Seconda edizione con aggiornamenti bibliografici e integrazioni
a cura di Vincenzo Costa

 

Il volume I problemi della fenomenologia è stato pubblicato a stampa dall'Editore Mondadori (Milano) per la Biblioteca Moderna Mondadori (BMM) nel 1966. La presente seconda edizione è stata curata da Vincenzo Costa, che vi ha aggiunto i necessari aggiornamenti bibliografici e note integrative. Gli aggiornamenti sono disposti tra i segni e le integrazioni sono contrassegnate con la sigla VC. Data di immissione in questo archivio: Aprile 2000.

Desidero ringraziare vivamente Vincenzo Costa per la cura
che ha dedicato a questo mio libro. Il suo intervento,
sia nell’aggiornamento bibliografico sia nell’arricchimento
della discussione, è stato preziosissimo e nello stesso tempo rappresenta per me una grande attestazione di amicizia

 

Su questo testo:

Guido Davide Neri: Congetture sull'intenzionalità

E. Namer, Scheda in  “Revue Philosophique De La France Et De L'Étranger” 

vol. 165, no. 4, 1975, p. 458

 

Giovanni Piana I problemi della fenomenologia (pp. 291 - KB 1236

 

 


 


Giovanni Piana

I problemi della fenomenologia


 


 

II edizione
con integrazioni e aggiornamenti bibliografici
a cura di
Vincenzo Costa



1966/2000


Indice

Introduzione

1. Esiste un movimento fenomenologico?
2. La formazione del pensiero husserliano
3. Dalle Ricerche logiche alle Idee per una fenomenologia pura
4. La svolta esistenzialistica
5. Il significato della Crisi
6. Il linguaggio della fenomenologia

I. Le argomentazioni scettiche

1. Una premessa
2. Il dubbio scettico
3. Assurdità e verità dello scetticismo
4. Il dubbio cartesiano

II. La riduzione fenomenologica e l’idea di intenziona-lità

1. L’esperienza fenomenologica
2. Il il significato della riduzione
3. Il rapporto intenzionale
4. Il concetto fenomenologico della coscienza
5. Descrizione e costituzione fenomenologica

III. Il tema della soggettività

1. Impostazione del problema del soggetto
2. Il soggetto come centro dei suoi atti
3. Il soggetto come facoltà di riflessione e il presentarsi del problema del tempo

IV. L’esperienza del tempo

1. L’idea naturale del tempo
2. La teoria di Brentano
3. L’analisi dell’oggetto temporale
4. Soggetto, riflessione, tempo

V. La concretezza del soggetto

1. Il soggetto corporeo
2. L’esperienza soggettiva del corpo
3. Corporeità e percezione

VI. Il problema di una fenomenologia della percezione

1. L’oggetto «culturale» e la cosa «materiale»
2. La costituzione della cosa
3. Il tema della passività in Esperienza e giudizio
4. Il carattere temporale della percezione
5. Percezione e linguaggio

VII. Il problema di una fenomenologia del bisogno

1. Il privilegio dell’esperienza percettiva e la sua problematicità
2. Il soggetto come corpo vivente
3. Idea di una fenomenologia del bisogno
4. Nota conclusiva

* Gli aggiornamenti bibliografici di Vincenzo Costa sono disposti tra i segni e le integrazioni sono contrassegnate dalla sigla VC tra parentesi rotonde.

 

 

 
 Introduzione
 



1. Esiste un movimento fenomenologico?
2. La formazione del pensiero husserliano
3. Dalle Ricerche logiche alle Idee per una fenomenologia pura
4. La svolta esistenzialistica
5. Il significato della Crisi
6. Il linguaggio della fenomenologia


1.


Se si considerano i principali punti di riferimento della discussione filosofica negli ultimi anni, non è difficile notare che la fenomenologia è uno dei centri intorno ai quali il dibattito è più vivo ed interessato. Ciò non è vero soltanto per la situazione italiana: l’interesse per la fenomenologia è diffuso ed è crescente un po’ dovunque in Europa, e non soltanto in Europa. La letteratura fenomenologica è ormai tanto vasta da essere di difficile dominio e l’ambito culturale entro il quale vengono dibattuti i problemi posti dalla fenomenologia va spesso oltre il terreno propriamente filosofico, coinvolgendo i campi di indagine più diversi.

Tuttavia, sembra che, nella stessa misura in cui si sviluppa questo interesse in una molteplicità di direzioni, divenga sempre più difficile cogliere ed individuare i nodi problematici reali che sono messi in questione, in modo da raggiungere qualche valido criterio di orientamento e di giudizio.

Questa circostanza è diventata oggi cruciale per il fatto che, in realtà, la ripresa degli studi husserliani di questi ultimi anni va considerata, più che una semplice ripresa, come una vera e propria riscoperta di Husserl in gran parte determinata dal fatto che, soltanto negli anni cinquanta – ed in particolare con l’inizio della pubblicazione delle opere complete di Husserl (Husserliana) avviata sotto la direzione di H. L. Van Breda si è creata la possibilità effettiva di conoscere alcune opere fondamentali di Husserl e nello stesso tempo di ottenere una migliore interpreta-zione delle opere già edite ed una loro più adeguata localizza-zione all’interno del pensiero husserliano. Tuttavia, le ragioni delle difficoltà che incontriamo non appena cerchiamo di intervenire nel dibattito attuale sulla fenomenologia sono da ricercare molto più indietro nel tempo. Quando nel 1950 veniva pubblicato il primo volume della Husserliana, le Meditazioni cartesiane, mai edite prima nell’originale tedesco, la fenomenologia aveva ormai mezzo secolo di storia. E si può dire che tutti i problemi e tutte le difficoltà di orientamento e di valutazione si trovino già all’interno di questa storia – all’interno di quel «movimento fenomenologico» che si è venuto delineando intorno al pensiero husserliano o nella confluenza di questo pensiero con istanze filosofiche di altra origine.

Del resto, se non ci si contenta di fare un’apologia della concordia discors, le prime difficoltà le incontriamo proprio nel riconoscimento di questo «movimento» e nell’accertamento del suo significato. Se guardiamo agli altri grandi indirizzi teorici e filosofici che caratterizzano in modo preminente i primi cin-quant’anni del nostro secolo, è abbastanza riconoscibile un qualche filo conduttore o quanto meno un’evoluzione progressiva che non sarà certo priva di una sua interna complessità e potrà essere anche valutata in modo diverso, ma che comunque rende possibile una considerazione relativamente unitaria. Naturalmente, anche qui non si può prescindere dall’assunzione di un certo punto di vista: ogni designazione di questo genere, come si sa, è estremamente problematica di per se stessa. Questa problematicità si trova decuplicata nel caso della fenomenologia. Se diamo una rapida scorsa all’unico volume che tenta di rintracciare un «movimento fenomenologico» e di farne la storia – l’opera di Herbert Spiegelberg The Phenomenological Movement [1] – ci rendiamo conto immediatamente che la molteplicità degli autori presentati in questo volume, la profonda eterogeneità delle loro filosofie è così grande che non è facile comprendere come essi possano trovarsi insieme in un unico libro e, se ciò che consente di riunirli in questo modo è la «fenomenologia», si intuisce che diventerà poi un vero problema stabilire che cosa essa sia. D’altra parte, H. Spiegelberg è del tutto consapevole di questa difficoltà e le sue settecentocinquanta pagine – peraltro, per molti aspetti, utilissime – vengono consapevolmente pre-sentate come un insieme di monografie separate, come una rac-colta di materiale utile per un’eventuale «storia» del «movimento fenomenologico».

È certo invece che il pensiero di Husserl ha avuto un’influenza vastissima su una parte considerevole del pensiero contemporaneo, e di ciò il volume di Spiegelberg è una testimonianza eloquente. Il problema del «movimento fenomenologico» si sposta allora in quello del modo in cui questa influenza si è esercitata, del senso che essa ha avuto di volta in volta per questo o quel pensatore, per questo o quell’indirizzo filosofico. Senza naturalmente voler dare risposte su questo punto, credo tuttavia che esaminare in quale contesto si formi il pensiero di Husserl e in quale direzione esso si sviluppi possa presentare utili indicazioni orientative per cogliere almeno alcune delle ragioni che hanno determinato la situazione così caratteristica della fenomenologia come «movimento» filosofico.

2.



Già alcuni dati semplicemente cronologici sono, a questo proposito, molto significativi. Edmund Husserl giunse alla filosofia dalla matematica. Furono le lezioni di Brentano che egli ascoltò a  Vienna negli anni 1884–1886 a convincerlo che, anche in filosofia, era possibile svolgere un lavoro serio e produttivo. A quel tempo egli aveva ormai compiuto i propri studi matematici a Lipsia, Berlino e Vienna. A Berlino aveva avuto come maestro uno dei grandi nomi della scienza matematica dell’ottocento, Karl Weierstrass, di cui fu anche assistente per un breve periodo, dopo la Doktorarbeit del 1882. Questa prima esperienza di matematico non fu mai dimenticata dal filosofo Husserl. «Ancora nel 1930, in occasione della festa per il suo settantesimo compleanno, Husserl si compiacque di citare Karl Weierstrass tra i suoi maestri. Allo stesso modo come Weierstrass aveva definitivamente eliminato ogni residuo di oscurità dai concetti dell’infinitamente piccolo, così egli, diceva, aveva cercato di fare nella filosofia. Il suo ideale era stato ed era di sostituire all’oscurità profonda delle grandi metafisiche tradizionali la chiarezza e l’evidenza di una filosofia come metodo integrale» [2].

 

Franz Brentano                                              

     Carl Stumpf

La preparazione matematica e l’incontro con Franz Brentano determinano il primo orientamento di Husserl verso ricerche concernenti i fondamenti della matematica. Nel 1887 presenta il suo scritto di abilitazione Sul concetto di numero  [3] che costituisce il primo nucleo della sua Filosofia dell’aritmetica ed abbandona Vienna per giungere all’Università di Halle con il titolo di Privatdozent. A Halle Husserl si incontra con Stumpf, allievo di Brentano e Lotze, che gli diventa amico e verso il quale Husserl manterrà sempre un atteggiamento di stima. L’influenza di Stumpf, di cui Husserl cita spesso le opere maggiori, come la Psicologia del suono (1883), non fu certo estranea alla formazione del primo concetto husserliano di fenomenologia, anche se in seguito – e soprattutto quando Husserl venne elaborando la tematica della riduzione – egli tenne a precisare le differenze tra la propria impostazione filosofica e quella di Stumpf [4]. Se inoltre teniamo presente che all’insegnamento di Stumpf si ricollega la nuova psicologia della forma otteniamo un’altra interessante indicazione dell’ambito culturale con il quale Husserl si trova direttamente a contatto in quegli anni. Nel 1890 usciva, oltre al secondo volume della Psicologia del suono, un saggio che gli psicologi gestaltisti riconosceranno come decisivo per l’elaborazione di questa nuova concezione psicologica. Si tratta dello scritto di Christian von Ehrenfels Sulle qualità formali. Von Ehrenfels faceva parte della scuola di Meinong, operante a Graz, e Meinong a sua volta era allievo di Franz Brentano. L’indirizzo di ricerca psicologica sviluppato da Benussi, per molti aspetti vicino alla psicologia della forma, si ricollega direttamente all’insegnamento di Meinong [5]. Il nome di Brentano dunque lo si ritrova in rapporto a tre grandi nomi degli studi scientifico-filosofici di fine ottocento: Stumpf, Husserl e Meinong.

Alexious Meinong

D’altra parte, è anche vero che non è facile stabilire fino a che punto quest’uomo geniale abbia esercitato sui suoi maggiori allievi un’influenza veramente decisiva e duratura. Vi è qualcuno che dubita –  credo con buone ragioni – che si possa vedere in Brentano il precursore della fenomenologia husserliana [6]. Del resto Brentano non riconobbe mai come uno sviluppo delle proprie idee le ricerche condotte sia da Husserl che da Meinong. In una lettera del marzo 1907 diretta ad Hugo Bergmann, Brentano riferisce ironicamente su una visita che Husserl gli aveva fatto in quel tempo: «Mi ha subissato di assicurazioni della sua gratitudine e della sua stima, dicendo che gli avrei fatto torto se avessi creduto alle malelingue. Ha detto anche che rassicura sempre la gente che in realtà io non sono da annoverare tra gli psicologisti – con la qual cosa si direbbe che egli pensi di togliermi di dosso un vergognoso sospetto» [7]. In un’altra lettera allo stesso Bergmann dell’ottobre 1908 egli trova le teorie di Husserl «astruse» ed osserva che «non in ogni punto gli è chiaro che cosa voglia propriamente Husserl» [8].

L’incontro con Brentano, con Stumpf e con tutta quella problematica che doveva condurre alle nuove concezioni della psicologia contemporanea non rappresenta una svolta in senso proprio negli interessi scientifici di Husserl. Egli ha sempre presente il dibattito, che in quegli anni assumeva un’importanza decisiva per gli sviluppi futuri, intorno ai problemi della logica formale e dei fondamenti della matematica. Lo stesso anno in cui viene pubblicato il saggio di von Ehrenfels, usciva il primo volume del-l’opera di Schröder Lezioni sull’algebra della logica che Husserl recensirà l’anno seguente [9]. Nel 1891, che è anche l’anno di pubblicazione della Filosofia dell’aritmetica, Husserl scrive un saggio sui problemi della logica intitolato Calcolo deduttivo e logica del contenuto  [10]. Molti sono poi i manoscritti che attestano nel decennio successivo un interesse vivacissimo per questo ambito di ricerca  [11].

Le posizioni assunte da Husserl in questo periodo sia ver-so i problemi della psicologia sia verso quelli dei fondamenti della matematica e della logica sono decisive per tutta la sua evoluzione futura. Da un lato l’assunzione della psicologia così come si andava elaborando negli ambienti intorno a Brentano lo dispone in un atteggiamento critico verso le tendenze psicologiche di chiara impostazione positivistica: dall’altro le prese di posizione rispetto al senso di una ricerca sui fondamenti della ma-tematica e la valutazione che egli dà della «algebrizzazione» della logica predelineano già il punto di vista generale che viene maturato soltanto più tardi e che per essere compiutamente svi-luppato richiedeva la delimitazione di una nuova disciplina filosofica, la «fenomenologia», ed infine una piena riformulazione del concetto stesso di filosofia e di ricerca filosofica. Ciò che qui ci interessa notare è che il pensiero husserliano si viene formando non soltanto nello stesso periodo in cui prendono forma i più importanti indirizzi teorici e filosofici del nostro secolo, ma anche un dibattito diretto con essi, in un continuo scambio e confronto di idee. Se si volesse approfondire questo quadro riprendendo le discussioni e le letture che Husserl compie in que-sto periodo e che contribuiscono in modo diverso alla sua formazione e in particolare all’elaborazione di quella metodologia che troverà una prima, estesa applicazione nelle Ricerche logiche, avremmo a che fare con una tematica estremamente fertile, che si trova all’origine dei principali indirizzi della filosofia contemporanea. Basterà qui ricordare ancora qualche nome: come quello di Frege, spesso citato e discusso nella Filosofia dell’aritmetica e che recensirà criticamente quest’opera nel 1894  [12]. Non meno importanti sono i nomi di Mach e Avenarius [13]. Nel libro di Avenarius Il concetto umano del mondo (1889) viene elaborato un concetto di esperienza pura nel quale si può forse scorgere la tematica sviluppata molto più tardi da Husserl dell’esperienza antepredicativa e del mondo della vita [14]. I Contributi per un’analisi delle sensazioni di Mach furono letti da Husserl l’anno stesso della loro pubblicazione (1886) ed è interessante notare che ad una inconsapevole influenza di questo libro Husserl fa risalire l’elabo-azione del concetto di momento figurale nella Filosofia dell’aritmetica che presenta molte analogie con il concetto di qualità formale di von Ehrenfels [15]. Le posizioni di Mach e Avenarius vengono ampiamente dibattute da Husserl nei Prolegomeni alle Ricerche logiche, una discussione che generò, oltre che una risposta di Mach nella seconda edizione della sua Meccanica, anche uno scambio epistolare fra i due [16]. Penetrare nel senso reale di queste discussioni ha indubbiamente una certa importanza per cogliere alcuni dei punti nodali del dibattito filosofico novecentesco nei suoi momenti più avanzati.

Ernst Mach

Del resto, proprio questo ricco humus di discussione in cui vengono formandosi le linee – del discorso husserliano è uno dei motivi che spiegano la molteplicità delle direzioni verso le quali può essere rivolta la ricerca fenomenologica e la sua caratteristi-ca apertura verso la problematica epistemologica e in generale verso i problemi della psicologia gestaltistica, della filosofia della scienza, della logica, dei fondamenti della matematica. Per cogliere questi aspetti è necessario non sottovalutare proprio quel periodo della formazione husserliana che viene talora detto «prefenomenologico» e che conduce dalla Filosofia dell’aritmetica alle Ricerche logiche. È in quegli anni che in certo senso tutto viene deciso, tutti i problemi sono portati alla luce. Le istanze che allora vengono poste riceveranno una diversa formulazione, assumeranno una diversa profondità di senso, ma lo sviluppo successivo sarebbe incomprensibile senza quel confronto, quel dibattito che conduce a un’opera casi impegnativa come le Ricerche logiche.

3.

Nell’ambito della cultura tedesca dei primi anni del secolo le Ri-cerche logiche rappresentano indubbiamente un momento fondamentale: quest’opera contribuì in maniera determinante a li-quidare l’eredità filosofica del passato, a spianare il terreno per un nuovo campo e un nuovo stile di ricerca. Naturalmente ciò che allora fu accolto immediatamente fu più la pars destruens di questo lavoro che quella costruttiva. Dalla critica di Husserl venivano colpiti i maggiori nomi della cultura accademica del tempo o di coloro che avevano esercitato in Germania una influenza che sembrava ormai definitivamente acquisita. Un filosofo come Wundt, come Sigwart o come Stuart Mill venivano direttamente coinvolti nella critica dello psicologismo che Husserl sviluppa fino in fondo e con grande dovizia di argomenti nei Prolegomeni. La reazione di una parte della giovane cultura tedesca di fronte a quest’opera può essere efficacemente esempli-ficata dal modo in cui si viene formando intorno a Husserl, pas-sato nel 1901 da Halle a Gottinga, un primo nucleo di studiosi. Nel momento in cui furono pubblicate le Ricerche logiche, all’università di Monaco esisteva già intorno a Theodor Lipps un attivo gruppo di ricerca psicologica che operava in modo orga-nizzato sotto il nome di Akademisch Psychologischer Verein. Ora, la critica di Husserl che coinvolgeva direttamente anche l’indirizzo di Lipps, gettò lo scompiglio all’interno del gruppo. Lipps fu costretto a difendersi, ma lo fece con scarso successo. L’episodio cruciale di questa crisi fu il viaggio che Johannes Daubert, uno dei più promettenti allievi di Lipps, compì da Monaco a Gottinga, a quanto pare, in bicicletta. Il colloquio avuto con Husserl in questa occasione fu decisivo per le sorti del gruppo di Monaco: «Fu probabilmente in seguito a questo colloquio che Husserl stesso nel luglio 1904 si recò a Monaco, rivolgendosi al circolo riunito. Da questo momento in poi, con crescente disappunto di Lipps, le Ricerche logiche diventarono il principale testo di riferimento del gruppo. Nel 1905 iniziò l’andirivieni di studiosi e di visitatori da Monaco a Gottinga e viceversa. Solo dopo il 1906, Scheler, proveniente da Jena dalla scuola di Rudolf Eucken, si unì al gruppo, non limitandosi a su-birne l’influenza, ma anche esercitando un’influenza sua propria, tanto più che questi furono per lui gli anni più formativi. Tra i primi membri si annoverano Adolf Reinach (che si stabilì poi definitivamente a Gottinga, dove divenne il centro del circolo che si costituì solo più tardi), Theodor Conrad, Moritz Geiger, Aloys Fischer e August Gallinger, insieme ad altri allievi di Lipps meno influenzati dalla fenomenologia, come Ernst von Aster e il positivista Hans Cornelius. Tra i membri più giovani che si ispiravano a Scheler, il più eminente era Dietrich von Hildebrand. Si può dire che tra i membri del circolo di Monaco fosse maggiormente vivo il senso della comunità: oltre alle riunioni ’psicologiche’, essi si incontravano spesso, regolarmente o anche occasionalmente, per compiere discussioni di gruppo. D’altra parte, il circolo di Monaco era caratterizzato dall’interesse primario verso la psicologia analitica e descrittiva e, in parte sotto l’influsso del clima artistico di Monaco, da un interesse verso i problemi del valore e dell’estetica più profondo di quello che fosse dato trovare nella più austera atmosfera matematica e scientifica di Gottinga» [17].

Sappiamo da H. Spiegelberg, al quale debbono essere ben note le vicende di quegli anni dal momento che egli compi i suoi studi con Pfänder a Monaco, che solo dopo il 1907 si può parla-re di un vero e proprio circolo di Gottinga. Il primo impulso venne da Monaco. Solo più tardi intorno a Husserl si forma un gruppo di studiosi provenienti da varie parti, come Koyré, Hering, Ingarden, Fritz Kaufmann e Edith Stein, che appunto intorno al 1907 cominciano a riunirsi regolarmente, spesso in assenza di Husserl e in ultima analisi con la sua disapprovazione. Lo spirito di indipendenza che il circolo di Monaco aveva dimostrato verso Lipps e più tardi verso Husserl stesso, è anche una delle caratteristiche del circolo di Gottinga, e d’altra parte, come abbiamo visto, quanto più il numero dei fenomenologi di Monaco e di Gottinga si allarga, tanto più viene meno il carattere della «scuola». Accanto e insieme all’orientamento husserliano, ritroviamo, all’interno dei circoli di Monaco e di Gottinga, impostazioni sostanzialmente diverse, influenze eterogenee (come quella di Max Scheler), tendenze di sviluppo dell’idea della fenomenologia tracciata nelle Ricerche logiche che implicavano una presa di posizione critica verso lo sviluppo propriamente husserliano.

È su questo terreno comunque che prese forma l’idea di un «movimento fenomenologico» e di una rivista che in qualche modo ne fosse l’espressione. Nasce così nel 1913 lo «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung» (Annuario di filosofia e di ricerca fenomenologica) [18]. È interessante notare che proprio nel primo volume dello «Jahrbuch» veniva pubblicata l’opera di Husserl Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (Ideen I) che era, dopo la Filosofia dell’aritmetica e le Ricerche logiche, la terza opera di va-sto impegno pubblicata da Husserl. Proprio su questo volume si accese un vivace dibattito e anche se allora tutti i dissensi non vennero alla luce nella loro realtà di fondo, Ideen I rappresentò indubbiamente un banco di prova, che diede un risultato negativo, dell’effettiva convergenza sull’impostazione husserliana degli studiosi di Monaco e di Gottinga. Se nel fondare lo «Jahrbuch» si era pensato in qualche modo ad un «movimento», per ciò che concerne la fenomenologia così come la intendeva Husserl, questo movimento si può dire finisca nello stesso momento in cui si è iniziato. Oggi, quando abbiamo la possibilità di co-gliere retrospettivamente l’intero sviluppo del pensiero husserliano e di mettere a confronto i vari aspetti della sua ricerca, non solo edita ma anche inedita, possiamo affermare che, per ciò che riguarda Ideen I, non è possibile parlare di alcun mutamento di indirizzo della ricerca husserliana. Del resto, anche per coloro che si trovavano a più diretto contatto con Husserl, Ideen I fu soltanto l’espressione più matura di uno sviluppo iniziato molto tempo prima, fin dal 1907. E sino a quel tempo deve essere fatto risalire il dissenso interno della «scuola husserliana». La maggior parte degli studiosi di Gottinga disapprovavano quell’approfondimento dell’idea dell’analisi intenzionale nel corso della quale Husserl doveva imbattersi nel problema del soggetto ed incontrarsi così con la tematica trascendentalistica. Per noi questo fu uno sviluppo coerente, necessario e ricco di significato. Ma il destino del movimento fenomenologico, iniziato tra Monaco e Gottinga in seguito alla pubblicazione delle Ricerche logiche, non si può comprendere se non si tiene conto di questo giudizio nettamente critico nei confronti di Husserl che ebbe modo di esprimersi soprattutto in occasione della pubblicazione di Ideen I sullo «Jahrbuch» [19]. Ciò è vero anche per la storia dell’influenza di Husserl. Anche da questo punto di vista l’anno 1913 è un anno cruciale. Parve allora che il pensiero di Husserl raggiungesse la sua massima influenza e notorietà. Più di vent’anni più tardi, Jean-Paul Sartre non esiterà a definire la pubblicazione di Ideen I sullo «Jahrbuch» «il fatto più saliente nella filosofia dell’anteguerra» [20]. Ma in realtà proprio in quell’anno comincia il lungo periodo al termine del quale Husserl si ritrova come una voce estranea ed isolata all’interno di quel movimento filosofico di cui egli sembrava all’inizio essere il centro.

4.

Quando Husserl, nel 1916, passa da Gottinga a Friburgo, viene seguito soltanto da Edith Stein e la situazione che egli trova di fronte a sé è completamente diversa. Già in quell’anno vi fu probabilmente il primo incontro di Husserl con Martin Heidegger, che aveva compiuto i suoi studi a Friburgo con Rickert e che era già attivo presso l’università come Privatdozent. Ma un rapporto vero e proprio tra Husserl e Heidegger si stabilirà  soltanto nel 1919, con la fine della guerra ed il congedo di Heidegger dal servizio militare [21].

Edmund Husserl


I tempi erano allora molto mutati – anche per il clima delle università tedesche – rispetto ai primi quindici anni del secolo. Ed il nome di Martin Heidegger dà a questo mutamento un’impronta che sarà duratura. L’opera Essere e tempo fu pub-blicata sullo «Jahrbuch» solo nel 1927, ma la lira heideggeriana aveva cominciato ad affascinare molto tempo prima. Nulla è più caratteristico a questo proposito della testimonianza di Karl Löwith, che si riferisce proprio all’anno 1919: «Quando nella primavera del 1919, per consiglio dei miei insegnanti M. Geiger e A. Pfänder, passai da Monaco a Friburgo per compiere la mia formazione con Husserl, feci conoscenza del suo assistente M. Heidegger. Se ora, dopo quattro decenni, mi chiedo che cosa ho imparato da Husserl durante quei tre anni friburghesi, la risposta lo soddisferebbe ancora meno di quanto soddisfi me stesso. Ricordo che egli già allora mi chiese un giorno per quali ragioni avessi fatto nei primi semestri tanti ‘progressi’, mentre ero giunto ora ad un punto morto. Il motivo di ciò – un motivo che non poteva che sfuggire alla semplicità della sua indole – era che io, come molti miei coetanei, mi sentivo attirato molto più fortemente dal giovane Heidegger. La teoria di Husserl della ‘riduzione’ alla coscienza pura aveva per noi perduto d’interesse nella stessa misura in cui sempre più ci affascinavano i problemi con i quali ci stimolava il più giovane ed attuale Heidegger» [22]. Alla luce di questa testimonianza, assumono ancora più risalto le parole che Husserl scrive allo stesso Löwith inviandogli la prima parte della Crisi nel febbraio del 1937: «Forse Lei comprenderà che Scheler, Heidegger e così tutti gli ‘allievi’ di una volta, non hanno compreso il senso vero e profondo della fenomenologia – il suo senso trascendentale che è l’unico possibile – e tutto ciò che esso implica. Certo, non è facile impossessarsi di questo significato, ma io credo che valga la pena di tentare. Forse Lei riuscirà a comprendere che io, non per ostinazione, ma seguendo un’intima necessità, ho percorso da solo il mio cammino per così tanti anni – un cammino che io so-stengo in una nuova dimensione di domande e di risposte – e per quale motivo abbia ritenuto che l’oscuro misticismo della filosofia esistenziale alla moda e del relativismo storicistico, con la sua pretesa superiorità, sono il fiacco fallimento di un’umanità divenuta priva di forze, che si è sottratta all’enorme compito che il crollo dell’ ‘età moderna’ nella sua totalità poneva ad essa e che ancora pone: a noi tutti!» [23].

H. Wimmer, Maschera di Heidegger

In realtà, i rapporti tra Husserl e Heidegger si mantennero buoni per molti anni, anche quando Heidegger nel 1923 ebbe l’ordinariato e passò all’Università di Marburgo. Vi fu certamente un tempo in cui Husserl pensò ad Heidegger come al proprio più degno successore. Solo più tardi si rese conto che con Heidegger nasceva una filosofia del tutto nuova, che già nelle sue prese di posizioni di principio si opponeva radicalmente a quella impostazione della ricerca filosofica che per Husserl era indicata dal termine di «fenomenologia». Ancora una volta si ripeteva in forma nuova, ma in modo ormai decisivo per la cultura tedesca fra le due guerre e fino ai nostri giorni, ciò che era accaduto negli anni di Gottinga. Ma mentre allora alla polemica antihusserliana corrispondeva per così dire la moltiplicazione delle tendenze fenomenologiche, fra loro non sempre compatibili, la forte personalità di Heidegger è in grado di determinare un’atmosfera filosofica nella quale si riconosce immediatamente una intera schiera di studiosi.

Dobbiamo tuttavia giungere alla pubblicazione di Essere e tempo nel 1927 ed al tentativo di collaborazione per l’articolo sulla fenomenologia per l’Enciclopedia Britannica, che risale allo stesso anno, per trovare il primo reale confronto di opinioni tra Husserl ed Heidegger [24]. Fu in quell’anno che Husserl ri-peté ciò che aveva già detto anche nei confronti dei suoi antichi allievi di Gottinga: «Heidegger non ha afferrato l’intero signifi-cato della riduzione fenomenologica» [25]. Dietro questa osservazione, per Husserl non vi è soltanto il rilievo dell’incomprensione di un aspetto della fenomenologia. Vi è piuttosto il fraintendimento radicale di tutto il discorso filosofico che egli aveva cercato di sviluppare dal 1907 in poi. Nella stessa misura in cui Heidegger rifiuta come problema centrale e fondamentale per la fenomenologia la questione della soggettività costituente o trascendentale, riproponendo invece – sia pure in termini nuovi – il problema di una dottrina dell’essere o di un’ ontologia fondamentale, non soltanto esce completamente al di fuori di un orizzonte fenomenologico, ma ripropone una impostazione filo-sofica che la fenomenologia aveva inteso superare e criticare fino in fondo e fin dall’inizio. Perciò, dinanzi alla nuova filosofia che vede sorgere, in fondo inaspettatamente, di fronte ai propri occhi, Husserl ne sottolinea immediatamente l’arretratezza. In ultima analisi, l’esistenzialismo ricade in quelle posizioni antropologistiche e psicologistiche che egli aveva criticato nelle Ricerche logiche [26].

Nel 1928, Husserl si ritira dall’insegnamento e nello stesso anno all’università di Friburgo gli succede Heidegger. Da questo momento in poi, nei suoi ultimi dieci anni di vita – gli anni in cui matura la Crisi – l’attività filosofica di Husserl si svolge in una atmosfera di incomprensione: ciò spiega gli accenti spesso amari che risuonano in alcune sue pagine di quegli anni, sempre accompagnati dal rifiuto di scendere in una polemica diretta e dalla ribadita convinzione della giustezza della propria prospettiva filosofica.

La fine dello «Jahrbuch» nel 1930 non viene ostacolata da nessuno. Ma è significativo che, proprio in quest’ultimo numero, l’undicesimo, venga pubblicata quella Postilla alle «Idee», da Husserl scritta per la traduzione inglese di quell’opera, che assume un significato esemplare per il giudizio che egli dà sull’intero movimento filosofico che si era formato intorno a quella rivista.

«In questa sede» scrive Husserl «non posso diffondermi in una discussione con le correnti avverse, correnti che sono in un contrasto estremo con la mia fenomenologia, e che distinguono tra scienza rigorosa e filosofia. Vorrei soltanto affermare espressamente che non ritengo affatto fondate le obiezioni che da esse mi sono state mosse – obiezioni di intellettualismo, di unilaterale astrattezza del mio procedimento metodico, di incapacità di raggiungere, per principio, la soggettività pratica e attiva ed i problemi della cosiddetta esistenza, oltre che i problemi metafisici» [27]. In realtà, anche la tematica concernente la praticità e la concretezza può essere efficacemente sviluppata ed indagata da un punto di vista fenomenologico, e questo punto di vista, quando sia conseguentemente elaborato in tutte le sue implicazioni metodologiche e filosofiche, non può non condurre al terreno della soggettività trascendentale ed alla problematica della costituzione. Perciò, per Husserl, la «fenomenologia» reinter-pretata nel senso di Heidegger non ha saputo compiere questo passo decisivo e nel riproporre il problema del soggetto di fatto, della concretezza e dell’esistenza, è ricaduta in una posizione psicologistica, proiettando sulla fenomenologia trascendentale un insieme di critiche ingiustificate.

Il problema di una filosofia che proceda sistematicamente e rigorosamente e che al tempo stesso non si presenti come un sistema dottrinario chiuso viene ripreso e sottolineato di fronte alla «scepsi scientifica del nostro tempo». Ma questa idea non può essere separata dalla problematica della riduzione fenome-nologica e dalla conseguente impostazione della trascendentalità delle operazioni soggettive. I fraintendimenti di un’opera come Ideen I vengono spiegati da Husserl anche con la sua incomple-tezza. Non si vide che la soggettività di cui in essa si trattava non era affatto la soggettività del vecchio idealismo psicologistico: che essa era da intendere come una soggettività trascendentale concreta, corporea-sociale per essenza. E di conseguenza non si comprese che la terza parte di Ideen I, nella quale si introduce la questione della costituzione, è determinante per comprendere il senso nuovo nel quale il termine di trascendentale compare all’interno del discorso fenomenologico. Tutto ciò, osserva Husserl, sarebbe apparso più chiaro se fosse stato possibile pubblicare le ricerche successive sulla costituzione, nelle quali il carattere costitutivo dell’idealismo fenomenologico appare in tutta la sua chiarezza. A maggior ragione Husserl ribadisce la validità dell’impostazione data in Ideen I, la quale è «inattaccabile in tutto ciò che è essenziale» [28], e sottolinea che possiamo parlare di «idealismo fenomenologico» proprio e soltanto nella misura in cui la fenomenologia è l’unica reale risposta al pro-blema storico dell’idealismo [29]; ma nello stesso tempo si oppone un netto rifiuto a una interpretazione di questo idealismo che riproponga i termini della «disputa infeconda e non filosofica» [30] tra l’idealismo ed il realismo. «È però necessario chiari-re la fondamentale ed essenziale differenza tra l’idealismo fenomenologico trascendentale e quell’idealismo che viene com-battuto, quale proprio opposto esclusivo, dal realismo. In particolare: l’idealismo fenomenologico non nega l’esistenza reale del mondo (e innanzitutto della natura) quasi pensando trattarsi di una mera apparenza a cui, anche se inavvertitamente, il pensiero naturale e scientifico positivo soggiaccia. Il suo unico compito, il suo unico merito, è quello di chiarire il senso di que-sto mondo, precisamente quel senso secondo cui vale per chiunque, conformemente a una reale legittimità, come realmente essente. Che il mondo esista, che sia dato come un universo essente nell’esperienza che di continuo converge verso la concordanza, è perfettamente indubbio. Una cosa completamente diversa è cercare di capire questa indubitabilità, che sostiene la vita e le scienze positive, e di chiarirne il fondamento di legittimità» [31].

L’ultimo scritto di Husserl pubblicato sullo «Jahrbuch» si ricollega così agli inizi dell’attività di questa rivista, respingendo le critiche alla propria posizione filosofica che erano diventate esplicite con la pubblicazione di Ideen I. Ma, come abbiamo notato, Husserl rifiuta la polemica diretta. Anche se l’allusione alla «filosofia della vita che lotta per il predominio, con la sua nuova antropologia, con la sua filosofia dell’’esistenza»  [32] non poteva essere più trasparente, gli esponenti maggiori di que-sti indirizzi filosofici che sì trovano in un contrasto estremo con la fenomenologia, non vengono nominati; e neppure si prendono in considerazione in modo particolareggiato e approfondito le obiezioni e le critiche che da questa parte venivano rivolte alla fenomenologia. Una reale risposta è da Husserl affidata interamente al lavoro di ricerca, poiché «nelle faccende della scienza, non tanto la critica importa quanto il lavoro compiuto, quel lavoro che in definitiva resiste sempre, per quanto possa essere frainteso e per quanto le argomentazioni che lo concernono pos-sano eluderne il senso» [33]. «Chi, per decenni, non è stato a speculare su una nuova Atlantide, ma si è mosso realmente nelle foreste ancora impraticate di un nuovo continente, chi si è accinto alle prime coltivazioni, non si lascerà confondere dalle obiezioni dei geografi che ne giudicano i resoconti secondo le loro abitudini di esperienza e di pensiero, senza addossarsi la fa-tica di intraprendere un viaggio nelle nuove terre» [34].

5.

Fu destino di Husserl di iniziare la propria attività con un’opera come le Ricerche logiche che metteva in questione la filosofia universitaria del tempo e di ritrovarsi negli ultimi anni della sua vita in una polemica, forse meno appariscente, ma non meno tenace, verso quella filosofia che stava ormai negli anni trenta per assumere il crisma dell’ufficialità. Nel 1933 Heidegger diventava rettore dell’università di Friburgo e pronunciava il suo famoso discorso inaugurale di adesione al regime. Ma a parte il giudizio che è possibile dare di questa adesione, del resto non priva di ambiguità, quel che più ci interessa osservare è che Husserl si rende conto con sempre maggiore evidenza che il riapparire di quelle istanze filosofiche che egli aveva combattuto molti anni prima ha un suo preciso significato di ordine sociale in generale e in diretto rapporto con lo sviluppo storico dagli ultimi vent’anni del secolo sino ai giorni dell’ascesa del nazismo. Quando Husserl riporta la filosofia dell’esistenza allo psicologismo ed all’antropologismo da lui criticato nelle Ricerche logiche intende dare una precisa interpretazione dell’intero sviluppo ideologico di quei primi trent’anni del secolo di cui egli era stato, anche se spesso in modo paradossale, uno dei principali protagonisti. Per questo ritornano nella Crisi delle scienze europee tutti i classici temi del suo discorso filosofico, ma proiettati su uno sfondo per molti aspetti nuovo.

Come è noto, il nucleo della Crisi è costituito da una conferenza tenuta nel maggio del 1935 a Vienna e ripetuta a Praga nel novembre dello stesso anno. Husserl elaborò in seguito que-sta tematica e nel 1936 poté pubblicare la prima e la seconda parte del libro nella rivista «Philosophia» di Belgrado. Il testo che venne edito nel 1954 dalla Husserliana a cura di Walter Biemel comprende, oltre La conferenza di Vienna, la prima e la seconda parte dell’opera, anche il materiale elaborato per la terza parte e l’insieme di manoscritti relativi a quest’opera in forma di appendici ai singoli paragrafi.

Nella Crisi, il problema originario che si trova alla base della ricerca filosofica husserliana – quello di una fondazione ri-gorosa del sapere scientifico – viene ancora una volta riproposto, ma sotto una luce completamente nuova. Al centro del di-scorso husserliano vi è infatti la crisi dell’umanità europea, la disperazione per la missione dell’occidente. Erano gli anni in cui l’ottimismo nello sviluppo progressivo e benefico della società, già scosso dai catastrofici eventi della prima guerra mondiale, si era ormai dimostrato illusorio e menzognero, si era anzi rovesciato nel buio di un futuro senza speranza. All’idea di un graduale e progressivo benessere si sostituisce l’idea di un precipitare sempre più a fondo e senza scampo nella crisi. Ma la voce di Husserl della Conferenza di Vienna non è la voce di questa illusione perduta. Egli non l’aveva mai condivisa. Per Husserl questa presa di coscienza non fa altro che aggiungere un anello essenziale al lavoro iniziato molto tempo prima, quando la crisi pareva tanto lontana da non poter essere ancora neppure  percepita. La discussione che Husserl conduce nelle Ricerche logiche contro la riduzione della logica alla psicologia, cioè contro la riduzione di una «scienza delle idee» ad una «scienza di fatti», è tutta compiuta ancora sul terreno delle istanze puramente filosofiche. Lo psicologismo sviluppato coerentemente non può che condurre a una posizione scettica. E lo scetticismo va contestato sul terreno teorico come una assurdità teorica. Per lo Husserl delle Ricerche logiche la questione dello psicologismo non ha ancora uno sfondo sociale, non concerne ancora il problema dell’uomo stesso e del suo destino. Molto più tardi, nel 1935, Husserl sa che non si tratta più soltanto di muoversi sul terreno della contestazione dell’idea positivistica come idea che, sviluppata coerentemente, porta all’assurdo. Ora, l’assurdità è entrata nella vita stessa e lo «scetticismo» si e manifestato in ciò che esso era in realtà sin dall’inizio: non una semplice posizione teorica, ma crisi dell’uomo stesso nella sua stessa vita.

Questa crisi, che è ormai venuta alla luce all’interno della scienza e della filosofia, ha le sue radici nell’esclusività «con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo complessiva dell’uomo moderno accettò di venire determinata dalle scienze positive e con cui si lasciò abbagliare dalla ’pro-sperity’ che ne derivava»  [35] La rivendicazione di un concetto della scientificità non modellata sull’idea della positività, l’af-fer-ma-zione della priorità di principio della ricerca filosofica e del suo carattere fondante, e lo stesso configurarsi di questa idea della filosofia come scienza della soggettività costituente – che sono stati i temi costanti della ricerca husserliana – vengono qui ricompresi come una denuncia della disumanizzazione scientifica della società borghese.

Per questo Husserl sente il proprio atteggiamento come un atteggiamento di opposizione e di protesta e dichiara in modo appassionato il proprio radicalismo: «Sono convinto che io, il presunto reazionario, sono molto più radicale e molto più rivoluzionario di coloro che oggi si bardano di un radicalismo puramente verbale» [36].

Su questo «radicalismo» si sono più appuntate le critiche verso Husserl e la fenomenologia nel suo insieme, soprattutto quelle provenienti da parte marxista. Non è difficile infatti rilevare questo limite, che appare anzi del tutto evidente. Quanto più Husserl si rende conto della situazione sociale del suo presente storico, tanto più egli si appella alla filosofia stessa, ad una ragione divenuta eroica e che assume su di sé il compito della liberazione dall’oggettivazione sociale. La coscienza che Husserl ha del suo tempo non passa mai direttamente attraverso le vicende della lotta sociale. Benché non sia facile rilevare prese di posizioni esplicite sul terreno di una filosofia della storia, già l’impostazione generale della critica dell’oggettivazione nella Crisi offre indicazioni del tutto chiare dei limiti di coscienza nei quali questa critica necessariamente si mantiene. Solo in alcuni manoscritti più tardi si fa strada l’idea che la realtà dell’oggettivazione è lo sfruttamento materiale dell’uomo da parte dell’uomo. E nonostante l’eccezionale significato che questi accenni possono assumere per noi, in generale il problema dell’oggettivazione viene costantemente riproposto essenzialmente come un problema giuridico e morale: «‘Trattare gli uomini e gli animali come mere cose’: una simile espressione ha, certo, un duplice senso: giuridico e morale da un lato e scientifico dall’altro. Ma c’è un elemento comune ai due casi. Da un punto di vista pratico-morale, io tratto un uomo come una mera cosa quando non lo prendo come una persona morale, come membro dell’associazione morale delle persone, di quell’asso-cia-zione in cui si costituisce il mondo morale. Così io tratto un uomo non come soggetto giuridico, quando non lo considero membro della comunità giuridica di cui entrambi facciamo parte, bensì come una mera cosa, agiuridica, come un semplice oggetto» [37].

Tuttavia la consapevolezza di questi limiti, non toglie certamente che si possa guardare a questi esiti husserliani con grande interesse. È opportuno rammentare, a questo proposito, che «lo storico che considerasse l’errata coscienza come un fenomeno accessorio o casuale, o che la eliminasse come menzogna e falsità che non ha nulla a che fare con la storia, altererebbe la storia stessa» [38]. Per ciò che concerne in particolare la Crisi, la sua ricchezza tematica, la possibilità di una ripresa dei problemi che essa pone in un nuovo contesto di discorso, diventa più evidente quanto più sì e saputo localizzarla storicamente all’interno dell’ideologia complessiva del particolare momento storico nella quale essa fu scritta. L’accento posto sulla Crisi, che è uno degli aspetti che possono essere indicati per caratte-rizzare la ripresa degli studi fenomenologici in Italia, è dunque un fatto ricco di implicazioni. A questo proposito bisogna tuttavia aggiungere subito che questa particolare attenzione rivolta a quest’opera di Husserl non ha affatto il senso, come si sarebbe inclini a pensare, di un privilegio dato all’ultimo Husserl rispetto al primo o al secondo o eventualmente alla fase prefenomenologica. Si potrebbe fino ad un certo punto tracciare a grandi linee lo sviluppo delle varie tendenze fenomenologiche e delle varie interpretazioni della fenomenologia proprio sulla base del privi-legio accordato a questa o a quell’opera husserliana, a questo o a quel periodo del pensiero di Husserl. Ma quanto più procedono gli studi sulla fenomenologia e sulle opere husserliane, tanto più appare evidente l’illegittimità delle periodizzazioni che sono state finora seguite, al punto che esse, anziché servire unica-mente a fini puramente espositivi, finiscono con l’essere vere e proprie interpretazioni, per lo più non sufficientemente fondate. Per questo motivo, la Crisi non deve essere considerata come l’opera caratteristica di un certo «periodo» dell’evoluzione husserliana, nettamente distinto dai precedenti, quanto piuttosto come l’opera più matura nella quale confluisce l’intero complesso di temi e di problemi sviluppati da Husserl nel corso della sua attività filosofica.

Abbiamo ricordato or ora un punto di vista a partire dal quale diventa visibile una stretta connessione tra la posizione del problema della scientificità filosofica così come si presenta nella Crisi e la critica dello psicologismo nella logica sviluppata nei Prolegomeni alle Ricerche logiche. Ma vi è un altro aspetto per il quale la Crisi si ricongiunge idealmente con l’inizio dell’opera husserliana. In rapporto alla logica si andò sempre più assicurando, nello sviluppo del pensiero husserliano, l’idea della necessità di mostrare in che modo la sfera logica – e in genere ogni formazione ideale di senso – si costituisce nella sua idealità a partire dall’esperienza che «precede» la sfera stessa delle idea-lizzazioni. Questa direzione di ricerca culmina, per ciò che concerne la logica, nell’opera Esperienza e giudizio, mentre la troviamo generalizzata nella Crisi sotto il titolo di mondo della vita. Tuttavia, questa tematica, che richiedeva un’adeguata elabo-razione metodologica – la teoria della riduzione e la chiarificazione del senso della soggettività – è in realtà anteriore alle stes-se Ricerche logiche, e può essere fatta risalire sino alla Filosofia dell’aritmetica. In quest’opera non vi è ancora alcun consape-vole accenno alla tematica della riduzione e della soggettività, ma vi è già l’idea che per fondare il concetto di numero dobbiamo prescindere metodologicamente dalle varie teorizzazioni (le analisi contenute in essa vengono presentate da Husserl come «indipendenti da tutte le teorie e utili per tutte») e risalire all’esperienza del fenomeno concreto dell’insieme di cose. Questa ricerca, incerta nel suo significato metodologico, viene caratterizzata da Husserl come ricerca psicologica e logica e già con le Ricerche logiche essa verrà da Husserl criticata per la presenza in essa di elementi psicologistici. Eppure quest’opera di Husserl continua a mantenere in tutta la sua ricerca futura un significato esemplare. La preoccupazione che trova espressione nella Filosofia dell’aritmetica non solo non sparirà dall’ampliamento dell’orizzonte filosofico di Husserl, ma resterà in modo permanente alle sue radici. «Tra la Filosofia dell’aritmetica e la Crisi c’è uno sviluppo innegabile. Il pensiero di Husserl ha avuto, nella lunga ricerca, il modo di dirigersi verso vie molteplici e diverse e di trasformarsi in forme imprevedibili. A prima vista, tra le forme imprevedibili, saremmo tentati di porre i rapporti tra fenomenologia e psicologia. Nella Filosofia dell’aritmetica Husserl sembra gettare i fondamenti psicologici dell’aritmetica ma, di fatto, anche se crede il contrario, indaga proprio le operazioni precategoriali e soggettive come, in forma completa, farà nella Logica, in Esperienza e giudizio e nella Crisi. Nella Filosofia dell’aritmetica si parla di un ‘osservatore unificante’ e di ‘espe-rienza interna’. Husserl ignora ancora tutto il cammino che do-vrà percorrere ma la sua analisi partirà proprio dalla scoperta, già presente nella Filosofia dell’aritmetica, delle operazioni soggettive» [39].
Porre l’accento sulla Crisi significa dunque tentare una ricostruzione e una ricomprensione unitaria del pensiero husserliano, cogliendo essenzialmente il suo sviluppo e la sua evolu-zione, prima ancora di ipotizzare inesplicabili fratture. Si tratta, certamente, di un tentativo non facile, che si scontra ancora con la struttura degli scritti huserliani e con le complicazioni legate alla loro stesura.

Come è noto, Husserl non aveva il pregio della sistematicità. Di rado l’esecuzione di una certa opera corrispondeva alle intenzioni originarie. I suoi libri hanno quasi sempre il carattere di un primo volume che difficilmente conoscerà un secondo, oppure quello ancora più disarmante di «introduzioni». La Filosofia dell’aritmetica reca in frontespizio la scritta Erster Band e la Crisi era stata progettata come un’introduzione alla filosofia fenomenologica. L’opera pubblicata sullo «Jahrbuch» nel 1913 era stata pensata in tre volumi: il volume pubblicato avrebbe dovuto essere soltanto un’introduzione generale alla fenomenologia. Ma il piano dell’opera muta con il passare degli anni ed il secondo e terzo volume pubblicati dalla Husserliana nel 1952, a parte la loro incompiutezza, sono qualcosa di completamente differente dal progetto originario. Neppure le Ricerche logiche riescono ad essere un’opera scritta una volta per tutte. Nel 1913, nel dare alle stampe la seconda edizione, non solo Husserl vi apporta diverse correzioni, ma promette una redazione completamente nuova della sesta ricerca, affermando che essa era già nelle mani del tipografo. Ma sette anni dopo, questa nuova reda-zione è diventata sempre più problematica, ed alla fine Husserl decide di ripubblicare la prima versione, migliorandone soltanto alcuni passi: «Ancora una volta» commenta Husserl in questa occasione «si conferma il vecchio detto: i libri hanno il loro de-stino» [40].

Questa caratteristica incapacità di Husserl di giungere all’opera finita ha del resto uno stretto legame con la sua posizione filosofica. Per Husserl, la filosofia esiste solo come ricerca permanente del filosofo ed il filosofo stesso si definisce soltanto in ed attraverso questa ricerca. Perciò, in Husserl, la forma del libro filosofico entra in crisi: il libro stesso non ha più un inizio sicuro e nemmeno una fine, i risultati della ricerca di volta in volta avviata rimangono sospesi in una sfera di incertezza per il loro sviluppo e il loro senso. Ciò che permane è la ricerca attiva su un tema, una ricerca presentata nella sua immediatezza, così come viene eseguita sul momento con tutte le sue possibili diramazioni, alcune delle quali restano implicite o oscure.

 

Di qui l’importanza che va attribuita all’eredità husserliana manoscritta. A parte gli aspetti realmente nuovi che emergo-no, anche se frammentariamente, in alcune ricerche più tarde, si può dire tuttavia che l’importanza del materiale inedito husserliano consiste essenzialmente nel fatto che esso presenta nel modo più esplicito e al di là di qualsiasi preoccupazione formale il fondamento di ricerca, di analisi effettive su cui si sostiene l’elaborazione che egli poi presenta in forma più accurata, ma quasi sempre unilaterale, nelle opere edite. In questa riflessione costante e immediata, che si svolge senza preoccupazione alcuna – talora anche con pieno disprezzo delle categorie sintattiche del discorso – è spesso più facile cogliere i nessi effettivi della ricerca, i punti in cui lo svolgimento di un tema conduce a un tema nuovo. Cosicché si potrebbe quasi dire che laddove Husserl compie il tentativo di facilitare la strada al lettore presentandogli un’esposizione graduale e ordinata, questi è ancora più esposto agli equivoci e alle oscurità che di fronte all’opera manoscritta, dove, senza aiuti di sorta, dovrà trovare da sé il bandolo per uscire dal labirinto.

Il tentativo di ricomprendere la tematica husserliana nella sua interezza e l’idea della fenomenologia così come è stata ela-borata da Husserl stesso, e quindi indipendentemente dalle stratificazioni di giudizio che sono maturate nel corso della formazione e della dissoluzione del «movimento fenomenologico», può essere indicato come uno degli elementi che contraddistinguono la ripresa degli studi fenomenologici in Italia. Ma questa ripresa, proprio perché viene consapevolmente condotta come un ritorno alla tematica husserliana originaria, è strettamente connessa con una precisa presa di posizione rispetto ad alcuni nodi realmente critici del discorso husserliano. E anche da questo punto di vista l’accento cade sulla Crisi, che si presenta non solo come l’opera che porta al massimo approfondimento i principali temi fenomenologici, ma anche – e per la stessa ragione – come l’opera in cui l’impostazione husserliana rivela alcuni dei suoi limiti cruciali. Per questo motivo acquista particolare significato il fatto che l’opera fenomenologica più impegnativa pubblicata finora in Italia, Funzione delle scienze e significato dell’uomo di Enzo Paci, sia nata come commento alla Crisi e abbia poi preso la forma di una estesa discussione con il marxismo. Se da un lato infatti la Crisi consente una complessiva ri-comprensione del pensiero husserliano e nello stesso tempo rappresenta il livello massimo della presa di coscienza del filosofo Husserl, dall’altro la vera realtà dei problemi posti in quell’opera si coglie soltanto se si compie rispetto ad essa un nuovo passo decisivo: se ci si dispone consapevolmente sul terreno del marxismo.

6.

Vorremmo concludere questa esposizione introduttiva con alcu-ne considerazioni su un aspetto molto discusso della fenomeno-logia: il suo linguaggio. Ogni libro che tratti problemi fenome-nologici presenta una immediata difficoltà per la terminologia che esso usa. Le difficoltà non diminuiscono quando il lettore incontra in esso termini ben noti della tradizione filosofica. In tal caso accade molto spesso che il reale significato che quei termi-ni ricevono in un contesto fenomenologico venga equivocato o frainteso. È necessario perciò tentare di illustrare brevemente quali siano le caratteristiche di questo linguaggio e per quali motivi esso presenti alcuni elementi del tutto particolari.

Le difficoltà di un’adeguata traduzione linguistica dei contenuti della ricerca fenomenologica è sottolineata fin dall’inizio da Husserl e sembra essere una delle preoccupazioni di fondo che accompagnano in modo costante lo sviluppo del suo pensiero. Il primo problema è quello di ritrovare un linguaggio che sia realmente in grado di riprodurre le «cose stesse» e che sia il più possibile privo dell’equivocità che caratterizza il discorso comune. Tuttavia, questo linguaggio intende esprimere situazioni descrittive e deve perciò essere esso stesso descrittivo: questo problema non può essere semplicemente risolto attraver-so l’introduzione puramente convenzionale e definitoria di ter-mini nuovi. Anche in questo caso infatti ciò che è veramente importante per il fenomenologo è il linguaggio usato nella defi-nizione, il quale deve descrivere la situazione che il nuovo ter-mine deve semplicemente indicare. Tutte le difficoltà relative all’istituzione di un linguaggio fenomenologico hanno origine da questo carattere descrittivo, dal fatto cioè che esso deve riprodurre e rispecchiare situazioni materiali, che spesso sono per essenza relativamente indeterminate e che comunque si presentano in primo luogo in questa relativa indeterminatezza. Ciò che in ogni caso non possiamo fare è stabilire le norme di rigorosità del nostro linguaggio prima ancora di impegnarci in una ricerca, così come non possiamo stabilire alcun criterio di rigorosità in generale al di fuori e indipendentemente dai contenuti descritti-vi, dalla peculiarità degli oggetti tematici. Potremmo esprimerci dicendo che il linguaggio fenomenologico e – per Husserl – il linguaggio filosofico tout court ha un carattere necessariamente materiale, proprio perché è un linguaggio descrittivo. Ma ciò si-gnifica anche che esso, almeno nelle situazioni iniziali della ricerca, non può prescindere da una dimensione storica e cioè dal vincolo con il discorso comune e con il linguaggio elaborato nella tradizione scientifico-filosofica. Di qui il rifiuto della formalizzazione del linguaggio filosofico, che non deve essere inte-so come un rifiuto dei linguaggi formali in generale – cosa che sarebbe palesemente priva di senso. «I fondamenti della filosofia» scrive Husserl in Ideen I «non possono essere fissati per mezzo di concetti stabili e controllabili intuitivamente in qualunque momento, ché anzi lunghe ricerche devono generalmente precedere la loro chiarificazione e fissazione; d’altra parte, non si può ricorrere a espressioni artificiose ed estranee al linguaggio filosofico storico; pertanto si rendono spesso inevitabili locuzioni combinate, che riuniscono parecchi termini del discorso co-mune, usati ciascuno secondo una particolare determinazione terminologica. In filosofia non si può definire come in matema-tica; qualsiasi imitazione del procedimento matematico a questo riguardo è non soltanto infruttuosa ma anche assurda e conduce alle peggiori conseguenze» [41].

Poiché è il procedere della ricerca che definisce con preci-sione sempre maggiore i concetti tematici e corrispondente-mente i termini che li indicano, la situazione nella quale il fe-nomenologo inizialmente si muove è relativamente fluida. «Del resto va osservato in linea generale che agli inizi della fenome-nologia tutti i concetti, e quindi tutti i termini, devono rimanere in certo modo fluidi, sempre pronti a differenziarsi secondo i progressi dell’analisi di coscienza e della scoperta di nuove stra-tificazioni fenomenologiche nell’ambito di ciò che inizialmente è intuito in indistinta unità. Tutti i termini che si possono scegliere hanno le loro tendenze di connessione, accennano a diver-se direzioni di rapporti, che poi risultano spesso non avere la loro origine in un solo strato essenziale; onde l’opportunità di de-limitare meglio o comunque di modificare la terminologia. Pertanto, solamente in un grado di sviluppo molto avanzato della scienza si può fare assegnamento su terminologie definitive. Applicare le misure esteriori e formali di una logica della termi-nologia ad esposizioni scientifiche in piena elaborazione e pretendere sin dall’inizio terminologie della specie in cui si fissano soltanto i risultati conclusivi dei grandi sviluppi scientifici, è as-surdità gravida di errori. Per cominciare, ogni espressione è buona, specialmente se è un’espressione immaginosa opportunamente scelta, che sappia dirigere il nostro sguardo su di un accadimento fenomenologico chiaramente afferrabile. La chiarezza non esclude un certo alone di indeterminatezza» [42].

Di tutto ciò occorre essere chiaramente consapevoli, sia per evitare giudizi di antiscientificità semplicisticamente attribuiti al linguaggio fenomenologico, sia per sbarazzare il terreno dal manierismo linguistico di quei fenomenologi che fanno i sa-puti verso le scienze con quattro parole male apprese. A questo proposito Husserl è molto esplicito e si esprime con insolita durezza: «Coloro che, non soddisfatti delle indicazioni intuitive che loro si offrono, esigono ‘definizioni’ come nelle scienze ‘esatte’, oppure credono, con concetti fenomenologici ricavati con una presunzione di solidità da un paio di rozze analisi di esempi, di poter liberamente fare alto e basso in un pensiero astrattamente scientifico e di dare con ciò incremento alla fenomenologia, sono tanto principianti che non hanno ancora afferrato l’essenza della fenomenologia e la metodica che essa per principio esige» [43]

La questione del linguaggio fenomenologico si complica ancor più se prendiamo in considerazione aspetti metodologici più determinati della ricerca fenomenologica ai suoi vari livelli. Di particolare importanza, come vedremo, è la ricerca effettuata in una finzione solipsistica nella quale io stesso che compio la ricerca mi comporto come se non esistesse nessun altro all’infuori di me. Avremo modo di accennare in seguito alle ragioni di questa impostazione metodologica. Rileviamo qui soltanto il fatto che questa finzione, possibile per principio, ci con-duce in una situazione paradossale, non appena ci disponiamo sul piano della traduzione linguistica dei dati descrittivi. Il linguaggio infatti è sociale per essenza. Di fronte a questa difficoltà Husserl si trova ben presto, prima ancora di avere elaborato la tematica della riduzione, nelle Ricerche logiche. Più tardi, in Esperienza e giudizio troviamo scritto che nella descrizione del mondo puramente percettivo – che deve essere compiuta nella finzione solipsistica e che deve porre in luce una sfera anteriore ad ogni idealizzazione – «sorgono certamente delle difficoltà per il fatto che le espressioni del nostro linguaggio hanno un senso generale, comunicativo, in modo tale che, usando qualsiasi designazione di oggetto, viene già comunque proposta una prima idealizzazione – quella della validità per una comunità linguistica e sono necessari sempre nuovi sforzi per tener lontano questo senso comunicativo, che necessariamente si impone, delle espressioni. Si tratta di una difficoltà che inerisce per essenza ad ogni ricerca sul soggettivo nel senso più radicale, nella misura in cui essa ricorre ad espressioni che hanno senso mondano e significato comunicativo-mondano» [44].

Vi è infine la questione dell’invenzione di termini nuovi, che è talvolta così ricca da sconcertare e scoraggiare il lettore. Questa invenzione, presente costantemente nelle opere edite, assume talora un ritmo vertiginoso soprattutto nei manoscritti più tardi e in particolare in quelli dedicati all’analisi del tempo. Ora, è necessario notare che questa invenzione raramente è superflua o arbitraria. Più spesso si tratta di una costante ricerca di un ter-mine più adeguato. Come abbiamo visto, «per cominciare, ogni espressione è buona», ma il perfezionamento della ricerca richiede una sempre maggiore aderenza del linguaggio alla situa-zione descritta. Vi sono casi in cui né il linguaggio comune, né il linguaggio scientifico-filosofico già disponibile possono venirci in aiuto, neppure quando siano opportunamente reinterpretati. Quando già nelle Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo Husserl perviene al problema della connessione tra soggettività e tempo, osserva che «per tutto ciò ci manca-no i nomi». Ciò non significa che, a questo punto, siamo riusciti a gettare un’occhiata sull’ineffabile, ma molto più semplicemente, appunto, che «ci mancano i nomi», e perciò dobbiamo inventarli.

Tuttavia, come si sa, nulla è più facile che scambiare i nomi con le cose e trasformare l’uso puramente strumentale del linguaggio in un feticcio. Questo del resto non è rischio che corra soltanto il fenomenologo. Sembra anzi che questo sia il destino di molte delle discussioni odierne tra le filosofie, quando l’unico problema sembra essere quello di controllare se una certa filosofia abbia le carte in regola con un’altra filosofia. Sarà questa, nel caso migliore, una verifica tra principi veri o presunti, ma per lo più, quando si resta sul piano delle filosofie e non si scende sul terreno dei loro problemi reali, si tratterà di una verifica di linguaggi e di terminologie. Si finisce così di parlare delle parole delle filosofie, invece che di ciò di cui parlano le filosofie. Va da sé che si tratta, quasi sempre, di parole al vento.


Annotazioni


1.

Per indicazioni relative al «movimento fenomenologico», oltre al volume citato di H. Spiegelberg, The phenomenological Mo-vement, L’Aia 1960, si può vedere l’articolo di G. Gadamer, Die phänomenologische Bewegung, in «Philosophische Rundschau», 1963-64 (11), pp. 1-45.

Da quando è iniziata la pubblicazione delle opere com-plete a cura dell’Archivio Husserl di Lovanio, gli studi sugli inediti sono ormai numerosi. Ci limitiamo qui a ricordare: A. Diemer, Edmund Husserl. Versuch einer systematischen Dar-stellung seiner Phanomenologie, Meisenheim am Glan 1956; G. Brand, Welt, Ich und Zeit nach unveröffentlichten Manuskripten Edmund Husserls, L’Aia 1955 (trad. it. a cura di E. Filippini, Mondo io e tempo negli inediti di Husserl, Milano 1960); R. Toulemont, L’essence de la société selon Husserl, Parigi 1962; A. Roth, Edmund Husserls Ethische Untersuchungen, L’Aia 1960; H. Hohl, Lebenswelt und Geschichte, Muenchen 1962; G. Piana, Esistenza e storia negli inediti di Husserl, Milano 1965.

2.

Il senso della ripresa degli studi husserliani in Italia, la sua dire-zione, l’ampiezza della discussione che essa apre verso i princi-pali indirizzi filosofici del nostro tempo vengono chiaramente sintetizzati nel saggio di E. Paci, Attualità di Husserl, pubblicato nella «Revue internationale de Philosophie», n. 71-72, 1965, Fasc. 1-2. Viene qui messa in luce anzitutto l’importanza della pubblicazione della Husserliana e il significato centrale della Crisi e di Ideen II: «Ciò non vuol dire che debba essere in qual-che modo svalutato il contributo di Husserl all’eidetica ed alla logica. Logische Untersuchungen e Formale und transzenden-tale Logik restano, con Ideen I, testi fondamentali» (p. 7). L’attualità della fenomenologia è infatti «legata a un modo nuo-vo e finalmente autentico di leggere Husserl, un modo che non isoli Husserl nelle tematizzazioni prevalenti in questo o quel pe-riodo della sua opera e che, cogliendo lo svolgimento del suo pensiero, possa, nello stesso tempo, cogliere l’unita dei metodo fenomenologico» (p. 12). Per ciò che concerne il terreno di discussione della fenomenologia si indicano essenzialmente il neopositivismo, la Oxford Philosophy, lo strutturalismo ed il marxismo. Questo arco tematico, qui naturalmente soltanto indicato di scorcio, è ampiamente sviluppato nell’opera già ricordata Funzione delle scienze e significato dell’uomo, Milano 1963. Gli studi husserliani anteriori di Paci sono raccolti nel volume Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bari 1961. Di particolare importanza, per un approfondimento del tema fenomenologia in Italia, sono i saggi di Antonio Banfi sul pensiero di Husserl che si trovano ora raccolti in |50| A. Banfi, Filosofi contemporanei, a cura di R. Cantoni, Milano 1961. – Su Banfi e Husserl si veda G. D. Neri, Nota su Banfi e Husserl, in «Aut Aut», 1959 (54), pp. 373-377.

3.

Sul rapporto tra Husserl e Heidegger e, in generale, tra fenomenologia ed esistenzialismo, si veda: F. Garin, E. Paci, P. Prini, Bilancio dell’esistenzialismo e della fenomenologia, Padova 1960; P. Chiodi, Esistenzialismo e fenomenologia, Milano 1963 e E. Filippini, Nota su Husserl e Heidegger, in «Rivista di Filo-sofia», 1961 (52), pp. 212-216.

4.

Tra gli studi italiani di carattere complessivo sul pensiero di Husserl si segnalano G. Pedroli, La fenomenologia di Husserl, Torino 1958; E. Melandri, Logica ed esperienza in Husserl, Bologna 1960; S. Catucci, La filosofia critica di Husserl, Milano 1995; R. Lanfredini, Husserl. La teoria dell’intenzionalità, Bari 1994 – Come letteratura introduttiva alla tematica fenome-nologica si può vedere C. Sini, Introduzione alla fenomenologia come scienza, Milano 1965 e dello stesso autore la raccolta antologica La fenomenologia, Milano 1965.

Note all’Introduzione

[1] L’Aia, 1960.
[2] E. Melandri, I paradossi dell’infinito nell’orizzonte fe-nomenologico, in Omaggio a Husserl, Milano 1960, p. 89.
[3]
[4] Si veda, ad es., Idee per la fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, trad. it. a cura di E. Filippini, Torino 1965, pp. 196-197.
[5] Cfr. C. Musatti, La psicologia dello forma, in «Aut Aut» sett. 1965, n. 89, pp. 8-38. Lo stesso numero di «Aut Aut», interamente dedicato ai problemi della psicologia della forma, contiene articoli di S. Paschi, E. Becchi, E. Paci. Sul rapporto tra fenomenologia e psicologia della forma: E. Becchi, Fenomeno-logia e Gestalt, in «Aut Aut», marzo 1956 (50), pp. 116-123.
[6] Cfr. l’opinione espressa da H. L. Van Breda, in Husserl, «Cahiers de Royaumont», Parigi 1959, p. 29.
[7] Briefe Franz Brentanos an Hugo Bergmann, in «Philo-sophy and Phenomenological Research», 1946-47, (7), p. 93.
[8] ivi, p. 120.
[9]
[10]
[11]
[12]
[13]
[14] Come è stato rilevato da E. Paci, Funzione delle scienze e significato dell’uomo, Milano 1965, p. 191.
[15] Cfr. E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, Halle-Saale 1891, p. 236.
[16] Una lettera di Husserl a Mach, datata 18.6.1901, si trova pubblicata in K. F. Heller, Ernst Mach, Wegbereiter der Modernen Physik, Vienna 1964, pp. 61-64.
[17] H. Spiegelberg, op. cit., p. 172.
[18]
[19]
[20] J.-P. Sartre, L’immaginazione, trad. it. a cura di A. Bonomi, Milano 1962, p. 121.
[21] H. Spiegelberg, op. cit., pp. 276-277.
[22] K. Löwith, Eine Erinnerung an Husserl, in Edmund Husserl, 1859-1959, L’Aia 1959, p. 48.
[23] ivi, pp. 49-50.
[24]
[25] Lettera di Husserl a R. Ingarden, datata 26.12.1927, citata da H. Spiegelberg, op. cit., p. 281.
[26] «Heidegger, agli occhi di Husserl, compie il fraintendimento più grave in quanto dimentica la soggettività che è, in-sieme, uomo concreto e funzione trascendentale. Dato questo occultamento, o questo oblio, che viene combattuto in tutta la Crisi come oblio del precategoriale, del significato e del fonda-mento, la posizione di Heidegger, nonostante che parli dell’es-sere, cade, in realtà, nell’antropologismo naturalistico, lo stesso da cui Heidegger cerca invano di liberarsi con le Lettere sull’umanesimo. L’uomo non è più, in Heidegger, in prima per-sona. Questa posizione di Husserl di fronte a Heidegger ha forse origine nei testi oggi pubblicati col titolo Fenomenologia psi-cologica (1962), opera che deve essere studiata secondo il punto di vista indicato». E. Paci, op. cit., p. 141.
[27] E. Husserl, Postilla alle «Idee», trad. it. in Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Torino 1965, p. 916.
[28] ivi, p. 925.
[29] ivi, p. 927.
[30] ivi, p. 929.
[31] ivi, p. 928.
[32] ivi, p. 915.
[33] ivi, p. 917.
[34] ivi, p. 930.
[35] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la feno-menologia trascendentale, trad. it. a cura di E. Filippini, I ed., Milano 1961, p. 35.
[36] ivi, p. 348.
[37] E. Husserl, Idee, trad. it. cit., p. 586.
[38] K. Kosìk, Dialettica del concreto, trad. it., Milano 1965, p. 60.
[39] E. Paci, op. cit., pp. 129-130.
[40] E. Husserl, Ricerche logiche, vol. I, trad. it. a cura di G. Piana, Il Saggiatore, I ed. Milano 1968, p. 15.
[41] E. Husserl, Idee, trad. it. cit., p. 11.
[42] ivi, pp. 188-189.
[
43] ivi, p. 189.
[44] E. Husserl, Erfahrung und Urteil, Amburgo 1954, p. 58.