Enrico Fubini ha recensito il volume "Teoria del sogno e dramma musicale. La metafisica della musica di Schopenhauer"

nella Rivista italiana di musicologia, vol. XXXIV, 1999, n. 1



         

Enrico Fubini

 

 

Rivista italiana di musicologia, vol. XXXIV, 1999, n. 1

GIOVANNI PIANA. Teoria del sogno e dramma musicale. La metafisica della musica di Schopenhauer. Milano, Guerini e Associati, 1997, 134 pp.

     «La filosofia della musica di Schopenhauer è "Metafisica della musica", così come tutta la sua filosofia dell'arte può trovare nella dizione di "metafisica del bello" un titolo generale in cui deve essere iscritta» (p. 27). Questa affermazione è l'assunto generale che guida Piana nella sua sottile e articolata analisi sulla filosofia della musica di Schopenhauer. Analisi che si espande in varie direzioni, alcune delle quali del tutto inedite e che gettano nuova luce su questo intricato capitolo della storia dell'estetica musicale romantica. Le pagine dedicate alla musica dal filosofo presentano al lettore a tutta prima un problema interpretativo tutt'altro che marginale. Da una parte sembra che Schopenhauer, per gusto, per conoscenze, per l'impostazione generale dd suo argomentare intorno alla musica appanenga più al passato che al presente. Le complicate e artificiose elucubrazioni sul basso fondamentale e il parallelismo che viene tracciato tra le voci del basso e i regni della natura ci pongono di fronte a un curioso intreccio di conoscenze scolastiche riguardanti la pratica della musica e dell'armonia con esigenze prettamente metafisiche: i due campi, i dati empirici e le aspirazioni metafisiche a tutta prima seaubrano mal fondersi tra loro. Com'è noto, nella sua metafisica della musica Schopenhauer traccia la prima e e fondamentale analogia tra la natura inorganica e il basso fondamentale, confondendo in parte la nozione di basso fondamentale e quella di suono grave. Il filosofo procede poi ampliando questi parallelismi, in cui s'intrecciano dati acustici, armonici, psicologici ed empirici, con l'orizzonte prettamente metafisico in cui si muove in definitiva la sua estetica della musica. I movimenti del basso e le loro caratteristiche vengono cosl rapportati ai caratteri della materia inorganica e alle sue relazioni con la materia vivente: «il basso fondamentale [ ... ] rappresenta nella musica ciò da cui tutto nasce e si sviluppa sussistendo tra i 'suoni superiori' e il basso fondamentale la stessa relazione che sussiste tra gli organismi viventi della natura e la massa che è l'origine e il sostegno da cui essi si sono gradualmente evoluti» (p. 37). Alla terza,  alla quinta, all'ottava rispetto alla fondamentale corrisponderebbero rispettivamente il mondo vegetale, quello animale e quello umano. È difficile dire, osserva Piana, se «questa problematica si fondi in Schopenhauer anzitutto nell'ambito delle considerazioni sulla musica o non piuttosto, ancor prima, in quello della filosofia della natura» (p. 38). Piana propende com'è evidente per la seconda ipotesi, riscattando cosl Schopenhauer dalle accuse che gli sono state mosse di possedere conoscenze estremamente scolastiche della musica o addirittura scarsi rudimenti, dal momento che ciò che conta e interessa è la prospettiva metafisica, mentre gli accenni al basso continuo, ai movimenti delle voci e alle concatenazioni degli accordi sono poco più che pretesti per tracciare una filosofia della musica, di tutta la musica e non di una sua determinazione storica.
    Di grande interesse le pagine dello studio destinate a mettere in luce il legame tra la musica e la nostra vita affettiva. È noto che Schopenhauer anticipa le tematiche di un'estetica formalista; questo punto esige però un approfondimento maggiore. La melodia. per Schopenhauer, è il centro motore della musica e al numero infinito di melodie corrisponde il numero infinito di individui prodotti dalla natura. Nella melodia diviene così visibile la volontà stessa e quindi essa è «in modo peculiare espressione della volontà» (p. 50). Ma è necessario definire in modo più preciso i rapporti tra la volontà e la nostra vita affettiva in senso lato: «con 'volontà'- afferma Piana - non intendiamo un puro atto del volere con le sue decisioni e le sue realizzazioni, ma più ampiamente il luogo in cui si agitano gli affetti, i timori, gli odi, le gioie e le angosce. Ed è proprio il movimento del desiderio, nella sua struttura fondamentale e nelle sue più varie e sottili coloriture emotive che si manifesta nello sviluppo melodico» (p. 51). Perciò la musica o meglio la melodia non ci dà questo o quel sentimento ma il sentimento in abstraclo, ci dà non questa o quella gioia, ma il senso generale della gioia. La melodia ci dà però delle generalità intuitive definibili come universalia ante rem, mentre i concetti ci danno gli universalia post rem. Per quanto riguarda la vexata quaestio dei rapporti tra musica e parola, Schopenhauer può ben concludere che la musica è un'arte totalmente autonoma e indipendente e che non ha perciò «alcun bisogno delle paroledel canto o dell'azione di un'opera». Testo della musica è il mondo stesso: Piana riassume con acume la posizione di Schopenhauer affermando che «la musica nella sua totalità è  il mondo che canta o che la musica è «il canto del mondo». Ciò non toglie che vi sia uno iato tra la teoria e la pratica, dal momento che molte volte la musica è accompagnata da un testo o addirittura da un'azione drammatica". La musica si associa alle parole in modo del tutto naturale dal momento che è naturale «l'inclinazione della nostra fantasia a dare una forma visibile al mondo spirituale [ ... ] gli eventi del mondo possono essere 'commentati' dalla musica in modo tale che dal commento venga esaltato il loro senso più profondo» (p. 57). Già in questa prima parte dello studio s'intravede la linea interpretativa che emergerà poi con tutta chiarezza nella seconda parte, dedicata alla teoria del sogno e ai rapporti di Wagner con la filosofia di Schopenhauer. Da una prima analisi del pensiero musicale wagneriano sono emersi alcuni punti problcmatici, come ad esempio la difficoltà di stabilire nn raccordo tra il suo pensiero e la musica, e anche la riflessione musicale del tempo. Ma da questa difficoltà non risolviblle, emerge un altro punto problematico che necessita spiegazione: perché un musicista rivoluzionario come Wagner ha potuto eleggere Schopenhauer come maestro e guida ispiratrice? Non è facile approfondire il senso di questo rapporto: proprio attraverso un'analisi delle motivazioni più profonde che portano Wagner ad avvicinarsi cosi intimamente a Schopenhauer Piana riesce a gettare una luce nuova e originale sul filosofo. E' inutile soffermarci ulteriormente sui gusti musicali di Schopenhauer, il suo amore per Rossini più che per i compositori romantici, il suo non riuscire a vedere una realtà musicale diversa dalla pratica di Rameau e del basso continuo. Il punto è un altro: va individuato il percorso che porta «dalla metafisica della musica di Schopenhauer alla musica di Wagner». Tutta la filosofia della musica di Schopenhauer acquista ll suo significato più profondo se interpretata in senso metaforico e metafisico e non in senso storico o psicologico. Persino la tanto discussa teoria del basso continuo può essere reinterpretata come un desiderio di evidenziare l'unità interna tra musica e natura e il senso di un'ascesi verso le regioni più alte del dominio spirituale, ascesi il cui significato ultimo gli proviene da filosofie orientali, ben lontane dal mondo in cui risuonavano violini e clavicembali! Vi è dunque un invito da parte di Piana ad andare oltte la lettura letterale del testo di Scbopenhauer per coglierne lo spirito più autentico, e questa operazione è resa più proficua dalla sua lettura di Schopenhauer attraverso Wagner.
    Vi è uno scritto di Schopenhauer pubblicato nei Parerga e Paralipomeni dal titolo "Saggio sulle visioni di spiriti e su quanto vi è connesso" ripreso  curiosamente da Wagner nel suo saggio dedicato a Beethoven, che a tutta prima non mostra alcun legame con la problematica musicale. In esso si affronta il problema della natura del sogno. Schopenhauer propone in esso una triplice stratificazione dell'io: l'io della veglia, l'io del dormiveglia e l'io del sonno profondo. Secondo Schopenhauer il sogno non è prodotto da stimolazioni provenienti dall'esterno ma piuttosto dall'interno dell'organismo. La spiegazione del sogno deve avvenire attraverso una fisiologia del sogno e non attraverso un approccio psicologico che non considererebbe del sogno che gli aspetti più superficiali e meno profondi. L'elemento fisiologico - afferma Piana - «Viene proposto come un nodo che collega il piano della psicologia a quello della metafisica». Importante la distinzione tra sogni profondi e sogni superficiali: questi ultimi sono più prossimi alla realtà, mentre i secondi sono prossimi alla realtà metafisica profonda. Ci si chiede allora se il contenuto del sogno profondo può giungere in qualche modo all'io della veglia. Il sogno superficiale può rappresentare un'utile mediazione, attraverso un'allegoria che ne traduce il contenuto originario. Tutti i sogni che riusciamo a ricordare contengono un messaggio cifrato, che proviene dagli strati più profondi dell'io e che deve essere reinterpretato. Questa teoria del sogno a cui si è qui solo accennato viene genialmente interpretata da W agner, che ne evidenzia i collegamenti segreti con la musica. «La creatività - afferma Piana leggendo Schopenhauer attraverso il saggio su Beethoven di Wagner - scaturisce soprattutto dagli strati inconsci della vita soggettiva nei quali le determinatezze individuali si attenuano sempre più sino a confondersi nella totalità della vita vivente» (p. 108); e ricollegandosi alla teoria del sogno può senz'altro affermare che «la musica appartiene anzitutto al sogno profondo, essa erompe di lì». «Il mondo sonoro viene anzitutto sognato, e inversamente il sogno è, in certo modo, silenziosamente pieno di suoni» (p. 110). Di qui si può cogliere molto bene ciò che distingue la musica dalle altre arti e in particolare dall'arte pittorica: infatti solo la musica supera il limite della spettacolarità del mondo e solo la musica «ha a che fare con l'essenza del mondo- e questa è l'essenza della volontà» (p. 107). Ma come può questo assunto conciliarsi con l'idea wagneriana dello stretto e intimo rapporto tra la musica e la poesia e le altre arti? Come può Schopenhauer, il teorico della musica assoluta, diventare il maestro di Wagner? È vero che la musica «germina nelle tenebre più profonde», ma essa non pottebbe assumere alcuna consistenza comunicativa se non esistesse una qualche forma di mediazione capace di ristabilire un rapporto con la visibilità e con l'esteriorità in genere, altrimenti la musica sarebbe «musica muta». Dalle pagine wagneriane emerge chiaramente l'idea che la musica abbia anche una sua essenza comunicativa, che nasce si da una sotterranea solitudine ma che deve poi approdare a una sua «socialità intrinseca», ritrovando così un rapporto con l'ambito della spettacolarità. Ma tutto ciò veniva già espresso da Schopenhauer nella sua teoria del sogno quando affermava che vi erano due tipi di sogno, uno più profondo e uno più superficiale e allegorico, che aveva la funzione per l'appunto di far da mediatore tra il primo e la coscienza. Si profila cosl una spiegazione più profonda del rapporto istituito da Wagner tra la musica, la poesia, il dramma e il mito. La musica ha bisogno della poesia e quindi del dramma per «erompere all'esterno», per non restare murata in se stessa, nel proprio silenzio. Ma si tratta non di una storia, di una vicenda umana con personaggi animati dalle loro passioni particolari ma di un mito, e la storia mitica va sempre interpretata: «essa ciparla delle passioni del mondo e proprio in questo va ritrovata la sua inerenza alla cosmicità essenziale della musica» (p. 123). La lettura wagneriana della teoria dei sogni e di Schopenhauer permette a Piana di fornirci una visione molto più densa e problematica dello stesso Schopenhauer, uscendo fuori dagli schemi tradizionali dell'estetica musicale schopenhaueriana. Il percorso di analisi è rigoroso e sottile al tempo stesso e apre veramente orizzonti interpretativi nuovi in quell'intricata selva di concetti, spesso sfumati ed evanescenti, a volte allusivi e allegorici, elaborati in quella complessa stagione del pensiero musicale tra Schopenhauer e Wagner.

                                                                                                                                          ENRICO FUBINI

 


 

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