Antonio Serravezza

 


 

Imola, 15 giugno 1991

Caro Piana,
ti ringrazio molto per il tuo libro, che ho letto con più grande interesse e che ho vivamente raccomandato ai miei allievi, in particolare a quelli del corso di dottorato in musicologia, con i quali in settembre discuteremo le tue tesi e le tue impostazioni.
    Vorrei aggiungere che il tuo saggio mi ha fatto nello stesso tempo, se così posso esprimermi, un'impressione di vicinanza e di lontananza. Mi è parso vicino perché vi ho riconosciuto quelle matrici fenomenologiche che gran parte hanno avuto nella mia formazione. Vicino anche perché vi ho ritrovato quel vigore teoretico che ho conosciuto in chi mi ha introdotto alla filosofia. Familiare anche il linguaggio, il modo di argomentare, lo "stile" filosofico. Nello stesso tempo trovo il libro lontano dal settore scientifico col quale ho dovuto, se non familiarizzare, certo convivere in stretta intimità negli ultimo anni: mi riferisco alla musicologia accademica. Non ho ancora ben capito se posso definirmi un musicologo, ed in ogni caso credo che il mio corredo genetico sia privo di quel cromosoma positivistico che ancor oggi distingue la musicologia. Tuttavia, pur senza riconoscermi del tutto in questa comunità, ho avuto la ventura di frequentarla quanto basta per apprezzarne i meriti. E così ho dovuto imbattermi nella specie particolare del musicologo-estetologo, ovvero del filosofo della musica di estrazione musicologica - i vari Dahlhaus, Eggebrecht, Wiora, Seidel - sicché il mio orizzonte è oggi occupato in gran parte da simili presenze, rispetto alle quali il tuo lavoro risulta "distante". 
    È proprio vero quello che mi scrivi, filosofi e musicisti (e musicologi, aggiungerei ) si ignorano reciprocamente. Si tratta di comunità che, pur senza essere divise da polemiche - o forse anche per questo - seguono ciascuna un proprio sistema di valori scientifici. Anche il filosofo della musica ed il musicologo-filosofo procedono per vie parallele: l'identità del campo tematico non ha prodotto una koiné scientifica.
    Il tuo libro è un ponte che la nostra cultura filosofica - consentimi di aggiungere, la migliore - lancia verso la cultura musicale. Ma non è detto che la cultura musicale, o quantomeno la musicologia, sapranno percorrerlo diretti ad un incontro con la filosofia. La separazione ha, temo, radici troppo profonde perché sia in vista il suo superamento.
    Occorrerebbe che quel tipo di riflessione di cui il tuo libro è il più recente documento si manifestasse in forme meno sporadiche, acquistando così quasi di prepotenza la fisionomia di un interlocutore col quale il confronto si fa inevitabile. Ancor più occorrerebbe che da entrambe le parti ci si interrogasse a fondo sui motivi che hanno condotto ad ignorarsi.
    Un tempo la situazione era diversa: i padri fondatori della musicologia erano vicini alla cultura filosofica ed aperti ad esigenze filosofiche. La separazione successiva è stata originata forse dalla stagione spiritualistica e neoidealistica, che, benché dimenticata, ha lasciato anche questi legati ereditari. Per esempio: hai ben ragione di premettere al paragrafo dedicato alla polarità consonanza-dissonanza l'avvertenza che ti muovi in una prospettiva puramente filosofica. Ma cent'anni fa per Carl Stumpf, che si occupò a fondo dello stesso problema in una prospettiva ad un tempo protofenomenologica e musicologicamente rigorosa, non si poneva nemmeno l'esigenza di simili precisazioni.
    Mi scuserai se inquino con una vena di pessimismo l'espressione della mia gratitudine per il tuo libro; per farmi perdonare provvederò presto ad inviarti un mio articolo dedicato a tre "padri fondatori": Helmholtz, Riemann, e, per l'appunto, il bisnonno Stumpf, che ha avuto pronipoti filosofi e musicologi. Ancora grazie, e con il più cordiale saluto

 


 

2 settembre 1991

Caro Serravezza,
rispondo con un poco di ritardo alla tua lettera del giugno scorso, ma so che vorrai scuaarmi tenendo conto prima degli impegni universitari, che a Milano si prolungano, ed anzi si addensano fino a metà luglio, e poi del felice e dimentico periodo estivo, ormai trascorso.
     La tua bella lettera, che ho ricevuto con grandissima soddisfazione, contiene tutti gli elementi di un'analisi di una situazione culturale complessiva che meriterebbe certamente di essere messa a fuoco ed anche in discussione. Elementi che mi sembra di poter condividere nella loro sostanza, anche se, come giustamente rilevi, il mio lavoro, anche per il modo in cui ha preso forma sulla base di lavori precedenti, si svolge su un versante astrattamente filosofico, che sembra non preoccuparsi troppo di trovare riscontri dentro un pensiero estetico di origine musicologica che in realtà, a mio avviso, arriva al massimo, per ciò che concerne l'impegno teorico, al livello della storia delle idee. D'altra parte io sono effettivamente convinto che solo una rivendicazione decisa, anche forse un poco estremistica, della presenza di una componente filosofica rilevante nel dibattito intorno alla musica (ai vari livelli a cui esso può essere effettuato) sia in grado di smuovere le acque.
    Tu rammenti che le cose stavano ben diversamente una volta e il tuo lavoro su Hemholtz Stumpf e Riemann lo documenta con chiarezza e ricchezza. Ho letto questo tuo saggio con grandissimo interesse. Si tratta di un saggio che è già un libro e che meriterebbe, io credo, di diventare un grosso  libro. Ma è già più che evidente da esso che i vantaggi che si possono trarre dalla rilettura critica di quegli autori riguardano  proprio la teoria  musicale, più ancora e prima ancora che la sua storia.
    Ringraziandoti ancora per la tua cortesia e per avermi consentito di entrare con te in contatto personale, ti invio i miei saluti più cordiali

 


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