Maria Sinatra


 

Maria Sinatra è professore ordinario di Psicologia Generale  presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari. È membro del Comitato scientifico dell’European Society for the History of the Human Sciences, dell’American Psychological Association (APA), della Società Spagnola di Psicologia (SEHP), dell’APA (American Psychological Association), socio ordinario dell’AIP (Sezione di Psicologia Sperimentale) e della Cheiron (The International Society for the history of behavioral & social sciences).

Bibliografia

 


 

La seguente recensione è stata pubblicata sulla "Rivista di Filosofia", Torino 1979.

 


 

Scopo principale di Piana è quello di rimettere in discussione alcuni problemi cruciali dell'indagine filosofica, quali la percezione, il ricordo, l'immaginazione e il pensiero, visti alla luce del loro rapporto oggettuale con l'esperienza. Chiave di lettura ne è, fondamentalmente, il metodo fenomenologico, a cui viene dato, però, un reciso orientamento: per un vero, Piana non si lascia sedurre né limitare da quello che egli chiama il "pesante groviglio della terminologia husserliana" (p. 10) e, per l'altro , la sua "interpretazione dell'idea di una filosofia fenomenologica... non può essere senz'altro ricondotta a Husserl per il semplice motivo che essa si arresta molto prima del punto a cui egli ritenne di poterla condurre" (p. 10). Di conseguenza, il lavoro di Piana, anche se può essere risutato nel prolungamento della fenomenologia segnatamente husserliana, è, nello stesso tempo, ben altra cosa che non la semplice fruizione dell'eredità di una filosofia o di un metodo anteriori, ché il risultato, lontano dall'essere una mera esposizione o commento del contributo fenomenologico husserliano è qualcosa di autono e di originalmente pensato secondo una ispiraziondall'Autore dià testimoniata in precedenti lavori quali la Introduzione all'edizione italiana delle Ricerche Logiche, la discussione del nesso esistenza/storia negli inediti husserliani, I problemi della fenomenologia e la Interpretazione del 'Tractatus' di Wittgenstein.

L'orientamento di Piana è reso evidente dalla scelta metodologica per la quale, anziché restringersi alla pura descrizione degli stati psichici quali la percezione, il ricordo, ecc. sulla base dei numerosi dati che la scienza psicologica contemporanea può mettere a disposizione, si opera una selezione di quei fatti e di quei dati che più direttamente si offrono ad una puntualizzazione di tipo filosofico. Tale criterio di trattazione permette a Piana di sistemare, sotto un omogeneo filo conduttore, una vasta molteplicità di fenomeni, con esiti spesso sorprendenti per la novità di certi accostamenti. Lo stesso titolo Elementi di una dottrina dell'esperienza non deve, infatti, far pensare ad una formula semplificatoria motivata da postulati associazionistici. Esso, invece, contro ogni indirizzo a carattere introspezionistico e/o empiristico-logicizzante, rimanda ad una riflessione sugli aspetti strutturalistici delle singole "facoltà" a partire dalla loro "elementarità, che indica un orientamento verso i problemi più semplici e che proprio per questo debbono essere discussi per primi" (p. 10). In questa prospettiva il metodo fenomenologico viene inteso da Piana come un "metodo di caratterizzazione degli atti di esperienza attraverso l'esibizione di differenze di struttura"(p. 10): precisazione, questa, che ci sembra rinvii direttamente al terreno largamente battuto da Husserl, per il quale l'analisi dell'esperienza kantiana non ha raggiunto "una comprensione evidente dei gradi inferiori dell'esperienza: un compito cui Kant non si è reso conto e di cui, quando l'ha sfiorato, non ha presentito la vastità. Per questo manca nella sua opera persino la necessaria formulazione del problema" (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino 1965, p. 903). L'esperienza deve essere, perciò, colta nelle sue struttura essenziali, la "visione originariamente offerente" è l'esperienza nella sua essenzialità "che può essere un'esperienza soltanto se altre oggettività valgono come oggettività dell'esperienza" (ivi, p. 805), cioè, se sono già presenti oggettività costituite dai corrispettivi momenti di apprensione e, quindi, dalle forme fondamentali degli atti originariamente presenti.

Va sottolineato che Piana, almeno nella Prefazione, lascia in una consapevole indeterminatezza il senso del termine "esperienza", che solo in seguito gradualmente tenta di risolvere. È quanto fa nel capitolo riguardante la percezione, dove leggiamo: "... a noi non preme qui l'esatta delimitazione di un concetto, ma l'indicazione di uno spazio aperto di problemi. Per questo ci interessa proprio il mostrare che, a partire da una nozione di esperienza circoscritta alla costituzione percettiva di un mondo per noi, si impone senz'altro un ampliamento che non ha nulla da rimetterci per il fatto di condurre ad una relativa indeterminazione. Ciò che qui chiamiamo 'mondo per noi' e che potremmo anche chiamare mondo concretamente esperito o mondo di esperienza non è infatti soltanto e nemmeno è anzitutto un mondo della percezione. Ad esso... partecipano meccanismi soggettivi di ogni genere - e sono questi dinamismi che noi riconduciamo sotto il titolo di esperienza nella sua accezione più ampia" (p. 20).

Punto di partenza del saggio, diviso in quasttro capitoli corrispondenti agli stati sichici dianzi citati, è la tematica relativa alla percezione, che si configura come problema delle condizioni in cui essa scaturisce, del perché, dunque, e del come si costituisce e delle funzioni che assolve. Ciò porta, in primo luogo, all'esame del rapporto di fondazione della percezione con la filosofia che, nella visione di Piana, produce un ampliamento e/o cambiamento della prospettiva tradizionale. In genere, infatti, si ammette che "la percezione" sia "fonte di conoscenze" (p. 15); ma Piana, partendo dall'analisi delle modalità costituenti il processo di strutturazione della stessa percezione, vi distingue due momenti: "... attraverso percezioni talora veniamo a sapere qualcosa. Ad esempio: se vogliamo sapere che c'è dentro una stanza, dobbiamo aprire la porta e guarda in essa. Accertiamo in questo modo che nella stanza vi è un violino appeso alla parete di fronte. In luogo di 'accertamenti percettivi' pootremmo parlare di 'constatazioni'. Ina constatazione, poiché in essa veniamo a sapere qualcosa, può indubbiamente essere indicata come una conoscenza" (p. 15). E tale chiarificazione è necessaria poiché "E' certo... che la nozione di conoscenza che le constatazioni chiamano in causa è... la più debole possibile. Attraverso constatazioni veniamo a sapere qualcosa - e niente altro. Per questo converrebbe evitare di parlare del "problema della conoscenza" come se esso comprendesse indifferentemente sia le constatazioni che quei sistemi complessi di conoscenze che chiamiamo scienze. Per quanto possa sembrare strano all'orecchio, il concetto di scienza non è affatto contenuto nel verbo 'scire'"(p. 17). Dunque, "è necessario liberare una considerazione filosofica della percezione dalla sua subordinazione al problema della conoscenza" (p. 18), giacché del resto, "in questione non è il conoscere ma in primo luogo l'esperienza del percepire" (p. 19).

Partendo dal presupposto che la percezione  non è una riproduzione esatta della situazione stimolante, anzi può fondamentalmente contraddire i dati fisici che la determinano, Piana fa chiara allusione alla distinzione operata, a partire da Kant, tra Erscheinung e Phaenomen, la cosa, cioè quale ci appare e la cosa in é, e originalmente ripresa da Husserl allorché, nel & 131 del primo libro delle "Idee", pone l'oggetto come l'identico, il 'soggetto' di tutte le sue determinazioni possibili e l'oggetto stesso nella determinatezza di questo o quel predicato, onde si distinguono l'oggetto noematico ut sic e l'oggetto nel come delle sue determinatezze" (E. Husserl, Idee, op. cit. pp. 292-295).

Questa distinzione, però, interessa qui solo nella misura in cui serve a precisare che "i fenomeni, le immagini sono la mediazione attraverso cui la cosa si presenta percettivamente" o, detto altrimenti, "che ci sono mediazioni fenomeniche nella percezione" (p. 21). Piana chiarisce subito che l'immagine, a differenza della "raffigurazione", sta ad indicare un oggetto che rappresenta un altro, cioè l'originale, e si ricollega alla caratteristica propria delle cose di presentarsi agli atti percettivi in sé stesse, nella loro 'immediatezza' (cfr. pp. 22-23).

Infatti: "In rapporto alle raffigurazioni avrebbe infine un senso ben definito affermare che l'originale è solo indirettamente presente attraverso una copia... Nel guardare il ritratto, vedo il volto di quella ersona, ma essa non si trova effettivamente di fronte a me, in carne ed ossa, ma soltanto attraverso la sua immagine" (p. 23). Cosicché "le immagini di cui parliamo a titolo di mediazioni fenomeniche non sono affatto calchi delle cose che si presentano in esse" (p. 23), esse sono le stesse cose che si presentano "originalmente", in carne ed ossa, nella loro immediatezza attraverso i processi di mediazione.

Il senso di tale immediatezza si intende meglio, ove si riprenda quanto Piana dice a proposito del carattere di "spontaneità della posizione dell'oggetto nella constatazione di fronte alla passività dei processi della costituzione percettiva" (p. 30). Ciò, naturalmente, nulla toglie a "quel momento soggettivo dell'interesse che appartiene alla struttura dell'atto" (p. 30) o, come direbbe Husserl, alla costruzione del noema come oggetto intenzionale dell'atto intenzionale (noesis) (cfr. Husserl, Idee, op. cit., pp. 198-218). Dice Piana testualmente: "In rapporto alle immagini come raffigurazioni appare... la necessità di un'analisi 'intenzionale', di un'analisi cioè che chiarisca il carattere dell'poggetto attraverso differenze riguardanti i modi di intenderlo, implicando così in modo determinante il lato soggettivo della correlazione esperienziale" (p. 64). Un simile recupero della soggettività significa recuperare la soggettività nel suo collegamento con l'oggettività.  Perciò fenomenologicamente (e sotto questo riguardo, la fenomenologia si pone in continuità con il criticismo di Kant), il problema della conoscenza è fondamentalmente problema di costituzione: le strutture del mondo possono essere comprese solo partendo dalla coscienza (intesa trascendentalmente e non psicologicamente), coscienza nella quale Husserl non vede soltanto un elemento formale della conoscenza, ma un dato concreto vissuto immediatamente come coscienza: l'oggetto, così, non sarà una costruzione di questa coscienza, bensì la sua automanifestazione.

Si colgono, a questo punto, quello che, forse, sono le più rilevanti affinità tra l'impostazione di Piana e quella fenomenologica classica (husserliana), che emergono nella riproposizione del problema dello spazio-tempo nella strutturazione dei dati immediati della coscienza, del rapporto tra le parti e l'intero, della percezione intesa come processo correlato con la "personalità" (Erlebnis) del soggetto percipiente, ossia, come fatto psichico attivo risultante dalla personalità e dalla dinamica contestuale o "orizzonte storico-culturale" (p. 44) e, infine, del principio di sintesi passiva. Per Husserl, va ricordato, la percezione sensibile coglie direttamente il proprio oggetto e tale immediatezza sta a indicare che un determinato contenuto oggettuale non viene colto in una molteplicità di atti relazionali, ma è costituito nell'immediatezza della sua presenza puntuale (cfr. E. Husserl, Ricerche logiche, VI, Il saggiatore, Milano 1968, vol. II, p. 448). Di conseguenzsa, la sintesi operata dal soggetto percipiente è passiva, non processuale, è un "atto", non un'"attività" (p. 30), come precisa Piana.

Alla sintesi passiva, com'è noto, Husserl dedicò una lunga riflessione ora documentata nell'XI volume delle opere complete che raccoglie lezioni e scritti preparatori degli anni 1918-1926 (E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis, Nijhoff, Den Haag, 1966) e che, significativamente, si apre con la introduzione su Die Selbstgebung in der Wahrnehmung  e prosegue sui seguenti temi: Modalisierung, Evidenz,Assoziation, Das Ansich des Bewusstseinstroms, ecc. Già la elencazione di questi titoli rende conto della opportunità dell'osservazione di Piana che sintesi passiva non vuol dire affatto mero rispecchiamento del dato, vuol dire, piuttosto, che "quanto a ciò che ci appare percettivamente noi non possiamo farci proprio nulla" (p. 31), insomma il percepito in quanto percepito ha, noi diremmo, con un termine mutuato da Wittgenstein, una sua "inesorabilità".

Sarebbe qui utile ricollegarsi all'atteggiamento di Husserl che, di fronte alla "critica della ragione" rimprovera a Kant di non analizzare la sfera degli atti e di escludere il concetto di intuizione del generale,ed è proprio su queste considerazioni che ci si dovrebbe soffermare perché indicative delle 'intenzioni' di Piana: se, infatti, Husserl - sulle orme di Stumpf e di Brentano - fa oggetto di particolare attenzione le strutture conoscitive intese come stati di coscienza (atti) contraddistinti dal riferimento al piano dell'oggettività sul quale si dànno i loro contenuti "intenzionali", Piana, invece, ci sembra dia importanza anche al modo in cui l'oggetto si manifesta al soggetto percipiente; prova ne sia il suo giusto intervento critico sul rapporto Husserl-Stumpf (cfr. pp. 57-59), il cui risultato è che bisognerebbe considerare "il campo percettivo, nella varietà delle sue formazioni sensibili, come un campo di tipicità strutturali, di cui debbono essere indagate e specificate le condizioni fenomenologiche" (p. 59). Non a caso, allora, Piana, "nel prospettare il problema delle sintesi percettive" recupera "la tematica dell'associazione, benché in un contesto interamente nuovo" (p. 59) (puntualizzazione, questa, molto pertinente essendo il concetto di "sintesi creatrice" di origine wundtiana) e, quindi delle relative regole: "il parlare di regola è certamente importante perché rappresenta un'indicazione del sussistere di ragioni interne alla situazione percettiva per il costituirsi di una certa organizzazione del materiale percettivo piuttosto che di un'altra (p. 59).

Mentre dunque per Husserl, appartenendo gli oggetti intenzionali alla stessa corrente di esperienza a cui appartengono gli atti intenzionanti secondo lo schema ego cogito cogitata qua cogitata, la ricerca va effettuata soprattutto sul mdo di darsi dei cogitata al soggetto e cercando le loro determinazioni solo nella correlazione con la soggettività costituente, il problema di Piana consiste nel chiarire meglio, sempre restando all'interno delle correlazioni struttura d'atto/strutture d'essere (o relazione noetico-noematica) e di 'descrivere' le oggettività nei loro aspetti strutturali.

Le osservazioni fatte finora restano valide anche per i successivi campi di indagine. Partendo dal presupposto che, nel 'ricordo', contro ogni intervengo introspezionistico basantesi sulla 'qualità' del contenuto, riaffiora invece la connotazione temporale (cfr.p. 79), giacché ricordare vuol dire "volgere lo sguardo indietro - nel tempo" (p. 73), Piana individualizza una "struttura di rinvio:  tra l'esperienza presenta e l'esperienza trascorsa vi è un legame associativo sulla cui base la prima agisce sulla seconda rendendola nuovamente attuale nel ricordo... L'azione del ridestamento può essere intesa come una vera e propria sintesi di nuovo genere: ed ancora una volta, come una specie particolare di sintesi passiva" (p. 88). Formandosi così una catena di ricordi, un processo, cioè, di cui il ricordo è un singolo momento, "debbono esserci in ogni caso regole di esso, esso deve avere una struttura, per ogni suo passo debbono esserci dei motivi" (p. 89).

E' in tal senso che "l'immagine famosa proposa da James e ripresa da Husserl della coscienza come 'flusso' di esperienze può essere fuorviante. In essa sembra che vada perduta... l'idea del sussistere di connessioni interne tra le esperienze strutturalmente definite... Invece l'idea che questo flusso accada secondo regole, che le vicende dell'esperienza siano determinatamente articolate, che nel fluire si faccia valere una razionalità interna che è la razionalità dei motivi, deve passare in primo piano... La nozione di catena... deve poter essere applicata... ad ogni processo dell'esperienza in genere" (pp. 89-90).

La dimensione temporale, dunque, è sempre presente nella prospettiva di Piana, e lo sarà soprattutto nelle pagine dedicate all'immaginazione, dove confluiscono temi che spaziano dall'orizzonte della psicologia del profondo (il "simbolo" nella interpretazione freudiano-junghiana) al campo di realizzazione di concetti fenomenologici in sede estetica (Klee - Kandinsky). Tuttavia, prima di affrontare più da vicino la questione riteniamo opportuno riportare alcune precisazioni di Husserl che, ci sembra, possano fare da introduzione al pensiero di Piana. Dice Husserl: "La forma del tempo non è solo... una forma di individui in quanto sono individui che durano, ma ha anche oltre la funzione di unificare gli individui in una unità collegante... Gli oggetti individuali della percezione hanno la loro reciproca posizione nello spazio sul fondamento del loro essere insieme in un tempo. Per parlare più propriamente, il tempo mediante cui essi sono unificati non è  il tempo soggettivo degli Erlebnisse percettivi, ma il tempo oggettivo che appartiene al loro senso oggettivo" (E. Husserl, Esperienza e giudizio, Silva, Milano, 1960, pp. 171-172).

Scrive Piana: "... l'esperienza dell'immaginare è connotata temporalmente in modo altrettanto determinato quando una qualunque esperienza di altro tipo... Le differenze sussistono invece se consideriamo le cose dalla parte dei correlati dei vissuti. Nel ricordo...l'evento ricordato ha una sua propria connotazione temporale, ovviamente non coincidente con quella che spetta all'esperienza del ricordare... L'ora in cui ricordo e l'ora di ciò che viene ricordato non hanno a che vedere l'uno con l'altro in quanto sono riferibili a luoghi del tempo come due punti sulla stessa retta. A questa immagine non intendiamo rinunciare, così come del resto vogliamo ammettere senza discussioni il requisito dell'unicità del tempo che sta alla base delle nostre considerazioni" (pp. 120-121). Proprio perché, dunque, bisogna "distinguere con chiarezza l'esperienza dell'immaginare come atto, come vissuto, dai contenuti immaginativi che sono i suoi correlati" (p. 120), questi ultimi sono caratterizzati da una certa indeterminazione temporale e acontestualità:"Se immagino di fare una passeggiata, la domanda 'quando?' riferita all'evento immaginato giunge comunque fuori luogo" (p. 121).

La tripartizione tra percezione, memoria e immaginazione si suole far corrispondere, generalmente, alla tripartizione tra presente, passato e futuro. Ma, per la verità, il rapporto tra immaginazione e futuro, perché sia chiaro, deve passare attraverso il rapporto dell'immaginazione con il progetto e con la previsione (cfr. p. 115.116). Ciò rimanda anche al contenuto delle immagini, a proposito delle quali Piana si richiama esplicitamente alla formulazione di Husserl "come se" (pp. 110 sgg.) ed alla sua concezione dell'immaginazione come tipo particolare di percezione che cerca di strutturare, partendo da situazioni di fatto, mondi 'possibili' di cui, però, la percezione iniziale ha coscienza, coscienza di qualcosa che non è realmente presente, di qualcosa di cui si sente la mancanza o di riproduzioni in assenza degli oggetti che li hanno prodotti (cfr. E. Husserl, Idee, op.cit, pp. 49 sgg.; pp. 809 sgg).

Anche per Piana "da fatti si traggono immagini... Tuttavia la cosa non entra nel campo dell'immaginazione nella totalità delle sue determinazioni concrete... In rapporto all'unità di coesistenza fattuale della proprietà nella cosa, l'immaginazione opera anzitutto una scissione: essa si appiglia ad un aspetto della cosa per risolverla in questa sua determinazione valorizzata. Tutto il resto, tutto ciò che c'è nella cosa e intorno ad essa, non conta per l'immaginazione" (pp. 142-143). In altre parole, l'immaginazione ha una capacità selettiva rispetto alle cose sulle quali si esercita. Grazie a tale capacità dell'immaginazione, l'essere si trasforma in valore, l'unità dell'essere si spezza e subentra il gioco delle prospettive attraverso il quale si manifesta la polivalenza strutturale dell'essere (cfr. pp. 141-143). Anche con ciò, Piana accentua la sua distanza da ogni interpretazione della fenomenologia in chiave psicologico-introspezionistica (cfr. la critica alla dottrina kantiana dell'immaginazione, pp. 128 sgg.) per insistere sulla problematica delle esperienze strutturali, oggettive.

Sotto tale spinta strutturalistica, nei confronti dell'introspezione, Piana cerca una soluzione per la costituzione del 'pensiero', che è lostato psichico che offre più spunti per una definizione in termini introspezionistici e psicologistici (cfr. p. 175).

È su questo tema che, forse, si concentra, con maggiore intensità, l'interpretazione "strutturalistica" della fenomenologia proposta da Piana ed è possibile verificare, con più evidenza, come tale interpretazione si voglia collocare in alternativa non solamente alle declinazioni psicologistiche, ma pure al razionalismo classico, al trascendentalismo kantiano e, perfino, all'empirismo che, pure, sembra, tra le correnti filosofiche, quella che è più disposta a soddisfare le esigenze della sfera esperienziale. Nella prospettiva di Piana, però, non si tratta unicamente di produrre alternative, si tratta anche di cogliere suggestioni dalle stesse posizioni contro le quali si fanno giocare le alternative.

Così, il rifiuto del razionalismo classico e del trascendentalismo kantiano non è separato dal riconoscimento che ambedue sono impegnati, alla loro maniera, nel rivendicare l'autonomia del pensiero, mentre altrettanto innegabile è che, sempre al prezzo di incongruenze e contraddizioni, l'empirismo e lo psicologismo tentano di venire in chiaro dei processi genetici attraverso i quali le formazioni del pensiero (i concetti, le categorie, i giudizi, ecc.) traggono origine dall'esperienza stessa e ciò diventa tanto più decisivo quando si ci affranchi dal pregiudizio che nell'esperienza sono dati soltanto i contenuti e non anche "i modi di organizzazione e di strutturazione di essi" (p. 173).

Da questo punto di vista, a nostro avviso, il capitolo sul pensiero col quale si conclude il libro è anche la messa a punto finale della lettura che Piana fa della fenomenologia. Secondo questa lettura, l'unità della fenomenologia  viene dal fatto che, all'inizio e al termine dell'iter filosofico di Husserl - da una parte, la Filosofia dell'aritmetica, dall'altra le postume Crisi delle scienze europee ed Esperienza e giudizio - si profila la tesi che Piana così traduce nel suo linguaggio: "L'autonomia del pensiero può essere difesa senza rinunciare al fondamentale problema della sua connessione con l'esperienza" (p. 183). Ma che cosa i concetti, materia prima delle formazioni del pensiero in quanto tali? Piana risponde, liberandosi ancora una volta da condizionamenti psicologistici e mentalistici: "I concetti non sono altro che i significati intesi nelle parole" (p. 177). Il che, mentre riconduce i problemi del pensiero ai problemi del linguaggio, comanda anche che si segua la strada inversa "dalla terminologia del linguaggio a quella del pensiero" e si mantenga fermo, di contro alle tendenze pan-linguistiche di certa filosofia contemporanea, il principio che "la parola non è che un veicolo che può essere considerato importante solo in rapporto ad altri problemi" (p. 178).

Nel movimento circolare che dal pensiero porta al linguaggio e dal linguaggio riporta al pensiero, si innesta la deduzione delle categorie che, nella metodologia seguita da Piana, procede, anziché dal giudizio all'esperienza (e questo è il modello trascendentale kantiano), dall'esperienza al giudizio (p. 217). La inversione del cammino è possibile perché, a differenza di quanto è stabilito nella tradizione trascendentale di più stretta obbedienza kantiana, Piana ritiene che l'intelletto non è già costituito quale quale "complesso di dispositivi predisposti da proiettare sull'esperienza", bensì "ha le sue radici nell'esperienza stessa in quanto essa si auto-organizza nelle forme di correlazione mecessaria tra i dati della sensibilità e la soggettività concreta che li riceve" (p. 217).

A questo punto, una volta chiarite fino in fondo le ragioni delle "strutture antepredicative" (p. 206), sarebbe interessante riaprire e riproporre i problemi della soggettività, che sono centrali nella fenomenologia (e di ogni altra posizione, che alla fenomenologia si riconduca o la fenomenologia ritenga un'avventura ideale non ancora esaurita). Questi problemi oggi si tenta, da qualche parte, di cancellare o di emarginare in nome della morte, che sarebbe stata decretata, del soggetto. Piana, con riferimento ad alcuni luoghi di Esperienza e giudizio, vi accenna proprio nell'ultimo capoverso del libro e parla, al riguardo, di un'inclinazione ideologica associata alla chiarificazione teoretica (cfr. p. 230). Non è nulla più che un accenno. Ma inclinazione ideologica e chiarificazione teoretica rimandano qui, per caso, a opposti giudizi di valore?

Maria Sinatra

 


 

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