Su “Mondrian e la musica”

Questo articolo di PierAngelo Sequeri è stato pubblicato in “L’Erba Musica”, V, ott.dic. 1995, n. 20, pp. 43– 45.

La quadratura del tempo. Relazione pura

e architettura dei suoni nella pittura di Piet Mondrian

 

Regressione della pittura che apre all 'utopia della musica. Con questachiave potrebbe essere inteso il bel saggio di Giovanni Piana su Mondrian e la musica. Il codice di ingresso è anzitutto l' interpretazione dell’astrattismo di Mondrian (1872 - 1944).
L'approccio di Piana stabilisce anzitutto che tale cifra non va interpretata, nel suo nucleo genetico e teorico, come semplice abbandono del figurativismo per via di rarefazione degli elementi e stilizzazione delle forme. Si tratta, semmai, di una vera e propria concentrazione dell’elemento (colore) e della forma (spaziale) nell 'algoritmo razionaledell'ordine del quadrato, o meglio: l'ordine del rapporto ortogonale, un ordine che viene contemplato da una soggettività da esso affascinata e che si annulla in questa stessa fascinazione contemplativa (p. 38).
La battaglia, in altre parole, non è tanto contro la rappresentazione più o meno realistica del mondo esterno, ma anche contro quella soggettiva del mondo interno. Secondo Mondrian, la pittura non solo non deve essere imitazione del mondo esterno, ma nemmeno una pittura dell’anima .
È la battaglia contro lo psicologismo insomma: il quale toglie apparentemente all’arte il limite naturalistico della rappresentazione, per poi imprigionarla nei più angusti confini del sentimento soggettivo. In questo senso, non si tratta di ritrarsi dalle forme del mondo per rinchiudersi nella rappresentazione dell’interiorità. Bensì di aprire quelle stesse forme - il mondo infine, è tutto ciò che accade (Wittgenstein) - fino all’essenza universale dei rapporti che il capriccioso groviglio curvilineo dei loro modi "naturali" oscura e occulta. Groviglio prontamente imitato dall'interiorità spontanea dell'accadere soggettivo, dato che il mondo è anche mondo della vita (sempre Wittgenstein). Di qui l'allusione alla matrice delle relazioni che insiste nel rapporto ortogonale: struttura, ma anche metafora, di tutte le relazioni possibili, della loro implicita armonia, della loro nascosta proporzione.
La seconda parte del sistema razionalistico, o iperoggettivistico evocato da Mondrian (più efficacemente nel rigore della sua linea compositiva, che non nella saggistica teorica) è appunto quella che ha più diretto rapporto con l’utopia musicale coeva. Quella cioè che muove i suoi passi verso un futuro immaginato come nuovo cominciamento che prende le mosse dalla struttura originaria del sonoro. In cui la musica deve essere concepita come qualcosa di spaziale, insieme di corpi sonori in movimento nello spazio (Varèse). In questa seconda parte del sistema di Mondrian è chiaramente avvertita l’ambivalenza del duplice e congiunto riferimento al naturalismo (=suono di natura, rumore non codificato) e all’artificialismo ( = macchina intonarumori, suoni artificiali), cui si indirizza l'immaginazione dell’ alternativa. Perfettamente utopica è dunque la prospettiva di una nuova naturalezza (dove l'iperoggettivismo non coincide con l’ipernaturalismo imitativo ma all'opposto con la libertà creativa) e di un nuovo artificio (dove la trasparenza dell 'ordine universale non uccide nessuna qualità individuale).
Nella pittura: I piani rettangolari di dimensioni e colori variabili dimostrano che l’internazionalismo non implica un caos governato dalla monotonia bensì un'unità ordinata e nettamente divisa ... le linee rette in opposizione ortogonale si intersecano costantemente, cosicché il loro ritmo continua nell’intera opera. Analogamente nell’ordine internazionale del futuro i vari paesi, pur essendo reciprocamente equivalenti, avranno il loro valore proprio e diverso ... frontiere nettamente delimitate ma non chiuse (Mondrian, L'arte nuova, la nuova vita -la cultura dei rapporti puri-, saggio del 1931; cit. in Piana, ci t. , pp. 110-111).
Nella musica: La sala, in quanto luogo dove saranno ammessi spettatori in piedi, dovrà facilitare i movimenti, la visibilità e l'ascolto... L'apparecchiatura elettrico-musicale dovrà essere collocata senza essere visibile… Quanto all'acustica, la sala dovrà soddisfare le nuove richieste del suono (anche non musicale) ... non dovrà più essere né una sala di teatro né una chiesa, bensì uno spazio aperto e fresco che soddisfi tutte le nuove esigénze di bellezza e di utilità, della materia e dello spirito (Mondrian, Il neoplasticismo nella musica e i bruiteurs futuristes italiens, saggio del 1921; Piana, cit., pp. 111-112).
In altre parole, si tratta di giungere anche nell’ambito della musica ad una apertura della forma capace di evidenziare la pura relazione , l’algoritmo della pura combinatoria spaziale del "puro suono": “Come il colore nella pittura, così il suono nella musica deve essere determinato, e in virtù della composizione e in virtù del mezzo plastico esatto dell'universale. La composizione vi perverrà utilizzando suoni che siano fissi, piani e puri ... La costruzione e la materia dei nuovi strumenti avranno la massima importanza” (Mondrian, Il Neoplasticismo, principio generale del! 'equivalenza plastica, saggio del 1920; Piana, cit., p. 113).
Alla fine del libro, che vi invitiamo a leggere attentamente, possiamo chiederci con l'A.: quali suoni in luoghi come questi? (Piana, cit., 112) Ma forse possiamo anche aggiungere: quali luoghi per suoni come questi? Luoghi dove non accade nulla (né dentro, né fuori)? Non-mondi dunque , e giustamente non-luoghi (ou-topoi)? La forma aperta, la pura relazione, l’ordine ortogonale, sono in effetti a un capello dallo spazio perfettamente omeostatico dove in realtà non accade nulla di diverso dall’armonia prestabilita (adombrata del resto esplicitamente, mi sembra, dalle metafore di Mondrian sulle frontiere equivalenti e sulla stanza multimediale). Questo mondo è ancora un mondo "dell'accadere", o addirittura " della vita"? Piana, che è un vero filosofo, distribuisce accortamente, come le mollìche di un Pollicino sapiente, i punti nodali in cui si nascondono le contraddizioni che - toccate dalla provocazione di Mondrian - dovrebbero poi essere affrontate dalla filosofia (in generale , e specialmente da una filosofia della musica).
Per esempio: la questione del rapporto fra il singolare e l’universale, fra la sostanza e la relazione, fra la materia e la forma. Ma anche fra il tragico naturale e il tragico umano, e persino fra il naturale e il sovra-naturale. Mi sembrano del resto questioni riducibili a due: quella del rapporto fra l 'uno e il molteplice, e quella del legame fra l’ente dato (''in rerum natura") e il possibile non previsto (nel "regno della libertà"). Ma a questo punto siamo in pieno filosofese. Eccesso che Piana evita con il consueto garbo, lasciando intatto il piacere del lettore anche non specialista.
Però il problema della educatio formarum è un problema la cui elusione nuoce, mi sembra, all’intrigo suscitato dalla invenzione di Mondrian; e forse, rende meno efficace il chiarimento del tragitto che unisce il suo razionalismo con la sua utopia. Che in ambito estetico, è il problema (non da poco) del rapporto fra il dato e l'immaginazione. (Dunque, delle condizioni di possibilità dei possibili). Rimane a me l'impres-sione che Piana sia stato alquanto generoso con il "suo" autore. Ma l'appassionato scavo fenomenologico che da un tale "intelletto d'amore" si ricava, in punto di merito, ricompensa ampiamente il lettore (v . soprattutto le pagine dedicate al tema della forma/armonia -pp. 20-42- e della natura/suono -pp. 53-78). La domanda finale e fuori testo, per continuare a parlare una prossima volta, potrebbe essere: il luogo proprio dell’utopia non è forse solo il tempo? Non è forse proprio così che il tema di ogni possibile utopia, certamente non-localizzabile, svolge la sua funzione: senza farci ricadere all'indietro verso la metafisica della sostanza, e senza costringere l’immaginazione a cercare rappresentazioni naturalistiche dell'essenza della relazione? La domanda è fuori testo, ma - spero - non fuori tema. Ché, se fosse in tema, allora non sarebbe neppure improbabile un pensiero della musica che la ricomprende - in modo del tutto non convenzionale - come arte puramente temporale. Non nel senso convenzionale e scolastico della sequenza empirica, certo. Ma neppure in quello moderno e psicologico della semplice durata interiore. Il tempo puro come relazione pura (in questo senso omologo alla pura spazialità della relazione originaria) ,  epperò indirizzata. Perché l 'indirizzamento - cioè il senso, come direzione/verso - ha un residuo di sequenzialità  che sopporta la ripetizione,  ma non la perfetta equivalenza  di tutte le direzioni, per poter vivere.  In questo senso la relazione  puramente temporale è anche puramente  u-topica: perché non è vincolata  ad una determinata dislocazione  o percorso dell’indirizzamento. Del  resto anche la visione del quadro,  della rappresentazione, della combinatoria delle forme, è costituita  dalla ripresa di molti percorsi, a  partire ogni volta da diversi punti di  partenza: ma appunto, è il fatto che  siano per-corsi, dunque sequenze  temporalmente delineate, che rende  intelligibile ed eseguibile il progetto  di individuare un senso. La musica  consente di delineare simbolicamente  percorsi allo stato puro,  senza dislocazione appunto. Ma  non per questo è necessariamente  sottratta (e come potrebbe; questa è  appunto l’ingenuità psicologica e  mistica della musica) alla plasticità  delle relazioni. Come del resto già  nel romantico Schelling, e nel neoromantico  Bloch, si trova.  In tale prospettiva, non senza l’opportunità  di integrare la suggestiva  "utopia" della struttura "inventata" da Mondrian, l'eidos della musica  riuscirebbe a sfuggire compiutamente allo psicologismo arbitrario  che vi si è parassitariamente insediato,  senza per questo rinunciare  al novum della storia (in cui è comunque  allocata). Proprio come del  resto, già una volta, la musica è  sfuggita all'ingenuo e ripetitivo naturalismo  delle cascate e dei canti  degli uccellini, mediante l’invenzione  dello strumento musicale (che è  già artificio: vincolante e liberatore  al tempo stesso, rispetto alla cattiva  immediatezza del guscio troppo  vuoto di armonia e dell’anima troppo  piena di capricci). In questo senso,  è vero, il problema della innaturalità  (=possibilità) della musica  è originario. E ciò che noi vi  sentiamo è realmente sempre già secondario.  Ma, quanto all'artificio,  il violino e il sintetizzatore sono  "macchine dei suoni" che contengono  più somiglianze che differenze  (fra quante se ne danno in rerum  natura). Naturalmente, si tratta poi  sempre di sapere in che senso siamo  noi a suonare il violino, e in che  senso ne siamo invece suonati. E Piana, che è anche buon violinista,  sa bene che non è tanto facile determinare  la linea della differenza.

PierAngelo Sequeri


 

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