"Nel gennaio 2016 ho ricevuto da Mauro, Prisca, Fernando e Brenda De Martini una lettura musicale della 'Ode al mare' di Pablo Neruda. Credo di non aver bisogno di aggiungere alcuna parola di commento sia in rapporto alla musica che fa magnificamente da sfondo alle voci che risuonano calde e partecipi sia in rapporto alla dedica che la propone. Nessuno, io credo, avrà difficoltà ad immedesimarsi nei miei sentimenti nel corso della sua lettura. Nella musica e nella dedica c'è un mondo intero - un mondo reale e nello stesso tempo sognato - la cui sintesi straordinaria è la fusione tra l'organo e il mare. E la voce di un grandissimo poeta"

 


 

 

 

 [G.P. 2016]

 


 

Ode al Mare

Dedicata a Giovanni e Marina Piana

 

Il primo motivo del brano nasce dal voler donare o forse, meglio, restituire una cosa che ho ricevuto e che non mi apparterrebbe se non mi fosse stata data. Anni fa, quando frequentavo i corsi di filosofia teoretica di Giovanni Piana, all’Università degli Studi di Milano, sono rimasto affascinato e avvinto da questo filosofo, e dal modo che aveva di osservare la realtà. Mi colpiva la freschezza di uno sguardo da fanciullo, immediato, autentico, aperto allo stupore, unita alla straordinaria capacità di comprendere con strumenti e sapere così vasti e profondi, che raramente m’è capitato d’incontrare in altri esseri umani.
     Quelle lezioni hanno condotto a una tesi sotto la sua guida e allo studio dei suoi lavori in ambito filosofico e musicale. È iniziata una relazione che, col tempo, s’è fatta amicizia, frequentando il Seminario di filosofia della musica, conoscendo e stimando altri allievi, Carlo Serra e Andrea Melis, incontrando la bellissima moglie di Giovanni, Marina e il figlio Valentino.
     Le amicizie vere, si sa, creano altri legami, li intensificano rendendoli più stretti e intrecciati, in una rete in cui ogni nodo cinge e richiama gli altri. Quando Prisca, mia moglie, ed io abbiamo adottato i nostri figli, Fernando e Brenda, di origine colombiana, Giovanni ed io ci siamo resi conto che il nostro legame affettivo si era allargato, aveva, in un certo senso, contagiato le nostre famiglie. Sono nati incontri davanti e dentro il mare di Calabria, accolti da Giovanni e Marina che rappresentavano, complementari, un modo e, allo stesso tempo, un modello, di ‘essere al mondo’.
     Giungiamo così alla seconda ragione della musica. Quest’Ode al Mare è l’espressione del desiderio di raccontare un’amicizia tra due persone, due famiglie e le relazioni tra loro. Non c’è velleità artistica, non ne avrei i mezzi. Vi è solo un proposito narrativo, in cui i personaggi della storia -reali e simbolici- sono compresenti e dialogano.
     In questo brano, Fernando, Brenda e Prisca recitano la poesia Oda al mar di Pablo Neruda. I nostri figli lo fanno con quell’esile eco di spagnolo che ancora rimane delle loro origini, ma che mi ricorda in modo vivido il primo momento in cui ci siamo incontrati. Mia moglie ed io infatti, per una vicenda piuttosto strampalata, eravamo chiusi in una stanza e la prima cosa che abbiamo udito, e conosciuto, dei nostri figli è stata la loro voce. Poi, dopo una buona ora d’attesa, li abbiamo ‘visti’, incontrandoli vis-à-vis. Questa cosa, che parrebbe slegata dalla dedica, invece c’entra molto, perché si riferisce a riflessioni sul rapporto tra percezione visiva e sonora, che ha occupato alcune discussioni tra me e Giovanni.
     Il sottofondo d’accompagnamento è ispirato al preludio al corale per organo. È musica sacra, per certi versi. Mi perdoneranno i destinatari e gli ascoltatori, ma il poco che conosco e so fare è musica sacra. Il contrappunto è molto semplice e non vuole prevalere sulla parola, la vera protagonista. Sento questa poesia come una preghiera laica, forse un Padre Nostro. Il mare è la vita stessa, una realtà che ci fa paura e desideriamo conoscere, a cui chiediamo il pane quotidiano, che aspiriamo a sottomettere, ma che è più forte e grande di noi. In poche parole è una moltiplicazione dei pani e dei pesci. Nella nostra lotta esistenziale comune, nell’esperienza della condivisione tra le nostre famiglie, di ciò che ci è dato vivere, sta il miracolo.

Mauro, Prisca, Fernando e Brenda

 

Mauro De Martini. Pablo Neruda e il mare.


(mp3 - 12 MB)

 


 

 

Pablo Neruda               

ODA AL MAR                 

AQUÍ en la isla            
el mar                     
y cuánto mar               
se sale de sí mismo        
a cada rato,               
dice que sí, que no,       
que no, que no, que no,    
dice que si, en azul,      
en espuma, en galope,      
dice que no, que no.       
No puede estarse quieto,   
me llamo mar, repite       
pegando en una piedra      
sin lograr convencerla,    
entonces                   
con siete lenguas verdes   
de siete perros verdes,    
de siete tigres verdes,    
de siete mares verdes,     
la recorre, la besa,       
la humedece                
y se golpea el pecho       
repitiendo su nombre.      
Oh mar, así te llamas,     
oh camarada océano,        
no pierdas tiempo y agua,  
no te sacudas tanto,       
ayúdanos,                  
somos los pequeñitos       
pescadores,                
los hombres de la orilla,  
tenemos frío y hambre      
eres nuestro enemigo,      
no golpees tan fuerte,     
no grites de ese modo,     
abre tu caja verde         
y déjanos a todos          
en las manos               
tu regalo de plata:        
el pez de cada día.        

Aquí en cada casa          
lo queremos                
y aunque sea de plata,     
de cristal o de luna,      
nació para las pobres      
cocinas de la tierra.      
No lo guardes,             
avaro,                     
corriendo frío como        
relámpago mojado           
debajo de tus olas.        
Ven, ahora,                
ábrete                     
y déjalo                   
cerca de nuestras manos,   
ayúdanos, océano,          
padre verde y profundo,    
a terminar un día          
la pobreza terrestre.      
Déjanos                    
cosechar la infinita       
plantación de tus vidas,   
tus trigos y tus uvas,     
tus bueyes, tus metales,   
el esplendor mojado        
y el fruto sumergido.      

Padre mar, ya sabemos      
cómo te llamas, todas      
las gaviotas reparten      
tu nombre en las arenas:   
ahora, pórtate bien,       
no sacudas tus crines,     
no amenaces a nadie,       
no rompas contra el cielo  
tu bella dentadura,        
déjate por un rato         
de gloriosas historias,    
danos a cada hombre,       
a cada                     
mujer y a cada niño,       
un pez grande o pequeño    
cada día.                  
Sal por todas las calles   
del mundo                  
a repartir pescado         
y entonces                 
grita,                     
grita                      
para que te oigan todos    
los pobres que trabajan    
y digan,                   
asomando a la boca         
de la mina:                
"Ahí viene el viejo mar    
repartiendo pescado".      
Y volverán abajo,          
a las tinieblas,           
sonriendo, y por las calles
y los bosques              
sonreirán los hombres      
y la tierra                
con sonrisa marina.        
Pero                       
si no lo quieres,          
si no te da la gana,       
espérate,                  
espéranos,                 
lo vamos a pensar,         
vamos en primer término    
a arreglar los asuntos     
humanos,                   
los más grandes primero,   
todos los otros después,   
y entonces                 
entraremos en ti,          
cortaremos las olas        
con cuchillo de fuego,     
en un caballo eléctrico    
saltaremos la espuma,      
cantando                   
nos hundiremos             
hasta tocar el fondo       
de tus entrañas,           
un hilo atómico            
guardará tu cintura,       
plantaremos                
en tu jardín profundo      
plantas                    
de cemento y acero,        
te amarraremos             
pies y manos,              
los hombres por tu piel    
pasearán escupiendo,       
sacándote racimos,         
construyéndote arneses,    
montándote y domándote     
dominándote el alma.       
Pero eso será cuando       
los hombres                
hayamos arreglado          
nuestro problema,          
el grande,                 
el gran problema.          
Todo lo arreglaremos       
poco a poco:               
te obligaremos, mar,       
te obligaremos, tierra,    
a hacer milagros,          
porque en nosotros mismos, 
en la lucha,               
está el pez,  está el pan, 
está el milagro.

Pablo Neruda                        

ODE AL MARE                         

Qui nell’isola                      
il mare                             
e quanto mare                       
esce da sé stesso                   
in ogni momento,                    
dice di sì, di no,                  
di no, di no, di no,                
dice di sì nell’azzurro,            
nella spuma, nel galoppo,           
dice di no, di no.                  
Non può stare tranquillo,           
mi chiamo mare, ripete              
battendo su una pietra              
senza ottenere di convincerla,      
allora                              
con sette lingue verdi              
di sette cani verdi,                
di sette tigri verdi,               
di sette mari verdi,                
la percorre, la bacia,              
la inumidisce                       
e si colpisce il petto              
ripetendo il suo nome.              
Oh mare, come ti chiami,            
oh compagno oceano,                 
non perdere tempo e acqua,          
non scuoterti tanto,                
aiutaci,                            
siamo i piccoli                     
pescatori,                          
gli uomini della riva,              
abbiamo freddo e fame,              
sei il nostro nemico,               
non colpire così forte,             
non gridare a questo modo,          
apri la tua cassa verde             
e offri a tutti noi                 
tra le mani                         
il tuo regalo d’argento:            
il pesce di ogni giorno.            

Qui in ogni casa                    
lo amiamo                           
e benché fatto d’argento,           
di cristallo o di luna,             
nacque per le povere                
cucine della terra.                 
Non custodirlo,                     
avaro,                              
mentre scivola freddo come          
lampo bagnato                       
sotto le sue onde.                  
Vieni ora,                          
apriti                              
e lascialo                          
vicino alle nostre mani,            
aiutaci, oceano,                    
padre verde e profondo,             
a dar termine un giorno             
alla povertà terrestre.             
Lasciaci                            
raccogliere i frutti dell’infinita  
piantagione delle tue vite,         
i tuoi frumenti e le tue uve,       
i tuoi buoi, i tuoi metalli,        
lo splendore bagnato                
e il frutto sommerso.               

Padre mare, sappiamo già            
come ti chiami, tutti               
i gabbiani diffondono               
il tuo nome sulle spiagge:          
ora, comportati bene,               
non scuotere i tuoi crini,          
non minacciare nessuno,             
non rompere contro il cielo         
la tua bella dentatura,             
tralascia per un momento            
le gloriose storie,                 
da’ ad ogni uomo,                   
ad ogni                             
donna e ad ogni bambino,            
un pesce grande o piccolo           
ogni giorno.                        
Va’ per tutte le strade             
del mondo                           
per distribuire pesci               
ed allora                           
grida,                              
grida                               
perché ti odano tutti               
i poveri che lavorano               
e dicano,                           
affacciandosi all’imboccatura       
della miniera:                      
“Ecco che viene il vecchio mare     
a distribuire pesci”.               
Poi torneranno giù,                 
nelle tenebre                       
sorridendo, e per le strade         
e per i boschi                      
sorrideranno gli uomini             
e la terra                          
con sorriso marino.                 
Ma                                  
se così non vuoi,                   
se non ne hai voglia,               
aspetta,                            
aspettaci,                          
dovremo provvedere,                 
per prima cosa                      
regoleremo i problemi               
dell’umanità,                       
dapprima i più grandi,              
quindi tutti gli altri,             
ed allora                           
entreremo in te,                    
taglieremo le onde                  
con un coltello di fuoco,           
su di un cavallo elettrico          
salteremo la spuma,                 
cantando                            
ci immergeremo                      
fino a toccare il fondo             
delle tue viscere,                  
un filo atomico                     
terrà a bada i tuoi fianchi,        
pianteremo                          
nel tuo giardino profondo           
alberi                              
di cemento e acciaio,               
ti legheremo                        
mani e piedi,                       
sopra la tua pelle gli uomini       
passeggeranno sputando,             
togliendoti grappoli,               
costruendo armature,                
montando sulla tua groppa per domarti
e per dominarti l’anima.            
Ma questo accadrà quando            
noi uomini                          
avremo regolato                     
il nostro problema,                 
il grande,                          
il gran problema.                   
Tutto regoleremo                    
poco a poco:                        
Ti obbligheremo, mare,              
ti obbligheremo, terra,             
a far miracoli,                     
perché in noi stessi,               
nella lotta,                        
sta il pesce, sta il pane,          
sta il miracolo.


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