Piero Cresto-Dina ha recensito la "Filosofia della musica" per l'Indice, 1991, n. 6
Piero Cresto-Dina
Non si può certo affermare che l'itinerario tracciato da Giovanni Piana sia tra quelli maggiormente esplorati e conosciuti nel nostro paese. Se è vero infatti che l'ipotesi che sorregge l'intera analisi si riferisce alla possibilità di una teoria generale della musica di squisita ispirazione filosofica, va subito riscontrata, accanto al disinteresse fino ad oggi mostrato sul versante musicologico nei confronti di simili ed isolati tentativi, la scarsa attenzione che in Italia la riflessione estetica e filosofica usa rivolgere alla problematica musicale in quanto tale. Allievo di Enzo Paci, con il quale si è laureato nel 1963, studioso e traduttore di Edmund Husserl, Piana propone, per lo studio delle modalità strutturali dell'esperienza musicale, una strategia di impronta rigorosamente fenomenologica. Ma una tale indagine deve anzitutto fare i conti con l'impostazione convenzionalistica e relativistica. Viene dunque discussa l'identificazione delle forme di espressione musicale come "linguaggi". Nell'idea che le regole che presiedono alla produzione ed alla fruizione della musica in una data cultura si basino su una validità puramente intralinguistica, nel postulato secondo il quale ogni formazione di senso, caratterizzata da una contingenza di principio, si stabilizza sempre più nella ricorrenza temporale in virtù dell'abitudine, l'autore riconosce i termini di una convergenza tra la prospettiva semiologica ed una filosofia empiristica dell'esperienza. Tale convergenza è ad esempio evidente negli studi di semiologia musicale di Jean-Jacques Nattiez. Ma una filosofia della musica - argomenta Piana - non può rivolgersi da principio alla musica stessa nella molteplicità delle sue forme espressive, ma deve regredire "al piano dell'esperienza del suono, come esperienza che forma a un tempo il presupposto e il fondamento di ogni progetto compositivo". Si impone così la distinzione tra un piano linguistico, essenzialmente legato alla dimensione temporale, ed un piano prelinguistico in cui si radicano le peculiarità fenomenologiche della materia sonora. Non si tratta, è bene precisarlo, dell'adozione di un punto di vista fisicalistico. Si tratta pur sempre, in una prospettiva fenomenologica, del suono percepito, del suono in quanto esso è dato in un'esperienza del suono. Piana indaga dunque le nozioni elementari: la materia, le relazioni tra tempo e vissuto, il ritmo, lo spazio sonoro, i simboli, i rapporti di consonanza e dissonanza, sempre commisurando la varietà delle possibilità linguistiche alle possibilità latenti nel materiale fenomenologico. In questa aspirazione ad una vera e propria rifondazione del musicale è lecito riconoscere il senso profondo di tanta musica del nostro secolo. È Piana stesso a citare Cage: "Mi ricordo di aver amato il suono prima di aver preso una sola lezione di musica." (Piero Cresto-Dina)
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