Alfredo Marini

 

Questa lettera fu scritta per essere inserita negli Studi in onore di Alfredo Marini, pubblicati da R. Lazzari, M. Mezzanzanica ed E.S. Storace sotto il titolo di "Vita concettualizzazione, Libertà" (Mimesis Edizioni, Milano 2008) ed essa è stata posta dai curatori in apertura del volume con il titolo "Sotto il campanile di Freiburg".

 


 

 

Mio caro Alfredo,

ed eccoti anche tu alle soglie degli anni cruciali - come me, che per caso sono nato pochissimi anni dopo. Rimango sempre stranamente sorpreso che non solo io, ma anche gli altri seguano il cammino del tempo, specialmente gli amici, che ricordo come se fossero immobilizzati nella loro gioventù. E quando mi accorgo che il tempo passa anche per loro, mi accade qualcosa che per me è inconsueta - di rivedere con straordinaria vivacità immagini della nostra giovinezza: io che sono pochissimo avvezzo ai ricordi, che sospetto anche una certa congenita debolezza di memoria, io che in ogni caso disapprovo di cuore, come cosa da vecchi, raccontare dei tempi andati. Naturalmente ci sono molte cose che ci legano sul piano intellettuale, vi è una formazione filosofica per molti versi assai simile, ed un comune appassionato interesse per la filosofia fenomenologica, e persino vi è un legame in quella - vorrei quasi dire - vocazione di traduttori, un’attività che abbiamo sempre considerato entrambi non solo come un’opera utile agli altri, da realizzare con la massima cura, ma come un modo di approfondire realmente per noi stessi un testo, per sviscerarlo nel tentativo di comprenderne le pieghe più sottili. Lasciami dire in proposito, e non sarò certo il solo, quanto sia grande la mia ammirazione per le tue traduzioni della Coscienza interna del tempo di  Husserl e di Essere e tempo di Heidegger. Hai fatto in entrambi i casi opera di grande filologia, di quella filologia che richiede profondità di interpretazione, capacità di capire e dedizione e perseveranza a tutta prova. Credo che stabiliscano un legame persino quelle naturali differenze di inclinazione che ci hanno caratterizzato e che non abbiamo mai ritenuto di mettere in discussione fra noi, riconoscendole in ogni caso come proficue. Tutto ciò ha stabilito una vicinanza maggiore di quella che abbiamo vissuto insieme come colleghi - a due porte di distanza - nel Dipartimento di Filosofia di Milano. In realtà la nostra attività accademica è per lo più avvenuta in un periodo di convulsa crescita del numero di studenti di filosofia, spesso tanto convulsa da suggerire a ciascuno di navigare sulla propria barca, badando più ai flutti più prossimi che alle altre barche naviganti con le stesse difficoltà  appena di poco più lontano.

Ed ecco invece: dopo un numero immenso di anni, ora che ti scrivo, mi balza di fronte agli occhi vivissimo uno straordinario campanile gotico e sotto quel campanile, in una cittadina mite appoggiata ai primi declivi della Selva Nera, ecco Alfredo Marini, e con lui Giovanni Piana, e con entrambi Remo Bodei. Giovanissimi tutti. Quanto giovani? Proprio esattamente non lo so. Ma io non ero ancora laureato e quindi immagino avessi tra ventuno e ventidue anni, Remo e Alfredo forse un paio d’anni in più. Tu ed io eravamo a Freiburg im Breisgau per i manoscritti di Husserl conservati in copia presso l’Istituto di Filosofia diretto  da Eugen Fink. Tu forse anche con un occhio a Heidegger che viveva ancora da quelle parti dentro il grande bosco. Remo Bodei - se ricordo bene - faceva una paziente ricerca che concerneva la sua bella traduzione della Biografia di Hegel di Rosenkranz. Remo ed io vivevamo a Littenweiler, una frazioncina di Freiburg appena fuori città, non lontano dal cimitero di Günterstal dove si trova la tomba di Husserl e Malvine; nello stesso alloggio, si fa per dire: due stanze comunicanti attraverso un bagno, peraltro in una villetta di nuova costruzione abbastanza gradevole. Remo Bodei fu per me allora una vera fortuna, perché essendo io a quel tempo incline a coltivare la malinconia, egli mi portava in casa un’indicibile freschezza di vita. Entrambi avevamo comunque seri problemi di sopravvivenza economica. Così io fuggii come un ladro da uno stupendo maestro di violino, insegnante alla Hochschule del luogo, che mi aveva accolto tra i suoi allievi, senza pagargli le ultime lezioni. Lo incontrai occasionalmente più tardi e vergognandomi alquanto gli raccontai la vera storia di questo abbandono senza la cortesia di un pur breve saluto e quell’ottimo uomo mi rimproverò dicendo che, se questo era il problema, mi avrebbe senz’altro dato lezione gratuitamente!  La nostra becera padrona di casa sottrasse a Remo la macchina da scrivere per obbligarlo a pagare il pur misero affitto; ed io venni aiutato una volta da Enzo Paci che mi mandò di tasca sua una piccola sovvenzione - grande maestro anche in queste azioni straordinarie. E tu non te la passavi, credo, molto meglio - anzi forse persino un po’ peggio. A giudicare dal tuo alloggio. A differenza del nostro esso si trovava dentro la città. Una volta ci invitasti ad entrare nella tua stanza, anzi a salire in essa, perché si trattava di una soffitta. Una soffitta vera, una soffitta da fiaba, voglio dire: una soffitta dove avrebbe potuto vivere una strega cattiva. Ci muovemmo a tentoni in una scala oscura, per raggiungere la tua stanzetta: luce fioca che non si sapeva di dove venisse, grande stufa a legna spenta da secoli nel centro, e il letto non so dove. Era buio... non ricordo. Forse a ridosso della stufa. Forse nell’angolo dello spiovente del tetto. Chissà dove dormivi! E in quella tua soffitta già allora ti immaginai immerso nelle tue meditazioni, incurante di tutto.

Queste sono immagini per me vivissime. Non mi ricordano niente che sia passato. Mi ricordano solo, sia pure nelle traversie, molti filosofici entusiasmi. Tu amavi discutere a lungo, io anche - e via a passeggiare per le strade di Freiburg, parlando a voce alta, a volte altissima, almeno per orecchie tedesche, cosicché talvolta persino venivamo zittiti per strada. Oppure nelle Gastätte a bere, come ovvio, una birra (al massimo).

Ed eccoci ora qui a festeggiarti tra i tuoi allievi e i tuoi amici, dopo che è passato un numero imprecisabile di anni, di secoli forse, del tutto inavvertiti. Noi abbiamo seguito senza protestare il corso del tempo, abbiamo cercato di dare un qualche piccolo contributo al miglioramento delle cose con i mezzi di cui disponevamo, con molta fiducia nella parola detta, nella cultura praticata, nel dialogo costante con la gioventù che comincia il suo cammino: e continueremo ancora, per quel tanto che potremo.

Questa è come una cartolina che ti mando di lontano. Ed aggiungo che è scritta a notte fonda. A Pietrabianca d’inverno è buio pesto quando non vi sono le radiose notti di luna calabresi; invece stanotte soffia un ventaccio che viene dai monti, ed ogni tanto un violento scroscio di pioggia si aggiunge alla rabbia del mare. In una notte così c’è la siamo contata ancora una volta, niente birra, però, ma un brindisi al limoncello.

Ti abbraccio stretto
Giovanni Piana
1 gennaio 2007



                                                                                  Torna all'indice di "Note e recensioni"