Alessandro Arbo

 


 

Alessandro Arbo è professore nel Dipartimento di Musicologia dell’Università di Strasburgo. Le sue ricerche si concentrano su alcuni assi tematici relativi al pensiero musicale moderno, con un principale centro di interesse verso i problemi teorici dell’estetica e della filosofia della musica.
    È autore di saggi e monografie sul pensiero illuminista, come La traccia del suono. Espressione e intervallo nell’estetica illuminista (2001), e sulla filosofia della musica nel Novecento, di cui sono testimonianza Dialettica della musica. Saggio su Adorno (1991) e Il suono instabile. Saggi sulla filosofia della musica nel Novecento (2000).  Tra i suoi lavori più recenti: Archéologie de l’écoute. Essais d’esthétique musicale (2010) e la monografia Entendre comme. Wittgenstein et l’esthétique musicale (2013). Fa parte del comitato scientifico di «Rivista di Estetica» e dell’«International Review of the Aesthetics and Sociology of Music». È membro co-fondatore del «Groupe de recherches expérimentales sur l’acte musical» (GREAM) dell’Università di Strasburgo.

 


 

Questa scheda di Alessandro Arbo è uscita su L'Indice 1997, n. 6


La metafisica di Schopenhauer può essere descritta come una grande macchina discorsiva in cui ogni ingranaggio si riporta alla funzionalità di un movimento elementare: individuare somiglianze e analogie, articolare corrispondenze di livelli, tracciare parallelismi tra la forza e le sue raffigurazioni.Ma che cosa succede se proviamo ad avvicinare la lente al dettaglio, a considerare per esempio il modo in cui il motore principale, la teoria della volontà nel suo impulso costantemente riacceso, si rapporta all'idea secondo cui la musica raggiunge la quintessenza di uno stato emotivo, colto "in abstracto" e nondimeno nel modo più immediato possibile? Le sorprese, come ci dimostra questa attenta e originale lettura, non sono di poco conto.Il fatto più interessante è che esse non valgono tanto ad alimentare un fin troppo atteso sospetto di sentir scricchiolare le congiunture del sistema - un rumore di ingranaggi, come indizio dello sforzo di adattamento del reale che sono costate (ovvero della debolezza dell'impalcatura). Al contrario, Schopenhauer viene fatto parlare, in questo libro, proprio attraverso le contraddizioni e le discrepanze tra i diversi ambiti del sistema: la teoria del suono e quella dell'udito, la teoria della musica e quella del sogno, la struttura della melodia e quella del desiderio.
    In sintesi: se il piacere della musica deriva dall'immagine o dalla morfologia del desiderio inappagato, è proprio dietro a questo movimento che si nasconde la possibilità di invertire la polarità del sistema, scambiando il pessimismo cosmico con un gesto di affermazione perennemente rinnovato, ovvero con l'adesione alla gioia ambivalente della vita, destinata a generarsi attraverso il dolore, la distruzione, la morte. Cortocircuitando la spiegazione del piacere estetico in termini di disinteresse e di distacco contemplativo (sintomatico "errore" che Schopenhauer commette nell'interpretare Kant, destinato a scivolare nei frammenti nietzscheani della "Volontà di potenza", come dovrà puntualizzare Heidegger), la musica finisce per figurare come una "passione dell'essere": non un sentimento umano ma un'"affettività diffusa".Con naturalezza esemplare, in quanto priva dell'intenzione diretta di estendere i confronti, l'analisi sembra condurci per mano verso due presenze latenti, che sembrano affacciarsi tra le righe: se nel rapporto simpatetico con il grido originario, nella socialità intrinseca all'essenza della musica, entriamo nell'orbita della linguistica illuminista e delle dicotomie di Rousseau (ampiamente ripercorse dal meccanismo discorsivo wagneriano), d'altro canto, nella distinzione tra sogno allegorico e sogno profondo, nella corrispondenza con le visioni del dramma e gli stati di quell'apparenza di primo grado che è rappresentata dal materiale sonoro, così come del resto nella conversione generale dell'intento pessimista, siamo a un passo da Nietzsche - in particolare dalla prima, embrionale configurazione della coppia Apollo-Dioniso, emergente nei frammenti relativi alla stesura della "Nascita della tragedia".

Alessandro Arbo

 


 

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