Emanuele Ferrari

 


 

Emanuele Ferrari si è diplomato in pianoforte al Conservatorio di Verona, sotto la guida di Renato Grossi, ed ha seguito corsi con R. Zadra, S. Fiorentino, B. Canino, A. Lonquich, P.N. Masi e T. Poli. Si è laureato in Filosofia presso l'Università degli Studi di Milano. Insegna Musica e didattica della musica nel Dipartimento di scienze umane per la formazione, Università di Milano-Bicocca. Ha svolto una intensa attività concertistica e musicologica, che si è sviluppata anche in direzione di lezioni-concerto tenute in teatri e in trasmissioni televisive, sotto il titolo "Sulle Note". Queste lezioni vengono regolarmente trasmesse sul canale televisivo Sky Classica e sulla stazione radio web del Teatro La Fenice di Venezia. La sua idea di didattica innovativa è stata scelta tra oltre ottocento progetti presentati dalle università di tutto il mondo ottenendo il Silver Award nella competizione internazionale Reimagine Education Awards 2016 di Philadelphia. E' il premio più alto ottenuto in questa edizione da un ateneo italiano.


 

Video

Lezione concerto tenuta nel maggio 1917 alla Brown University di Providence

Ripresa diretta di una parte di una lezione tenuta all'Università di Milano-Bicocca



 

Nel volume collettaneo "Introduzione alla filosofia della musica", a cura di C. Migliaccio, De Agostini, Novara, 2009, Emanuele Ferrari si occupa della mia Filosofia della musica nel saggio "Il problema del linguaggio musicale" (cap. 16) . Da questo capitolo si traggono qui le pagine 261-263.


 


 

§ 16.10
Critiche alla prospettiva semiologica: la posizione di Giovanni Piana

Considerazioni  critiche sulla relazione tra musica e linguaggio sono contenute in alcuni paragrafi del libro Filosofia della musica di Giovanni Piana (1940) L'autore  non discute le posizioni di singoli studiosi,  ma cerca di esplicitare ed esaminare alcune premesse fondamentali di un comune modo di considerare la musica, che riassume con l'espressione di prospettiva semiologica. Dice Piana:

- Come accade in genere in un campo cosl incertamente definito come è quello della semiologia, anche nel caso della semiologia musicale si ha a che fare con una grande varietà di posizioni, sia per ciò che concerne i compiti affidati alla ricerca semiologica, sia per ciò che riguarda i presupposti filosofici di carattere più generale. Il parlare genericamente di «prospettiva semiologica» intende in un certo senso rispettare questa indeterminatezza[...] - (Piana, 1991, p. 21).

Al di là delle differenze tra i singoli studiosi, una nozione imprescindibile per qualsiasi approccio serniologico è quella di segno, sulla cui applicazione alla musica Piana nutre forti riserve teoriche. L'affermazione che la musica è un sistema di segni viene spesso  trattata come evidente, «come se si trattasse di una patente ovvietà» (lbid., p. 274), per concentrarsi  subito su come ciò avvenga. In tal modo, però, si dà per scontato proprio ciò che dovrebbe essere oggetto di un'attenta indagine, col risultato di lasciare inevase questioni fondamentali che finiscono per condizionare, se non sviare apertamente, la ricerca. Sostiene, infatti, Piana:

- Segni-di-che? Segni-come?- ci si va chiedendo. E invece occorrerebbe subito fissare l 'attenzione sul fatto che, in se stessa, la parola «segno» non indica affatto una cosa , ma un modo dell'intendere, e di conseguenza il suo senso è determinato solo quando questo modo dell'intendere sia a sua volta sufficientemente determinato, almeno sul piano esemplificativo - (ibid.)

Non è quindi corretto ragionare come se ci fossero dei segni musicali, e restasse solo da discutere di che tipo sono e come effettuano  il loro rimando. Al contrario,  si dovrebbe  mostrare dapprima  quale sia il gioco linguistico  che regola l'uso della parola segno, quale ne sia la grammatica d'uso. Da questo punto di vista la parola segno è simile alla parola mezzo: in quest'ultimo caso è inutile elencare mezzi e istituire somiglianze o differenze, in mancanza di una risposta chiara su quali ne siano di volta in volta gli scopi. È una ragione sufficiente, per Piana, per abbandonare  questo scivoloso  terreno in favore di altri sentieri d'indagine:

- Vogliamo allora senz'altro prescindere da una simile impostazione del problema. E anziché tentare un'interpretazione dei suoni da subito considerati come segni - interpretazione che si mostrerebbe ben presto piena di problemi e di difficoltà- volgiamoci a essi per quello che propriamente sono, come puri materiali percettivi, disponendoci dunque in quella dimensione dell'ascolto che certamente esclude, come abbiamo notato a suo tempo, una ricezione del suono come mediazione subito oltrepassata verso esistenze che stanno al di fuori di esso  - (ibid., p. 275).

§ 16.11
Il linguaggio come punto di vista sulla musica

Il rifiuto della prospettiva semiologia come strada maestra non comporta  però per Piana, che l'espressione linguaggio  musicale  sia di per sé fuorviante.  Anche questa volta, tutto dipende da come se ne intende il significato  e se ne circoscrive l'uso. A livello di un vago senso metaforico l'espressione non è interessante:  parlare del «linguaggio» della musica come si parla di quello degli uccelli o dei fiori non fa progredire la nostra comprensione  dei fatti musicali. Diverso è il parlare di linguaggio avendo presente che, con questo, si vuole sottolineare un possibile punto di vista sulla musica, e non un'identificazione che viene assunta come dato di fatto.

Più precisamente:  si mostra, richiamandosi  al linguaggio, che la musica può essere considerata  da una delle molteplici  angolature che sono implicate nella nozione di linguaggio. E con ciò si ribadisce certamente quanto sia importante il poter disporre di una nozione primaria di liguaggio (ibid., pp. 22-23).

Questa nozione primaria  non può essere che quella di linguaggio  verbale, come conferma  la gravitazione  degli studi di semiologia  nell'orbita della linguistica. Ma anche qui le differenze vanno esplicitate prima di procedere a frettolose annessioni concettuali della musica al linguaggio. Per Piana «dovremmo invece richiamare  l'attenzione anzitutto sul fatto che nella musica non ci sono nomi» (ibid., p. 24). Oppure, può essere interessante osservare che, in casi specifici, la musica può essere considerata un discorso, ma «la pretesa di poter ridurre la musica intera a discorso musicale è interamente  priva di fondamento» (ibid.). Citando Xenakis, Piana conclude che vi sono buone ragioni in quantità per affermare che «le identificazioni  musica-messaggio, musica-comunicazione, musica-linguaggio sono schematizzazioni che conducono  all'assurdità ed all'inaridimento» (ibid., p. 25).

In definitiva, quella del linguaggio è una metafora che per la musica può essere utilmente impiegata purché se ne sorvegli criticamente  l'impiego, sottolineando tanto le affmità quanto le differenze.  Non è certo il caso di coloro che utilizzano «nozioni e categorie tratte dalla linguistica e gettate di peso nella ricerca musicologica» (ibid., p. 26); una simile impostazione conduce a fraintendimenti, false impostazioni e confusione:

- L'idea della musica-linguaggio deve perciò essere mantenuta  nella mobilità di una discussione che non ha per nulla deciso fin dall'inizio di impiegarla senza condizioni e che si serve di essa come uno dei tanti strumenti  utili, non solo considerata  in positivo, ma anche in negativo, per circoscrivere,  arricchire e movimentare  la trattazione. - (ibid. p. 25).


 

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