Marina Verzoletto si è diplomata in pianoforte nel 1983 e in Filosofia nel 1989. Attualmente è dirigente scolastico [2015].

L'intervista qui riportata è stata pubblicata in "CSN - Comunicazioni Sociali Notizie", mensile della Scuola di Specializzazione in Comunicazioni Sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - febbraio 1992

 



 

 

Segnalata al Premio Filosofia bandito da Ugo Mursia, l'opera di Giovanni Piana, Filosofia della Musica viene ora pubblicata presso l'editore Guerini. Sul tema di questo suo lavoro, il professor Piana, docente di Filosofia Teoretica alla Statale, ha tenuto il 12 febbraio presso I'Università Cattolica una conferenza per la Società Filosofica Italiana. Lo abbiamo incontrato per parlare delle motivazioni e dell'impostazione che hanno guidato la sua ricerca.

D. Perchè un libro sulla filosofia della musica?

R. In Italia mancava finora una riflessione filosofica ed estetica sulla problematica musicale. Questo fatto è dovuto, probabilmente, alla nostra tradizione culturale, che ha riservato questo campo di studi soprattutto a musicologi e storici della musica.

D. Sul versante filosofico ha influito la tradizione crociana?

R. Croce personalmente non aveva interessi di questo genere; è stato applicato da musicologi, ma, appunto, su altri versanti. Una vera e propria riflessione filosofica di carattere generale, un tentativo di assumere il problema musicale sul piano delle questioni fondamentali, è sostanzialmente assente. Questo in contrasto con un ambiente musicale molto vivo, con un interesse crescente da parte dei giovani per la musica in tutti i suoi aspetti. Sul piano della cultura filosofica prevalgono gli interessi letterari, anche rispetto alle arti figurative. Ci sono naturalmente delle eccezioni, come Formaggio, che si è particolarmente interessato alle arti visive. Ho voluto colmare una lacuna, partendo da un interesse musicale che ho sempre avuto molto vivo, ma che non pensavo si sarebbe realizzato anche sul piano filosofico.

D. La musica del Novecento pone con particolare evidenza l'esigenza di una riflessione filosofica generale?

R. Il mio libro non si occupa a fondo della situazione della musica novecentesca nel suo insieme, però nasce dall'esigenza, posta dalla musica del Novecento, di un ripensamento radicale. Questo aspetto, questa riflessione sulla musica nella musica è un tratto caratteristico del Novecento, come se la musica stessa avesse deciso, in un momento particolarmente alto della sua storia, di compiere una riflessione «in grande».

D. Perchè molti musicisti del Novecento sentono il bisogno di parlare e scrivere per spiegare la propria arte?

R. È un fatto significativo, che non si ritrova in altre epoche in queste dimensioni. Nella musica contemporanea vi è una problematizzazione che si svolge dall'interno, un'esigenza sentita dai musicisti stessi. Questo richiede che si abbandonino realmente categorie critiche che dimostrano di non essere adeguate ad una effettiva interpretazione della musica novecentesca. Mi riferisco ad Adorno. È vero che un'opposizione nei confronti di Adorno era già presente quando ci fu la prima diffusione dell’adornismo in Italia: una diffusione che ebbe la sua necessità. Oggi è molto più facile fare una critica ad Adorno, perché questa critica è maturata all'interno della stessa pratica musicale.

D. Si riferisce alla posizione di Boulez e al suo rovesciamento del giudizio adorniano su Scönberg e Stravinsky?

R. Boulez ha mostrato che c'erano altre possibili direzioni interpretative. Però non sono sicuro che questa critica abbia raggiunto un'effettiva profondità. Nel libro non nomino mai Adorno, ma questo è sintomatico di un problema. Non intendo sostituirmi a una linea critica, e riconosco che Adorno ha sostenuto un discorso molto approfondito. Ma sgombrare definitivamente il campo dall'equivoco adorniano è di estrema importanza per capire la complessità della musica novecentesca.

D. Condivide l'opinione di chi sostiene che è musica tutto ciò che i musicisti dicono essere musica?

R. Non nel senso in cui normalmente questa frase viene intesa, nella direzione, che anzi io critico, di una pura convenzionalità. Dire che dobbiamo accettare qualunque cosa faccia una persona professionalmente riconosciuta come musicista è un non senso. Quello che invece dico nel libro, citando una frase contenuta nel librett.o di Calvino per Un re in ascolto di Berio, è che il musicista è il padrone della musica. Se qualcuno dedica la propria vita al suono, alla musica, noi dobbiamo prendere in seria considerazione quello che ci propone. Questo impone all'ascoltatore di aprire bene le orecchie per riflettere ed eventualmente respingere, ma senza posizioni precostituite. Il fatto che non ci siano posizioni precostituite però non vuol dire che tutto vada bene.

D. C'è dunque il problema del limite?

R. Non c’è un problema di limite, nel senso che ci siano dei confini già prescritti, ma un problema di significato che è connesso alle operazioni che vengono compiute. Io devo verificare questo significato, il modo in cui ritengo di poter proporre dei prodotti musicali. Questo modo deve poter avere un senso. L'essenza della musicalità è questo senso: è un discorso implicato che viene condotto all'interno del fatto musicale.

D. Qual è, a questo proposito, il ruolo del critico?

R. Il critico deve ritrovare la sua funzione di sempre abbandonando i luoghi comuni. Oggi egli è un'appendice del compositore,il suo “passaparola”; di fatto non sa che cosa dire.

D. È un problerna di competenza?

R. Non solo, anche di strumenti da usare. Ci sono anche validi critici che si interessano di musica contemporanea. Però il modo in cui a volte il critico usa strumenti di ordine filosofico – e non può non usarli - può essere problematizzato. La problematizzazione riguarda l’intera vicenda odierna della musica: bisogna trovare il senso della problematicità della musica novecentesca, proprio perché abbiamo esaurito un periodo. Siamo a fine secolo: il mio libro inizia con un piccolo paragrafo intitolato “Riflessioni sulla musica del secoloscorso”, ma il secolo scorso è questo. Dobbiamo superare la passiva accettazione di tutto. Dentro questo tutto ci sono cose meravigliose in tutte le varie fasi di sviluppo della musica novecentesca. Abbiamo bisogno di liberarci da categorie e classificazioni che limitano la ricchezza di questa musica. E dobbiamo utilizzare maggiormente e mettere alla prova la quantità enorme di prospettive e invenzioni che che è stata immessa e, per così dire, lasciata lì, inseguendo l’idea di andare sempre oltre.

D. La musica di oggi è ancora lontana dal pubblico?

R. C'è una situazione un po' curiosa. Negli ultimi anni c'è stata un'apertura ai giovani musicisti, soprattutto da parte della committenza pubblica. Ci sono difficoltà, ma la reazione del pubblico è normalmente positiva, e questo meraviglia. Non sappiamo infatti che tipo di comprensione abbia il pubblico, che cosa gli si chieda, che cosa significhi comprendere. Si deve fare uno sforzo nella direzione dell'idea che non è data un’essenza della musica, però ciascun musicista cerca di determinarla. È come se la musica non avesse un'essenza, ma debba averla. Per questo, il pubblico deve essere messo in grado di non limitarsi a una pura accettazione. Sono i musicisti stessi a esigerlo: la loro sperimentazione è un ritorno alle origini, a una situazione in cui si cerca un'essenza che ancora non c'è, ma deve essere costruita.

Intervista a cura di Marina Verzoletto

 


 


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