplificazione ricorrendo ad elementi del sogno presenti nella loro singolarità, mostrando una stretta corrispondenza con il tema delle associazioni, qui le cose cambiano ed abbiamo bisogno di considerare un frammento sufficientemente ampio del sogno sia nel suo contenuto manifesto che nella sua interpretazione. Infatti si parla di spostamento in primo luogo quando ciò che appare centrale o importante nei pensieri latenti non appare rappresentato nel contenuto manifesto o viene rappresentato solo indirettamente. Potremmo, in altre parole, distinguere tra centro e margini dei pensieri latenti e del contenuto manifesto. Si ha spostamento quando un aspetto marginale dei pensieri latenti, che è tuttavia connesso con il loro centro, viene posto al centro del contenuto manifesto, mentre il centro dei pensieri latenti diventa a sua volta marginale oppure viene rappresentato solo indirettamente: «Il sogno (contenuto manifesto)... è diversamene centrato: il suo contenuto è imperniato su altri elementi diversi dai pensieri del sogno» [17] . In generale Freud parla di spostamento ogni volta che sia possibile esibire una simile modificazione di accento in forza del quale un elemento marginale, che si trova in qualche modo in prossimità con l’elemento centrale, riceve l’importanza che spetterebbe a quest’ultimo. Si vede subito che qui ci troviamo su un terreno piuttosto diverso da quello della condensazione e che inoltre, almeno in questo primo modo di approccio, risulta particolarmente accentuato il carattere di un ben determinato dinamismo psicologico.

In particolare, più direttamente che nel caso della condensazione, per lo spostamento dobbiamo chiamare in causa la censura onirica e il conseguente effetto di deformazione dei pensieri latenti. Lo spostamento è in primo luogo una diretta operazione censoria che preclude la rappresentazione del nucleo reale del sogno, consentendo soltanto una rappresentazione indiretta attraverso un elemento marginale connesso a quel nucleo. In questo senso si tratta di una nozione più strettamente collegata alla concezione complessiva del sogno di Freud.

Tuttavia anche nel caso dello spostamento non abbiamo sempre bisogno di ricorrere alle ipotesi esplicative vere e proprie. In particolare la stessa nozione di «censura» non deve essere legata, o almeno può non essere legata a fil doppio all’apparato esplicativo freudiano. Del resto, per una libera illustrazione della nozione di spostamento potremmo anche ricorrere a situazioni che si presentano di continuo nei rapporti interpersonali di ogni giorno così come nei nostri discorsi correnti. Ogni volta che, per una ragione o per un’altra, non possiamo dire le cose come stanno, aggiriamo l’ostacolo facendo un’osservazione marginale, che ha tuttavia attinenza con il nucleo del problema che ci sta veramente a cuore. Se il nostro interlocutore è abbastanza attento, farà una rapida «interpretazione» del nostro modo di parlare contorto e ci costringerà a venire al sodo, oppure si offenderà definitivamente, cosa che era nelle nostre intenzioni cercare di evitare. Vi è dunque anche nella nozione di spostamento qualche aspetto che rimanda a considerazioni di psicologia fenomenologica, evitando di implicare direttamente l’apparato vero e proprio delle ipotesi psicoanalitiche.

Senza pretendere di proporre un approfondimento effettivo, ci interessa chiarire un poco più da vicino il modo in cui il problema dello spostamento ha a che vedere con la tematica dell’associazione. Il punto della questione sta evidentemente nello scivolamento da un evento A ad un evento B, e la condizione di possibilità di questo scivolamento sta nel sussistere di qualche nesso associativo tra A e B. In forza di questo nesso, B può diventare il rappresentante indiretto di A (e l’analisi dovrebbe rimettere le cose al loro posto). Parlando di nesso associativo non pregiudichiamo l’eventuale modalità attraverso cui il nesso stesso ha luogo: l’elemento B può essere contiguo ad A dal punto di vista spaziale o temporale; oppure può essere simile ad A sotto qualche riguardo, per richiamare soltanto le due grandi regole dell’associazione.

Questa osservazione ha in realtà maggiore importanza di quanto possa sembrare a prima vista. Una lettura abbastanza comune del problema approfitta della possibilità di stabilire una relazione tra metafora e condensazione, per mettere in relazione lo spostamento e la metonimia. Si può in effetti essere tentati di scorgere nella condensazione una relazione privilegiata con la regola della somiglianza e nella metonimia una relazione privilegiata con la regola della contiguità.

La precisazione fatta or ora intende raccomandare una certa prudenza nello stabilire simili analogie. Da un lato la distinzione tra somiglianza e continguità come regole generali dell’associazione sono abbastanza dubbie come criterio di classificazione per le immagini in genere; dall’altro la peculiarità della problematica del lavoro onirico non ci consente traposizioni dirette sul terreno dell’immaginazione in genere. Del resto abbiamo visto poco fa che sarebbe improprio ritenere che la procedura della condensazione conduca ad immagini vere e proprie. Ora facciamo notare che non vi è alcuna plausibile ragione per vincolare la natura del nesso associativo che sta alla base dello spostamento alla regola della contiguità.


Note

[17] S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit. p. 282.


4. La traduzione visiva dei pensieri latenti


Sotto il titolo di «mezzi di rappresentazione del sogno» Freud riunisce tutto un complesso di metodi in un’esposizione ricchissima di spunti e di elementi di discussione.

Va subito precisato che la «rappresentazione» di cui si parla è anzitutto la rappresentazione visiva: alla base della posizione di questa problematica vi è l’assunto che le rappresentazioni del sogno assumano per lo più una forma quasi-visiva. Poiché i sogni vengono poi «raccontati» e dunque vengono formulati con espressioni verbali, ed anche l’analisi si sviluppa nella forma di pensieri verbalmente espressi, sorge il problema di mostrare in che modo il sogno esprima pittoricamente ciò che sta alla sua origine. Si noti che anche in questo caso troviamo l’inversione problematica che è caratteristica dell’intera impostazione del tema del lavoro onirico: in base ad essa, viene proposto come origine e motivo del sogno (e che dunque sta prima di esso), ciò che viene acquisito dopo di esso nella sua interpretazione.

Benché Freud non affermi che tutti i sogni abbiano un carattere allucinatorio, tuttavia egli finisce con l’annettere un’importanza grandissima a questo aspetto anche nel quadro della teoria esplicativa del sogno. Lo abbiamo già notato fin dall’inizio, a proposito della problematica dell’effetto di realtà. E il punto di vista precedentemente emerso va qui ribadito: l’effetto di realtà, considerato come elemento descrittivo della scena onirica, va riportato al tema della «passività», così come ovviamente la sua apparenza «percettiva».

In questo quadro, la questione dei mezzi della rappresentazione non riguarda allora unicamente il problema delle forme peculiari del sogno, ma quello più generale della traduzione visiva di materiali verbali. La tematica delle regole e delle procedure dell’immaginazione precede in via di principio quello delle procedure oniriche e non deve essere derivata da questa.

Del resto Freud si richiama una volta al caso della pittura proprio per illustrare questo problema [18] . Egli osserva che una delle limitazioni della pittura consiste nel fatto di non disporre di parole. Come potranno allora essere espressi in essa dei pensieri che assumono una forma anzitutto attraverso le parole? Come può la pittura dire qualcosa? Come si può esprimere pittoricamente una relazione logica, una relazione temporale o una relazione di causa ed effetto?

Naturalmente è sbagliato presentare le cose come se la mancanza di parole fosse una limitazione della pittura. Infatti potremmo inversamente sostenere che la mancanza di immagini visive sia una limitazione della poesia o del racconto verbale, o arrivare ad affermare che un racconto cinematografico sia superiore ad un racconto fatto di parole perché possiamo «vedere» i personaggi e le azioni e non dobbiamo limitarci a pensarli.

Il punto del problema non sta qui - ed il richiamo alla pittura, fatto in questo modo, potrebbe dar luogo a equivoci. Se consideriamo un dipinto non dobbiamo necessariamente assumere che esso sia la trasposizione o addirittura la traduzione visiva di un pensiero ben determinato, che possa assumere la forma effettiva di una frase. Una volta tolto di mezzo questo equivoco, è chiaro tuttavia che vi sono contesti in cui può essere perfettamente sensato proporsi il problema di realizzare un disegno che comunichi esattamente lo stesso messaggio che potremmo comunicare in parole.

Supponiamo ad esempio di dover comunicare per iscritto ad un analfabeta un’informazione qualunque, oppure un ordine o un invito. Potremmo allora ricorrere ad un disegno, e nell’affrontare questo compito ci troveremmo di fronte a varie difficoltà che sono appunto quelle difficoltà che incontra il lavoro onirico. Non vi è perciò da sorprendersi se le soluzioni che esso propone talvolta non sono molto diverse da quelle proporremmo, in piena coscienza ed a ragione veduta, di fronte al compito proposto.

Più che l’analogia con la pittura, risulta interessante proprio questo problema di un messaggio verbale che deve essere tradotto in una raffigurazione, la quale assumerà a sua volta il carattere di messaggio.

Vogliamo prendere in esame qualche esempio. Freud esamina anzitutto la rappresentazione onirica dei legami logici. Ad esempio egli si chiede: "In che modo vengono raffigurati nel sogno i ’se, perché, come se, benché, o... o’ e tutte le altre preposizioni senza le quali non possiamo comprendere una frase o un discorso?" [19].

Nel porre un problema come questo è necessario tener presente che se da un lato è possibile proporre la distinzione tra pensieri latenti e contenuto manifesto come una distinzione tra un testo e la sua messa in scena nel contenuto manifesto, dall’altro è difficile sostenere alla lettera che nel sogno si dia espressione non verbale ad un contenuto che sta al di là di esso e che è già stato formulato verbalmente. Non dobbiamo perdere mai di vista il modo in cui il problema è impostato, quel caratteristico ribaltamento sul quale abbiamo già più di una volta richiamato l’attenzione. Ciò che sta alla base del sogno non sono in ogni caso pensieri verbalmente espressi, ma determinati intrecci di vissuti. Nell’interpretazione portiamo alla luce questi intrecci e perveniamo in effetti a formulazioni verbali, ad una o più frasi che effettivamente contengono parole logico-grammaticali come «se», «perché» ecc. Nell’inversione metodica effettuata, assume allora senso la domanda sul modo in cui il sogno esprime queste relazioni - che è un problema alquanto differente dall’idea che il sogno abbiamo un modo tutto suo di trattare le relazioni logiche. La questione è appunto quella di una traduzione visiva di un testo espresso in parole. Come potremmo tradurre «pittograficamente» una frase che comincia con un «se fossi presso di te...»? Anche noi in prima istanza adotteremmo per quel «se» la stessa soluzione che adotta anche il sogno. Semplicemente lo trascureremmo. Freud osserva infatti che per lo più il sogno «trascura tutte queste preposizioni, e si assume soltanto l’elaborazione del contenuto oggettivo dei pensieri onirici» [20] .

Supponiamo che la frase sia: «se fossi presso di te, potremmo giocare una partita a tennis». Qual è il contenuto oggettivo di questa frase? Indubbiamente il fatto di essere insieme e poi il giocare insieme una partita a tennis. Questi due fatti possono in qualche modo essere rappresentati visivamente attraverso un disegno, lasciando poi all’acume del nostro amico la comprensione del messaggio visivo che gli invio, e cioè il nesso tra i due fatti rappresentati in disegni. La connessione vera e propria è andata distrutta nel disegno, ma può essere che il messaggio venga comunque compreso. «All’interpretazione del sogno è lasciato appunto il compito di ristabilire la connessione che il lavoro onirico ha distrutto» [21] .

Dunque la domanda che chiede come vengano rappresentate le relazioni logiche tra i pensieri si risponde che esse non vengono rappresentate affatto, e questo non perché il sogno segua una sua logica particolare, ma perché questa è una conseguenza ovvia della trasposizione visuale. Portare l’attenzione su questo punto potrà forse rendere il problema meno affascinante di quanto possa apparire nelle letture correnti di Freud, nelle quali si tende a presentare le procedure oniriche come procedure che dovrebbero sempre suscitare in noi la massima meraviglia; ma in realtà la vera meraviglia sta piuttosto nel modo complessivo e straordinariamente ricco di idee in cui Freud imposta l’intera problematica teorica qui in questione.

Che le relazioni logiche non vengano rappresentate costituisce tuttavia solo una indicazione di massima, che non vale sempre e in ogni caso. Secondo Freud, di fronte ad un’analisi dettagliata di esempi ci si può rendere conto che il sogno cerca talvolta mezzi ingegnosi per segnalare le connessioni tra i pensieri. Freud sottolinea in particolare che su questo punto «ogni sogno si comporta a modo suo» [22] , cosicché i rilievi che possono essere compiuti in rapporto a questo o a quel sogno singolo non rivestono carattere di procedura generale.

Prendiamo rapidamente in rassegna alcuni casi notevoli.

Il sussistere di un qualche legame, di un aspetto comune tra due pensieri di diverso contenuto, quindi il sussistere di un nesso logico tra l’uno e l’altro in un’accezione abbastanza ampia del termine può essere segnalato ricorrendo a rappresentazioni simultanee. Qui cade ancora un significativo esempio pittorico: "Il sogno procede in ciò come il pittore che, per il quadro della scuola di Atene o del Parnaso, riunisce tutti i filosofi o poeti che non sono mai stati insieme, ma che per la speculazione intellettuale formano una comunità in una sala o sulla cima di un monte" [23] .

Di fatto il rappresentare simultaneamente cose o eventi distinti per alludere al sussistere di un aspetto comune è una soluzione, vorrei quasi dire, del tutto ragionevole se si ha a disposizione un materiale non verbale.

Altrettanto ragionevole è la rappresentazione del rapporto causale. Secondo Freud talora il rapporto viene segnalato almeno in due modi:

1. il contenuto oggettivo della proposizione principale, che esprime l’effetto, e della proposizione subordinata che formula la condizione causale, viene rappresentato in due sogni distinti che vengono tuttavia raccontati in una successione temporale, in modo che la proposizione che formula l’effetto segua la proposizione che formula la condizione causale (laddove l’ordine temporale viene invertito, il sogno che rappresenta l’effetto si presenta in ogni caso come un sogno più sviluppato e più ricco di dettagli). La causalità viene così ricondotta alla contiguità temporale, ed anche questo modo della rappresentazione potrebbe essere impiegato in un dipinto. Naturalmente in esso non si ha una contiguità temporale vera e propria, ma sarebbe errato pensare che nel dipinto non si possa dare una qualche rappresentazione della successione temporale. Una successione di eventi può essere rappresentata attraverso scene distinte e concomitanti, cosicché la contiguità spaziale potrebbe assumere il senso di una contiguità temporale e questa a sua volta, tenendo conto del contenuto delle singole scene, di una concatenazione causale.

2. L’altro metodo di rappresentazione indicato da Freud per il rapporto causale è la «trasformazione durante il sogno di un’immagine, sia di persona sia di oggetto, in un’altra» [24] . Benché Freud non indugi su questo punto, limitandosi ad osservare che anche in questo caso abbiamo a che fare con la riconduzione del rapporto causale ad un rapporto di successione «tramite, una volta, una successione di sogni, un’altra volta, la trasformazione immediata di un’immagine in un’altra», tuttavia anche in questo caso potemmo osservare che la connessione causale può effettivamente assumere l’aspetto di una metamorfosi della causa nell’effetto - e lo può naturalmente anzitutto per l’immaginazione.

Alcune osservazioni interessanti sono infine dedicate all’espressione della disgiunzione. Anche qui vale in linea generale la tendenza alla soppressione di questa connessione logica. "La disgiunzione non può essere espressa in alcun modo nel sogno". Perciò vi sarà la pura e semplice giustapposizione del contenuto oggettivo dei pensieri espressi disgiuntivamente. Ma Freud nota anche che nel racconto del sogno spesso vengono formulate disgiunzioni del tipo «era un giardino o un salotto» [25] . In casi come questi la disgiunzione deve essere intesa come una congiunzione. Ed anche questa circostanza ha le sue ragioni. Si tratta infatti di una disgiunzione che non formula un’alternativa, ma che esprime incertezza, cosicché essa rimanda a complessi associativi compresenti che debbono entrambi essere presi in considerazione nell’interpretazione. In questa forma disgiuntiva si manifesta "un aspetto confuso, che può essere ancora chiarito, di un elemento del sogno" [26] . Vi sono cioè "due gruppi ideativi principali" che confluiscono nella formazione onirica ed entrambi hanno interesse ai fini dell’interpretazione [27] . Del resto si può anche pensare a casi di condensazione, ad es. alle configurazioni miste di fronte alle quali nel racconto del sogno si operi una sorta di razionalizzazione, utilizzando appunto la disgiunzione con questa funzione. Di fronte alla formazione mista che presenta un personaggio che è mio fratello e mio zio, nel racconto potremmo ricorrere all’alternativa «mio fratello o mio zio» che, attraverso l’incertezza, tende a sopprimere l’incongruenza.

Accenniamo infine ad un’altra peculiarità che riceve in Freud una particolare accentuazione. Si tratta della rappresentazione onirica del contrasto o della contraddizione tra i pensieri latenti. Qui il sogno si comporta in maniera "assai sorprendente" - commenta Freud. La contraddizione "viene semplicemente trascurata, il «no» sembra non esistere per il sogno. I contrasti vengono riuniti con singolare predilezione in unità o rappresentati insieme. Inoltre il sogno si prende anche la libertà di rappresentare qualsiasi elemento con il suo desiderio antitetico, di modo che, di fronte ad un elemento che ammette un proprio contrario, da principio non sappiamo se è contenuto nei pensieri del sogno in senso positivo o negativo" [28] . Freud nota tuttavia come in qualche caso il sogno tenda a contrassegnare in qualche modo la negazione: "Il non riuscire del sogno è una espressione della contraddizione, un ’no’, e perciò va corretta l’affermazione precedente che il sogno non è in condizione di esprimere il no" [29] . Ma di norma il sogno non sembra tenere in conto la negazione e non segue affatto la regola della reciproca esclusione degli opposti - ed è questo che a Freud sembra "assai sorprendente".

Forse saremo portati a condividere la sorpresa di Freud ed a conferire a questo problema una portata molto ampia. Si comprende subito che qui non sembra sia in gioco un particolare aspetto del problema dell’interpretazione, ma che sia chiamata in causa la prospettiva complessiva nella quale ci muoviamo. Se ci limitiamo a prendere atto del comportanmento del sogno nei confronti della contraddizione, possiamo ritenere di aver sancito in modo definitivo l’opposizione tra conscio e inconscio come una opposizione tra ragione e non ragione. L’osservazione secondo cui il sogno non terrebbe in nessun conto la contraddizione, presa in se stessa, si può arricchire di risonanze non difficili da intuire. Quando si parla della contraddizione sembra sempre che ci troviamo alla presenza di contrapposizioni cruciali. Tanto più se poi richiamiamo l’attenzione sul fatto che il sogno, che pure ha un senso ed è in fin dei conti un modo di esporre pensieri, non si comporta affatto secondo una regola che è considerata come la quintessenza delle regole della logica. In una nota aggiunta in un’edizione successiva alla prima (1911) Freud scrive di "aver appreso il fatto sorprendente... che le lingue più antiche si comportano in tutto e per tutto come il sogno" [30] . In effetti risale al 1910 un breve scritto di Freud intitolato Significato opposto delle parole primordiali [31] in cui egli riprende e riassume un lavoro del glottologo Karl Abel scorgendo in esso una conferma «linguistica» del comportamento del linguaggio onirico nel quale una parola può indicare significati opposti. Sembra così che si arrivi a lambire, giunti a questo punto, la soglia di uno dei segreti delle dinamiche dell’inconscio, la soglia di un problema che va molto al di là di quello del sogno e che tocca forse le stesse radici inconscie del linguaggio. In realtà Èmile Benveniste ha mostrato con chiarezza gli errori materiali e metodologici contenuti nella posizione formulata da Karl Abel e ripresa con particolare enfasi da Freud, sottolineando che non a caso "nessun linguista qualificato, né quando Abel (nel 1884 ce n’erano già) scriveva, né in seguito abbia preso in considerazione tanto nel metodo quanto nelle conclusioni questo Gegensinn der Urworte" [32] .

Tuttavia, a parte questo riferimento linguistico specifico, la questione della contraddizione in Freud ha un notevole peso ed è lontana da noi l’intenzione di pretendere di affrontare questo problema in grande. Ma non vogliamo nemmeno limitarci ad enunciarlo.

In effetti, l’affermazione da cui abbiamo preso le mosse appare effettivamente densa di quelle risonanze di carattere più generale a cui accennavamo or ora, soprattutto se la consideriamo isolatamente, come un’enunciazione sul sogno e sull’inconscio come tali, prescindendo dunque dal modo in cui si affaccia il problema. Invece occorrerebbe insistere sulla necessità di proporlo entro il quadro problematico suo proprio, cosa che tende subito ad attenuare l’enfasi in cui esso viene subito avvolto. Occorre sottolineare due volte che la questione viene affrontata dentro il problema della traduzione pittografica di un pensiero; e nello stesso tempo questa tematica va considerata nell’orizzonte delle procedure immaginative. Cosicché non vi è da sorprendersi più di tanto se nella traduzione pittografica di un pensiero troveremmo difficoltà nel dare rappresentazione ad una proposizione negativa.

In queste stesse difficoltà si imbatte, in tutt’altro contesto, Ludwig Wittgenstein nel Tractatus. Le considerazioni di Wittgenstein prendono le mosse dalla natura del linguaggio e dall’analogia della proposizione verbale con le raffigurazioni in genere. Ed allora sorge subito il problema di come si possa dire, in un linguaggio concepito «pittograficamente», che due persone non tirano di scherma. Ciò che osserva Wittgenstein è che la raffigurazione negativa dovrà in ogni caso contenere la raffigurazione di due persone che tirano di scherma. Del resto, il divieto di fumare dovrà comunque espresso in figura da una sigaretta accesa e non ad esempio da una bottiglia o da un bicchiere. Freud nota a sua volta, come abbiamo rammentato in precedenza, che il sogno si assume soltanto "l’elaborazione del contenuto oggettivo dei pensieri onirici" [33] . Nel caso in questione questo contenuto oggettivo è proprio la proposizione affermativa corrispondente.

Vi è tuttavia un altro aspetto del problema che è connesso, piuttosto che alla questione della rappresentazione in figura, alla tematica dell’immaginario. Nel considerare le osservazioni di Freud intorno alla questione del contrasto, è bene tener presente che il contrasto potrebbe essere annoverato tra le regole dell’associazione, esattamente come la contiguità e la somiglianza. La luce potrebbe «far venire in mente» il buio, il giovane il vecchio, il grande il piccolo, ecc. Interessante è il modo in cui questa regola associativa può essere nuovamente prospettata sul piano delle operazioni immaginative vere e proprie. Vi sono qui alcune peculiarità: sulla base del contrasto non perveniamo senz’altro ad una fusione, ma l’opposizione istituisce in ogni caso un legame e la compresenza di ciò che è opposto può condurre ad un rafforzamento immaginativo reciproco dei termini dell’opposizione. Ciò significa che per l’immaginazione (in generale) l’opposto può esprimere il suo opposto. Le grandi dimensioni vengono esaltate se vengono poste di fronte alle piccole dimensioni. Nell’antitesi, gli elementi antitetici si rafforzano vicendevolmente ed in questo rafforzamento reciproco ha origine la loro solidarietà immaginativa.

Il problema in Freud non è tuttavia esaurito né dal rimando alla rappresentabilità visiva né da quello alle regole generali dell’immaginazione. L’aspetto più notevole della tematica freudiana sta probabilmente nell’attirare l’attenzione sul modo in cui si configura questo problema nel quadro della tematica più ampia della conflittualità intrapsichica. Tenendo conto di ciò, può accadere effettivamente che il no significhi si secondo una «logica» che non ha affatto la possibilità di essere sensatamente contrapposta alla legalità del discorso razionale: se il sogno "si prende anche la libertà di rappresentare qualsiasi elemento con il suo desiderio antitetico", questa libertà va intesa in funzione di un conflitto psichico entro cui un simile comportamento è strettamente integrato ed entro cui quella libertà ha le sue precise motivazioni.


Note

[18] ivi, p. 279.

[19] ivi, p. 288.

[20] ivi, p. 279.

[21] ivi, p. 288.

[22] ivi, p. 279.

[23] ivi, p. 289.

[24] ivi, p. 291.

[25] ivi, p. 292.

[26] ivi.

[27] ivi, p. 293.

[28] ivi.

[29] ivi, p. 310.

[30] ivi, p. 293.

[31] S. Freud, Opere, trad. it., VI, pp. 185 sgg.

[32] É. Benveniste, Note sulla funzione del linguaggio nella scoperta freudiana, in Problemi di linguistica generale pp. 97 sgg.. trad. iit, di M. Vittoria Giuliani, Il Saggiatore, Milano, 1971.

[33] S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit. p. 288

 


5. L’impiego delle immagini nel sogno


Concludiamo la nostra esposizione con un ultimo punto che riguarda l’impiego di espressioni figurate vere e proprie.

Come abbiamo detto, il lavoro onirico è un’attività (teoricamente postulata) di trasformazione del pensiero latente nel contenuto manifesto. Il pensiero latente va inteso a sua volta come un pensiero verbalmente formulato, come una frase o un insieme di frasi nel senso consueto del termine che rimanda al «linguaggio delle parole» mentre il contenuto manifesto viene inteso prevalentemente come scena visiva. Ora, un altro interessante modo di procedere del lavoro onirico consiste essenzialmente nel sostituire nel testo del pensiero latente di una espressione figurata ad un’espressione letterale. Questa espressione figurata avrà in generale un carattere plastico e concreto - sono espressioni di Freud - e proprio per questo si presta ad essere convertito in un elemento della scena onirica vera e propria. L’impiego di metafore o immagini suggerisce un modo di rappresentazione concreta di situazioni o di relazioni relativamente astratte.

L’impiego dell’immagine è dunque subordinato al problema della rappresentabilità visiva che mantiene anche in questo caso il carattere di filo conduttore principale. Osserva Freud che proprio perché "per il sogno, ciò che è plastico è rappresentabile", il passaggio dal testo linguistico al contenuto manifesto può giovarsi del tramite dell’immagine. Il testo viene riformulato in un nuovo testo che esprime il precedente con espressioni figurate e di qui si trae un possibile materiale rappresentativo visivo. Viene dunque effettuata una "trasformazione linguistica dei singoli pensieri", dove «linguistico» deve essere inteso in senso stretto, cioè con riferimento al linguaggio delle parole. Di qui si trae una scena onirica o un elemento di essa.

Per indicare il passaggio da un’espressione astratta ad una «plastica e concreta», Freud parla di spostamento, e precisamente di «spostamento lungo una catena associativa». In particolare si nota: "Lo spostamento avviene di regola nel senso che un’espressione incolore e astratta del pensiero onirico viene scambiata con un’altra, plastica e concreta" [34] . Ed ancora si parla di "sostituzione di una determinata rappresentazione con un’altra, in qualche modo contigua ad essa dal punto di vista associativo". In contesti come questi evidentemente la parola spostamento non può avere lo stesso senso fissato a suo tempo, in cui indicava fondamentalmente il mutamento di accento dal rilevante all’irrilevante, così come del resto il riferimento alla contiguità indica soltanto la prossimità dei contenuti all’interno di una serie associativa e non ha nulla a che vedere con il modo dell’associazione (e dunque in particolare la regola associativa della contiguità). Ciò che qui viene indicato con spostamento indica semplicemente il passaggio da un membro all’altro di una catena associativa - qualunque sia la regola dell’associazione - come condizione per il formarsi delle immagini. Freud parla anche di "secondo tipo di spostamento".

Questo argomento meriterebbe di essere approfondito, ma il problema nelle sue linee essenziali è tuttavia sufficientemente chiaro.

Un esempio molto semplice suggerito dal testo [35] potrebbe essere il seguente: la parola «perfezionare» in relazione ad uno scritto, ad un discorso ecc., potrebbe essere sostituita con la parola limare, nella sua accezione metaforica. La metafora suggerisce così un equivalente rappresentativo concreto. Un altro esempio: nel sogno riferito da Freud in rapporto a questo problema, il desiderio della sognatrice che il suo amico musicista primeggi su tutti gli altri dà luogo ad una scena onirica in cui un personaggio - che rappresenta l’amico (anche se non lo è) - dirige in cima ad una grande torre un’orchestra che si trova ai suoi piedi. Vi è dunque nel testo del pensiero latente un «primeggiare» che è stato sostituito con un «torreggiare» e di qui sorge lo spunto per una rappresentazione «plastica».

Usando una terminologia nostra [36] , potremmo parlare di «concretizzazione dell’immagine» - dal momento che proprio di questo si tratta nell’ultimo passo compiuto dal lavoro onirico. Infatti qui non vi è solo l’impiego di un’espressione metaforica, ma una vera e propria soppressione del senso metaforico, che viene sostituito dal senso letterale dell’espressione [37] .

Lo schema è dunque: testo espresso in parole astratte ®

trasformazione del testo con espressioni figurate ® concretizzazione delle immagini contenute in quelle espressioni.

Usando ancora la nostra terminologia: nella concretizzazione dell’immagine, il riferimento immaginoso viene a cadere, mentre si realizza una transizione ad un contesto fantastico-immaginario. Questo punto è esplicitamente segnalato da Freud: "Questo secondo tipo di spostamento è... anche singolarmente idoneo a chiarire la parvenza di assurdità fantastica con cui si maschera il sogno" [38] . "Il sogno, per quanto del resto ben centrato su una situazione, è abbastanza assurdo: la torre in mezzo alla platea..." [39] . Anche in questo caso, va attirata l’attenzione sul fatto che questa procedura può essere illustrata in modo del tutto indipendente dalla tematica del lavoro onirico. La concretizzazione dell’immagine va annoverata tra le regole dell’immaginazione in genere, prima ancora che fra quelle del lavoro onirico; ed essa è inoltre non viene messa in gioco soltanto come una soluzione del problema della "rappresentabilità nel peculiare materiale psichico di cui si serve il sogno, vale a dire per lo più la rappresentabilità in immagini visive" [40] - problema a cui invece in questo caso essa è strettamente subordinata. È il caso di notare che si ha una concretizzazione dell’immagine, esattamente in questo senso, quando si tenta di tradurre visivamente, attraverso una fotografia o un disegno, un’espressione figurata. Nella seguente elaborazione fotografica ci si è forse posti il compito di trasporre sul piano visivo l’espressione «uscire il fumo dagli occhi»:

E naturalmente si ottiene anzitutto la figura di un uomo dagli occhi fumanti. Questo accade probabilmente ogni volta che si tenta di tradurre visivamente un’immagine verbalmente espressa - il passaggio al senso letterale sembra allora inevitabile. Così l’«essere tutto orecchi» rappresentato dall’uomo dall’orecchio enorme:

Ciò non esclude che, senza alcuna mediazione di metafore verbali, si possano realizzare delle raffigurazioni che possano essere ritenute qualcosa di simile a «metafore visive». Forse può essere considerata tale la ben nota immagine della donna-violino di Man Ray.

Ma nel considerare questi esempi [41] ci allontaniamo ormai dal terreno delle procedure del lavoro onirico, per approssimarci piuttosto a quello della relazione tra le regole dell’immaginazione e le figure «retoriche» [42] [*]


Note

[34] ivi, p. 312.

[35] ivi, p. 317.

[36] L’argomento è trattato nel mio lavoro Le regole dell’immaginazione, cit.

[37] S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit. p. 315.

[38] ivi, p. 313.

[39] ivi, p. 315.

[40] ivi, p. 316.

[41] La foto dell’uomo dagli occhi fumanti è di Jim Mac Crary e quella dell’uomo dal grande orecchio di Peter Wandrey. Entrambe, oltre a quella di Man Ray, sono tratte dal bel numero di Progresso fotografico, dic. 1977, interamente dedicato al tema «Linguaggio e fotografia» curato da Attilio Colombo.

[42] Su questo problema, relativamente a Freud, ed anche sulla tematica complessiva qui trattata, è ricco di interesse T. Todorov, Teorie del simbolo (1977), a cura di Cristina De Vecchi, Garzanti 1984, cap. VIII, La retorica di Freud, pp. 313 sgg.

[*] Ringrazio Luca Zendri per la sua accurata rilettura di questo lavoro nella sua stesura conclusiva e per le preziose indicazioni suggerite.