alt Giovanni Piana - Chiù (2017)

(Strumenti: violoncello e violini glissanti. Arpa. Assiolo)

foto di Brad Wilson


 

Giovanni Pascoli

(Myricae)


 L’ASSIUOLO 

Dov’era la luna? ché il cielo    
notava in un’alba di perla,      

ed ergersi il mandorlo e il melo 
parevano a meglio vederla.       
Venivano soffi di lampi     
da un nero di nubi laggiù;       
veniva una voce dai campi:       
chiù…                        

Le stelle lucevano rare          
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,     
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,   
com’eco d’un grido che fu.       
Sonava lontano il singulto:
chiù…                            

Su tutte le lucide vette         
tremava un sospiro di vento:     
squassavano le cavallette        
finissimi sistri d’argento 
(tintinni a invisibili porte     
che forse non s’aprono più?…);   
e c’era quel pianto di morte…    
chiù…

 


Presentazione


"L'assiolo o l'assiuolo, come lo chiama Pascoli, è un piccolo uccello della famiglia dei gufi. Nella poesia è ambientato in un'"alba di perla", sul far del giorno, dunque. E' tuttavia è notte perché la luna appare e si nasconde, tralucendo ancora tra le nubi. La notte è ad un tempo luminosa - "soffi di lampi" - e a tratti oscura - "un nero di nubi laggiù". Ma vi è anche serenità nella culla del mare, e vi è vita nascosta nel "fru fru" tra le fratte e nei sistri argentei delle cavallette che si ridestano nei campi. Dai campi si risente poi la voce dell'assiolo. Ribadita "onomatopeicamente" al termine di ogni strofa. Già, le vituperate onomatopee di Pascoli... Talvolta il critico vede solo imitazione del suono piuttosto che la densità del senso, e soprattutto non si rende conto che in queste imitazioni  - che talora non sono nemmeno tali (avete mai sentito una rondine che fa "videvit"?) - Pascoli mette in relazione le voci della natura con le voci umane, vuole mostrare una unità profonda tra uomo e natura, la possibilità di un dialogo, di una comunicazione che si serve del suono, il materiale primo della musica: gli uccelli ci vogliono realmente dire qualcosa.

Veniamo ora al mio tentativo musicale. La curiosità mi ha portato subito a cercare di udire il suono reale dell'assiolo - e qui è stata la mia prima sopresa. L'assiolo non "canta", non trilla, non bisbiglia, nemmeno tenta qualcosa di simile ad una variazione interna di qualche sorta. L'assiolo è rigorosamente fermo su una sola nota, che ripete inesorabilmente eguale ed a distanze temporali assolutamente identiche, instancabile, con l'insopportabilità di un autentico metronomo. Mi sono subito chiesto: Come fa dunque Pascoli a udire in essa un "singulto", che fa sussultare il cuore -  un pianto di morte? Potrà sembrare singolare, ma questo pensiero mi ha accompagnato nel corso del mio progetto. Si potrebbe ritenere che il poeta non abbia fatto altro che riprendere, tra i vari significati simbolici dei gufi in genere - che sono numerosi e variano dalla saggezza alla sacralità - quello che è forse più presente nella nostra tradizione popolare. Presso di essa il gufo ha una fama tendenzialmente lugubre.

E' possibile che nella fantasia poetica di Pascoli questo aspetto sia presente, ma io penso che in un ascoltatore così attento alle voci della natura come egli era, al mito si sia strettamente associato la singolarità del suono, cosicché ho rivolto la mia attenzione in altra direzione, come conseguenza di una decisione musicale: quella di introdurre direttamente nella composizione il verso reale dell'assiolo. L'introdurre un "rumore" o comunque un suono reale non prodotto da alcuno strumento non è certo cosa nuova nella musica del recente passato e dei nostri giorni. Schaeffer pensava che la musica del futuro si sarebbe potuta servire del cigolio di una porta. Ed a proposito di metronomi, di essi Ligeti ne ha fatto addirittura un'orchestra. Io penso che si possa fare musica con qualunque suono, alla condizione che nel contesto in cui esso è inserito diventi musica esso stesso. Frase un po' sibillina, ma che mi è sembrato di poter illustrare in questo brano nel quale ho tentato di verificare se era possibile non solo integrare la realtà del "chiu" in un brano musicale, ma soprattutto se attraverso questa integrazione, si potesse dare a quel suono un alone di drammatica inquietudine, in modo del tutto indipendente dal mito malaugurante di cui la nostra fantasia ha investito questo uccello ed anche dalla staticità frequenziale e metronomica del suo "canto".

Questa poesia di Pascoli ha attirato ben presto l'attenzione di musicisti che desidero qui rammentare. La prima serie delle sue "Impressioni dal vero" (1910-1911), con cui si apre il suo itinerario artistico, Gianfranco Malipiero (1882-1973) è costituita di tre parti, ciascuna dedicata ad un uccello: la prima si intitola "Il capinero", la seconda "Il picchio" mentre per intitolare la terza egli si serve dell'invenzione onomatopeica pascoliana, benché non si possa escludere che Pascoli trovi questa onomatopea come nome popolare dell'uccello. Cito dalla Treccani, che peraltro si richiama ancora a Pascoli: "chiù s. m. [voce onomatopeica]. – Nome tosc. dell’uccello assiolo, così chiamato per imitazione del suo grido: Un chiù singhiozza da non so qual torre (Pascoli)".In effetti più di una volta Pascoli chiama l'assiolo semplicemente "Chiù". Il brano di Malipiero lo si può ascoltare in Youtube.

Vi è poi da rammentare Riccardo Zandonai (1883-1944) che in un ciclo delle sue Melodie trae il testo di un brano da questa poesia . Questa romanza può essere ascoltata  in Youtube cantata e registrata dal vivo da Renata Tebaldi .

Nel ciclo "Canzoni della sera" composto da Francesco Santoliquido (1883-1971) è presente un brano intitolato "L'assiolo canta". Varie versioni di questa romanza sono presenti in Youtube.

Tra le varie letture di questa poesia che si possono trovare in internet, desidero segnalare la lettura e il commento realizzato da Andrea Cortellessa, nel quale si dà particolare rilievo al nesso musica-poesia-natura così spesso trascurato dalla critica.

[G.P.]


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Sergio Lanza

Nicola Pedone