L'articolo che viene qui riportato di Claudia Gualdana è stato pubblicato

dal "Sole 24 ore" il 3 dicembre 1995


Claudia Gualdana

 

 


 

La musica è stata al centro delle speculazioni di Platone e dei Pitagorici, di Hegel, e di Schopenhauer, di Kierkegaard e Adorno. Ha interagito con le altre forme d'arte ed è penetrata a fondo nel pensiero moderno. Al punto di essere interpellata quale innovativo strumento di conoscenza. Questa volta, nel libro Mondrian e la musica di Giovanni Piana, entra in gioco nell'inedita veste di chiave interpretativa. Lo studioso ripercorre l'avventura astrattista di Piet Mondrian ampliando gli orizzonti della classica teoria dell’arte.

Mondrian, nume tutelare e teorizzatore del neoplasticismo, nel periodo tra il 1922 e il 1944, anno della sua morte, ha trasferito su tela la purezza matematica dei rapporti tra superfici ortogonali. Nei suoi dipinti trionfa la linea retta, che è per definizione infinita, e sembra uscire dai limiti del quadro. Pochi e primari i colori: blu, rosso e giallo alternati ai non-colori bianco, grigio e nero. Dunque ordine, rigore, perfezione, calcolo, chiarezza. Il libro cerca la ragione profonda di tali scelte estetiche e la trova al di fuori dei quadri, e più precisamente nel contesto creativo in cui sono stati concepiti. Attraverso questa lettura contro corrente scopriamo come gli interessi musicali dell'artista olandese, in precedenza trascurati da critici eminenti, siano parte integrante della sua opera. Mondrian amava il  jazz, lo shimmy, il boggie-woogie, il fox-trot e gli esperimenti rumoristici del futunsta Luigi Russolo.

Nel 1927 scrisse: «Il jazz e il neoplasticismo appaiono come espressioni di una nuova vita. Essi esprimono la gioia e insieme la serietà che sono praticamente assenti dalla nostra esausta cultura della forma». Una breve frase in cui è racchiuso il rifiuto per i motivi capricciosi che, a suo parere, sono insiti nella natura e nell'arte in qualche modo a essa legata. E in cui dichiara apertamente di cercare nella pura geometria e nelle nuove sonorità metropolitane, i primi sintomi di un futuro rivoluzionario. In tale prospettiva, il disquisire in materia di strumenti musicali, condannando i violini per sognarne di meccanici, è un aspetto primario del suo pensiero. Piana, grazie ai numerosi scritti sulla musica del pittore dimostra quanto sia riduttivo pensare ad una semplice infatuazione da dilettante. Per far ciò chiama in causa il principio dell'unità profonda della produzione artistica, che contempla la necessità di valutare l'esperienza creativa oltre i limiti imposti dalla tradizionale separazione tra le discipline.

Non importa che si tratti di musica, archittettura, letteratura o pittura. Il punto focale è altrove. Punto che Piana individua tramite una singolare «teoria delle coincidenze»  secondo cui i grandi interpreti di un'epoca sono, in ambiti e con esiti diversi, portavoce del medesimo sfondo culturale. Così facendo, trova la stessa tensione esistenziale sia nelle disquisizioni di Mondrian sulla musica sia nella violenza espressionista degli autoritratti di Schönberg. E se nei saggi del neoplasticista si palesa un disagio sociale accompagnato da pensieri utopistici, i quadri del compositore rivelano ossessioni all'apparenza distanti dalla razionale musica dodecafonica. Allo stesso modo sottolinea l'illuminante relazione a distanza tra l'artista e un'altro compositore geniale: Edgar Varèse. Anche quest'ultimo, spiega, riteneva aneddotici i concetti di armonia e melodia e li superava attraverso componenti ritmiche dominanti. Credeva nell'energia del jazz, desiderava una macchina in grado di produrre suoni assolutamente innovativi e scriveva musica per percussioni. Il libro di Piana, chiamando in causa gli equivocati retroscena teorici dell'opera di Mondrian e di altri protagonisti del suo tempo, ne ridisegna il profilo. Un percorso sistematico e suggestivo al tempo stesso, e che trova legittimazione nelle teorie di Emst Bloch. Infatti, il pensiero frammentario di Bloch, dalla filosofia sconfina nella musica. Egli sosteneva che solo la musica, in particolare quella dodccafonica, potesse esprimere pienamente un momento storico tanto complesso: «Questa frammentarietà e infinitezza restano espressione dello stato soggettivo di quest'epoca di transizione, di uno stato confuso, non però negato o represso». Il libro di Giovanni Piana, in sostanza, recupera una teoria storicizzata spesso trascurata dagli studiosi. In esso l'analisi dei retroscena ignorati, oltre a mettere in luce un insospettabile matematico in preda ai dubbi sull'avvenire, lascia un quesito in sospeso: esistono ancora le belle arti, o possiamo parlare di una sola espressione artistica in forme diverse?

                                                                                 Claudia Gualdana


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