Gaetano Braga
(1829-1907)

La serenata - Leggenda Valacca

soprano: Gayaneh Tapacian

pianoforte: Marco Doni
violino: Giovanni Piana

 

Gaetano Braga, Leggenda valacca (file .ogg Kb 15.436)

Partitura

 

 

Presentazione

In queste due fotografie vi è un ricordo familiare: nella mia casa di Cernusco Lombardone accadeva di tanto in tanto che si facesse un concertino, come in tempi molto andati. Ecco il pubblico:

Ed ecco gli esecutori: a sinistra l'organista e clavicembalista Marco Doni, al centro io stesso, alla destra la soprano Gayaneh Tapacian, alla quale questa pagina in cui essa è protagonista viene dedicata. Accadeva in una serata dell'inverno 1993.

Che cosa racconta la bella voce di Gayaneh Tapacian? Ecco il testo poetico del brano scritto da Marco Marcelliano Marcello (1818-1865):

La figlia:
Oh quali mi risvegliano dolcissimi concenti!
Non li odi, o mamma, giungere con l’alitar de’ venti?
Fatti al veron, ten supplico, e dimmi donde parte questo suon.
La madre:
Io nulla veggio, calmati, non odo voce alcuna
fuor che il fuggente zeffiro, il raggio della luna.
D’una canzon, o povera ammalata, chi vuoi che t’erga il suon?
La figlia:
No!
Non è mortal la musica che ascolto o madre mia:
ella mi sembra d’angeli festosa melodia,
ov’elli son mi chiamano. O mamma, buonanotte!
Io seguo il suon, io seguo il suon.

Una fanciulla morente - che ode "dolcissimi concenti": il canto della morte che si avvicina e che qui viene sentito come un canto di straordinaria seduzione. Il titolo "La serenata" riprende la risposta della madre che disillude la figlia "D'una canzon,o povera ammalata,chi vuoi t'erga il suon?". Talora si cita questo brano, in particolare in ambiente anglosassone, come "Serenata dell'angelo" - e questo titolo approfitta di un verso della poesia: "ella mi sembra d'angeli festosa melodia" - suggerendo addirittura una morte serena che apre alla fanciulla le porte del paradiso. Del resto non dice ancora il testo: "ov'elli son mi chiamano"? Io credo che nulla sia più estraneo al senso profondo del brano che ci parla invece del tema inquietante della Morte che affascina ingannevolmente la morente per stringerla nel suo abbraccio fatale. Tutto dunque meno che una chiamata celestiale, al contrario vi è qui un aspetto di seduzione demoniaca. Da quel canto la madre angosciata cerca invano di distogliere la figlia evocando la notte silenziosa e il fruscio del vento per convincerla dell'illusorietà di quella "serenata". Proprio per il fatto che un simile equivoco, che incide naturalmente anche sulla ricezione musicale, sia possibile, sarebbe particolarmente importante avere qualche chiarimento sul titolo Leggenda valacca, che oltre ad essere quello più noto, è l'unico che non sia tratto direttamente dal testo. Esso si fonda certamente su una fonte letteraria ma, con mia sorpresa, non ho trovato alcuna spiegazione e dunque nemmeno qualche informazione sulla "storia" che sta alla sua base. A questo proposito desidero ringraziare in particolare Massimo Privitera e Guido Salvetti che hanno pazientemente dato ascolto a questa mia curiosità, il Maestro Galileo Di Ilio e Giovanni Di Leonardo rispettivamente direttore artistico e presidente dell'Associazione Braga di Giulianova per avermi dato notizie su Gaetano Braga e confermato la difficoltà di venire a capo della fonte letteraria e del titolo di questo brano; Mauro De Martini per la segnalazione del bel profilo di Gaetano Braga tracciato da Renato Simoni in "Teatro di ieri. Ritratti e ricordi", Treves, Milano 1938. Un ringraziamento particolare va a Renato Toffoli, presidente dell'Associazione lirica "Pier Adolfo Tirindelli" che mi segnala che nel volume di Marco Marcelliano Marcello "Foglie disperse - 100 Piccole melodie per musica", Torino 1853 il brano musicato da Braga è intitolato precisamente Serenata, mentre il sottotitolo è Leggenda; al termine del componimento compare la dicitura "trad. dal Valacco". La fonte - dettaglio piuttosto singolare - non viene indicata; e d'altra parte Renato Toffoli fa notare la curiosa presentazione di Marcello nella quale questi scrive che la propria opera "Non è un libro, non un'opera, non un canzoniere; è una miscela di svariate coserelle poetiche, buttate là là a casaccio, senza nesso, senza importanza, senza responsabilità. Originali, imitate, tradotte; reali e immaginarie, vere e false; sentimento e capriccio, cuore e testa.[...]". Aggiungo in margine che non mi è chiaro che cosa si possa intendere con "lingua valacca" essendo talora questa espressione utilizzata per indicare alcune varianti dialettali del rumeno (cfr. Valacchi in Wikipedia). E poiché si può dubitare che Marcello conoscesse qualcosa come il "valacco", quella indicazione di traduzione mostra, da un lato, che una fonte letteraria esiste da qualche parte, dall'altro che Marcello se la vuole tenere per sé!

In ogni caso io credo che il richiamo ad una leggenda valacca non comporti alcun riferimento a Vlad III Tepes (Dracula) o comunque a storie vampiresche di cui qui non vi è proprio la minima traccia. A me invece questo brano fa venire in mente, la ballata goethiana Il re degli elfi, - e sono arrivato a pensare che l'oscuro romanticismo nordico, reso da Schubert in modo così straordinario - la cavalcata del cavaliere nella notte che stringe fra le braccia il figlio morente, le lusinghe del re degli elfi la cui voce prende forma dai fruscii del bosco ed evoca i canti, i balli e le ninne nanne delle sue belle figlie - viene sostituito da un romanticismo in certo senso mediterraneo. Al padre ed al figlio si sostituisce la madre e la fanciulla, alla cupa cavalcata notturna un'abitazione con il "verone" da cui si intravede il raggio quasi rassicurante della luna e persino - forse! - il mare. Vi sono tuttavia delle differenze non solo di ordine narrativo, cosa del tutto usuale in questo genere di riprese tematiche, ma anche di contenuto e di atmosfera. La ballata di Goethe è attraversata dai brividi della paura, ed alla fine il re degli elfi mostra il suo volto violento ed il bimbo piange nell'istante in cui si sente ghermito. La fanciulla è invece sempre più affascinata dal canto di seduzione ed alla fine si allontana lentamente dalla vita "seguendo il suono". D'altra parte la ballata di Goethe è di origine danese e la versione goethiana è molto diversa anche nel suo senso da quella che egli lesse nella traduzione di Herder. Qui è il re Olaf, che nel raggiungere la promessa sposa, viene invitato dal re degli elfi a cedere alla seduzione delle sue belle figlie, ed il rifiuto che egli oppone equivale alla sua condanna a morte.

Ovviamente, Braga che era violoncellista di vaglia, aveva affidato al violoncello il compito del canto mortale, ma il registro in cui il brano è scritto è indubbiamente violinistico. Del resto l’associazione tra il violino e la morte dal punto di vista iconografico e letterario meriterebbe uno studio apposito.

In questo contesto mi piace ricordare che nel corso della mia ricerca mi sono imbattuto nella Leggenda valacca scritta da Francesco Spadaro Ferlito di Passanitello (1900-1983), un'opera poetica inedita, scritta all'età di diciannove anni e pubblicata nel sito familiare dal figlio Vittorio, che desidero ringraziare vivamente qui per la sua squisita cortesia e per lo scambio epistolare tra noi intercorso. L'indirizzo del sito è il seguente: http://www.spadarodipassanitello.it. La poesia di Francesco Spadaro è notevole per la sua delicatezza letteraria e merita di essere letta di per se stessa. In rapporto al problema interpretativo che io ho proposto è poi particolarmente interessante per il fatto che in essa vi sono i temi essenziali della seduzione operata attraverso la musica che conduce inesorabilmente nelle braccia della morte. Il centro della Leggenda valacca di Braga è qui interamente presente nonostante la differenza del contenuto narrativo (che è certamente meno importante della trama di senso), nel quale si allude a fanciulle che "con la follia / del desiderio nello sguardo strano/ dietro l'incanto della melodia" vanno a morte certa ad opera di "fate cattive". Credo che se si vorrà risolvere questo piccolo enigma si dovrà guardare proprio in questa direzione. Inoltre penso che non sia frutto di pura coincidenza il fatto che Francesco Spadaro nello stesso periodo avesse realizzato una libera traduzione del Re degli elfi di Goethe.

A mia volta credo di poter formulare un'ipotesi in certo senso ausiliaria che, se non individua nessuna precisa fonte letteraria, forse potrebbe segnalare l'area di una possibile "leggenda valacca". Sull'esempio dei Grimm ed in generale nel fervore romantico verso la narrativa popolare, Arthur e Albert Schott pubblicarono nel 1845 la prima raccolta di favole valacche sotto il titolo di Walachische Märchen, J. G. Cotta'scher Verlag, Tübingen 1845, volume che ho potuto leggere nella riproduzione anastatica realizzata nel 1979 dall'Editore Georg Olms, Hildesheim. In realtà mi auguravo di trovare qui la soluzione del problema, ma nessuno dei racconti contiene nemmeno indirettamente quella "trama di senso", come mi sono or ora espresso, che consenta di stabilire una qualche relazione. Tuttavia nello stesso libro vi è un'appendice che tratta delle figure mitiche presenti nella cultura valacca e tra esse viene brevemente accennato a Sina o Dina - maligna maga cacciatrice che attraversa le nubi con il suo corteo di fate e streghe - annunciandosi con una musica misteriosa proveniente dal cielo: "Molti valacchi giurano di aver udito nell'aria la loro musica festosa" (p. 296). Nell'opera Gypsy sorcercy and fortune telling di Charles Godfrey Leland (T. Fisher Unwin, London 1891, reperibile nel sito internet www.sacred-texts.com) si precisano i tratti della maga - bellissima ed ammaliatrice - e perversa: coloro che vengono colpiti dal suo fascino sono destinati a morire bevendo l'idromele che essa offre loro: "Essa è una ammaliatrice bella ma terribile, che esercita un controllo sugli spiriti malefici che si incontrano nelle sere di maggio. Essa dominava su tutta la Transilvania (una terra di caccia) prima che prevalesse la cristianità. La sua bellezza stregava molti, ma chiunque si fosse lasciato allettare a bere idromele dal suo corno di bue era destinato a trovare la morte". Musica, seduzione e morte: la presenza di questi temi intorno alla figura di Sina fa pensare che la "leggenda valacca" appartenga più che alla narrativa fiabesca, ad un contesto mitico arcaico precristiano.

Va infine segnalato che il brano di Braga viene esplicitamente citato da Cechov nel racconto Il Monaco nero in un paio di punti. Nel riferirne il contenuto egli pone l'accento soprattutto sull'aspetto allucinatorio ("una fanciulla dall'immaginazione malata udiva di notte nel giardino certi suoni misteriosi, belli e strani a tal punto da dover riconoscere in essi una sacra armonia che per noi mortali è incomprensibile e perciò se ne vola indietro nei cieli"), e risulta chiaro che egli avverte nettamente l'elemento angoscioso e inquietante della canzone. Nel racconto infatti essa viene udita dal protagonista durante il suo soggiorno nella casa di campagna poco prima che egli narri alla futura moglie la leggenda del monaco nero, figura eternamente vagante fra le nubi; e risuona alla fine del racconto in modo visionario quando affacciandosi di notte alla finestra egli vede la grande nuvola che prende forma del monaco nero poco prima di avere una crisi mortale di tubercolosi. Ed è ancora alla Leggenda valacca di Braga che rivolge anzitutto la sua attenzione Dimitri Shostakovic, facendo di essa una propria elaborazione, quando verso la fine della sua vita progettò un opera prendendo a soggetto ill Monaco Nero: "È questo un modesto frammento della tanto desiderata, ma non realizzata opera Il monaco nero tratta dalla novella di Anton Cechov, personalità artistica affine al compositore. Non ancora ventenne Sciostakovic. scrisse: «Nella notte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio [1926] ho fatto un sogno […] nel deserto […] uno starec [vecchio monaco] vestito di bianco, mi dice: questo sarà per te un anno felice. Dopo queste parole mi sono svegliato con una sensazione di grandissima felicità. Ah, com’era bello! Ora mi è tornato in mente il racconto di Cechov Il monaco nero». Alla felicità della creazione seguì, nella novella e nella vita di Sciostakovic, una pesante sofferenza: la perdita della salute e dell’ispirazione. In Cechov il semplice tema della Serenata di Braga, nella composizione originale come nell’elaborazione di Sciostakovic, per due volte compare a sottolineare le svolte tragiche e misteriose del destino. E per questa ragione la carezzevole musica appare magicamente ammaliante e paurosa" (Elena Petrushanskaya, Presentazione della prima esecuzione italiana della versione della serenata realizzata da Sciostakovic presso il Conservatorio G. Verdi di Milano nel settembre 2006).Questo brano, certo, non è più di un "foglio d'album", eppure quante cose si aggirano intorno ad esso!

 

[2012]

Questi miei cenni hanno avuto un bellissimo seguito. In parte, sotto lo stimolo delle mie estemporanee curiosità, l’intero problema della Leggenda Valacca di Braga è stato ripreso e ristudiato da Giovanni Di Leonardo, Presidente dell’Associazione Culturale “Gaetano Braga” di Giulianova con la collaborazione di Galileo di Ilio e ne è risultato un prezioso libro intitolato: “La leggenda svelata. – La Serenata, Leggenda Valacca di Gaetano Braga. Fonte letteraria, titolo e successo” (Bongiovanni Editore, Bologna, 2012). Il libro non solo ha il merito di scoprire la fonte letteraria del testo di Marcello, oltre ad altri non insignificanti dettagli come la data di composizione dell’opera, ma rappresenta una completa monografia sulla Leggenda fornendo ogni sorta di elementi documentari che illuminano anche lateralmente le vicende della vita musicale dell’epoca. Inoltre l’analisi viene estesa agli aspetti musicali e letterari sino a Cechov e Sostakovic. Un altro dei pregi di questo libro è quello del materiale iconografico annesso, realmente ricco: ritratti, manifesti, copertine delle varie edizioni, spesso molto belle e che “fanno epoca”, cosicché il piacere della lettura e dell’informazione che se ne ricava è arricchito dal piacere di avere a disposizione un simile raro materiale.

Naturalmente, per quanto riguarda i nostri interessi, corriamo subito a vedere che ne è della fonte letteraria e del titolo dell’opera. Risulta incontestabile che il testo non è originale di Marcello: si tratta invece di Die Ständchen (La Serenata) (1810) di Johann Ludwig Uhland. Il testo di dice:

Was wecken aus dem Schlummer mich
Für süsse Klänge doch?
O Mutter, sieh! Wer mag es sein
In später Stunde noch?

“Ich hore nichts, ich sehe nichts,
O schlummre fort so lind!
Man bringt dir keine Städchen jetzt,
Du armes, krankes Kind!”

Es ist nicht irdische Musik,
Was mich so freudig macht;
Mich rufen Engel mit Gesang,
O Mutter, gute Nacht!

Lasciando da parte la prima traduzione italiana del Negrelli (1836), che è poco definire balorda, la poesia letteralmente dice:

Quali mai dolci suoni
mi ridestano dal sonno
Oh, madre, guarda!
Chi può essere ad un’ora così tarda?

“Nulla io odo, nulla io vedo,
continua il tuo così dolce sonno!
Nessuno ormai ti porge una serenata
Mia povera bimba malata!

Non è musica terrena
Quella che mi dà tanta gioia;
Sono angeli che mi chiamano cantando,
o madre, buona notte!

Non vi possono essere dubbi che Marcello riprenda il testo di qui, traducendo, variandolo coerentemente ed anche arricchendolo con intelligenza.

Come abbiamo già rammentato, in calce al testo vi è la notazione “trad. dal valacco” – mentre la parola Leggenda compare come sottotitolo. Ecco dunque la “Leggenda Valacca”! Avevo dunque torto nell’affermare che il titolo autentico fosse “Leggenda Valacca”. A quanto è stato appurato, la Valacchia resta tutta fuori gioco. Forse qualche problema esiste ancora dal momento che la spiegazione proposta dagli autori secondo cui Marcello avrebbe scritto "trad. dal Valacco" in calce al testo per fuorviare l'attenzione di Negrelli, da cui era stato preceduto nella traduzione della stessa poesia di Uhland, è puramente congetturale e d'altronde non si vede come questo trucchetto potesse raggiungere lo scopo; così come esiste soprattutto il problema di capire come mai Braga accettasse questo "falso" addirittura nel titolo della romanza. Ma forse è bene non esagerare. Questa congettura è ragionevole e possiamo tenerla per buona.

Dobbiamo allora cassare con un tratto di penna tutte le belle cose che abbiamo sostenuto in precedenza? Ho riletto tutto con molta attenzione e credo che l’essenziale – ciò che mi premeva sottolineare – debba essere salvato. Sebbene fossero orientate in altra direzione dal punto di vista filologico (ma comunque nell'ambito del romanticismo tedesco e mitteleuropeo), in esse veniva proposta una linea interpretativa che teneva conto di due fattori importanti: da un lato, da un punto di vista metodico generale, dell'insegnamento di Levi-Strauss che nell'analisi del mito e della fiaba, nel cui ambito ci troviamo, non sono gli eventi come tali che contano ma la trama di relazioni concettuali e di senso; dall'altro, in modo più specifico, il fatto che i temi qui in gioco sono tipici del romanticismo in tutte le loro ambigue valenze. Il situare la Serenata in questo contesto mi sembra arricchisca la ricezione dell’unità testo-musica.
 

Non credo dunque che ciò che dicevamo in precedenza venga meno, mi sembra anzi che potrebbe essere rafforzato e arricchito e che sia a sua volta obiettabile la critica assai netta che viene formulata, non tanto di mie interpretazioni o spiegazioni perché nelle mie parole non ci sono né le une né le altre, ma dell’inclinazione interpretativa implicita negli esempi e nelle analogie da me proposte.
 

In realtà io non solo sono grato agli autori di aver dato largo spazio alle mie iniziali curiosità ed alle ricerche che andavo facendo, riferendole per esteso assai correttamente, ma anche del fatto che in questo libro sia stato dedicato un paragrafo apposito per confutare il contesto in cui a mio avviso la romanza andrebbe localizzata, prendendo le mosse dalla recisa affermazione secondo cui il titolo Angel's Serenade prevalso in mondo anglosassone sarebbe stato il "più rispondente alla trama ed al significato della composizione"(p. 68).  Questa affermazione, che sta appunto all'opposto di quanto sostenni a suo tempo - essere questa la peggiore titolatura possibile - viene ripresa e rafforzata e nuovamente ridiscussa  poco dopo (pp. 98-99). Ora voglio dire che sono lietissimo che questa divergenza sia stata così esplicitamente manifestata e sostenuta perché sono profondamente convinto che dalle divergenze nascano ulteriori insegnamenti e motivi di riflessione, e non dalle convergenze che lasciano evidentemente le cose come sono.


Naturalmente dobbiamo ora sottolineare che qui non ci troviamo più sul terreno del documentabile, ma nemmeno su quello della congettura. Ci troviamo su quello più propriamente interpretativo, che lascia spazi aperti alla soggettività dell'interprete. A mio parere ciò non significa totale libertà di dire quello che si vuole. Credo invece che un'interpretazione debba essere preferita ad un'altra se fornisce una più ricca rete di relazioni. L’insistenza sulla “serenità” della morente e sull’atmosfera, vorrei quasi dire, “innocua” della serenata è tale che viene attribuita alla traduttrice Anita Osima (1933, cfr. p. 33) l’inserimento di questa poesia tra i “Canti di morte” (Sterbenklänge), mentre è Uhland stesso che la inserisce sotto questo titolo insieme a Die Orgel ed a Die Drossel come tre momenti poetici di uno stesso tema (L. Uhland, Gedichte, Stuttgart-Tübingen, 1841, pp. 290-291).


Ora, io resto convinto che il riportare la Serenata a quello di un angelo che viene a prendersi l'animuccia della piccola malata e se la porta a mani giunte nelle beatitudini del Paradiso - "sbiadendo" (p. 98) la tragicità della morte -  riduce quest'opera, nel testo e nella musica, ad una immaginetta parrocchiale da quattro soldi. Di Uhland, di Marcello e di Braga non resta proprio più nulla.

Peraltro, questa discussione riguarda per lo più una questione di gusto, cosicché in conclusione desidero confermare il mio più vivo apprezzamento per questo lavoro intanto per la dovizia di notizie che esso contiene - la maggior parte ignote o poco note - ma anche per il modo in cui sono organizzate e proposte che rendono il libro leggibile e attraente.

 

[2017]

Giorgio Pannunzio ha dedicato un attentissimo saggio, assai ricco di informazioni e di riferimenti letterari, sulla traduzione di Marco Marcelliano Marcello. Esso si intitola "Appunti sul contenuto semasiologico della 'Serenata' di Marco Marcelliano Marcello". Questo saggio si può leggere in Academia.edu. Alla sua lettura si rimanda per ulteriori integrazioni.

In esso si segnala tra l'altro che in realtà  la derivazione da Uhland era già stata individuata da J.Bolte, "Der Text von Braga's 'Serenata'", saggio pubblicato in Zeitschrift der Internationalen Musikgesellschaft, Leipzig 1903, pp. 132 sgg. Sul titolo "Leggenda valacca" e sul fatto che Marcello avesse voluto proporre il testo come una traduzione dal "valacco", cfr. in questo saggio la nota 4. In  questa nota si cita un'ipotesi formulata da Walter Scudero in "Serenata dell'angelo, un leitmotiv per la Transilavania" reperibile in "0rizzonti culturali italo-romeni"  nella quale si tenta di riproporre un possibile legame con Tepes-Dracula. Questa ipotesi viene giustamente respinta da Giorgio Pannunzio. Essa appare del tutto priva di fondamento.