Questo articolo è stato pubblicato nella rivista "Aut Aut", n. 122, 1971, pp. 19-41.
Data di immissione: agosto 1998.

 

Giovanni Piana Husserl, Schlick e Wittgenstein sulle cosiddette proporizioni sintetiche a priori

Husserl, Schlick e Wittgenstein
sulle cosiddette "proposizioni sintetiche a priori"

 

1.

All’interno della Terza ricerca logica, Husserl ripropone in termini nuovi la distinzione di una classe di proposizioni che dovrebbero meritare la caratterizzazione di "proposizioni sintetiche a priori" di fronte alle proposizioni "analitiche". Nelle pagine seguenti tenterò di chiarire brevemente il senso di questa distinzione, prendendo in considerazione, da un lato, la critica che Moritz Schlick conduce ad essa e, dall’altro, la posizione di Wittgenstein che, pur respingendo la sua validità, sviluppa una propria elaborazione della tematica ad essa soggiacente.

2.

Converrà senz’altro prendere le mosse dalla definizione della nozione di proposizione analitica che viene formulata da Husserl nel § 12 della Terza ricerca logica.

"Possiamo definire come proposizioni analiticamente necessarie le proposizioni che hanno una verità pienamente indipendente dalla natura intrinseca delle loro oggettualità (pensate in modo determinato o in una generalità indeterminata) e dall’eventuale fattualità del caso in questione, dalla validità dell’eventuale posizione esistenziale; si tratta quindi di proposizioni che si possono ‘formalizzare’ completamente e che possono essere comprese come casi speciali o applicazioni empiriche delle leggi analitiche o formali che sorgono validamente da tale formalizzazione. In una proposizione analitica deve essere possibile sostituire ogni materia, mantenendo pienamente la forma logica della proposizione, con la forma vuota qualcosa e mettere da parte ogni posizione esistenziale passando alla forma giudicativa corrispondente, provvista di una ‘generalità incondizionata’ ovvero del carattere di legge"[1].

Naturalmente occorre intendersi sulla nozione di "formalizzazione completa" da cui dipende interamente il senso della definizione proposta. Come appare dall’ultima frase del passo citato, si presuppone qui una differenziazione interna nell’unità dell’enunciato tra un momento formale (la "forma logica della proposizione") e un momento materiale,dove il momento materiale consiste in ciò che, nell’enunciato, rinvia alla determinatezza degli oggetti.

Si dirà allora "completamente formalizzato" un enunciato i cui segni che rinviano ad oggetti determinati siano stati sostituiti da "variabili" o, che è lo stesso, dall’espressione "qualcosa" (che dovrà ovviamente essere intesa come priva dell’assunzione esistenziale che essa ha nel linguaggio ordinario). L’intera definizione può allora essere sintetizzata come segue: un enunciato sarà detto analiticamente necessario (necessità analitica) se l’enunciato formalizzato corrispondente - che in tal caso sarà detto legge analitica - può essere saturato validamente da qualsiasi valore delle variabili che compaiono in esso.

L’estensione di questa formulazione al piano puramente enunciativo, nel quale consideriamo gli enunciati come tali indipendentemente dalla loro articolazione interna, non presenta particolari difficoltà: naturalmente in questo caso non si parlerà di oggetti, ma di "stati di cose" come poli di riferimento degli enunciati e la "formalizzazione" avverrà sostituendo agli interi enunciati semplici variabili enunciative. Qui si dirà analitico un enunciato la cui verità non dipende dalla verità degli enunciati semplici ovvero dal sussistere o dal non sussistere degli stati di cose ad essi corrispondenti[2].

Indubbiamente si richiederebbe un’elaborazione migliore e più precisa - ed anche restando all’interno del discorso di Husserl andrebbero dette molte altre cose: ma qui ciò che importa è la direzione principale in cui questa definizione è orientata Da essa risulta che con proposizione analitica si deve intendere una proposizione la cui validità è giustificata da una legge valida per ogni oggetto in generale, ma se ci atteniamo unicamente al piano linguistico è egualmente corretto indicare la validità di una proposizione analitica come una validità dipendente unicamente dalla sua "forma logica", dalla sua struttura "logico-grammaticale". E poiché il momento materiale dell’enunciato non è altro che il momento del senso, il prescindere dalla materia - che sul piano segnico si realizza attraverso l’uso di "variabili" - non è altro che un prescindere dal senso, in modo tale che, in questa accezione, forma e senso dell’enunciato appaiono contrapposti. Per le nostre considerazioni successive è bene tener presente questo punto che, pur non essendo esplicitamente formulato nella definizione indicata, può tuttavia essere legittimamente sviluppato da essa.

II problema dell’ammissione di "proposizioni sintetiche a priori" nasce in Husserl dall’analisi di esempi proposizionali che, se da un lato sembrano presentarsi con lo stesso carattere di validità "a priori" secondo la vecchia terminologia che è proprio delle "necessità analitiche", dall’altro non sono interpretabili come tali in base alla definizione di analiticità or ora proposta. Si prendano come esempi proposizioni del tipo "ogni colore è diffuso su un’estensione", oppure "ogni suono ha sempre una certa altezza, un’intensità e un timbro", nelle quali naturalmente le parole "suono o "colore" saranno tacitamente intese con alcune necessarie restrizioni: se si ammette che proposizioni di questo tipo non possano essere interpretate come generalizzazioni empiriche, bensì che esse formulino delle condizioni di possibilità dell’esperienza del suono e del colore, allora dovremo in qualche modo differenziare queste leggi a priori dalle precedenti e parleremo così di leggi sintetiche a priori e correlativamente, in rapporto agli esempi che sono casi speciali di quelle leggi, di necessità sintetiche a priori. Considerando il piano linguistico possiamo anche dire che la validità di un enunciato sintetico a priori poggia sul suo momento materiale, cioè sul suo senso.

Se ora si confrontano queste caratterizzazioni con quelle kantiane corrispondenti - che, secondo Husserl, "non meritano affatto di essere dette classiche" [3] - non si ha difficoltà a riconoscere che siamo ben lontani da una semplice differenza di formulazione che non inciderebbe sulla classificazione istituita. Al contrario: sotto il titolo di "analitico" e di "sintetico a priori" cadono esempi di proposizioni interamente diverse. Basti notare che una proposizione come "ogni corpo è esteso", che in Kant appare come esempio di proposizione analitica, deve essere in Husserl caratterizzata come sintetica a priori, e che una proposizione che assume la necessità della connessione causale, che in Kant vale come esempio centrale di proposizione sintetica a priori, non rientra affatto sotto la designazione husserliana corrispondente e presenta una tematica interamente differente [4]. Questa differenza è perciò così sostanziale che avrebbe dovuto sconsigliare la ripresa della terminologia. A parte poi la necessità di evitare ogni ambiguità rispetto ad una posizione così impegnativa e così discussa come quella kantiana, si può anche osservare che è difficile da giustificare, all’interno del discorso di Husserl ed in rapporto a questo problema, lo stesso uso di espressioni come "analitico" e "sintetico", sia pure in una eventuale reinterpretazione. La vera opposizione non sta infatti in questi termini, comunque intesi, ma in quelli di "forma" e "materia", ed in effetti va notato che l’espressione "leggi sintetiche a priori" ricorre in Husserl molto di rado, mentre si preferisce parlare di "leggi materiali" in contrapposizione a "leggi formali" (come già nel § 11 della Terza ricerca logica) ed anche, rinunciando al termine "a priori", di leggi essenziali (eidetiche) formali e materiali.

In ogni caso, per gli sviluppi della discussione successive, va chiaramente fissato che, secondo Husserl, è necessario istituire una netta differenza tra quegli esempi che sono necessità in forza della loro forma logica o, come potremmo anche dire senza impuntarsi sui termini, del loro momento "sintattico", ed esempi di proposizioni che sono necessità in forza del loro momento di senso, del loro momento "semantico". Ciò dovrà valere anche in rapporto alle "contraddizioni", e come esempio di contraddizione relative al momento del senso, cioè come esempio di proposizione costituita di significati non unificabili in forza della non unificabilità dei loro oggetti di riferimento (controsenso o assurdità materiale nella terminologia di Husserl) può valere una proposizione che afferma che un certo oggetto colorato è inesteso, oppure che esiste un suono senza un’altezza oppure ancora che un oggetto è al tempo stesso uniformemente rosso e uniformemente verde.

3.

Moritz Schlick

 

Veniamo ora alla discussione a cui Moritz Schlick sottopone la posizione di Husserl, prendendo in esame le tesi principali del saggio intitolato Esiste un a priori materiale? che ha direttamente di mira il nostro problema[5]. Schlick coglie giustamente il fatto che la distinzione introdotta da Husserl non ha un significato secondario per la sua impostazione filosofica complessiva, al contrario: l’introduzione delle "proposizioni sintetiche a priori" si inserisce nel quadro più ampio della rivendicazione di un a priori "materiale", che da un lato è connessa con l’intera costruzione programmatica delle cosiddette "ontologie materiali)", dall’altro con la metodologia fenomenologica nel suo complesso nella misura in cui le ricerche impostate in senso fenomenologico dovrebbero infine pervenire a formulazioni che debbono essere esse stesse caratterizzate come "verità sintetiche a priori".

Così Schlick individua acutamente il punto cruciale che dovrebbe consentire una critica condotta sul piano elementare, cioè sul piano delle distinzioni logiche più semplici capace di infirmare in modo radicale la costruzione teorica di Husserl senza che si sia costretti ad entrare nei suoi dettagli. D’altro lato, questo saggio rappresenta anche un esempio di applicazione di "critica della filosofia" secondo i più tipici canoni del neopositivismo.

Secondo Schlick, la distinzione tra analitico e sintetico è interamente coincidente con quella tra a priori e a posteriori: "II nostro empirismo afferma che in generale non sussistono altri giudizi a priori che quelli analitici o, come oggi preferiamo dire: che solo le proposizioni tautologiche sono a priori"[6]. D’altronde la definizione di analitico suona: "Una proposizione analitica è una proposizione vera solo in virtù della sua forma; chi ha compreso il senso di una tautologia ha la tempo stesso compresa la sue verità. Nel caso di una proposizione sintetica invece si deve anzitutto comprendere il senso, e quindi accertare se essa è vera o falsa; perciò essa è a posteriori"[7].

Data questa impostazione di principio non potremo muoverci che tra questi due estremi: o le proposizioni che vengono indicate da Husserl come esempi di proposizioni sintetiche a priori non esprimono alcuna connessione necessaria ma soltanto empirica, e quindi saranno sintetiche, oppure saranno valide necessariamente, ed in tal caso avranno carattere analitico o tautologico.

Gli esempi su cui più si sofferma Schlick sono del tipo "un’unica e medesima superficie non può essere al tempo stesso verde e rossa" oppure "Se il vestito di Tizio è rosso, allora non è verde", esempi che, come abbiamo visto, appartengono all’ambito del nostro problema. Certamente osserva Schlick, dall’esperienza io so che una determinata superficie ha un certo colore, ad esempio che è rossa. Ma sarebbe "ingenuo empirismo", che condurrebbe non lontano dalle posizioni di uno Stuart Mill, ritenere che la conoscenza conseguente secondo la quale essa non è verde sia ancora da definire come empirica eventualmente in modo mediato, cioè in forza della natura della conoscenza su cui essa è fondata. Se si ammettesse il carattere empirico di simili conoscenze, come anche di quelle del tipo "ogni suono ha un’altezza", si dovrebbe ammettere che da qualche parte, in qualche mondo possibile, si possa dare una superficie ad un tempo uniformemente rossa e uniformemente verde, oppure un suono privo di altezza: ma ciò è impossibile, e questa impossibilità è di natura logica.

"Come starebbero le cose se un cacciatore ci assicurasse di aver visto in Africa leoni normalmente gialli, ma al tempo stesso anche blu? Noi gli faremmo notare che ciò è impossibile, e se egli replicasse che questa nostra diffidenza dipende dal fatto accidentale che non abbiamo mai visto un colore giallo e al tempo stesso blu, ciò non ci farebbe certo mutare di opinione"[8]. I fenomenologi hanno dunque ragione quando affermano che la "validità di tali proposizioni è di tutt’altro genere che quella dei comuni giudizi di esperienza"[9].

Sbagliano invece quando ritengono che siamo in presenza di proposizioni che hanno un carattere contenutistico, sbagliano nel ritenere che tutto ciò abbia a che vedere con la materia e non con la forma e sbagliano infine quando, guidati da quest’ordine di considerazioni, sono indotti ad introdurre, accanto alle proposizioni analitiche e sintetiche una terza classe di proposizioni a titolo di "proposizioni sintetiche a priori". In realtà, le proposizioni che essi recano come esempi sono anzitutto "banali", come le tautologie, come queste ultime esse "non dicono nulla", non apportano nessuna nuova conoscenza, "sono vere solo in virtù della loro forma e non comunicano nulla sulla realtà". Pertanto esse sono "in realtà di natura puramente concettuale, la loro validità è una validità logica, esse hanno un carattere tautologico, formale"[10]. La loro verità si può comprendere direttamente dal senso. La proposizione "la regina portava un vestito rosso" è altrettanto sensata della proposizione "la regina portava un vestito verde". "Ma se io odo che il vestito era sia rosso che verde, non posso assolutamente annettere un senso a questa connessione di parole, non so assolutamente che cosa si debba intendere con ciò" [11]. "Verde e rosso sono l’uno con l’altro incompatibili, non perché non si sia mai osservato il loro essere insieme, ma perché la proposizione ‘questa macchia è sia verde che rossa’ è una connessione priva di senso di parole. Le regole logiche in forza delle quali noi usiamo le parole di colore (Farbwort), impediscono un simile uso, così come impedirebbero che si dicesse ‘il rosso chiaro è più rosso che il rosso scuro’ "[12].

Conclusivamente: "L’errore che viene commesso da coloro che sostengono l’a priori materiale, si spiega con il fatto che non si è mai chiarito che i concetti di colore e i concetti visuali hanno una struttura formale esattamente come, ad es., i numeri o i concetti spaziali, e che questa struttura determina il loro significato senza residui" [13].

È opportuno ricollegarsi senz’altro alla definizione di analiticità presentata da Schlick, alla quale è vincolata la sua intera argomentazione. Poiché il carattere razionale, "apriorico", delle proposizioni in questione è riconosciuto da Schlick negli stessi termini che in Husserl, il problema si riduce unicamente all’assunzione o al rifiuto della loro analiticità. Per far questo sarebbe stato ovviamente essenziale mettere in discussione la definizione data da Husserl. Ma di essa non si fa cenno nell’intero saggio. Di contro, nella definizione proposta da Schlick la questione è fin dall’inizio risolta nella misura in cui la "verità secondo la forma" e la "verità secondo il senso" sono assunte senz’altro come nozioni equivalenti per caratterizzare definitoriamente ciò che si deve intendere con analitico o tautologico. E poiché il problema di Husserl nasce appunto nella differenziazione di questi due momenti come momenti interni dell’unità proposizionale in generale, o si contesta la legittimità di tale distinzione, oppure ci si trova di fronte alla stessa alternativa, con modificazioni puramente terminologiche: anche se si definissero tautologiche o analitiche le verità secondo il senso o la forma (cosa che in sé non è obiettabile dal momento che, come abbiamo visto, il vero problema non va sotto i titoli dell’analisi o della sintesi), quindi anche se si volesse rinunciare a caratterizzare le proposizioni in questione come "sintetiche a priori" riunendole sotto il titolo di proposizioni analitiche resterebbe la questione di accertare se si possa distinguere l’analiticità in rapporto alla forma e l’analiticità in rapporto al senso. II problema nel suo complesso viene così eluso ed è difficile sottrarsi all’impressione che l’intera argomentazione di Schlick si riduca ad una semplice petizione di principio.

Una seconda osservazione riguarda il problema del senso.

Certamente, vi possono essere buoni motivi per definire "insensato" un enunciato come "questa macchia è sia verde che rossa", ma si dovrà riconoscere che lo "schema enunciativo" corrispondente che otteniamo attraverso la sua "formalizzazione completa" può essere saturato da un esempio di enunciato provvisto di senso. L’incompatibilità indicata non è dunque puramente grammaticale, come vorrebbe Schlick che si esprime come se vi fossero delle particolari regole logico-grammaticali delle parole di colore. Quanto alla conclusione a cui egli perviene, non sembra che vanga dato alcun contributo a chiarire le cose appellandosi alla "struttura formale" del colore, del suono, ecc., tanto più se resta del tutto indeterminato che cosa si debba intendere, in questo caso, con una simile espressione.

4.

 

Al termine del saggio di Schlick vi è un preciso richiamo alle posizioni sostenute da Wittgenstein, "il primo che ha dato la soluzione corretta della difficoltà" [14]. Tanto più appare interessante il fatto che questa stessa discussione, isolata agli esempi che abbiamo prodotti, si ripresenti nella forma di dibattito personale e diretto tra Schlick e Wittgenstein nei colloqui che essi ebbero a Vienna nell’inverno 1929-1930. Di questi colloqui ci restano gli appunti di Waismann che sono stati pubblicati con il titolo Ludwig Wittgenstein und der Wiener Kreis [15]. Schlick è qui sollecitato a riproporre il problema da alcune osservazioni di Wittgenstein e sollecita a sua volta Wittgenstein a prendere posizione nei confronti della reinterpretazione husserliana del "sintetico a priori". La discussione si arricchisce peraltro di tutto un complesso di nuovi spunti che spostano l’accento della questione, così come essa si era presentata sia nella posizione di Husserl sia nella confutazione di Schlick.

Consideriamo brevemente la ripresa della critica a Husserl. È Schlick che pone la domanda: "Che cosa si può replicare ad un filosofo che pensa che gli enunciati della fenomenologia siano giudizi sintetici a priori?" [16].

La sostanza della risposta Wittgenstein (che riferiamo integralmente si nota) sembra andare nella stessa direzione del discorso di Schlick: in realtà Husserl pensa di poter inserire tra il "logico" e il "fattuale" - un terzo termine che dovrebbe condividere, sotto la denominazione di "sintetico a priori", i caratteri dell’uno e dell’altro: "A questo io replicherei: certo, si possono inventare le parole, ma in esse io non posso pensare nulla"[17]. Tuttavia mentre in Schlick gli esempi di Husserl non ponevano particolari problemi e dalla critica delle proposizioni "sintetiche a priori" come logicamente impossibili si passava alla caratterizzazione di tali esempi sotto il titolo di "tautologia", proprio su questo punto Wittgenstein manifesta il proprio dissenso ed è quindi indotto a riprendere in esame alcune tesi del Tractatus e ad aprire, sulla loro base, nuovi spunti di ricerca. Questi sviluppi sono reperibili, sostanzialmente negli stessi termini, nel saggio Some remarks on logical form (1929) e nelle Philosophische Bemerkungen alla cui elaborazione egli attende in questo stesso periodo di tempo[18].

Anzitutto vi è il problema dell’indipendenza delle proposizioni elementari. Nel Tractatus, dall’ammissione dell’indipendenza reciproca delle proposizioni elementari si passava coerentemente ad escludere la possibilità di istituire tra di esse un rapporto di conseguenza[19]. Ma se si concede che le proposizioni "A è rosso" e "A è verde" possano valere come esempi di proposizioni elementari appare chiaro che dalla posizione della prima è possibile concludere all’esclusione della seconda, e quindi va riconosciuto in generale che fra questi esempi di proposizioni elementari intercorre un preciso rapporto di interdipendenza. II modo in cui deve essere intesa la proposizione elementare va perciò precisato nella misura in cui possiamo assumere che ogni proposizione elementare sia posta all’interno di un sistema di proposizioni, ognuna delle quali descrive una possibilità alternativa dello stato di cose in questione: "Una volta ho scritto: ‘La proposizione è come un metro apposto alla realtà. Solo i punti più esterni toccano l’oggetto che deve essere misurato’. Ora direi piuttosto: un sistema proposizionale è come un metro apposto alla realtà. Intendo dire che se appongo un metro ad un oggetto spaziale, appongo al tempo stesso tutte le linee di graduazione".

"Non vengono giustapposte all’oggetto le lineette singole, ma la scala intera. Se io so che l’oggetto arriva sino alla lineetta 10, so anche immediatamente che esso non arriva al tratto 11, 12, ecc." [20].

Nelle Philosophische Bemerkungen si ribadisce: "Le proposizioni diventano in questo caso ancora più simili a metri di quanto io abbia creduto in precedenza - La coincidenza di una misura esclude automaticamente tutte le altre. Dico automaticamente: come tutte le linee di graduazione si trovano su un unico metro, così le proposizioni, che corrispondono a quelle linee, sono interdipendenti e non si può misurare con una di esse, senza al tempo stesso misurare con tutte le altre. - Io non appongo la proposizione come metro alla realtà, ma il sistema di proposizioni" [21]. Già a questo punto siamo in realtà molto al di là del discorso di Schlick su questo stesso problema. L’inferenza che diventa possibile tra una proposizione ed un’altra proposizione elementare quando sono interdipendenti all’interno di un sistema, non è riducibile alla forma della "tautologia". Su questo punto Wittgenstein prende esplicita posizione ricollegandosi, ancora una volta, al Tractatus: "Nella redazione del mio lavoro non mi ero ancora reso conto di tutto ciò; allora pensavo che qualsiasi deduzione poggiasse sulla forma della tautologia. A quel tempo non avevo ancora visto che una conclusione può anche avere la forma: un uomo è alto due metri, dunque non è alto tre metri. Ciò è strettamente connesso con il fatto che credevo che le proposizioni elementari dovessero essere indipendenti e che dal sussistere di uno stato di cose non si potesse concludere al non sussistere di un altro stato di cose. Ma se la mia concezione attuale del sistema proposizionale è corretta, vale anzi di regola che dal sussistere di uno stato di cose si possa concludere al non sussistere di tutti gli altri che vengono descritti dal sistema proposizionale"[22].

Nelle Philosophische Bemerkungen si osserva che la "contraddizione" che risulta dalla congiunzione di due proposizioni elementari di questo tipo non può apparire dal segno, bensì dal simbolo, quando con quest’ultimo termine si intenda, secondo la definizione del Tractatus, quella "parte della proposizione che caratterizza il suo senso" [23] e si convenga dunque che "se, ad esempio una lettera designa ora un colore ora un suono, essa è di volta in volta un simbolo diverso"[24]. Ritroviamo così in altro modo, e con diverse motivazioni, il problema così come lo avevamo inizialmente impostato. Infatti, la possibilità di istituire la nozione di contraddizione "analitica" su una base puramente segnica è una naturale conseguenza del fatto che tale nozione ha a che fare esclusivamente con il momento formale dell’enunciato e che ciò non sia possibile nel caso della contraddizione non analitica, cioè che in questo caso la contraddizione deve "interamente mostrarsi nel simbolismo" ed "essere insita nel senso delle due proposizioni"[25], non è che un altro modo di esprimere il suo carattere non grammaticale. Bisogna tuttavia badare che termini come forma, grammatica, sintassi, ecc., possono essere usati anche in rapporto al piano ontologico, trasponendoli dal piano linguistico. Ed è necessario perciò guardarsi dagli equivoci terminologici che possono sorgere a questo proposito. Così Wittgenstein, che compie appunto questa trasposizione, può ancora ribadire che tutto ciò "non vuol dire naturalmente che l’inferire possa effettuarsi non solo formalmente ma anche materialmente. II senso segue dal senso, e quindi la forma dalla forma" [26]. Ma in questo caso "forma" è usato in rapporto all’oggetto: cioè, in quanto l’oggetto ha la "forma" del colore o la "forma" dell’estensione ha in generale queste o quelle possibilità o necessità sintattiche, ad esempio una superficie che si presenta nel campo visivo deve essere necessariamente colorata; oppure: "che due colori non possano occorrere nello stesso tempo e nello stesso luogo deve essere insito nella loro forma e nella forma dello spazio"[27]. Così un’inferenza che porti ad espressione queste necessità può essere caratterizzata come "formale" solo nella misura in cui la connessione dei sensi rinvia ad una connessione necessaria delle forme degli oggetti a cui i sensi si riferiscono. Analogamente, nel caso della congiunzione di proposizioni incompatibili, l’incompatibilità è un’incompatibilità dei sensi in quanto è un’incompatibilità degli oggetti corrispondenti: "Le due proposizioni collidono nell’oggetto" [28]. (Se si confronta questo modo di impostare il problema con il discorso di Schlick non si avrà difficoltà ad accertare che esso è in buona parte giocato su un equivoco in rapporto ai termini di "grammaticalità" e di "forma logica").

Dopo quanto si è detto, il passaggio all’estensione della nozione di "sistema" dalla sfera delle proposizioni a quella degli oggetti appare del tutto naturale. Wittgenstein accenna appunto in questa direzione. I colori formano un "sistema cromatico", così come i suoni: un suono singolo o un colore singolo "presuppone" l’intero sistema dei colori o dei suoni.|

Alla domanda di Schlick che chiede se questa presupposizione sia da caratterizzare come "logica" o empirica, Wittgenstein risponde che essa non deriva dall’esperienza eventuale del sussistere di questo o quest’altro colore accanto a quello attualmente conosciuto. Si tratta perciò di una presupposizione logica.

Qui interviene l’obiezione di Schlick: se così stanno le cose che accadrebbe "se il mondo fosse rosso", che ne sarebbe cioè del sistema cromatico per un soggetto che vedesse solo rosso? Forse ad un tale soggetto può essere dato "logicamente" ciò che non gli è dato dall’esperienza? [29]

La prima risposta di Wittgenstein tende a sottolineare che il colore singolo è caratterizzato da un’intensità e sono dunque pensabili, anche se il mondo fosse rosso, delle differenze di intensità, che di grado in grado conducono a vere e proprie differenze di colore. "Ora, ha senso chiedere: di quanti colori è necessario avere esperienza per conoscere il sistema di colori. No! (Tra l’altro: pensare (denken) un colore non vuol dire allucinarlo (halluzinieren)).

Qui vi sono due possibilità:

  • o la sua sintassi è la stessa della nostra: rosso, più rosso, rosso chiaro, giallo-rosso, ecc. Ed in tal caso egli avrà il nostro intero sistema cromatico;
  • oppure la sua sintassi non è la stessa. Ed in tal caso egli non conosce un colore del nostro senso. Infatti se un segno ha lo stesso significato, deve avere anche la stessa sintassi" [30].

Analogamente in rapporto alla nozione di spazio, se si supponesse che qualcuno fosse sempre stato chiuso in una stanza, l’infinità dello spazio, la sua ‘apertura’ gli sarebbe forse ignota? No, perché ciò non dipende da un’esperienza: è qualcosa che "è posto a priori nella stessa sintassi dello spazio"[31].

Nonostante alcuni spunti interessanti, questa argomentazione è tuttavia insoddisfacente nella sua prima parte, e Wittgenstein se ne rende conto ritornando sull’argomento in due riprese. Egli rifiuta anzitutto la possibilità di uno sviluppo del sistema cromatico a partire dalle differenze di intensità del colore singolo[32], per rifiutare poi senz’altro la stessa proponibilità del problema. "Se tutto ciò che vedo fosse rosso e io potessi descrivere ciò, potrei allora anche formare la proposizione negativa corrispondente. Ma ciò presuppone la possibilità di altri colori. Oppure il rosso è qualcosa che non posso descrivere ed allora non avrei una simile proposizione e non potrei negare nulla. In un mondo in cui il rosso svolgesse quasi lo stesso ruolo del tempo nel nostro mondo non vi sarebbero enunciati della forma: tutto è rosso: tutto ciò che vedo è rosso. Dunque, nella misura in cui sussiste uno stato di cose, esso può essere descritto, e allora il rosso presuppone un sistema di colori. Oppure rosso significa qualcosa di interamente diverso, ed allora non ha senso chiamarlo colore. E di ciò non si può nemmeno parlare"[33].

Con ciò si è tuttavia detto soltanto che non è possibile obiettare alla nozione di sistema riferita, ad esempio, ai colori, con l’argomento "se il mondo fosse rosso", poiché questa affermazione ha senso solo, per così dire, a partire da un mondo che non lo è ed in cui il sistema cromatico è presupposto[34]. Ma in quell’obiezione, per quanto mal posta, era tuttavia insito un problema a cui non viene data risposta. Resta infatti ancora relativamente indeciso il piano su cui si muove la nozione di "sistema" quando questo viene inteso nel modo indicato. Per questo Schlick può in seguito riproporre il proprio quesito iniziale. E questa volta Wittgenstein, ribadendo il proprio punto di vista, osserva: "Nel Tractatus ho detto una volta: la logica è prima del come, non prima del che cosa. La logica dipende dal fatto che qualcosa esista (nel senso di: qualcosa è ‘disponibile’), che vi sono fatti. Essa è indipendente dal modo in cui sono costituiti i fatti, dal loro essere determinato. Che vi siano fatti non può essere descritto da alcuna proposizione. Se volete si potrebbe altrettanto bene dire: la logica è empirica se chiamate questo empiria"[35].

Naturalmente non sarà opportuno intendere questo con empiria[36], ma 1’intenzione della risposta è tuttavia abbastanza chiara. La nozione di sistema non è in realtà altro, come si sarà notato, che uno sviluppo della metafora dello "spazio" così come si presentava nel Tractatus: "La macchia nel campo visivo non deve certo essere necessariamente rossa, ma deve avere un colore: essa ha per così dire lo spazio cromatico intorno a sé. II suono deve avere un’altezza, 1’oggetto del tatto una durezza, ecc." [37]. E se si considera che può sorgere immediatamente la domanda: da dove attingo queste conoscenze e in che cosa è fondata la loro certezza, si comprende che Wittgenstein, di fronte alle domande di Schlick, finisca con il richiamare l’attenzione, sia pure abbastanza tortuosamente, sul fatto che vi è almeno un senso in base al quale è possibile definire "empirica " la logica.

Accenniamo infine ad una conclusione ulteriore che Wittgenstein trae dalle considerazioni precedenti.

Nel Tractatus la formulazione delle regole d’uso delle "costanti logiche" era strettamente connessa con l’assunzione dell’indipendenza delle proposizioni elementari. La loro "grammatica" viene istituita prescindendo dalla struttura interna delle proposizioni connesse. Ma se si considerano le "costanti logiche" in rapporto alla struttura delle proposizioni su cui esse operano, si otterranno nuove regole sintattiche - ed un esempio particolarmente chiaro è offerto appunto dal "prodotto logico" di due proposizioni elementari che appartengono al sistema: "Io avevo disposto delle regole per l’uso sintattico delle costanti logiche, ad es. ‘p e q’, e non avevo pensato al fatto che queste regole potrebbero avere a che fare con la struttura interna delle proposizioni. Nella mia concezione era falsa la mia convinzione che si potesse istituire la sintassi delle costanti logiche senza badare alla struttura interna della proposizione. Così non stanno le cose. Io non posso, ad esempio, dire: in un unico e medesimo punto vi è al tempo stesso il rosso e il blu. Qui il prodotto logico è ineseguibile. Le regole delle costanti logiche formano invece solo una parte di una sintassi più ampia di cui allora non sapevo ancora nulla"[38].

La stessa idea viene ribadita nelle Philosophische Bemerkungen: "Le regole grammaticali su ‘e’, ‘non’, ‘o’, ecc. non sono in effetti esaurite da ciò che ho detto nella Dissertazione, ma vi sono regole delle funzioni di verità che trattano anche della parte elementare della proposizione"[39].

"Le regole su ‘e’, ‘o’, ‘non’, ecc. che ho presentato mediante la notazione V-F sono una parte della grammatica di queste parole, ma non sono l’intera grammatica"[40].

La discussione si conclude così:

Schlick: "Non si ha forse la sensazione che le costanti logiche (le funzioni di verità) siano qualche cosa di più essenziale delle regole particolari della sintassi, che ad esempio la possibilità di formare un prodotto logico ‘p e q’ sia più generale, in certo modo più comprensiva, delle regole della sintassi secondo cui rosso e blu non possono essere nello stesso luogo? La prima regola non contiene nulla che riguardi il luogo e il colore".

Wittgenstein: "Non credo che sussista qui una differenza. Le regole per il prodotto logico, ecc., non debbono essere separate dalle altre regole della sintassi. Entrambe appartengono al metodo della raffigurazione del mondo"[41].

5.

Alcune integrazioni a scopo di chiarimento possono essere cercate nel saggio Some remarks on logical form (1929) il cui contenuto corrisponde allo stesso problema che abbiamo or ora discusso. Il fatto che questo tema sia stato prescelto da Wittgenstein per una comunicazione pubblica dimostra che egli annetteva ad esso una certa importanza e ciò indipendentemente dal fatto che la soluzione proposta potesse essere giudicata da Wittgenstein stesso insoddisfacente[42].

Vediamo anzitutto l’inizio del saggio. "Ogni proposizione - scrive Wittgenstein - ha un contenuto ed una forma. Noi otteniamo l’immagine della pura forma se facciamo astrazione dal significato delle singole parole, o dei simboli (nella misura in cui essi hanno significati indipendenti).Vale a dire se noi sostituiamo variabili al posto delle costanti della proposizione. Le regole della sintassi che sono applicate alle costanti debbono perciò essere applicate alle variabili. Con sintassi in questo senso generale della parola io intendo le regole che ci dicono in quali connessioni unicamente una parola ha senso, escludendo così le strutture nonsense (nonsensical)"[43]. Già il modo in cui la nozione di sintassi viene qui definita indica la direzione in cui Wittgenstein intende procedere: con "strutture nonsense", in questa accezione generale, sembra infatti si debbano intendere non solo quegli esempi di proposizioni che valevano, nella terminologia di Husserl, come contraddizioni formali, ma anche come contraddizioni materiali. Dietro la diversità della terminologia vi è in realtà un diverso modo di intendere la nozione di forma proposizionale che si presenta con chiarezza nel saggio in questione, come il vero punto cruciale del discorso.

Ciò che è la forma di una proposizione elementare - sostiene Wittgenstein - non può essere previsto, non può essere dato a priori, ma deve essere tratto dall’indagine dei fatti dei fenomeni reali che essa presenta[44]. Così, l’identità di forma che due proposizioni predicative presentano nel linguaggio ordinario può essere del tutto apparente: quale sia la forma della proposizione elementare lo dobbiamo apprendere da un’analisi dello stato di cose che essa rappresenta, formulando con precisione le regole del "metodo di proiezione" attraverso cui essa può assolvere questa funzione rappresentativa. Una proposizione espressa nel linguaggio ordinario dovrà quindi essere riformulata, una volta chiarita la struttura dello stato di cose, in un linguaggio adeguato a tale struttura - un linguaggio cioè che possegga, come Wittgenstein si esprime, la stessa "molteplicità logica". Come in precedenza Wittgenstein aveva ricordato la propria metafora del "metro apposto alla realtà", qui egli ricorda un’altra metafora di cui si era servito per illustrare lo stesso rapporto: la proposizione "si spinge sino a toccare la realtà" [45]; e spiega che con ciò egli intendeva dire che "le forme delle entità sono contenute nella forma della proposizione che verte intorno ad esse"[46]. Dire che una proposizione elementare ha una forma predicativa o relazionale è esprimersi in modo del tutto vago. Nel linguaggio ordinario non intervengono determinazioni relative al metodo di proiezione e pertanto dalle proposizioni formulate in tale linguaggio si può trarre solo una caratterizzazione vaga degli stati di cose corrispondenti: così come, se so che le figure quadrate e circolari proiettate su un piano sono rispettivamente proiezioni di figure rettangolari e ellittiche, ignorando tuttavia la regola secondo la quale è stata effettuata la proiezione, non posso dalle prime inferire la forma effettiva e le dimensioni delle seconde[47].

L’esigenza che qui si fa valere è anzitutto quella della determinatezza del senso della proposizione: ma si può senz’altro dubitare che questo problema faccia tutt’uno con quello dell’interpretazione della nozione di forma proposizionale, che verrebbe intesa, in rapporto alle proposizioni elementari in modo interamente diverso rispetto alla sua applicazione alle proposizioni non elementari. Così Wittgenstein osserva che espressioni come "Questo foglio di carta è forata", "II tempo è bello" e "Io sono pigro " non hanno assolutamente nulla a che vedere le une con le altre e possono avere forme interamente diverse. Soltanto nella misura in cui ho compiuto un’analisi effettiva degli stati di cose corrispondenti posso cogliere la loro reale forma logica e determinare i criteri adeguati alla loro rappresentazione linguistica. Dal fatto che le proposizioni elementari sono nuclei di ogni proposizione - dunque anche il loro materiale - Wittgenstein è portato a ritenere che la loro "forma" sarà da interpretare vincolandola in modo diretto ai contenuti espressi. Poiché nel linguaggio ordinario questi contenuti sono formulati in modo vago, non solo non possiamo cogliere dalla proposizione stessa la sua forma reale, ma nemmeno essere certi che una proposizione che appare come elementare di fatto lo sia.

E qui veniamo al nostro argomento più determinato. Nel Tractatus, una proposizione che formula la determinazione del grado di una qualità (o semplicemente di una qualità) era stata, intesa come una proposizione analizzabile e in particolare riducibile alla congiunzione di più proposizioni elementari. Su questa base era stato possibile assumere che proposizioni incompatibili nel senso indicato fossero interpretabili in termini di semplice contraddizione. Tale ammissione resta peraltro null’altro che un’ipotesi, e da questo punto di vista è caratteristico il modo in cui il problema viene presentato nel Tractatus: " E’ chiaro che il prodotto logico di due proposizioni elementari non può essere né una tautologia né una contraddizione. L’enunciato che un punto del campo visivo ha nel medesimo tempo due diversi colori è una contraddizione"[48]. Si deve pensare allora tale enunciato non possa essere considerato come il prodotto logico di due proposizioni elementari. Una proposizione che enuncia, ad esempio, che una certa cosa ha un determinato colore andrebbe considerata come una proposizione non analizzata, cosicché si può assumere - e una tale assunzione sarebbe giustificata in una considerazione logica - che il carattere "contraddittorio" del prodotto logico di proposizioni incompatibili risulti chiaro qualora esse siano interamente analizzate. In questo modo solo in apparenza un’inferenza del tipo indicato rappresenterebbe un esempio che si sottrae al modello della "tautologia".

Questa opinione viene ora modificata. Le proposizioni incompatibili sono da considerare come non ulteriormente analizzabili, qualunque sia la loro traduzione in un simbolismo adeguato. Sarà allora necessario distinguere tra contraddizione ed esclusione. Due proposizioni elementari non possono contraddirsi, ma possono escludersi. Questa esclusione, come già sappiamo, dovrà essere rappresentata nel simbolismo: a questo fine, le regole della congiunzione non sono adeguate nella misura in cui ammettono la combinazione dei valori di verità che conferisce ad una coppia di proposizioni che si escludono il valore ‘vero’, attribuendo così ad essa "una maggiore molteplicità logica di quella delle possibilità reali"[49].

Fissiamo alcune osservazioni ed alcuni dubbi su quanto abbiamo esposto. È interessante notare come la discussione che abbiamo riferita non metta in ogni caso in questione la possibilità di formulare enunciati intorno ad oggettualità come il colore, il suono, la superficie, ecc. che posseggano il carattere di conoscenze certe al di fuori di un’elaborazione teoretica in senso sistematico. Questa possibilità è naturalmente un tema esplicito in Husserl, ma viene assunta come tacito presupposto anche da Schlick. Ciò che si discute infatti è lo statuto logico di queste conoscenze, e non già che esse siano o meno possibili. In altri termini, non viene messa in discussione la possibilità di istituire delle verità effettive, ad esempio, intorno al colore o al suono intesi unicamente a titolo di qualità percettive, e quindi indipendentemente da eventuali spiegazioni che richiedano il ricorso ad un sistema teorico.

In Wittgenstein questo presupposto è più consapevole nelle sue implicazioni. Nelle Philosophische Bemerkungen egli arriva ad un’ammissione molto nitida di una dimensione fenomenologica di ricerca. "La fisica - scrive qui Wittgenstein - si distingue dalla fenomenologia per il fatto che essa intende fissare delle leggi. La fenomenologia fissa soltanto delle possibilità. La fenomenologia non sarebbe allora altro che la grammatica della descrizione di quei fatti sui quali la fisica edifica le sue teorie. Spiegare è più che descrivere. Ma ogni spiegazione contiene una descrizione".

Ed ancora: "Ciò di cui ho bisogno è una teoria psicologica o meglio fenomenologica dei colori, non una teoria fisica e tanto meno una teoria fisiologica. - E certamente deve esserci una teoria dei colori puramente fenomenologica nella quale si parla soltanto di ciò che è realmente percepibile e nella quale non si presentano oggetti ipotetici, come onde, ecc." [50]. Naturalmente bisogna guardarsi dal ritenere che una simile ammissione comporti l’accettazione di tutto ciò che vale sotto il termine di "fenomenologia" all’interno della filosofia di Husserl - bisogna, cioè guardarsi dalle troppo facili assimilazioni. Queste citazioni valgono a puro titolo indicativo della presenza di Wittgenstein di una problematica di tipo descrittivo il cui senso effettivo richiederebbe un discorso a parte.

Quanto al tema più particolare che abbiamo affrontato, le posizioni di Husserl e di Wittgenstein, benché rimandino ad una comune base problematica, a differenza del discorso di Schlick che trascorre dall’una all’altra posizione senza rendersi chiaramente conto di quali siano i termini entro cui esse sono definite, in realtà sono guidate da motivazioni diverse e conducono a sbocchi programmatici diversi. In Husserl tutti gli sviluppi eventuali restano vincolati alla distinzione, fin dall’inizio chiaramente posta, tra forma e senso della proposizione, o più correttamente, tra forma e materia della proposizione intesa come "unità di significato"[51]. Pertanto si pongono qui due compiti chiaramente differenziati in rapporto alla fissazione delle regole di buona formazione: e va da sé che per ottenere un enunciato formalmente e materialmente corretto si richiederà l’applicazione di regole relative ad entrambi i momenti di cui il significato proposizionale è essenzialmente costituito. (Peraltro, Husserl non è andato molto al di là di semplici accenni e indicazioni in rapporto a questa problematica).

Di fronte agli esempi di proposizioni incompatibili del tipo indicato, Wittgenstein, come abbiamo visto, assume due posizioni: in un primo tempo ipotizza la loro interpretazione in termini di semplice contraddizione. L’autocritica di questa posizione è accompagnata dalla costante preoccupazione a ribadire il carattere "formale" di questo rapporto - e fu probabilmente questo aspetto che indusse in errore Schlick che non sembra rendersi conto della portata delle tesi sostenute da Wittgenstein nelle Remarks e della differenza tra il punto di vista che qui viene fatto valere e quello del Tractatus.

La debolezza della prima posizione di Wittgenstein su questo problema fu acutamente colta da Ramsey nella sua recensione al Tractatus [52], ma il passo più interessante a questo proposito, che contiene in nuce una critica alla seconda posizione, lo si può trovare in un breve accenno che compare nel suo saggio Fatti e proposizioni, redatto nel 1927. Secondo Ramsey, non vi è dubbio che "un’inferenza tra ‘questo è rosso’ e ‘questo non è blu’ non sia formalmente garantita come il sillogismo" e l’affermazione di Wittgenstein secondo cui la congiunzione di proposizioni incompatibili di questa natura debba essere considerata contraddittoria, pur restando la contraddizione nascosta per difetto di analisi, resta una semplice ipotesi, priva di una base effettiva. D’altro lato, aggiunge Ramsey è lecito dubitare che il problema qui in gioco riguardi la logica formale; questa presuppone e deve presupporre come realmente possibili "tutte le possibilità di verità delle proposizioni atomiche", così come nel gioco degli scacchi si presuppone che i pezzi "non siano magnetizzati al punto da rendere impossibili alcune posizioni sulla scacchiera, cosicché noi dobbiamo prendere in considerazione solo le restrizioni imposte dalle regole del gioco e possiamo trascurare qualunque altra posizione che possa risultare dalla costituzione fisica dei pezzi"[53].

Come abbiamo visto, Wittgenstein rileva la critica di Ramsey al punto di vista del Tractatus, ma la sviluppa in una direzione nettamente diversa, nella direzione cioè, per seguire l’immagine di Ramsey, di una restrizione delle regole del gioco indotta dalla presenza di campi magnetici.

Ma si può per questo realmente obiettare che si incorrerebbe qui in una confusione tra livello formale e livello contenutistico? A me sembra piuttosto che Wittgenstein effettui un tentativo, in se stesso perfettamente legittimo, di formulare il problema dei rapporti tra l’uno e l’altro livello, un tentativo tuttavia, sul quale pesano oscurità e ambiguità riconducibili, come abbiamo visto, ad alcuni dei presupposti di fondo che caratterizzano il discorso sulla logica condotto nel Tractatus[54].

 

 


 

Note

[1] E. Husserl, Ricerche logiche trad. it. Milano 1968, vol. II, p. 45.

[2] È interessante notare che in Logica formale e trascendentale Husserl osserva che la definizione di proposizione analitica è rivolta nella stessa direzione della dottrina della tautologia "comparsa nella logistica più recente" (trad. it. Bari, 1966, p. 412). L’allusione qui è a Wittgenstein, a cui Oskar Becker si ricollega esplicitamente nel § 4 dell’Appendice Terza intitolato Osservazioni sulla tautologia nel senso della logistica, che viene inserito da Husserl direttamente nel testo e da cui togliamo la seguente duplice definizione (in termini della "logica della verità" e della "logica della conseguenza"): "Se per mezzo di operazioni logiche dai giudizi p1, p2... pn, si costituisce la forma complessa P(p1, p2... pn) che, in forza della sua struttura meramente grammaticale, presenta essa stessa un giudizio, allora, e allora soltanto, P è una tautologia o una contraddizione nel caso che P sia vero o, rispettivamente, falso, indipendentemente dal fatto che i giudizi p1, p2... pn siano veri o falsi. La questione dell’adeguazione dei significati giudicativi di p1, p2... pn ad un qualsiasi stato di cose ontologico-formale o anche materiale non ha qui dunque alcuna rilevanza. Possiamo tuttavia presentare in modo corrispondente queste definizioni anche nella sfera meramente analitica, dunque strettamente senza alcun ricorso ad un concetto di verità o di falsità: ‘P è una tautologia o una contraddizione’ significa ‘P(p1, p2... pn) è compatibile o incompatibile con p1 come con non-p1, con p2 come con non-p2... con pn come con non- pn’. (Ciò significa che P è, nel caso che sia una tautologia o una contraddizione, corrispondentemente compatibile o incompatibile con ogni prodotto logico derivante da p1, p2... pn quando sostituiamo un qualsivoglia pi con la sua negazione)" (pp. 413-414). Nella edizione tedesca, Halle 1929, il passo si trova a p. 296-297. Occorre tuttavia notare che questo richiamo a Wittgenstein (in nota: "Questa caratterizzazione deriva da L. Wittgenstein") è reso possibile dalla definizione già presente nelle Ricerche logiche, definizione che rappresenta perciò presumibilmente la prima caratterizzazione moderna della nozione di analiticità in termini di validità puramente sintattica.

[3] Ricerche logiche, op. cit., vol. II, p. 46.

[4] Su questo punto è sufficiente prendere in esame l’appendice seconda di Esperienza e giudizio (L’esperienza dell’asserzione probabilistica. Critica della concezione di Hume). Viene qui ripreso il tema humeano della connessione causale e la critica tocca unicamente la sua giustificazione psicologistica mediante il "sentimento di necessità". Secondo Husserl, sarebbe stato invece necessario, a partire da quella critica, elaborare principi della probabilità e giungere quindi ad una giustificazione probabilistica dei giudizi causali. (Si noti che nelle Ricerche logiche, vol. II, p. 42, Husserl contrappone alle leggi analitiche sia le leggi sintetiche a priori nel senso or ora determinato, sia "leggi come quella di causalità", ma non intende affatto porre le prime e le seconde sullo stesso piano).

[5] L’articolo Gibt es ein materiales Apriori? venne pubblicato per la prima volta in "Wissenschaftlicher Jahresbericht der Philosophischen Gesellschaft an der Universität zu Wien fur das Vereinsjahr 1930-31" ed è stato riedito in M Schlick, Gesammelte Aufsätze (1926-1936), Vienna 1938, pp. 19-30. Le citazioni si riferiscono a quest’ultima edizione.

[6] M. Schlick, op. cit., p. 13.

[7] ivi, p. 22.

[8] ivi p. 26.

[9] ivi.

[10] ivi, p. 28.

[11] ivi, p. 29.

[12] ivi.

[13] ivi.

[14] ivi, p. 29. Schlick cita sia il Tractatus che le Remarks on logical form.

[15] Oxford, 1967. I colloqui che ci interessano più direttamente sono datati 25 dicembre 1929, 30 dicembre 1929 e 5 gennaio 1930.

[16] F. Waismann, op. cit., p. 67.

[17] Il passo, intitolato Anti-Husserl, è il seguente: "Se io dico ‘Non ho mal di stomaco’, ciò presuppone già la possibilità di uno stato di mal di stomaco. Il mio stato attuale e lo stato del mal di stomaco giacciono per così dire nello stesso spazio logico. (Così se io dico: io non ho denaro. Questo enunciato presuppone già la possibilità che io abbia denaro. Esso esibisce il punto zero dello spazio del denaro). La proposizione negativa presuppone la proposizione positiva e inversamente.

Prendiamo ora l’enunciato: ‘Un oggetto non è al tempo stesso rosso e verde’. Voglio forse con ciò dire soltanto che finora non ho visto un simile oggetto? Manifestamente no. Io intendo: ‘Io non posso vedere un simile oggetto’, ‘Rosso e verde non possono essere nello stesso luogo’. Ora chiederei: che cosa significa qui la parola ‘posso’? La parola ‘posso’ è chiaramente un concetto grammaticale (logico), non fattuale (sachlich).

Poniamo che l’enunciato: ‘Un oggetto non può essere rosso e verde’ sia un giudizio sintetico e che le parole ‘non posso’ significhino un’impossibilità logica. Ora poiché la proposizione è negazione della sua negazione, si deve anche dare la proposizione ‘un oggetto può essere rosso e verde’. Questa proposizione sarebbe altrettanto sintetica. Come proposizione sintetica essa ha senso, e significa questo: la situazione da essa descritta può sussistere. Se dunque ‘non posso’ significa impossibilità logica, allora perveniamo alla conseguenza che l’impossibilità è tuttavia possibile.

A questo punto a Husserl rimase solo la scappatoia di spiegare che vi sarebbe ancora una terza possibilità. A questo io replicherei: certo, si possono inventare le parole; ma in esse io non posso pensare nulla" (pp. 67-68).

[18] Il saggio Some remarks on logical form, Aristotelian Society Supplementary, vol. IX, London 1929, pp. 162-171 è stato ristampato in Essays on Wittgenstein’s Tractatus, a cura di I. M. Copi e R. W. Board, London 1966, pp. 31-37. Le citazioni si riferiscono a questa ristampa. - Delle Philosophische Bemerkungen, Frankfurt a. M. 1964, ci interessa in particolare la sez. VIII, pp. 105-1l4.

[19] Tractatus Logico-philosophicus, trad. it. a cura di A. G. Conte, Torino 1964, Cfr. le proposizioni: 2.062 ("Dal sussistere o non sussistere di uno stato di cose non può concludersi al sussistere o non sussistere di altri"); 5.134 ("Da una proposizione elementare non se ne può inferire un’altra"), 5.135 ("In nessun modo può concludersi dal sussistere di qualsiasi situazione al sussistere di una situazione affatto diversa da essa"). Ed inoltre: 4.211 ("Un segno della proposizione elementare è che nessuna proposizione può essere in contraddizione con essa")

[20] F. Waismann, op. cit., pp. 63-64. II riferimento è alle seguenti proposizioni del Tractatus: 2.1511 ("L’immagine è così legata con la realtà; giunge ad essa"); 2.1512 ("Essa è come un metro apposto alla realtà"); 2.15121 ("Solo i punti estremi delle righe di graduazione toccano l’oggetto da misurare")

[21] Philosophische Bemerkungen, op. cit., p. 110.

[22] F. Waismann, op. cit., p. 64.

[23] Tractatus, prop. 3.3

[24] Philosophische Bemerkungen, op. cit., p. 107.

[25] ivi.

[26] ivi.

[27] ivi.

[28] ivi.

[29] F. Waismann, op. cit., p. 65.

[30] ivi, p. 66. A p. 88 si pone halluzinieren come sinonimo di anschaulich vorstellen (rappresentare intuitivamente).

[31] ivi.

[32] ivi, in nota.

[33] ivi, p. 88.

[34] Cfr. ivi, p. 89, nota.

[35] ivi, p. 77. Cfr. anche p. 65: alla domanda di Schlick: "Quale è il rapporto tra la conoscenza empirica e la sintassi?", Wittgenstein "replica che vi è un’esperienza del che cosa e un’esperienza del come".

[36] Cfr. Tractatus, prop. 5.552 ("’L’esperienza’ di cui abbiamo bisogno per comprendere la logica non è quella secondo cui qualcosa sta in questo o in quel modo, ma secondo cui qualcosa è: ma questa appunto non è esperienza").

[37] Tractatus, prop. 2.0131. Lo stesso problema si presenta in questa osservazione registrata da Waismann: "Se io dico ‘il tavolo è grigio’ ha un senso riferire la proprietà grigio ad un portatore, il tavolo. Se io posso pensare il tavolo grigio, allora posso pensarlo con ogni altro colore. Che cosa vuol dire: io posso rappresentarmi lo stesso circolo rosso o verde? Che cosa è rimasto identico? La forma circolare. Ma non posso rappresentarmi questa forma da sola" (op. cit., p. 108).

[38] F. Waismann, op. cit., p. 74.

[39] Philosophische Bemerkungen, op. cit., p. 109.

[40] ivi, p. 111.

[41] F. Waismann, op. cit., pp. 80-81. Si noti che, secondo Wittgenstein, nel caso della congiunzione tra proposizioni interdipendenti, la regola corrispondente può essere formulata in modo interamente generale, ad esempio dicendo "una coordinata della realtà può essere determinata solo una volta" oppure: "due determinazioni della stessa specie (coordinata) sono impossibili" (Philosophische Bemerkungen, op. cit., p. 111 e p. 112. Le stesse formulazioni si trovano in F. Waismann, op. cit., p. 76).

[42] Consentendo alla pubblicazione del saggio, G. E. M. Anscombe osserva, in nota, che Wittgenstein in seguito lo sconfessò, citando diverse testimonianze. Sembra tuttavia eccessivo ritenere che per questo non si possa annettere nessun valore a questo saggio come informazione intorno alle idee di Wittgenstein in questo periodo di tempo.

[43] Some remarks on logical form, op. cit., p. 31.

[44] "Si ha spesso la tentazione di porre l’interrogativo da un punto di vista aprioristico: quali possono essere, dopo tutto, le forme delle proposizioni, e rispondere, ad esempio, le proposizioni a soggetto- predicato e le proposizioni relazionali a due o più termini, forse anche le proposizioni che pongono in relazione reciproca predicati e relazioni, e così via. Ma questo, io credo, è soltanto un giocare con le parole. Una forma atomica non può essere prevista. E sarebbe sorprendente se i fenomeni reali non avessero nulla di più da insegnarci sulla loro struttura. A tali congetture intorno alla struttura delle proposizioni atomiche noi siamo guidate dal nostro linguaggio ordinario, che usa la forma soggetto-predicato e la forma relazionale" (ivi, p. 32).

[45] Tractatus, prop. 2.1511.

[46] Some remarks on logical form, op. cit., p. 36.

[47] ivi, p. 33: "Immaginiamo due piani paralleli, I e II. Sul piano I sono tracciate delle figure, ad es., ellissi e rettangoli di differente grandezza e forma, ed è nostro compito produrre immagini di queste figure sul piano II. Possiamo immaginare due modi, tra gli altri, di fare questo. Possiamo anzitutto formulare una legge di proiezione - ad es., che la proiezione sia ortogonale o di qualche altro tipo - e quindi procedere a proiettare tutte le figure dal piano I al piano II secondo questa legge. Oppure possiamo procedere così: noi assumiamo la regola che ogni ellisse sul piano I debba presentarsi come un circolo e ogni rettangolo come un quadrato sul piano II. Questo modo di rappresentazione può essere per noi opportuno se, per qualche ragione, preferiamo tracciare solo circoli e quadrati sul piano II. Naturalmente, da queste immagini non possono essere immediatamente inferite le forme esatte delle figure originali sul piano I. Noi possiamo soltanto dedurre da esse che l’originale era una ellisse o un rettangolo. Per arrivare a cogliere, in ogni caso singolo, la forma determinata dell’originale, dovremmo conoscere il metodo particolare con cui, ad es., una ellisse particolare viene proiettato nel circolo di fronte a me. Il caso del linguaggio ordinario è abbastanza analogo. Se il fatto della realtà solo le ellissi e i rettangoli sul piano I, le forme a soggetto-predicato e le forme relazionali corrispondono ai cerchi ed ai quadrati sul piano II".

[48] Tractatus, prop. 6.3751. Cfr. anche Quaderni 1914-1916, annotazione in data 16 agosto 1916 (trad. it. p. 183).

[49] Some remarks on logical form, op. cit., p. 37.

[50] Rispettivamente a p. 51 e p. 273. Inoltre si veda p. 88 dove il termine di fenomenologia viene usato come equivalente a "teoria della conoscenza". Ed ancora Waismann, op. cit., p. 63 e p. 65.

[51] Ricordiamo che la riformulazione del problema in Husserl nei termini di "forma" e "senso" è stata suggerita dall’esigenza di delimitare con chiarezza il modo in cui si sarebbe sviluppata in seguito la discussione.

[52] F. P. Ramsey, I fondamenti della matematica e altri scritti di logica, trad. it., Milano 1964, p. 298.

[53] ivi, p. 169.

[54] Un’ampia e accurata rassegna critica delle posizioni relative al tema che abbiamo discusso si può trovare nel volume di H. Delius, Untersuchungen zur Problematik der sogennanten synthetischen Sätze a priori, Göttingen 1963

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Le teorie dello spazio di Husserl: tra Raumbuch e Dingvorlesung