per violino, orchestra d'archi e sintetizzatore (2010)
Victor Hugo, Paysage
Giovanni Piana, Le Chateau Noir
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Presentazione
All'origine di "Le Chateau Noir" vi è una fonte letteraria della quale è opportuno che io dica alcune cose. Nelle mie letture estemporanee mi sono imbattuto in un'opera dedicata alle più celebri "Cantatrices" tra settecento e primo ottocento a firma di Marie e Léon Escudier. Si tratta di uno di quei testi che giocano tra storia, aneddoto e leggenda sulle personalità musicali, che nell’Ottocento non ci si vergognava di scrivere e che si leggono ancora oggi con gran godimento. In appendice troviamo una Vie Anédoctique de Paganini il cui capitolo secondo contiene una narrazione intitolata "Aventure du Chateau Noir". Della storia che qui si narra dirò solo le cose per me essenziali, e precisamente quelle che mi hanno suggerito l'inclinazione musicale di questo brano.
Siamo nel mezzo dell'estate, al termine di una giornata afosa tra i monti della Val d'Aosta. Paganini ed un amico, su una carrozza postale, attraversano quei monti di ritorno dalla Francia. Ma a poco a poco, quanto più la notte si faceva più vicina, tanto "più grigie nuvolaglie si accumulavano all'orizzonte, il cielo andava progressivamente oscurandosi e le fiammate rossastre che il sole nel suo ardore, aveva lasciato al suo passaggio, si estinguevano sempre più". Finché, quando la notte giunge quasi all'improvviso "profonda e paurosa", scoppia la tempesta: "La volta del cielo parve infrangersi e tuoni spaventevoli esplodevano nello spazio, l'uragano scatenò il vento, la pioggia, il fulmine e il tuono e queste quattro furie, mescolandosi insieme, producevano un effetto che era ad un tempo magnifico e terribile". Il profilarsi dello Chateau Noir rappresenta per i nostri viaggiatori un'ancora di salvezza di fronte alla furia degli elementi. Il signore del castello li accoglie e li ospita di buon grado facendo accompagnare gli sconosciuti in una camera presso una delle due grandi torri. Il nome del castello, certo, è un poco tenebroso, ma in esso, quella notte si celebra una festa di nozze. Si canta, si suona, si danza. Eppure, all'arrivo degli inattesi ospiti si comincia ad avvertire un'inquietudine crescente che serpeggia tra gli invitati e tra i servitori. Al punto che il signore del castello si adira alle parole del maggiordomo che gli dice tremando: "Eccellenza! l'inferno ha spalancato tutte le sue porte, i demoni ne sono usciti ed ora si trovano tutti dentro questo castello". "Questi vecchi folli - egli commenta - sono paurosi come bambini, hanno paura del tuono e dei lampi". Al culmine del turbamento qualcuno grida: "Si aprano le finestre... e con i lampi e il rumore del tuono la nostra danza sarà più gioiosa e più folle". - Questo grido risuona ora dappertutto: si aprano le finestre!
"L'uragano scrosciava sempre più, l'acqua cascava a torrenti, i lampi attraversavano le nubi; ma al di sopra di questi tre elementi una voce dominava su tutto; ora furiosa, sembrava rotolare con fracasso atttraverso i precipizi, ora più contenuta si rifrangeva in singhiozzi laceranti; erano grida della natura tutta, erano suoni inesprimibili. Nulla di simile si era mai udito; i danzatori più intrepidi rimasero come inchiodati al loro posto, afferrati ad un tempo da ammirazione e da spavento... A poco a poco il tuono cessò di farsi udire, e la voce talora si estingueva sospirando come una eco lontana per poi riprendersi dopo un istante ed esplodere in un nuovo baccanale. Si udivano suoni fantastici richiamarsi e rispondersi l'un l'altro; mai seppe la magia produrre nulla di più meraviglioso. I canti che si diffondevano dalla torre del castello parevano sovrannaturali. I convitati fino ad allora erano rimasti pietrificati ; ma quando tutto finì, quando i venti avevano cessato di muggire, un canto sublime si innalzò dal luogo stesso in cui un'orchestra diabolica aveva lanciato poco prima degli accordi così strani".
Si tratta di un racconto ingenuo e nello stesso tempo, così mi sembra, straordinario. Il mito romantico di Paganini è tutto concentrato in questa "Aventure" - l'elemento demoniaco, il magico che sconfina nel diabolico, la misteriosa presenza dello sconosciuto che porta tra le mura dell’antico castello ansietà e inquietudine; ma quello che più mi sembra interessante dal punto di vista di un pensiero musicale che viene messo in moto dal racconto è una sorta di splendida dialettica tra musica e natura: l'uragano che precede l'arrivo al castello e che irrompe poi dalle finestre aperte fa tutt'uno con l'esplosione inaudita dei suoni del violino paganiniano che gareggia con il vento, con gli scrosci di pioggia e le saette, che fa corpo con gli elementi naturali scatenati ma che finisce poi con il dominarli con un "canto sublime". All'interno di questa dialettica mi è sembrato che potesse essere fatta emergere con la musica stessa un'interpretazione non del tutto consueta del capriccio paganiniano. Spesso i Capricci sono considerati alla stregua di "esercizi difficili", che stanno certo in cima alla scala della tecnica violinistica, ma proprio per questo non andrebbero molto oltre il meccanismo dell'arco e delle dita della mano sinistra. Questa valutazione è fortemente limitativa: il violino nell'uragano ci riporta allo Sturm und Drang - Tempesta ed impeto, per l'appunto - e la catarsi melodica, con cui questa mia composizione si conclude, riprendendo per intero il Sesto Capriccio, con una variante che vorrebbe dare il massimo risalto all'andamento melodico, ci rammenta il canto struggente, profondamente immerso nell'aura romantica, che non è certamente assente dall'opera paganiniana.
Ma allora questo brano ci parla soprattutto di Paganini e di quella storia fantastica? In realtà è vero che mi piacerebbe molto che la figura di Paganini apparisse, attraverso questa composizione, in una dimensione monumentale. Ma è altrettanto vero che fin dall'inizio quella storia ha assunto per me il carattere di una traccia immaginativa per uno sviluppo musicale che puntava altrove. Anzitutto nella direzione a cui ho or ora accennato: all'unità profonda che musica e natura ricevono quando si fondono l'una nell'altra ed in questa fusione si manifestano ad orecchie umane. In questa ricezione lo scatenamento dell'elemento naturale non può essere disciolto dal legame con i turbamenti degli affetti; e la musica, che a sua volta si scatena "imitativamente", rende manifesto questo vincolo. Nessuna "imitazione" nel senso letterale del termine dunque - come se ci fosse da un lato la tempesta, dall'altro la musica che la dipinge per le nostre orecchie. Si tratta invece di un avvicendamento di stati d'animo, che si formano insieme alle mutazioni evocatrici del paesaggio: vaghe attese in rapporto a qualcosa di non chiaramente determinato, interrogativi sospesi su uno sfondo apparentemente disteso che tuttavia a poco a poco si evolve in presagi e timori oscuri, in ottenebramenti improvvisi, in sinistri lampeggi che evolvono infine in scrosci terrificanti che lacerano la volta celeste.
Tuttavia le inquietudini non cessano nemmeno quando si perviene al nero castello. Certo, ora l'atmosfera complessiva cambia radicalmente: mentre fuori la natura si scatena, all'interno del castello - protetto dalle sue alte mura - possono venir meno i timori generati dalla furia degli elementi; inoltre i convitati partecipano ad un rito alla cui festosità fa in qualche modo allusione una sorta di tromba che attraversa la scena sonora volteggiando e folleggiando su ritmi zoppicanti ed ancora più l'evocazione corale della "bella Venere", dea dell'amore e della fecondità, di fronte alla quale "i flutti ridono nel mar placati".
Eppure anche in questo interno protetto serpeggia un elemento forse ancora più inquietante: lo straniero sbucato dalla tempesta, è anche il messaggero di un mondo abitato dai demoni: di essi si avverte ora la perturbante e sovrannaturale presenza tra le mura del castello. Il chiaro canto d'amore si dissolve nello sconvolto mormorio della paura. Ed ecco allora il grido straordinario: si aprano le finestre, ci si affidi all'uragano, ci si rituffi all'aperto nella musica, nella natura. Solo ora Paganini, anche se non si tratta soltanto di lui, è veramente là, e può essere oggetto di citazione diretta: è là in una stretta fusione con gli scrosci di pioggia, i suoni del violino si impennano con le impennate di quella bufera che con la musica sorge e con la musica si placa, ed anche quei demoni che prima si agitavano dentro di noi e dentro la musica sfumano nella musica come fantasmi della mente in un flusso che incanta e rasserena.
Annotazione
1. Il coro femminile canta dei versi tratti, con poche variazioni, dal Secondo Epitalamio di Metastasio (Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, Mondadori, Milano 1965, p.818). Esso dice:
O bella Venere,
scendi propizia
con il tuo splendore,
O bella Venere,
che sola sei
piacer degli uomini
e degli dei.
Tu colle lucide
pupille chiare
fai lieta
la terra e il mare.
Presso ai tuoi
astri ridenti
le nubi fuggono,
fuggono i venti.
A te fioriscono
gli erbosi prati
e i flutti ridono
nel mar placati.
Il testo del coro maschile successivo che esprime la crescente inquietudine che si diffonde tra i servitori e i convitati è il seguente:
Hai udito
un misterioso passo?
Dove, non so.
Tra le mura del castello.
Una voce arcana.
Un respiro
Un misterioso passo.
Questa sezione corale è chiusa ancora dal coro femminile che canta:
Silenzio.
Aprite le finestre!
Dalle finestre aperte,
ascolta il vento,
ascolta l'uragano.
Ascolta…ascolta… ascolta...
3. Le citazioni da Paganini, riprese liberamente, sono tratte dai capricci n. 4, n. 5 e n. 6. Il capriccio n. 6, che conclude il brano, è citato integralmente senza variazioni, con la sola differenza della separazione del canto e dell'accompagnamento, quest'ultimo affidato al sintetizzatore ed alle sonorità di uno strumento a corda.
4. In questo brano assume un ruolo fondamentale il sintetizzatore. Esso è stato scritto anche per sperimentare la possibilità del suo impiego insieme agli strumenti della tradizione classica come il violino e l'orchestra d'archi. Mi sembra che questa integrazione sia perfettamente possibile e musicalmente efficace. Credo tuttavia di dover avertire il mio lettore che vi sono vetusti apologeti della musica elettronica che ritengono oggi di dovere lasciare questi mezzi ai territori della musica di consumo – opinione che io non mi sento di condividere e sulla quale pesa il sospetto che qualcosa di particolarmente importante non si comprese allora, e qualcosa di altrettanto importante non si comprenda adesso. Forse in rapporto a questo pezzo, ci sarà qualcuno che parlerà di pura descrizione o di imitazione estranea ai valori "puramente musicali". Lasciamoglielo dire. E seguiamo invece l'esortazione che risuona in eco nelle stanze del Chateau Noir: "Ascolta... ascolta... ascolta...".
Il testo di Marie e Leon Escudier, Vie et aventures des cantatrices célèbres; précédées des Musiciens de l'Empire ; et suivies de La vie anecdotique de Paganini / Marie et Léon Escudier - E. Dentu (Paris)-1856, si può trovare e scaricare in formato digitale presso la Bibliothèque Nationale de France, all'indirizzo internet http://gallica.bnf.fr.
Il testo dell'Appendice su Paganini viene in ogni caso qui riportata
"En 1834, vers le milieu de l'été, une voiture avec deux chevaux de poste traversait les hautes montagnes qui séparent la France de l'Italie. La journée avait éte brûlante, l'air était lourd et comprimé; les chevaux se trainaient plutôt qu'ils ne marchaient. A mesure que l'équipage avançait, des nuages gris se formaient à l'horizon, le ciel s'obscurcissait et les flammes rougeâtres que le soleil, dans son ardeur, avait laissées sur son passage, s'éteignaient peu à peu. Quand l'azur eut disparu entièrement sous les nuages sombres, des jets de fumée noire et jaunâtre se mirent à courir dans l'immensité avec une prodigieuse précipitation. Le vent siffla avec impétuosité; des tourbillons de poussière s'élevèrent de toutes parts; en un clin d'oeil la nuit arriva; c'était une nuit profonde, effrayante.
Des filets de lumière jaillissaient par intervalle à travers l'obscurité, et un bruit sinistre suivait de près ou précédait cette lueur, la seule qui éclairât à cette heure l'équipage solitaire. Le postillon était descendu de son siège et conduisaitses chevaux par la bride. Au moment où il traversait une route étroite, bordée de deux grands fossés, la voûte du ciel sembla se briser; un grondement épouvantable éclata dans l'espace, l'orage déchaina le vent, la pluie, l'éclair et le tonnerre, et ces quatre furies se mêlant ensemble produisaient l'effet le plus magnifique et le plus terrible à la fois.
Le vent était si fort, la pluie était si abondante, que la voiture, emportée, s'en alla rouler à vingt pas de la route; le vetturino jurait et maudissait les éléments. Les deux voyageurs, au contraire, qui se trouvaient emprisonnés, imploraient le ciel et promettaient de faire construire des chapelles en l'honneur de tous les saints du paradis, si Dieu les délivrait du danger ou ils se trouvaient engagés.
Ils sortirent avec une peine infinie de la voiture, et, dans leur chute, ils n'avaient reçu heureusement aucune contusion. La pluie continuait toujours à tomber avec rage; les chevaux pouvaient supporter ce torrent, mais les voyageurs devaient songer à trouver un abri. En se retournant, à la droite du fossé, de la rivière plutôt, dans laquelle ils avaient versé, le vetturino aperçut, à une distance assez rapprochée, une lumière que le vent agitait dans tous les sens.
- Signori, voulez-vous me suivre, je crois que nous ne sommes pas éloignés de Castelnero; le maître de ce château ne refusera pas de vous donner un gite pour une nuit.
Et les deux voyageurs suivirent, à travers des torrents d'eau, leur cicerone dévoué. Il était neuf heures environ. Les deux voyageurs et le vetturino arrivèrent devant les portes du château, flanqué à la droite et à la gauche de deux immenses tours qui, en guise d'aigrettes, portaient tous les soirs à leur sommet un phare lumineux.
Après avoir entendu le récit de ce qui venait de se passer, le maître de Castelnero donna des ordres pour qu'on logeât les naufragés dans une des chambres du château. Mais comme ce soir-là il y avait une fête magnifique au Castelnero, et que tous les appartements étaient retenus pour les nombreux invités, on conduisit les deux inconnus dans les deux chambres les plus reculées du château, tout à côté de l'une des deux tours. On ramena les chevaux de l'équipage, les portes se refermèrent et la fête continua.
Dans une salle ornée d'une façon splendide, soixante personnes environ étaient assises à une table royalement servie. Une jeune femme toute parée de diamants, d'une figure belle et d'une taille élancée, siégeait comme une reine au milieu de la table; elle avait à sa droite un cavalier jeune et beau; en face se trouvait le maître du château. On buvait, on riait, on portait des toasts au maître, à la jolie fille et au beau cavalier; c'était une nuit de noces. Voilà que tout à coup il y eut un saisissement général.
Trois domestiques venaient de laisser tomber des plats d'argents, et, muets, immobiles, ils n'osaient pas se baisser pour les ramasser.
- Qu'y a-t-il, Francesco, que se passe-t-il? dit un des convives à un vieux serviteur qui avait laissé tomber son plat moitié sur ses habits et moitié sur la table.
- Oh Excellence, l'enfer a rompu toutes ses portes, les démons en sont sortis et ils sont tous dans ce château.
En prononçant ces paroles sa figure pâlissait, ses lèvres devenaient blêmes.
- Ces vieux fous, s'écria le maître, sont timides comme des enfants, ils ont peur du tonnerre et des éclairs.
On quitta la salle à manger pour se rendre dans celle dé la danse. Les quadrilles se formèrent, et, au son d'un piano, les danseurs et les danseuses s'agitèrent en tous sens. Au milieu d'uue contredanse, Francesco entra de nouveau, haletant, effaré, en s'écriant que l'enfer redoublait ses fureurs, et qu'aucun domestique n'avait plus le courage de servir.
- Qu'on ouvre les fenêtres - dit un jeune étourdi, on étouffe dans ces salons, et, d'ailleurs, avec les éclairs et le bruit du tonnerre, notre danse sera plus joyeuse et plus folle.
Qu'on ouvre les fenêtres! répéta-t-on de toutes parts. A peine le bruit qui se faisait au dehors eut-il pénétre au dedans, que cette foule, si gaie, si animée, si entrainée, si entraînante, s'arrêta comme glacée par un froid mortel.
L'orage grondait plus fort, l'eau tombait toujours par torrents, les éclairs traversaient les nuages; mais au-dessus de ces trois éléments une voix dominait tout tantôt furieuse, elle semblait rouler avec fracas à travers des précipices, tantôt comprimée, elle se brisait en sanglots déchirants: c'étaient des cris de toute nature et des sons inexprimables. Jamais rien de pareil n'avait été entendu; les danseurs les plus intrépides étaient restés cloués à leur place, saisis à la fois de frayeur et d'admiration.
On voulait d'abord aller en masse dans les tours du chateau d'où venait ce bruit étrange. Peu à peu le tonnerre cessa de se faire entendre et la voix s'éteignit en soupirant comme un écho lointain. Mais un instant après une nouvelle bacchanale éclata. On entendit des sons fantastiques s'appeler et se répondre; la magie n'avait rien produit de plus merveilleux.
Les chants qui s'échappaient de la tour du château paraissaient surnaturels. Les convives, jusque-là, étaient restés pétrifiés; mais, lorsque tout fut fini, que les vents eurent cessé de mugir, une prière, un chant sublime s'éleva de l'endroit même d'où un orchestre diabolique lançait auparavant des accords si bizarres. Cette prière, ce chant sublime, c'était l'Hymne de Moïse. On reconnut alors le son du violon, la foule se porta dans la cour, on regarda vers la tourelle, et a l'ombre d'une lumière on vit se dessiner le corps d'un homme maigre qui semblait expirer sur son instrument. Puis chacun s'en alla avec l'espoir de revoir le lendemain l'étrange personnage qui venait de produire des émotions si diverses. Le matin même, à cinq heures, le vetturino et les deux voyageurs sortirent du château et personne ne put savoir leur nom.
Deux mois après cette incroyable aventure, les nouveaux fiancés, le comte et la comtesse de M. se rendirent a une invitation qui leur fut faite à Gênes, invitation qui avait pour but de faire entendre un grand artiste, un artiste d'une réputation immense, à toute l'aristocratie du pays. Ils vinrent prendre place dans la salle du concert, et, pendant que le prodigieux virtuose qui devait jouer était l'objet de toutes les conversations, on vit paraitre un homme mince, à la figure longue et décharnée. Son regard étincelait de vivacité. Il commença, et son premier chant fut la prière de Moïse. Des cris, des transports accueillirent l'artiste de génie, le comte et la comtesse de M. seuls, n'applaudissaient pas. Ils avaient été pris d'une frayeur telle, que leurs membres étaient presque engourdis. M. et madame de M. venaient de reconnaitre le mystérieux personnage du Château Noir: il se nommait Paganini".