Angela Ales Bello è professore emerito di Storia della Filosofia Contemporanea presso l’Università Lateranense di Roma, già Preside della Facoltà di Filosofia, e professore a contratto presso la Libera Università Maria Assunta; ha tenuto corsi presso l’Università Urbaniana e attualmente è docente presso l’Ateneo Antoniano. E’ Presidente del Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, con sede in Roma, affiliato a The World Phenomenology Institute (U.S.A.). [2016]
La recensione che segue è stata pubblicata in "Segni e comprensione",
n. 7, III, 1989
L'immaginazione è il sottile filo conduttore dei quattro saggi che compongono il libro di Giovanni Piana, La notte dei lampi, Milano 1988, pp. 283. Il tema dell'immaginazione sta attirando l'attenzione di molti studiosi, ma è quasi obbligatorio che sia trattato da chi si interessa di estetica. Non si può sostenere, tuttavia, che il libro di Piana affronti solo questioni di estetica, ma già dalla scelta del titolo, tratto dal Primo manifesto del Surrealismo di André Breton, appare una linea di indàgine diretta ad evidenziare l'uso estetico dell'immaginazione; ciò, d'altra parte, è confermato dalla scelta degli autori esaminati e delle loro opere: G. Bachelard, la Poetica dello spazio, J. W. Goethe, la Teoria dei colori, E. Cassirer e la sua Filosofia delle forme simboliche. In ogni caso, muovendo da questa problematica, la riflessione di Piana si allarga fino ad affrontare la questione dell'esperienza e della conoscenza tout court pur privilegiando sempre il momento dell'immaginazione. L'analisi - questo mi sembra l'aspetto distintivo del libro in esame - viene condotta attraverso l'applicazione del metodo fenomenologico e in modo abbastanza fedele alla fenomenologia classica, quella di Husserl. E non si tratta solo di presenza di alcune citazioni dalle Idee per una fenomenologia pura di Husserl, ma dello stile dell'indagine.
In primo luogo in ogni saggio si procede ad un confronto con la fenomenologia husserliana; in tal modo si coglie acutamente la differenza fra la posizione di Bachelard e di Cassirer da un lato e quella di Husserl dall'altro. Se Bachelard parla di fenomenologia, (Il lavoro del poeta. Saggio su Gaston Bachelard), in realtà la intende, secondo Piana, come un procedimento di identificazione emozionale che è lontano dalla 'descrizione' proposta da Husserl e dalla sua insistenza non solo sul messaggio spirituale, ma anche sulla corporeità. Parimenti, per quanto riguarda Cassirer (L'immaginazione sacra. Saggio su Ernst Cassirer), se si può parlare di una 'fenomenologia strutturale', bisogna, però, stabilire i confini che la separano da quella husserliana. Piana osserva che mentre l'accostamento dei due termini può rientrare nello spirito di un'autentica ricerca fenomenologica - in particolare se al termine 'struttura' si dà il significato, come egli suggerisce, di evidenziazione di tipicità in quanto modalità peculiare di organizzazione del mondo - a differenza della impostazione husserliana, in Cassirer è presente una impronta idealistica di tipo hegeliano.
L'esigenza di individuare la peculiarità dell'analisi fenomenologica - e questo è il secondo aspetto importante del libro - non indica soltanto un desiderio di chiarezza interpretativa, ma una precisazione nella definizione del metodo fenomenologico in vista di una sua applicazione. Ciò trova conferma negli ultimi due saggi dedicati a Colori e suoni e Riflessioni sul luogo; in fondo il tema intorno al quale ruotano è la costituzione della cosa materiale con la quale si apre il primo. Si tratta di una rilettura dell'analisi proposta da Husserl in particolare nel secondo volume delle Idee per una fenomenologia pura; pur non essendoci una concordanza in tutti i risultati, si costata l'accettazione dello stesso piano dell'indagine e delle sue modalità. Com'è noto non è possibile riassumere un procedimento analitico, si possono solo indicare alcuni punti d'arrivo. Attraverso un serrato esame dell'opera di Goethe, Piana propone un'analisi fenomenologica che vada ." ... anzitutto alla ricerca di quei fenomeni inderivabili che aprono perciò stesso la via a una comprensione autentica" (p. 204). Ciò in polemica contro ogni riduzione fisicalistica e trasposizione linguistica, in un autentico spirito fenomenologico.
Ritengo che in questo senso debba essere intesa l'affermazione di Piana, secondo la quale la componente fenomenologica debba essere risucchiata entro una matrice 'naturalistica'. L'espressione, presa in se stessa, non indicherebbe certamente una prospettiva fenomenologica, come è noto Husserl voleva superare ogni atteggiamento naturalistico; ma il rivendicare questo aspetto dell'indagine può avere un senso in rapporto ad un'impostazione neopositivistica o analitica del linguaggio. L'indagine di fenomeni come il colore, il suono, lo spazio, deve essere condotta in modo tale che se ne colgano i momenti originari e irriducibili, proprio in senso fenomenologico.
Per quanto riguarda il suono scrive Piana: "I suoni non sono fatti di tempo. La temporalità si rapporta al suono così come l'estensione spaziale al colore: essa rappresenta uno schema vuoto che la qualità sonora deve riempire. [ ... ].La differenziazione del tempo è operata dai suoni stessi, in forza delle particolarità del loro contenuto, della loro concreta sostanza sonora" (p. 226).
Parimenti per lo spazio: "Lo spazio che viene scorto dal luogo è tutto meno che un grande contenitore: in rapporto ad esso si fanno valere soltanto le differenze del chiuso e dell'aperto, ma anche del vicino e del lontano. Il tema del vicino ci porta al luogo, il tema del lontano allo spazio" (p. 273). Nel saggio su Cassirer, e in quello Riflessioni sul luogo in cui si tratta del tema dello spazio, si ripropongono due questioni affrontate da Husserl nei manoscritti degli anni trenta. In realtà Piana non fa riferimento a questi ultimi, né al pensatore tedesco, ma il lettore abituato ad una frequentazione delle tematiche husserliane non può non cogliere alcune affinità o stabilire alcune connessioni.
La prima questione è di carattere antropologico e riguarda il rapporto fra percezione e appercezione. In verità l'Autore non la pone in questi termini, ma, discutendo il valore del simbolo nella filosofia di Cassirer, riprende l'analisi di Lévy-Bruhl e il commento che ad essa aveva fatto Bergson. Si può osservare che nel momento di elaborazione dei testi della Crisi proprio Lévy-Bruhl avrebbe suggerito a Husserl attraverso le sue opere - come è testimoniato nella lettera inviatagli da quest'ultimo l' 11. 3. 1935 - la necessità di un confronto fra le diverse culture e in particolare lo avrebbe fatto riflettere sui cosiddetti primitivi. Parallelamente Husserl approfondisce, come è indicato in alcuni manoscritti - ad esempio il Ms. trans. A VII 12, Apperzeption-Probleme der Weltanschauung, febbraio 1932 - il rapporto fra percezione e appercezione, la prima come conoscenza della cosa in senso fisico-naturale e la seconda come strumento per comprendere il valore culturale come valore spirituale. Sembra proprio che tale distinzione sia richiamata da Piana quando egli ricorda la polemica fra Bergson e Lévy-Bruhl a proposito della indifferenza dei primitivi rispetto alle cause naturali (p. 144 e seguenti). Piana fa sua la distinzione, sottolineando che la soluzione mitico-magica non è così onnicomprensiva per il primitivo come si potrebbe supporre, avvicinandosi in tal modo, anche se indirettamente e per altre vie, alla posizione di Husserl. Indubbiamente questa discussione travalica una semplice questione di antropologia culturale; si tratta più in generale di un problema gnoseologico che investe addirittura il rapporto descrizione fenomenologica-interpretazione ed in ultima analisi investe anche il campo dell'ermeneutica. La posizione di Piana, nel rimanere husserliana, si delinea come autenticamente fenomenologica; in ogni caso ci si potrebbe domandare fino a che punto sia sostenibile la distinzione percezione-appercezione che porta con sé la opposizione natura-cultura. Pur non accettando la prospettiva ermeneutica, che contesta il modo di intendere la percezione come univoca in ogni tempo e luogo dal momento in cui fornisce le caratteristiche 'naturali': si può sottolineare che non basta richiamare l'attenzione sul comune riconoscimento dei rapporti causali naturali, perché la mentalità primitiva non sia definibile mitico-magica, infatti il modo di vivere la natura e il rapporto soggetto-natura non può essere avvicinato a quello delle cosiddette civiltà avanzate; piuttosto da un punto di vista fenomenologico ci si può domandare se non sia possibile procedere ad un'analisi delle strutture portanti di quelle culture, risalendo ai vissuti che sono alla base, come d'altra parte sembra indicare anche l'Autore: "La questione non verte infatti sulle nostre convinzioni filosofiche. o su quelle dei primitivi: non si tratta di prendere decisioni sulla natura in sé degli eventi, ma sulla nostra esperienza di essi" (p. 145). Più problematico è, però, quanto egli aggiunge di seguito:" ... e per quanto le nostre convinzioni possano pesare su questa esperienza, non riusciremo probabilmente a ricondurle integralmente sul piano stesso del vissuto, che è il piano su cui quella discriminazione viene operata" (ibidem). Si può osservare, infatti, che è proprio attraverso una corretta analisi del vissuto, da intendersi non come immedesimazione ma come descrizione strutturale, che il compito fenomenologico lungi dal cedere alla tentazione di un'interpretazione 'infinita' e del riconoscimento dell'impossibilità di uscire da una cultura potrebbe dilatarsi ad una conoscenza valida degli elementi portanti del mondo-della-vita. Nel realizzare tale compito è necessario mettere in crisi il rapporto percezione (che dà una conoscenza della natura in se stessa)-appercezione (che dà la conoscenza della cultura) così come è proposto da Husserl e in una certa misura avanzato anche da Piana, per sottolineare quali siano gli elementi strutturali del vissuto che l'indagine sull'appercezione può evidenziare come portanti nelle diverse culture e permettere un loro valido riconoscimento.
La discussione su questo tema dovrebbe essere condotta certamente in modo più approfondito, ma ciò porterebbe lontano; in ogni caso qui si vuole sottolineare l'attualità e l 'importanza delle tematiche affrontate dal libro in esame. Un secondo punto in cui Piana sembra richiamare problemi trattati da Husserl, è rappresentato dall'indagine del rapporto terra-mondo, contenuta nel saggio su Riflessioni sul luogo. Nel Ms. trans. D 17, Umsturz der kopernikanische Lehre in der gewoenlichen weltanschaulichen Interpretation. Dir Ur-Arche Erde bewegt sich nicht(1934), Husserl analizza una serie di vissuti che fanno della terra un Boden, un suolo: mentre il mondo (Welt) si presenta con una doppia configurazione, come l 'insieme di tutto ciò che ci circonda (Umwelt) e come corpo celeste (Koerper). Quest'ultimo significato è legato fortemente ad una prospettiva culturale che deriva da una particolare concezione astronomica. Allo stesso modo Piana fa notare che "... la terra e il pianeta non sono affatto la stessa cosa. [ ... ]. La terra, intesa così, è il teatro della nostra vita" (p. 276).
Si può notare, quindi, che sia nel modo di considerare lo spazio, come in molti altri punti dei quattro saggi, Piana dimostra un'adesione di fondo alla sua formazione fenomenologica, applicando con spirito critico e originalità il metodo fenomenologico ad un ambito così complesso e affascinante, quale è quello dell'immaginazione.
Angela Ales Bello